I tedeschi vogliono dimostrare che hanno batterie ovunque

Trinità, Frazione di Camporosso (IM)

Ai Brunetti [Frazione di Camporosso (IM)] mio zio Virginio si era costruito una radio con la quale ascoltavamo i comunicati e che ci forniva le ultime notizie. Fu così che il 10 giugno 1940 sentimmo il discorso del Duce e la dichiarazione di guerra alla Francia.
Io vivevo a Trinità [Frazione di Camporosso (IM)] e alcuni abitanti, che erano passati per Ventimiglia, comunicarono che era venuto l’ordine di sfollare. Così, abbandonato il villaggio, ci radunammo tutti sotto il Mercato dei Fiori a Ventimiglia, da dove incolonnati ci imbarcarono su un treno. Per fortuna l’esercito francese non sparò su Ventimiglia: lo avesse fatto in quei giorni sarebbe stato un massacro.
Una ventina di giorni dopo, firmato l’armistizio con la Francia, ritornammo tutti a casa. In paese la vita riprese più o meno normalmente anche dalla fine del ’43 quando ebbero luogo i primi bombardamenti, per noi cambiò poco, al massimo si sentivano fischiare i proiettili che dalle postazioni oltre il Grammondo passavano sulle nostre teste per colpire la vallata del Nervia o la costa [n.d.r.: ma questo avveniva dopo la stabilizzazione – ai primi di settembre 1944 – più o meno sulla vecchia frontiera delle truppe alleate, che avevano appena liberato anche il sud-est della Francia].
L’inverno è particolarmente freddo tanto che è scesa la neve, cosa abbastanza insolita dalle nostre parti. All’alba il villaggio viene svegliato: militari della SS del comando di Varase bussano a tutte le porte e radunano gli abitanti, quasi tutti anziani e donne sulla piazzetta del paese. Con ferocia e forse per creare tensione e paura uccidono tutti i gatti ed i cani che incontrano.
Usano come interprete una giovane donna di Varase: e da lei sappiamo che ci considerano collaboratori dei “banditi”, e che dobbiamo evacuare il villaggio. A tutti gli uomini chiedono la professione, poi fanno una scelta e divisi dagli altri che verranno sfollati in Piemonte, finiamo io, un certo Luciano di professione barbiere, Biancavilla, sarto, ed altre 12 persone destinate alla raccolta delle olive particolarmente abbondanti in quell’anno. A me danno l’incarico di realizzare delle scarpe utilizzando le pelli provenienti dalla caserma Gallardi e ritrovate ad Airole, dopo lo sfollamento del paese, murate nelle cantine di alcune case.
Non avendo le forme per realizzare quanto richiesto, chiedo di recarmi a Dolceacqua dove sapevo avere magazzino un vecchio calzolaio che sicuramente poteva fornirmi le forme. Per raggiungere Dolceacqua dovevo passare da Tramontina: la via del mare era troppo pericolosa con le navi che incrociavano al largo e che ogni tanto colpivano la costa con qualche bordata.
Purtroppo faccio il viaggio a vuoto: il vecchio calzolaio rifiuta di prestarmi le forme e sono costretto a dirlo all’ufficiale tedesco l’indomani. Mi convocano dal Comandante che mi ordina di ritornare a Dolceacqua perché sicuramente il calzolaio aveva cambiato idea… E fu proprio così, era bastata una telefonata.
Facevo quasi esclusivamente scarpe da donna che venivano poi spedite in Germania alle mogli degli ufficiali. La mia paga consisteva in 5 o 6 sigarette al giorno ed un po’ di pane di segala. Per mia fortuna acquistarsi scarpe nuove era impensabile a quei tempi, tutti cercavano di tenersi quelle che avevano e così, nel tempo libero, eseguivo parecchie riparazioni.
Il mio servizio durò circa 7 mesi e qualche volta mi utilizzarono anche per altri lavori, come quando mi mandarono con altri nel fiume Roia di fronte alla Centrale di Porra dove ci fecero tagliare alcuni pali del telegrafo e, riutilizzando le ruote di alcuni carri, costruimmo dei finti cannoni che coprimmo parzialmente con rami e fronde. Nel pomeriggio apparve sulle nostre teste la cicogna, il solito aereo spia che immediatamente comunicò la nostra posizione alle batterie di Mont Agel, che aprirono il fuoco e ci costrinsero alla fuga.
Più o meno nello stesso periodo una famiglia di Porra, il cui capofamiglia era soprannominato “Checheo”, chiede a mia madre se può utilizzare una nostra vecchia casetta di campagna che si trovava sulla collina proprio sopra Porra in zona Mauné. Pensavano che trasfendosi lassù, lontano dalle strade di traffico con qualche animale avrebbero potuto vivere indisturbati fino alla fine (e si sperava fosse presto) della guerra. Sulle prime sembrava una buona idea, ma pochi giorni dopo un amico mi avverte che nella zona Mauné erano esplose alcune salve di cannone che avevano colpito la mia casa. Mi reco sul posto: la casa era stata colpita in pieno, tutto intorno, liberi, conigli e galline vagavano senza meta, dei “Checheo” nessuna traccia: li trovo dopo un po’ in un buco tutti impauriti. Il fumo che usciva dalla casa era stato visto ed aveva insospettito gli alleati che, prese le misure, avevano cannoneggiato la casa. Era andata bene che in quel momento erano tutti fuori per i campi a raccogliere un po’ di verdura.
Battista Leggerini, Un calzolaio di guerra. Disavventure e spaventi in Val Roia, in Renzo Villa e Danilo Gnech (a cura di), Ventimiglia 1940-1945: ricordi di guerra (con la collaborazione di Danilo Mariani e Franco Miseria), Comune, Studio fotografico Mariani, Dopolavoro ferroviario, Ventimiglia, 1995, pp. 61,62

L’autorità militare Germanica, per le necessità contingenti, ha ordinato lo sgombero delle popolazioni dalla vallata di Ventimiglia, che sono state avviate nei centri di sfollamento a cura delle Federazioni dei Fasci Repubblicani.
Nei giorni scorsi, mezzi navali cannoneggiavano Imperia, Ventimiglia, Bordighera, Vallecrosia, causando danni di una certa entità a case di abitazione private, facendo qualche vittima.
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia, Relazione mensile sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia (mese di settembre 1944), Imperia, 1 ottobre 1944, Documento in Archivio Centrale di Stato

19 novembre 1944
Anche oggi, calma. Stanotte i tedeschi giravano con un cannone piazzato sopra un camion sparando da tutti i lati della città [di Ventimiglia]. Vogliono dimostrare che hanno batterie ovunque.
20 novembre 1944
[…] Per la città, stasera, prendevano uomini, donne e ragazze; i tedeschi ubriachi impaurivano tutti. Cerrcano pure le bestie e chissà se, anche questa volta, riusciremo a salvare la nostra muletta. Corre pure voce che incendino le case, si dice che a Grimaldi, Mortola e Canun l’abbiano già fatto […]
21 novembre 1944
[…] I tedeschi hanno fatto sfollare San Pancrazio, Serro, Torri e Calvo. Corre voce che ci faranno andar via pure da Ventimiglia […]
22 novembre 1944
Ieri sera Pippo e “Turetu” sono stati presi dai tedeschi, ma sono riusciti a svignarsela. Già ieri l’altro Pippo era stato acciuffato, ma per sua fortuna il tedesco che l’aveva preso era ubriaco.
Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988

L’eccidio di Grimaldi

La Riviera, mercoledì 26 agosto 1998 – pag. 25

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Ventimiglia (IM): Grimaldi Superiore

[…]
Elenco delle vittime decedute
Chiodin Angela, anni 37, civile
Chiodin Maria,
Lorenzi Alberto, anni 64, civile
Lorenzi Battistina, anni 62, civile
Pallanca Rosalba, anni 2, civile
Pallanca Vincenzo, anni 4, civile
Pastorino Giovanni, anni 80, civile
Pittaluga Rinaldo, anni 52, civile
Plank Antonia, anni 22, civile
Trovato Giovanna, anni 2, civile
Trovato Salvatore, anni 37, civile
[…] Fucilazione di tre gruppi familiari nell’abitato di Grimaldi superiore, precedentemente evacuato per ordine tedesco. La motivazione della strage è incerta, ma potrebbe essere legata al mancato rispetto dell’ordine di evacuazione.
Dagli articoli pubblicati sul giornale “La Stampa” del 04.07.1999 e dell’11.07.1999 risulta che detta strage è stata compiuta in seguito a una delazione ai tedeschi di Giuseppe Eusebi la cui moglie è stata licenziata a causa di un furto dai titolari dell’Albergo “Vittoria” (Lorenzi e Pallanca) […]
Sabrina Giribaldi, Episodio di Frazione Grimaldi “Albergo Vittoria”, Ventimiglia, 07.12.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

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grct3eg9Tutto era come sempre quel mattino a Grimaldi. Il mare non ansimava più delle altre volte e il cielo aveva il broncio solito di tutti gli inverni. Tutto intorno era pace. I mandarini in fiore con il loro profumo annunciavano, prossime, le feste di Natale.
Era il 7 dicembre 1944. Il giorno prima le autorità militari tedesche, di stanza a Ventimiglia, avevano emanato l’ordine di evacuazione. Poche anime erano rimaste in paese e quello stato di disagio accompagnava la paura di quell’ultima gente ancora ancorata alla propria terra, legata ai risparmi di tutta una vita.
Perché non fuggirono? A due passi li attendeva la terra di Francia.
L’attesa spasmodica, la paura e la speranza ebbero fine alle 8,30. Un crepitio di fucili lacerò il silenzio e l’aria tersa di quella piccola comunità. Davanti al muro esterno dell’Albergo Vittoria, una squadra di tedeschi li aveva ammucchiati come tante pecore, e li aveva massacrati. La barbarie aveva reciso senza pietà la vita innocente di Giovanna Trovato di due anni, di Rosalba di quattro, e del suo fratellino, Sergio Pallanca, di sei, e con loro uomini e donne: la mamma della piccola Giovanna, malgrado fosse incinta, e Alberto Lorenzi (detto Berto de Tacun) con la moglie Battistina, proprietari del piccolo albergo, e tutti gli altri e Rinaldo Pittaluga, che la sera precedente aveva deciso di rimanere con loro.
I nomi di tutte quelle povere vittime della guerra sono scolpiti, con i loro sogni, nel marmo che guarda, con gli occhi del martirio, la Chiesa dei Santissimi Angeli nella piazzetta di Grimaldi Superiore […]
Perché si è sempre parlato poco dell’eccidio di Grimaldi?
Alcuni sono motivi di natura locale ma, essenzialmente, sono le stesse ragioni che hanno impedito, per anni, di capire e scoprire i colpevoli di altrettanti massacri perpetrati durante la guerra nel nostro Paese.
Da ricordare, intanto, l’anno 1944 (cinquant’anni dopo!) perché fu in quei mesi che chi indagava sul caso Priebke, ebbe la ventura di scoprire il posto dove giacevano 695 fascicoli processuali, “dimenticati” da decine di anni. Tra quei fascicoli c’era anche una cartella celeste, con il n. 660 e con un titolo: “Ventimiglia (Imperia)”. Era dedicato all’eccidio di Grimaldi.
Di fronte a quella scoperta qualcuno, in alto, manifestò un certo stupore, ma si trattava di una squallida messa in scena.
Le gerarchie dello Stato, nonché gli alti gradi della Magistratura Militare, sapevano che nella seconda metà degli anni ’40 era successo di tutto e che sull’altare della cosiddetta “ragione di stato” erano state sacrificate le più elementari norme del diritto e commessi i più inqualificabili soprusi.
Ci riferiamo alla scoperta di quei 695 fascicoli, riguardanti i crimini nazifascisti, recuperati a Roma, in via degli Acquasparte, dove ha sede il Palazzo Cesi che ospita la Procura generale militare. Erano stati occultati in un armadio di legno che aveva le ante appoggiate alla parete. L’ingresso era difeso da un cancelletto di ferro, chiuso a chiave. Molti di quelle ignobili vicende, che avevano caratterizzato quel tragico periodo erano raccontate nei minimi dettagli: saccheggi, omicidi, stragi e i loro nomi, quelli dei carnefici e quelli dimenticati delle vittime. Il ritrovamento portò alla luce un grande registro con la sintesi di quella carneficina e l’elenco di 2274 procedimenti penali, tutti iscritti nel “Ruolo generale dei provvedimenti contro criminali di guerra tedeschi”.
Quegli scheletri dell’armadio erano lì a significare le esigenze della politica di Stato, 2274 nomi nascosti, non per la dabbenaggine di qualche appuntato, ma dietro ordini precisi. Bisognava evitare, in quel momento (un momento che durò lunghi anni), la celebrazione dei processi contro i criminali di guerra tedeschi.
Perché i più alti gradi della Magistratura Militare accettarono di abdicare al proprio dovere?
L’esclusione dal governo dei comunisti di Togliatti e dei socialisti di Nenni aveva, di fatto, dilatato e inasprito i contorni della “guerra fredda”, diventata ormai la strategia politica e militare della nazioni del blocco occidentale. Ad ogni costo (anche a costo di occultare 695 fascicoli) si doveva evitare di riproporre le condizioni per una “Norimberga italiana”.
L’imminente fondazione della Repubblica Federale di Germania suggeriva l’opportunità politica di soprassedere, di dimenticare.
Quando si trattò di estradare in Italia una trentina di ex ufficiali tedeschi, responsabili in prima persona di quel cruento massacro effettuato nell’isola di Cefalonia, nell’ottobre del 1943, arrivò puntuale il veto ministeriale. La celebrazione di quel processo avrebbe sicuramente determinato lo sdegno dell’opinione pubblica e la mobilitazione delle opposizioni di sinistra, frapponendo così seri ostacoli alla ricostituzione dell’esercito germanico che si apprestava a entrare nell’alleanza atlantica.
Il 14 gennaio 1960 il procuratore generale militare, Enrico Santacroce, decretava l’”archiviazione provvisoria” dei 695 fascicoli per crimini di guerra, con un provvedimento inaudito (l’ordinamento giuridico italiano infatti non lo prevede).
Se questi 695 fascicoli sono tornati a galla, dopo essere stati secretati per decine di anni, lo si deve alle indagini sul caso Priebke. Altri nomi di triste memoria, come quelli di Herbert Kappler e di Walter Reder, processati e condannati, non sono sufficienti per cancellare una vergogna che la “ragione di stato” non è in grado di assolvere.
Quando saltarono le ante di quel famoso armadio di legno di Palazzo Cesi la Procura Militare ebbe tra le mani anche il fascicolo di Grimaldi.
La Procura militare di Torino ebbe l’incarico di istruire il processo e quella è l’unica fonte attendibile per ricostruire una probabile storia che si porterà appresso, per sempre, le ombre del sospetto delle cose dette e smentite, e il veleno di antichi ricordi.
La scomparsa di tanti testimoni ha ulteriormente complicato le varie fasi della vicenda.
Il dispositivo della sentenza formulata dal Giudice Alessandro Benigni, nei confronti del maggiore Hans Geiger e del tenente Heinrich Goering, ultra ottantenni ormai, porta la data del 15 maggio 2000. L’esito appare sconcertante. I due imputati di “violenza con omicidio contro privati italiani” non sono stanti condannati per le seguenti ragioni: “non luogo a procedere perché gli elementi acquisiti dal P.M. risultano insufficienti a provare che gli stessi abbiano commesso il fatto”.
Un fascicolo riemerso cinquant’anni dopo l’accadimento dei fatti, non poteva che riproporsi logorato dal tempo e privo di ogni possibile immediatezza. Così le stesse testimonianze apparivano lontane e non concordi con le ultime risultanze.
Condizionato da questo stato di fatto il pubblico ministero, Paolo Scafi, inizia la sua indagine il 29 gennaio 1997. La pattuglia tedesca che irrompe nell’Albergo Vittoria è accompagnata da un certo Egidio Eugeni noto collaborazionista. I bambini e i grandi vengono fucilati e i loro corpi gettati in una fossa che viene ricoperta con terra, paglia e rifiuti. Le salme saranno poi riesumate per stabilire le cause della morte.
L’inchiesta scopre che “non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi” ma le testimonianze sono ancora troppo frammentarie e reticenti.
Un mese dopo la strage, nel gennaio del 1945, il titolare di una panetteria di via Cavour, in Ventimiglia, tale Giuseppe Viale, riferisce che, alla presenza anche di un certo Moro, titolare di un negozio di busti in Bordighera, un sergente tedesco aveva asserito di aver ucciso parecchi “banditi” (così erano definiti i partigiani) per ordine del loro comandante il maggiore Geiger, e tra quei “banditi” c’erano anche tre bambini e una donna incinta.
Entrando nei particolari aveva inoltre affermato che avevano ucciso un bambino molto bello e fu ascoltata un’altra teste, la signorina Antonietta De Re, che all’indomani della strage aveva parlato con un soldato tedesco di nome Karl, il quale, ubriaco, aveva confermato, piangendo, di aver ucciso “una bambina bionda che sembrava un angelo”, anche lui per ordine del maggiore Geiger e del tenente Goering.
Nel novembre del ’45 il fratello di una delle vittime, il dott. Alberto Pallanca presenta un esposto al Comando Alleato della Liguria con il quale, secondo le prove a sua conoscenza, l’Egidio Eugeni, noto nemico dei Lorenzi i proprietari del “Vittoria”, è da considerare lo stimolatore dell’eccidio. Si accenna anche a una presunta polizza assicurativa di 50 mila lire riscossa dai Lorenzi per la morte in guerra del loro figlio. Con la morte di Egidio Eugeni, avvenuta il 19 marzo del 1946, un mese dopo la condanna all’ergastolo della Corte d’Assise di Sanremo, sparisce per sempre l’imputato – testimone più importante di tutta la vicenda.
Quando il P.M. cerca di venire in possesso degli atti processuali, è trascorso mezzo secolo, sia la cancelleria del tribunale di Sanremo che quella del tribunale di Imperia “attestano di non avere alcuna notizia in merito”.
La testimone, la signorina De Re, che al momento del processo viveva a Beaulieu, appare ormai reticente e la sua ultima testimonianza non collima più con la prima: non è più un solo soldato che le ha confessato quel massacro, ma più militari tedeschi.
Non è facile tirare le fila perché non si riesce ad individuare il movente di quella strage così feroce e all’apparenza immotivata.
Chi di quel gruppo aveva garantito i contatti tra partigiani italiani e partigiani francesi? Qualcuno avanza l’ipotesi che sia il genero dei Lorenzi, Vincenzo Gino Pallanca, anche lui fucilato.
E se fosse vera questa ipotesi perché l’ordine di evacuazione?
E ancora, ed è un interrogativo destinato forse a rimanere senza una risposta, perché non se ne sono andati? Quale fu la vera ragione che inchiodò tutta quella gente a Grimaldi?
Le risultanze processuali prendono atto delle voci di un tesoro di banconote e di un sacco di marenghi.
L’Eugeni, il complice collaborazionista, si sarebbe servito di alcuni soldati tedeschi per portare a termine una rapina e non un’operazione militare.
Tra i moventi torna in ballo la somma incassata per la polizza assicurativa dal figlio dei Lorenzi, proprietari dell’albergo, tenente dell’Aeronautica, morto durante il bombardamento di Tobruk.
La Stampa, in una sua corrispondenza del 30 settembre 1998, chiama in causa, sia pure in via ipotetica, la Curia di Ventimiglia, a cui avrebbero affidato, in custodia “un baule pieno d’oro”. È una ipotesi suggerita da lontani parenti dei coniugi Lorenzi, di cui si conoscono anche i nomi.
Dopo i giorni della Liberazione trovò accoglienza l’ipotesi che i fascisti del posto per venire in possesso del malloppo avessero commissionato la rapina e il massacro.
Chi ha sparato davanti il “Vittoria”? Alcuni sostengono siano stati gli uomini di un battaglione di disciplina, composto da fior di delinquenti comuni, impiegati alla bisogna per le operazioni più sporche.
Non c’è altro. Ora il processo di Torino è rimbalzato al tribunale di Verona, ma l’incalzare del tempo non potrà aiutare chi cerca la verità.
La gente di Grimaldi, trucidata in quel lontano dicembre, rimarrà rassegnata con i suoi nomi e i suoi sogni scolpiti su quel marmo che guarda la Chiesa e il rumore del mare continuerà a coprire le voce di quelle lontane tragiche ore.
Nello Pacifico, Cos’è davvero successo a Grimaldi il 7 dicembre 1944? Quel marmo che guarda la Chiesa, La Gazzetta di Grimaldi, Anno 7°, n° 37, giugno 2005

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eg8[…] Il Tribunale Militare di Torino in data 15 maggio 2000, dopo un processo che vide alla sbarra il maggiore Hans Geiger (nato a Francoforte il 12 giugno 1906) e il tenente Heinrich Goering (nato a Betzdorf il 17 luglio 1923), rispettivamente comandanti del 253. Grenatier Regiment della 34 Infanterie division e della VI compagnia dello stesso reggimento, emise una sentenza di non luogo a procedere [n.d.r.: vedere infra] per i due ufficiali tedeschi. La sentenza riporta i seguenti fatti: «Nella mattinata del 7 dicembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi, accompagnata da un noto collaborazionista italiano, tale Egidio Eugeni, irrompeva nell’Hotel “Vittoria” situato sulla Rocca di Grimaldi e, dopo averli radunati all’esterno dell’albergo, uccideva dodici civili: cinque donne, quattro uomini e tre bambini, espressamente indicati nel capo di imputazione. I corpi furono gettati in una fossa e coperti con terra, paglia e rifiuti. Nel giugno 1945 le salme furono riesumate e gli esami necroscopici rivelarono la causa della uccisione confermando che essa era avvenuta tramite fucilazione. Divenne opinione generale l’attribuzione della responsabilità della strage a soldati tedeschi in quanto, in quella fredda mattinata di dicembre, non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi, sentire da lontano il rumore degli spari, e, successivamente, vedere la pattuglia tedesca lasciare il villaggio. Cominciarono anche a circolare voci sulle singole responsabilità. Nel gennaio 1945, al Caffè Ligure di Bordighera, un Sergente tedesco in compagnia di altri suoi camerati, raccontò al Sig. Giuseppe Viale, titolare della panetteria di via Cavour in Ventimiglia all’epoca sfollato a Bordighera, e a un certo non meglio identificato, Sig. Moro, titolare di un negozio di busti sito in Bordighera, via Vittorio Emanuele, di avere ucciso parecchi “banditi” – così erano definiti i partigiani dai soldati tedeschi – per ordine del loro comandante, il Maggiore Geiger, tra cui vecchi, donne e bambini. Raccontò in particolare l’uccisione di un bambino bello molto biondo, che nessuno aveva il coraggio di trucidare, ma che fu anch’egli assassinato su reiterato ordine di Geiger (Relazione di Pallanca fogl. 422-423 fasc. PM). Il 10/7/1945 fu sentita la Sign.na Antonietta De Re la quale espose di avere incontrato l’8 dicembre 1944 un soldato tedesco di nome Karl, il quale, dopo avere bevuto molto, era scoppiato in lacrime descrivendole i fatti di Grimaldi e confessando di avere ucciso «una bambina bionda che sembrava un angelo… per ordine del Maggiore Geiger e del Comandante la sua compagnia Tenente Goering» (copia della dichiarazione De Re fogl. 424 fasc. PM); il soldato tedesco sarebbe poi stato rintracciato e fucilato dai suoi commilitoni senza sapere chi fosse stato (verb. DE RE 6/6/1998 fogl. 145). Il 25/11/1945 il Dott. Alberto Pallanca, fratello di Vincenzo Pallanca una delle vittime della strage, presentò un accurato esposto al Comando Alleato della Liguria (fogl. 420-423 fasc. PM), in cui ripercorreva le vicende di quei giorni dando ampio risalto alle testimonianze che aveva personalmente raccolto. Nell’esposto riferiva come le fonti tedesche indicassero in ragioni di spionaggio la causa della strage mentre egli personalmente riteneva assai più probabile che l’eccidio fosse stato stimolato da Egidio Eugeni, il quale era notorio nemico di Alberto Lorenzi, rimasto ucciso nella strage, il quale vantava una posizione economica assai invidiabile in quel fosco periodo, avendo riscosso una polizza assicurativa di £50.000 (e non come ha erroneamente sostenuto il P.M. nella sua requisitoria una indennità statuale pag.11 verb. 15/5/2000) per la morte del figlio caduto in combattimento, incassando la somma di £50.000 per la vendita di un terreno. Era inoltre proprietario di «Titoli, argenteria, preziosi».
Vincenzo Pallanca invece, racconta sempre il fratello «possedeva un buon ristorante a Grimaldi ed aveva ricavato da tale esecuzione un forte utile. Risulta inoltre che l’Eugeni e la sua famiglia composta dalla moglie e da quattro figlie, mentre a Grimaldi vivevano in miseria, da quando l’Eugeni incominciò a praticare i tedeschi e specialmente da dicembre 1944 iniziarono un tenore di vita elevato. La moglie si vantava con i vicini di quanto giornalmente acquistava al mercato nero… in quei tempi l’Eugeni ebbe a dire a certo Giacometti Dario: “ho fatto un colpo che ho guadagnato ottanta mila franchi, ma io vivo all’albergo, la mia famiglia spende molto e se non mi procuro presto un altro colpo, finisco presto i soldi”». Il Pallanca continua sottolineando come l’Eugeni fosse a Grimaldi il giorno dell’eccidio e, come ebbe a dire alla Prof.ssa Maddalena Orengo «”io ero a tre metri quando li hanno uccisi e con essi vi è pure il Pittoluga”» (altra vittima dell’eccidio). Alberto Pallanca riteneva quindi che la causa della morte del fratello e delle altre persone presenti all’Hotel Vittoria, fosse da ricercare non in presunte attività di spionaggio, ma in moventi «di lucro e saccheggio». Alla fine del conflitto Egidio Eugeni fu processato dalla Corte d’Assise di Sanremo, Sezione speciale la quale con sentenza 12/2/1946 lo condannò all’ergastolo. Un mese dopo l’Eugeni morì (19/3/1946)». Il tribunale non reputò la deposizione della signora De Re convincente e, a causa della morte degli altri due testimoni, Moro e Viale, decise il non luogo a procedere verso i due ufficiali tedeschi.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

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TRIBUNALE MILITARE DI TORINO
UFFICIO DEL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dott. Alessandro BENIGNI
alla udienza preliminare del 15/05/2000 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nei confronti di:
1) Hans GEIGER, nato il 12/06/1915 a Francoforte (D) e residente a BAD SODEN (D), Dachbergstr.30-32, già Maggiore dell’Esercito Tedesco, assente;
Difeso ed assistito dall’Avvocato d’ufficio, Lucia FRANZESE, foro di Torino, presente.
2) Heinrich GOERING, nato il 17/07/1923 a Betzdorf (D) e residente in Ludwigshafen (D), Wasgaristr. 38, già Tenente dell’Esercito Tedesco, assente;
Difeso e assistito dall’Avvocato di Fiducia GIORDANENGO, foro di Torino, presente.

IMPUTATI
dei reati di: “VIOLENZA CON OMICIDIO CONTRO PRIVATI ITALIANI” (artt. 13 e 185 comma 1 e 2 C.PM.P., artt. 575 e 577 nn.3 e 4, 61 n.4 C.P.) per aver cagionato, senza necessità o comunque senza giusto motivo, agendo con crudeltà ed efferatezza verso le persone e con premeditazione, rispettivamente quali Maggiore e Tenente delle Forze Armate tedesche, nemiche dello Stato Italiano, la morte di:
Chiodin Angela, anni 37, civile
Chiodin Maria, anni 18, civile
Lorenzi Alberto, anni 64, civile
Lorenzi Battistina, anni 62, civile
Pallanca Rosalba, anni 2, civile
Pallanca Vincenzo, anni 4, civile
Pastorino Giovanni, anni 80, civile
Pittaluga Rinaldo, anni 52, civile
Plank Antonia, anni 22, civile
Trovato Giovanna, anni 2, civile
Trovato Salvatore, anni 37, civile

nel piazzale antistante l’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del Comune di Ventimiglia (IM), ordinandone la fucilazione, avvenuta dalle ore 08.30 del 7.12.1944, durante lo stato di guerra fra l’Italia e la Germania.

MOTIVAZIONE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI

Il P.M. ha esercitato l’azione penale nei confronti di GEIGER Hans e GOERING Heinrich, per il reato militare di cui in epigrafe, con richiesta di rinvio a giudizio emessa in data 10/4/1999 (fogl. 516 fasc. P.M.). Con decreto del 20/10/1999, confermato in data 12/1/2000, il Presidente del Tribunale Militare di Torino conferma le funzioni di G.U.P. al Dott. Alessandro Benigni, unico magistrato non incompatibile con il procedimento. All’udienza preliminare del 9/2/2000 il G.U.P., ai sensi dell’art.421 bis c.p.p., indicava al P.M. di approfondire i Temi di indagine descritti nella relativa ordinanza (fogl. 120 fasc. G.U.P.). All’udienza preliminare del 15/5/2000 le parti proponevano le seguenti conclusioni:
P.M.: rinvio a giudizio di entrambi gli imputati;
Difesa Goering: sentenza di proscioglimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 192/195/425 c.p.p.;
Difesa Geiger: si associa alle conclusioni della difesa Goering.
Il G.U.P. ha emesso sentenza di non luogo a procedere ex art.428 c.p.p. per le ragioni che ora si espongono.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il fatto: la strage di Grimaldi, le prime testimonianze e la riapertura delle indagini nel 1997

Nella mattinata del 7 dicembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi, accompagnata da un noto collaborazionista italiano, tale Egidio Eugeni, irrompeva nell’Hotel “Vittoria” situato sulla Rocca di Grimaldi e, dopo averli radunati all’esterno dell’albergo, uccideva dodici civili: cinque donne, quattro uomini e tre bambini, espressamente indicati nel capo di imputazione. I corpi furono gettati in una fossa e coperti con terra, paglia e rifiuti. Nel giugno 1945 le salme furono riesumate e gli esami necroscopici rivelarono la causa della uccisione confermando che essa era avvenuta tramite fucilazione. Divenne opinione generale l’attribuzione della responsabilità della strage a soldati tedeschi in quanto, in quella fredda mattinata di dicembre, non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi, sentire da lontano il rumore degli spari, e, successivamente, vedere la pattuglia tedesca lasciare il villaggio. Cominciarono anche a circolare voci sulle singole responsabilità.
Nel gennaio 1945, al Caffè Ligure di Bordighera, un Sergente tedesco, in compagnia di altri suoi camerati, raccontò al Sig. Giuseppe Viale, titolare della panetteria di via Cavour in Ventimiglia, all’epoca sfollato a Bordighera, e a un certo non meglio identificato, Sig. Moro, titolare di un negozio di busti sito in Bordighera, via Vittorio Emanuele, di avere ucciso parecchi “banditi” (così erano definiti i partigiani dai soldati tedeschi) per ordine del loro comandante, il Maggiore Geiger, tra cui vecchi, donne e bambini. Raccontò in particolare l’uccisione di un bambino bello molto biondo, che nessuno aveva il coraggio di trucidare, ma che fu anch’egli assassinato su reiterato ordine di Geiger (Relazione di Pallanca fogl. 422-423 fasc. PM). Il 10/7/1945 fu sentita la Sign.na Antonietta De Re la quale espose di avere incontrato l’8 dicembre 1944 un soldato tedesco di nome Karl, il quale, dopo avere bevuto molto, era scoppiato in lacrime descrivendole i fatti di Grimaldi e confessando di avere ucciso «una bambina bionda che sembrava un angelo… per ordine del Maggiore Geiger e del Comandante la sua compagnia Tenente Goering» (copia della dichiarazione De Re fogl. 424 fasc. PM); il soldato tedesco sarebbe poi stato rintracciato e fucilato dai suoi commilitoni senza sapere chi fosse stato (verb. DE RE 6/6/1998 fogl. 145).
Il 25/11/1945 il Dott. Alberto Pallanca, fratello di Vincenzo Pallanca, una delle vittime della strage, presentò un accurato esposto al Comando Alleato della Liguria (fogl. 420-423 fasc. PM), in cui ripercorreva le vicende di quei giorni dando ampio risalto alle testimonianze che aveva personalmente raccolto. Nell’esposto riferiva come le fonti tedesche indicassero in ragioni di spionaggio la causa della strage mentre egli personalmente riteneva assai più probabile che l’eccidio fosse stato stimolato da Egidio Eugeni, il quale era notorio nemico di Alberto Lorenzi, rimasto ucciso nella strage, il quale vantava una posizione economica assai invidiabile in quel fosco periodo, avendo riscosso una polizza assicurativa di £50.000 (e non come ha erroneamente sostenuto il P.M. nella sua requisitoria una indennità statuale pag.11 verb. 15/5/2000) per la morte del figlio caduto in combattimento, incassando la somma di £50.000 per la vendita di un terreno. Era inoltre proprietario di «Titoli, argenteria, preziosi». Vincenzo Pallanca invece, racconta sempre il fratello «possedeva un buon ristorante a Grimaldi ed aveva ricavato da tale esecuzione un forte utile. Risulta inoltre che l’Eugeni e la sua famiglia composta dalla moglie e da quattro figlie, mentre a Grimaldi vivevano in miseria, da quando l’Eugeni incominciò a praticare i tedeschi e specialmente da dicembre 1944 iniziarono un tenore di vita elevato. La moglie si vantava con i vicini di quanto giornalmente acquistava al mercato nero… in quei tempi l’Eugeni ebbe a dire a certo Giacometti Dario: “ho fatto un colpo che ho guadagnato ottanta mila franchi, ma io vivo all’albergo, la mia famiglia spende molto e se non mi procuro presto un altro colpo, finisco presto i soldi”». Il Pallanca continua sottolineando come l’Eugeni fosse a Grimaldi il giorno dell’eccidio e, come ebbe a dire alla Prof.ssa Maddalena Orengo «”io ero a tre metri quando li hanno uccisi e con essi vi è pure il Pittaluga”» (altra vittima dell’eccidio). Alberto Pallanca riteneva quindi che la causa della morte del fratello e delle altre persone presenti all’Hotel Vittoria, fosse da ricercare non in presunte attività di spionaggio, ma in moventi «di lucro e saccheggio».
Alla fine del conflitto Egidio Eugeni fu processato dalla Corte d’Assise di Sanremo, Sezione speciale la quale con sentenza 12/2/1946 lo condannò all’ergastolo. Un mese dopo l’Eugeni morì (19/3/1946).
E’ facile immaginare l’importanza delle acquisizioni degli atti processuali al presente fascicolo al fine di rinvenire eventuali riscontri diretti o indiretti alla dichiarazione della De Re o all’esposto del Dott. Pallanca.
Il P.M. ha chiesto copia degli atti sia presso il Tribunale di Sanremo (fogl. 143) sia presso quello di Imperia (fogl. 314). Tale richiesta è stata reiterata dal P.M. su espressa richiesta del G.U.P. ex art. 421 bis c.p.p. ma con esito negativo in quanto sia la cancelleria del Tribunale di Sanremo, sia quella del Tribunale di Imperia attestano di non avere alcuna notizia in merito (verb. ind. prel. 15/5/2000).
Il fascicolo rimane a giacere per circa cinquanta anni per le note vicende legate a fattori di politica internazionale e accuratamente descritte nella delibera del C.M.M. del 23/3/1999. Si tratta, purtroppo, di una delle tante pagine tristi della Magistratura italiana che più di una volta si è fatta coinvolgere da interessi e priorità ben diverse dalla Amministrazione della Giustizia e dalla applicazione del diritto.
Il fascicolo giunge alla Procura Militare di Torino dove dopo varie vicende, viene affidato al Dott. Paolo Scafi che procede alla iscrizione in data 29/1/1997.
2.La valutazione che il G.U.P. deve compiere nella udienza preliminare ai sensi dell’art. 425 c.p.p.

La prima questione che questo Giudice deve esaminare, ed è preliminare ad ogni successiva valutazione, riguarda la possibilità per il Giudice dell’udienza preliminare di emettere una sentenza di non luogo a procedere anche quando un principio di prova della responsabilità penale sembra esistere, ma non in misura tale da potere supportare una pronuncia di condanna in sede dibattimentale. Su questo specifico punto la Procura ha vivamente sostenuto come il metodo di giudizio nella udienza preliminare debba essere diverso da quello che il giudice deve assumere al termine del dibattimento. Le difese invece hanno sostenuto che la L. 479/1999 (c.d. Legge Carotti), introducendo il III comma dell’Art. 425 c.p.p., abbia voluto imporre al Giudice di disporre il rinvio a giudizio solo quando vi siano gli elementi sufficienti per una condanna dibattimentale.
La risoluzione di questo problema presuppone una necessaria analisi della natura e della funzione dell’udienza preliminare. Dottrina e giurisprudenza inizialmente hanno ritenuto, unitariamente, come lo scopo di tale udienza consistesse nella precisione di un «controllo giurisdizionale volto a delibare il fondamento dell’accusa» (così espressamente, la Relazione al progetto preliminare pag. 228). La decisione del G.U.P. non avrebbe natura sostanziale, ma solo processuale, dovendo analizzare non la responsabilità dell’imputato, ma solo l’accertamento del corretto esercizio della azione penale. Tale affermazione trovava un suo fondamento postumo nella lettera dell’Art. 425 c.p.p., che imponeva al G.U.P. di emettere sentenza solo quando «risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso».
Ora, prevedere che il G.U.P. prosciolga solo quando è evidente che il fatto non sussiste, oppure che l’imputato non lo ha commesso, equivale a dire che il G.U.P. deve prosciogliere solo quando il P.M. aveva evidentemente (oppure, se vogliamo utilizzare un sinonimo, macroscopicamente) sbagliato nel chiedere il rinvio a giudizio. Dal momento che quest’ultimo fenomeno, per la fortuna dei cittadini e della Giustizia in generale, non avviene così sovente, si aveva una percentuale elevatissima di rinvii a giudizio in quanto, se anche solo nel fascicolo del P.M. era presente un solo indizio, non era più evidente la prova dell’estraneità dell’imputato. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza N. 82/1992 aveva sancito l’intrinseca razionalità del sistema affermando che «diverse sono infatti la struttura e la funzione dell’udienza preliminare rispetto a quelle che caratterizzano la fase del dibattimento… Ciò spiega la ragione per la quale il Legislatore delegante ha ritenuto di limitare ai soli casi di “evidenza” le ipotesi in cui il giudice può apprezzare l’infondatezza dell’imputazione e pronunciare sentenza di non luogo a procedere con le formule in fatto, così precludendo una sorta di giudizio anticipato che minerebbe non poco quella mancata autonomia del dibattimento che lo stesso sistema accusatorio antologicamente postula». Questo fenomeno ha costituito l’inizio di una serie interminabile di facili polemiche sfocianti nel referendum, appena effettuatosi, sulla separazione delle carriere, fondata sul fatto che il G.U.P. «mandava sempre a giudizio» perché «appiattito sulle posizioni del P.M.» al punto che il Parlamento ha dovuto intervenire nel corso della discussione con la L. 105/1993 per abolire il requisito dell’evidenza della prova. La soppressione della parola «evidente» compiuta con il dichiarato intento di ampliare l’ambito delle valutazioni del giudice ha comportato, come accade sempre in Italia per ogni questione giuridica, alla formazione di due divergenti orientamenti interpretativi. Secondo una prima impostazione che ha trovato maggiore fortuna in dottrina (Dawan “Elementi probatori insufficienti: sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio?” in Dir. pen. e processo 1997, 177 ss e, più recentemente Anca Voce «”Udienza preliminare”» in Dig. Disc. pen., Torino, vol. XV, 1999, 74ss) e nella giurisprudenza di merito (App. Torino 15/11/1995 in Riv. It. Dir. Proc. pen. 1997, 288; App. Napoli 8/3/1998 in Arch. Nuova proc. pen. 1995, 466) che non in quella di legittimità (sul punto si rinvengono principalmente Cass. 13/3/1998 in Arch. Proc. pen. 1998, 627 e Cass. 18/11/1998 in Guida al Diritto 1999, 14, 83) l’abolizione del termine «evidente» comportava la necessità, da parte del G.U.P. di procedere ad un giudizio di merito pieno. Secondo l’orientamento presente in dottrina (soprattutto E.Fortuna/ S.Dragone/ E.Fassone/ R.Giustozzi/ A.Pignatelli “Manuale pratico del Nuovo processo penale” Padova 1995, 594-595 e A.Nappi “Guida al codice di procedura penale” Milano, 1996, 303) e dominante nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 19/6/1996 in Dir. pen. e processo 1997,174; Cass. 22/1/1997 in Arch. nuova proc. pen 1997, 507, Cass. 27/11/1995 in Arch. nuova proc. pen. 1996, 98 Cass. 5/2/1999) e soprattutto in quella costituzionale (Corte Cost. ord. 97/97; ord 367/97; ord 91/98 in Cass. pen. 1999,14) la L. 105/1993 non aveva comportato un cambiamento della natura della sentenza di non luogo a procedere che era rimasta processuale: di conseguenza il giudice poteva emettere sentenza solo in caso di presenza della prova positiva della innocenza dell’imputato o di mancanza della prova a carico; nell’ipotesi invece di insufficienza o contraddittorietà della prova il Giudice non potendo entrare nel merito della imputazione, doveva sottoporre la fattispecie concreta al vaglio dibattimentale.
In questa situazione si inserisce la nuova formulazione dell’Art. 425 c.p.p., come modificato dalla L. 479/1999, che prevede come «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio».
In sede di prima lettura di questa disposizione una Autorevole dottrina (mi riferisco a R.Bricchetti in AA.VV. “Il nuovo processo penale davanti al Giudice unico” Milano 2000, 142-144) ho ritenuto che la modifica dell’art. 425 c.p.p. non comporta il proscioglimento dell’imputato qualora gli elementi acquisiti risultino insufficienti e contraddittori. Il P.M. aderendo a questa tesi ha infatti affermato che «il metodo della udienza preliminare è diverso da quello del dibattimento».
Questo giudice ritiene, invece, che una corretta lettura dell’art. 425 c.p.p. comporti una diversa soluzione per le seguenti tre considerazioni:
a) l’evoluzione storica della disposizione citata;
b) il criterio generale costituito dall’art. 2 n.11 Legge Delega N.81/1987 ;
c) il confronto e la conseguente discrasia tra l’art. 425 c.p.p. e l’art.125 disp. att..
a) L’evoluzione della norma, dalla sua originaria formulazione a quella attuale, descritta nelle precedenti righe appare, in un giudizio complessivo, estremamente palese nel delineare una volontà legislativa tesa via via ad ampliare la competenza e i poteri del G.U.P. consentendogli la possibilità di compiere quel prezioso “filtro” che costituisce presupposto indispensabile per la scrematura dei fascicoli da inviare al dibattimento e la tenuta del sistema accusatorio che, come è noto a tutti, e come fu detto sin dall’entrata in vigore del codice Vassalli, richiede un numero di processi celebrati con le garanzie del pubblico dibattimento in misura non superiore al complessivo 10%.
In questa prospettiva non appare razionale ritenere che il Legislatore sia intervenuto modificando completamente la struttura della norma introducendo una fattispecie completamente inedita, il proscioglimento per insufficienza e contraddittorietà della causa, per lasciare intatto il quadro dei poteri del Giudice. Se il legislatore ha modificato la norma, evidentemente aveva la volontà di modificare la situazione preesistente e, sembra di capire a questo giudice, nel senso di inserire un filtro più spesso tra le indagini e il dibattimento che comprenda anche le ipotesi in cui il G.U.P. soggettivamente sia certo che non potranno formarsi nel corso del dibattimento le prove sufficienti per una decisione di condanna.
b) L’art. 2 N.11 L.81/1987 prevede espressamente che «si ha mancanza di prova anche quando essa è insufficiente o contraddittoria». Nella disposizione non vi è alcuna formulazione che possa fare ritenere come essa sia applicabile al solo dibattimento, dato che anche la pronuncia di non luogo a procedere può essere equiparata ad una sentenza di proscioglimento. Si è descritto come invece la giurisprudenza abbia nettamente distinto le due ipotesi ritenendo necessario il rinvio a giudizio nell’ipotesi di prove insufficienti o contraddittorie.
A questo punto non restava altra via per il Legislatore, che riaffermare espressamente la equivalenza intercorrente tra i concetti di “prova mancante” e “prova insufficiente”, situazione che sembra essere avvenuta con la modifica dell’art. 425 c.p.p..
Terzo dato, ma non ultimo in ordine di importanza, da prendere in considerazione è quello costituito dalla contraddittoria discrasia creatasi in passato, e che permarrebbe, in futuro, ove si accedesse alla soluzione della natura “confermativa” della attuale formulazione dell’art. 425 c.p.p., tra gli artt. 425 c.p.p. e 125 disp. att.
Come è noto, l’art. 125 disp. att. prevede che il P.M. debba richiedere l’archiviazione quando «gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio». Il G.I.P. provvede con decreto motivato.
La disciplina codicistica pertanto conteneva l’illogico paradosso per cui il G.I.P. poteva chiudere il procedimento con un provvedimento archiviativo ma, in presenza degli stessi elementi di prova, e cioè prova insufficiente per sostenere con successo l’accusa in dibattimento, era costretto a rinviare a giudizio l’imputato. Esaminando i lavori preparatori alle disposizioni di attuazione si rileva come il C.S.M., in sede di parere consultivo si era accorto dell’incongruenza del sistema criticandolo espressamente: «ne consegue che il giudice dovrebbe addirittura archiviare in presenza di una situazione probatoria più pesante di quella che nell’udienza preliminare giustifica il rinvio a giudizio dell’imputato: infatti, in sede di udienza preliminare, il giudice può non rinviare a giudizio l’imputato non già se ritiene che gli elementi a suo carico non sono sufficienti ai fini della condanna in sede dibattimentale ma solo se l’innocenza dell’imputato appare “evidente”». Il Governo, nelle sue osservazioni, aveva replicato, in maniera non chiarissima, affermando comunque la necessità di «scoraggiare la prassi del rinvio a giudizio nonostante l’insufficienza degli elementi a carico riscontrata nella applicazione del codice abrogato: una prassi palesemente in contrasto con i caratteri del sistema accusatorio, fra i quali va sicuramente compresa la “deflazione dibattimentale”».
Gli spiriti più avveduti già all’epoca si erano resi conto della necessità di collegare idealmente la regola di giudizio caratterizzante l’epilogo dell’archiviazione con quella di cui all’art. 425 c.p.p.. Ma poiché la giurisprudenza di legittimità è andata in senso opposto affermando che «soltanto il giudice del dibattimento… può prosciogliere l’imputato per carenza, insufficienza o contraddittorietà delle prove» il Legislatore sembra essere appositamente intervenuto, con l’indicazione del terzo comma, per sancire espressamente la possibilità, anche per il G.U.P., di prosciogliere l’imputato in presenza di prova insufficiente o contraddittoria.
Sulla base delle considerazioni sin qui esposte questo Giudice ritiene di dovere verificare attentamente se gli elementi contenuti nel fascicolo del P.M. siano tali da poter ritenere, con un giudizio prognostico, ma probabile, o almeno possibile, condanna in sede dibattimentale.

3. Credibilità della testimonianza De Re

Come è stato evidenziato nel capitolo della sentenza riguardante la descrizione dei fatti, il presente procedimento ruota intorno alla testimonianza di De Re Antonietta la quale ha detto di avere appreso dal soldato Karl, il giorno successivo alla strage, che essa era stata compiuta per ordine diretto degli imputati.
L’Avv. Giordanengo, sul punto, invoca l’applicazione dell’Art. 195 c.p.p. che al settimo comma prevede come «non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame». Il difensore richiama all’attenzione del giudice le sommarie informazioni rese dal giornalista Maurizio Vezzano che ha dichiarato come, nel corso di una conversazione telefonica la De Re avesse ammesso di avere ricevuto le confidenze di alcuni soldati tedeschi (e quindi non di uno solo) i quali le descrissero l’esecuzione avvenuta in Grimaldi da un compagnia di disciplina composta da soldati macchiatisi di reati. La donna era rimasta in contatto con alcuni di questi militari di cui non voleva assolutamente fornire i nominativi perché sapeva che essi volevano dimenticare quell’episodio (fogl. 159). Il giornalista aveva poi pubblicato tale rivelazione in un articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” del 30/9/1998 (fogl. 157). Inoltre in data 8/11/1999 (fogl. 168 fasc. G.U.P.) la De Re dichiarava che Goering era a capo della compagnia disciplinare e faceva parte delle SS «poiché sul colletto si vedevano le due SS», ed escludeva che egli potesse comandare la sesta compagnia dell’esercito tedesco. Queste ultime dichiarazioni peraltro contrastano con le risultanze della consulenza tecnica del Prof. Carlo Gentile, disposte su iniziativa della Procura, la quale ha argomentatamente escluso che Goering facesse parte delle SS e, anzi, aveva assunto il comando della VI Compagnia del Grenadier Regiment 253 della XXXIV Infanterie Division il 1/7/1944. Da queste discordanze, e soprattutto dal fatto che la De Re non abbia voluto in alcun modo contribuire alla identificazione degli altri soldati tedeschi con cui avrebbe parlato nel lontano 1945, il difensore di Goering ritiene di poter evincere l’inattendibilità del teste “de relato” ex Art. 195 c.p.p. in quanto non sarebbe intrinsecamente attendibile.
Correttamente, però, l’Avv. Giordanengo riconosce come l’art. 195 c.p.p., nella prevalente applicazione giurisprudenziale richiede una semplice indicazione in astratto del teste riferito (pag. 18 verb. ud. 15/5/2000), il problema, al riguardo, inerisce alla attendibilità intrinseca della potenziale teste.
Su questo profilo occorre valutare il lunghissimo tempo trascorso (55 anni!!) che depone sicuramente a favore della possibilità di avere ricordi nebulosi, confusi, contraddittori. Se le uniche dichiarazioni della De Re fossero quelle rese negli anni novanta, non ci sarebbe dubbio nel concordare con la difesa sulla inesistenza concreta di ogni elemento indiziante. Occorre però considerare come, in data 10/7/1945, in epoca assai prossima ai fatti, fosse stata molto più circostanziata sull’episodio, sicuramente perché assai più vivido era nella sua mente il ricordo di quel tragico episodio: appare quindi probabile che contraddizioni e lacune riscontrate nell’ultima audizione siano dovute a questo fattore. Come ha affermato giustamente il P.M., con cui si concorda sul punto, se costituisce prassi normale degli esami dibattimentali sentire testi che, magari a distanza di tre anni, affermano di ricordarsi “X”, ma se hanno dichiarato “Y” nelle indagini preliminari, evidentemente è vero “Y” e non “X”, non si può pretendere da una signora di 76 anni che abbia gli stessi ricordi e le stesse impressioni di 55 anni prima.
La dichiarazione della De Re, ai sensi dell’Art. 192 c.p.p., è quindi attendibile anche se, proprio a causa delle discordanze che sussistono effettivamente, può assumere solo la natura di indizio, richiedente quindi dei riscontri precisi e concordanti, e non di autonomo e sufficiente elemento di prova.

4. L’assenza di univoci riscontri oggettivi nel fascicolo processuale e nella Relazione del Prof. C.Gentile.

Questo giudice ha pervicacemente cercato dei riscontri documentali, o testimoniali, che potessero supportare le dichiarazioni della De Re. A tal fine il 9/2/2000 ha emesso un’ordinanza ex Art. 421 bis c.p.p. con cui invitava l’Ufficio inquirente a insistere in indagini che peraltro, erano già state intraprese.
Le ulteriori indagini compiute dalla Procura non hanno dato esiti positivi. Il P.M., a suo tempo aveva disposto una consulenza tecnica sulla documentazione presente negli archivi tedeschi, affidata al Prof. C. Gentile la cui indubbia competenza era risultata preziosa, se non forse indispensabile, nei processi Saevecke e Engel celebrati avanti al Tribunale Militare di Torino, e che si erano conclusi con due condanne all’ergastolo.
La Relazione, estremamente circostanziata e precisa, depositata in Cancelleria il 4/1/2000 ha aumentato i dubbi di questo giudice e dimostrato quanto segue:
a) il Tenente Goering era comandante della VI Compagnia all’epoca dei fatti (pag. 17 C.T.P.);
b) la VI Compagnia non si trovava in zona prossima a Grimaldi in data 7/12/1944 (pag. 19 C.T.P.);
c) non vi è nessuna prova diretta, nella documentazione esaminata dal Prof. Gentile che attesti la presenza degli uomini del Tenente Goering (pag. 19 C.T.P.);
d) nessun dato oggettivo lega la VI Compagnia alla strage (pag. 20 C.T.P.);
e) il Magg. Geiger era a capo del II Battaglione del Grenadier Regiment 253, unica unità tedesca nella zona di Ventimiglia del settembre 1944 alla primavera del 1945 (pag. 5-12 C.T.P.);
f) nella notte del 17/9/1944 il Battaglione Geiger aveva impartito un primo ordine di sgombero della popolazione di Grimaldi (pag. 12-13 C.T.P.);
g) non si può escludere che una qualsiasi azione militare repressiva eseguita in questo ambito possa essere avvenuta all’insaputa del Comandante (pag. 18 C.T.P.).
Il P.M. ha sottolineato le dichiarazioni rese dalla Signora Stela Luisa Lorenzi (fogl. 623 fasc. P.M.) la quale in data 4/8/1999 ha ricordato come nell’autunno del 1944, mentre lasciava insieme ai parenti e a prossimi congiunti il proprio ristorante, vide arrivare il Capitano Geiger il quale aveva sfondato un cancelletto in legno con un calcio dicendo «quanti banditi essere qua».
L’Avv. Giordanengo, invece, ha ricordato le dichiarazioni di Francesco MARCENARO che si trovava quella tragica notte nei pressi dell’Hotel Vittoria e aveva sentito gli spari dell’eccidio. Il Marcenaro ha consegnato alla Polizia Giudiziaria la Relazione sull’accaduto redatta dal Comandante Jonseph MANZONI responsabile della “Missione Alleata” per la zona di confine Italia – Francia il quale attribuisce la responsabilità della strage a una pattuglia tedesca delle SS inviata da due repubblichini. Questo dato escluderebbe la responsabilità degli imputati, nessuno dei quali apparteneva alle SS.

5. Conclusioni. Proscioglimento in quanto le prove raccolte sono tra loro insufficienti e contraddittorie e quindi non idonee ad ottenere una sentenza di condanna in sede dibattimentale.

L’insieme di queste circostanze, alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, non appare in grado di rinforzare, confermandola, la deposizione della De Re.
Viale e Moro essendo morti, non possono confermare se abbiano reso effettivamente le dichiarazioni attribuitegli, e in quali termini.
Il Sig. Alberto Pallanca, per le sue gravi condizioni di salute, non è più in grado di riferire eventuali particolari o circostanze aggiuntive a quelle già indicate nella sua analitica denuncia.
Si deve ricordare anche che, astrattamente, nessun dato legislativo espresso impedirebbe di utilizzare l’esposto di Pallanca come fonte di una testimonianza de “relato” di secondo grado utilizzando il combinato disposto degli artt. 195-191 c.p.p. e attribuendo quindi valenza probatoria alle dichiarazioni di Viale e Moro. Occorre però considerare che, a fronte di queste astratte possibilità, restano troppi elementi negativi.
In primo luogo la Relazione Gentile sembrerebbe smentire la presenza perlomeno di Goering nei luoghi del delitto, e quindi l’intrinseca attendibilità del racconto di Viale e Moro.
In secondo luogo la De Re parla di un ufficiale delle SS, identificandolo in Goering, e questa affermazione sembra trovare conferma nella deposizione di Marcenaro. Ma Goering non è mai entrato nelle SS: pertanto anche la dichiarazione della De Re, pur credibile, lascia adito al dubbio che abbia in buona fede confuso Goering con un altro ufficiale tedesco.
Infine il fatto che Geiger fosse nella zona di Grimaldi, come affermato dalla Signora Lorenzi, in sé non prova nulla, soprattutto se si considera che ancora oggi le indagini della Procura non hanno chiarito il movente dell’eccidio, come bene ha messo in luce il Prof. Gentile: una punizione per non aver ottemperato alle disposizioni di sgombero tedesche? Un’azione militare contro collaboratori delle formazioni partigiane? O un omicidio per uccidere i testimoni di un saccheggio ispirato dalla cupidigia di Egidio Eugeni? E in quest’ultima ipotesi come si potrebbe istituire una correlazione probatoria con il Comandante Geiger e con il Maggiore Geiger?
Bisogna alfine riconoscere che i vari elementi indiziari non risultano, ad avviso di questo giudice, avere la precisione e la concordanza richieste dall’art. 192 c.p.p..
Certo una seria e approfondita indagine alla fine del conflitto, con tutti i testimoni in vita e freschi di quei tragici ricordi, avrebbe condotto a ben diversi risultati. Ma le esigenze della guerra fredda combattuta tra i due «blocchi contrapposti» non lo ha consentito, come ha denunciato la eccellente e meritoria relazione del C.M.M.
Pertanto, le ragioni del diritto impongono una sentenza di non luogo a procedere per insufficienza degli elementi raccolti dal P.M. a costituire le prove necessarie per ottenere una condanna in sede di dibattimento.
PER QUESTI MOTIVI
visti gli artt. 424, 425 e 426 c.p.p.
DICHIARA
Non luogo a procedere nei confronti di GEIGER Hans e GOERING Heinrich, in ordine al reato ascrittogli di violenza con omicidio contro privati nemici perché gli elementi acquisiti dal P.M. risultano insufficienti a provare che gli stessi abbiano commesso il fatto.
Deposito in 30 giorni.
Così deciso in Torino il 15/05/2000.
IL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE
Dott. Alessandro BENIGNI

Tribunale Militare di Torino, ufficio del G.U.P., sentenza del 15 maggio 2000, sulla responsabilità di Goering e Geiger per la fucilazione il 7 dicembre 1944 davanti all’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del Comune di Ventimiglia (Fonte: http://www.diritto2000.it)

Partigiani con la scorta di una vedetta francese

Una mappa d’epoca della zona di frontiera a mare tra Italia e Francia, presumibilmente in dotazione dell’agente francese Joseph Manzone, dit le Fou (1)

(1) […] Joseph Manzone, dalla cui temerarietà il gruppo C.F.L.N. da lui diretto prese il nome di Joseph le Fou, da dicembre 1944 alla fine della guerra svolse 51 missioni dietro le linee tedesche […] Il 16 ottobre 1944 i tedeschi sorpresero sul pianoro della Ceva, vicino a Fontan, Emile Grac, F.F.I. del gruppo C.F.L. Parent, che stava effettuando una ricognizione dietro le linee nemiche, e lo abbatterono […] Pierre-Emmanuel Klingbeil, Le front oublié des Alpes-Maritimes (15 août 1944 – 2 mai 1945), Ed. Serre, 2005

La mia storia nella Resistenza è legata a filo doppio con Renzo Rossi.
Nell’agosto del 1944 mi aggregai al gruppo partigiano di Girò
[o Gireu, Pietro Gerolamo Marcenaro di Vallecrosia (IM), capo di una squadra della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi della II^ Divisione “Felice Cascione”], che operava nella zona di Negi [Frazione di Perinaldo, molto più vicina a Seborga (IM) che a Perinaldo, in ogni caso subito alle spalle di Bordighera (IM)]. Dove godevamo anche dell’appoggio di Umberto Gigetto Sequi a Vallebona e di Giuseppe Bisso a Seborga; tutti e due membri del C.L.N. di Bordighera. Negi era il punto di contatto tra le varie formazioni partigiane che operavano nella zona, tra queste, quelle sotto il comando di Cekoff [Mario Alborno di Bordighera] e di Gino [Luigi Napolitano di Sanremo (IM) (1)]    

(1) [ Luigi Gino Napolitano di Sanremo (IM). Dalle formazioni autonome di “Mauri” a marzo 1944 passò definitivamente alle formazioni Garibaldi dell’estremo ponente ligure.
Per le sue doti di coraggio e spirito combattivo veniva subito nominato comandante di un Distaccamento che, per l’aumentato numero di volontari, divenne poi Battaglione.
Come risulta da un rapporto, era considerato dai nazi-fascisti “elemento assai pericoloso”.
Protagonista di un gran numero di battaglie tra le quali: Carpenosa, Giugno 1944; Badalucco, 29 giuno 1944; Ceriana, Agosto 1944; Carmo Langan, 8 ottobre 1944 e febbraio 1945; Baiardo, marzo 1945.
Ferito in combattimento a Baiardo. Commissario politico del I° Battaglione “Mario Bini” della V^ Brigata. Da fine gennaio 1945 vice comandante della V^ Brigata d’Assalto Partigiana Garibaldi “Luigi Nuvoloni”.
Insignito di Medaglia d’argento al V.M. Vittorio Detassis su Isrecim ].

Facevo da staffetta tra Negi e Vallebona. A settembre 1944 insieme a Renzo Rossi partecipai all’incontro con Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo, detto anche “Ivano” o “Vitò“, in quel momento comandante della V^ Brigata, dal 19 dicembre 1944 comandante della II^ Divisione].
Ci accompagnò Confino, maresciallo dei Carabinieri che aveva aderito alla Resistenza. Vitò investì formalmente Renzo Rossi del compito di organizzare, per la nostra zona, il S.I.M.
[Servizio Informazioni Militari] e la S.A.P. : io fui nominato suo agente e collaboratore. In novembre mi aggregai al battaglione di Gino Napolitano a Vignai, ma dopo alcune operazioni di collegamento tra Vallebona e il comando di Vignai, il comando mi richiamò ad operare nel Gruppo Sbarchi di Vallecrosia.

[Il racconto del testimone Renzo Biancheri prosegue con la narrazione di altri episodi di vita partigiana, soprattutto con la sua partecipazione al trasporto clandestino via mare in Francia del comandante Stefano “Leo” Carabalona, già gravemente ferito in un agguato nemico]

Il nostro ritorno fu programmato subito con il motoscafo di Giulio “Corsaro” Pedretti e di Cesar, con il quale si dovevano recuperare anche alcuni prigionieri alleati; ma il motoscafo in mare aperto andò in panne e non ne volle sapere di riavviarsi. Eravamo in balia delle onde: Renzo Rossi, Pedretti e Cesar sotto un telo, al chiarore di una lampada, rabberciarono alla meglio il motore. Quasi albeggiava e la missione fu annullata perché ormai troppo tardi.
Sulla spiaggia di Vallecrosia il Gruppo Sbarchi attese invano con i 5  piloti.
I piloti vennero trasferiti in Francia nei giorni successivi da
Girò [Pietro Gerolamo Marcenaro] e Achille [Achille “Andrea” Lamberti].
Io, Renzo Rossi, Achille Lamberti e
Girò ritornammo in un’altra occasione dalla Francia con un carico di armi. Per sbarcare dovemmo attendere il segnale dalla riva, ma, come altre volte, non arrivò alcun segnale. Sbarcammo proprio davanti alla postazione dei bersaglieri, vicino al bunker.
Pochi giorni dopo, senza Achille, che rimase a dirigere il Gruppo a Vallecrosia, effettuai con
Girò un’altra traversata, accompagnando “Plancia[Renato Dorgia] a prendere armi e materiale. Il ritorno lo effettuammo con la scorta di una vedetta francese, che accompagnò il motoscafo di Pedretti. Vi furono momenti di apprensione perché da bordo della vedetta si udì distintamente il rombo del motore di un motoscafo tedesco; i nemici non si accorsero della nostra presenza e passarono oltre. Trasbordammo sul motoscafo e sul canotto gli uomini e il materiale delle missioni “Bartali (1) [Giovanni Bortoluzzi, già a capo a settembre 1943 di una prima banda di partigiani in Località Vadino di Albenga (IM), poi dirigente sapista in quella zona, capo missione della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” presso gli alleati, vicecapo della Missione Alleata nella I^ Zona nei giorni della Liberazione] e “Serpente”, composte da agenti addestrati al sabotaggio. Nelle operazioni di trasbordo alcuni caddero in mare e recuperarli nel buio non fu cosa facile, dovendosi osservare il silenzio assoluto. Attendemmo i segnali convenuti da riva. Anche quella volta nessun segnale. Gli ordini erano di annullare tutto, ma Girò accompagnò ugualmente a terra tutta la comitiva, mentre io tornai a bordo della vedetta, perché nel buio pesto riuscì ad individuare il tratto di spiaggia dinanzi a casa sua. Le difese di quel tratto di costa erano così composte: un bunker alla foce del torrente Borghetto, uno nei pressi della foce del Verbone, un altro quasi alla foce del Nervia.
Tra il bunker del Borghetto e quello del Verbone, era tutto un campo di mine, eccetto, giusto alla metà tra i due bunker, un passaggio largo meno di un metro, dalla battigia fino al rio Rattaconigli. Sbarcarono a Rattaconigli e superarono il campo minato attraverso quel sentiero. Quella sera dal bunker di Vallecrosia fino alla foce del Nervia era tutto un pullulare di tedeschi e fascisti. Ci aspettavano. La fortuna fu dalla nostra.

Renzo Gianni Biancheri , detto anche “Rensu u Longu“, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia  < ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007 > 

(1) <15 gennaio 1945 – Dal Comando Militare Unificato della Liguria al comandante Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] – Si chiedevano chiarimenti circa il fermo effettuato ai danni del capitano Bartali [Giovanni Bortoluzzi, già a capo a settembre 1943 di una prima banda di partigiani in Località Vadino di Albenga (IM), poi dirigente sapista in quella zona, capo missione della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” presso gli Alleati, vicecapo della Missione Alleata nella I^ Zona nei giorni della Liberazione], si ricordava che vi era stata l’unificazione di tutti i comandi combattenti della Liguria, si sottolineava che “nella Liguria la parte operativa viene riassunta nelle persone di Miro [Anton Ukmar], Ferrero e Balbi [Tenente Colonnello Giulio Bertonelli ]” e veniva intimato il rilascio del capitano Bartali.<11 aprile 1945 – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione  – Veniva comunicato l’imminente sbarco di Bartali [Giovanni Bortoluzzi] e veniva ordinato di tenere a disposizione dello scrivente comando eventuale materiale arrivato nel frattempo via mare.

<14 aprile 1945  – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione – Veniva comunicato che Bartali, sbarcato il giorno 11, stava proseguendo verso la zona della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” per incontrare R.C.B. [capitano Bentley]  e che il 20 avrebbe avuto luogo una riunione tra le formazioni garibaldine, R.C.B. [capitano Bentley]  e i CLN interessati.                                                                            

<17 aprile 1945  – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione – Venivano annunciati l’arrivo di Bartali con una radio trasmittente e di 2 istruttori di sabotaggio, dei quali 1 <l’agente Raina> doveva essere indirizzato verso la VI^ Divisione.  

<24 aprile 1945 – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione – Scriveva che “il capitanoBartali” [Giovanni Bortoluzzi] raggiungerà il comando divisionale in indirizzo e sarà l’incaricato della missione alleata presso il comando divisionale, funzionando da collegamento tra lo scrivente comando ed il comando divisionale. Bartali dipenderà dal capo missione “capitano Roberta” [capitano Bentley]. Si prega di fornire “Bartali” di tutto ciò di cui ha bisogno, nonché di alcune staffette e della puntuale segnalazione di tutte le azioni svolte dalla II^ Divisione“.

< 30 maggio 1945 – Da H.Q. Allied Liaison Mission I^ Ligurian Zone a “Ramon” [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione] –  Veniva espresso il ringraziamento del Capitano “Bartali” [Giovanni Bortoluzzi], vice comandante della missione inglese nella I^ Zona, per la collaborazione accordata nei mesi passati.

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico 1998 – 1999

Parallelamente agli aviolanci nel mese di aprile del 1945, ma in modo più assiduo, nella zona del ponente ligure provenienti dalla Francia avvenivano sbarchi di materiale bellico (diversi Bren, Sten e Breda) a Vallecrosia. Sulla costa, nei punti di incontro stabiliti, garibaldini della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” o della locale SAP effettuavano a piccoli intervalli, a partire dalle ore 23 nelle notti concertate previe comunicazioni segrete, segnalazioni luminose all’indirizzo dei natanti di volta in volta in arrivo.  Rocco Fava, Op. cit., Tomo I

I ribelli sono tornati a Calvo

Uno scorcio del centro urbano di Ventimiglia (IM)

Ventimiglia e la seconda guerra europea. (Appunti Storici dei Fratelli Maristi in Italia – Libro in edizione)
(1943)
A Ventimiglia, nei giorni di generale disorientamento che seguirono l’armistizio dell’8 settembre, avvenne il saccheggio popolare della Caserma Gallardi, nei pressi della nostra casa. Nei fabbricati di questa vasta caserma erano stati ammassati, in seguito alle operazioni di guerra precedenti, ingenti quantità di rifornimenti logistici, particolarmente calzature e indumenti. Molti Fratelli assistettero al parapiglia indescrivibile di una fiumana di gente che durante più di ventiquattro ore correva a prendersi quanta più roba poteva portar via: immagine fedele dell’anarchia e della necessità che regnavano in quei giorni. L’arrivo delle milizie tedesche con le armi in pugno e in mezzo a terribili sparatorie intimidative riuscì a poco a poco a ristabilire l’ordine. Una parte di quelle masserizie fu poi restituita nei giorni seguenti, dietro minaccia di fucilazione.
Aa.Vv., Pennellate storiche sulle Comunità mariste d’Italia e Destinazione annuale dei Fratelli, 1887-2003. Volume 3º, Provincia Marista Mediterránea, Guardamar del Segura – España, 2018

Il 10 di settembre [1943] i futuri dirigenti del Fascio repubblichino di Ventimiglia, Ferdinando Rey, Ugo Ughetto, Elio Piccioni, il generale della milizia Brandimarte ed il commissario di PS Pavone [n.d.r.: responsabile dell’arresto, avvenuto in Ventimiglia il 26 novembre 1943, e della conseguente deportazione in Germania, ad Auschwitz, dove tragicamente perirono, dei commercianti ebrei, Bassi, Ettore, il padre, e Marco, il figlio, benefattori non solo degli ebrei stranieri in fuga, a causa delle Leggi Razziali del 1938, tramite Ventimiglia e zona verso la Francia nel periodo 1938-1939, ma anche benemeriti della città e del comprensorio] richiamavano i tedeschi che, su autocarri, giungevano in città, iniziando una feroce rappresaglia contro tutti coloro che venivano trovati intorno ai magazzini militari […] Già il 10 settembre 1943 a Ventimiglia per loro spontanea iniziativa si erano costituiti in CLN Libero Alborno, Luigi Lorenzi, comunisti, Carlo De Paulis, Domenico Gastaldi, Adriano Notari [n.d.r.: noto medico specialista di Ventimiglia: la sua fama era tale che aveva curato anche il maresciallo Caviglia], rimanendo quasi del tutto isolati nella loro attività. Essi si adoprarono per raccogliere i primi soldati sbandati dell’ex Regio Esercito e convogliarli verso Rocchetta Nervina […] Questo CLN esaurì la sua funzione quando i nazifascisti ordinarono lo sfollamento della città […] bande, anche se disorganizzate, incominciarono a formarsi nelle zone di Calvo, Bevera e Ciotti. Sorte più che altro per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, si sciolsero in breve tempo. Soltanto a fine maggio 1944 nasceranno le prime bande partigiane […] CLN di Ventimiglia. Quello che operava precariamente  anche dopo lo sfollamento generale veniva liquidato il 23 maggio 1944 [n.d.r.: qualche riferimento in più qui e qui] per opera del maggiore della G.N.R. ferroviaria Restituto Aprosio. Dopo di che la mancanza di documentazione rende assai difficile ricostruire quanto è successo. Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

A Ventimiglia in ambienti che gravitavano intorno alla stazione ferroviaria si formò una rete clandestina con l’obiettivo di sabotare i trasporti tedeschi e difendere le infrastrutture ferroviarie e stradali in concomitanza di un’eventuale sbarco alleato. A questa organizzazione aderirono una decina di ferrovieri assieme a carabinieri, poliziotti, civili. Il gruppo, che assunse il nome di Giovine Italia, riuscì a collaborare con un’altra organizzazione legata al partito comunista di Bordighera, la quale in clandestinità forniva documenti falsi a militari sbandati e antifascisti ritenuti sovversivi dalle autorità della Repubblica Sociale. Gli ufficiali dell’esercito e i carabinieri che aderirono avrebbero dovuto stabilire il controllo dell’ordine pubblico una volta il territorio fosse stato liberato. A causa di un incauto approccio da parte di Olimpio Muratore, tentato con due suoi compagni di scuola arruolatisi nella GNR ferroviaria, Carlo Calvi e Ermanno Maccario, questi rivelarono l’esistenza dell’organizzazione al loro comandante. Iniziarono subito le indagini portate avanti dalla G.N.R. e dal Commissario Capo della Polizia Repubblicana di Ventimiglia, Pavone. All’alba del 23 maggio 1944 una retata portò alla cattura di una trentina di persone, ventuno delle quali consegnate ai tedeschi, e di queste tredici furono successivamente inviate a Fossoli e poi a Mauthausen: Airaldi Emilio, Aldo Biancheri, Antonio Biancheri, Tommaso Frontero, Stefano Garibaldi, Ernesto Lerzo, Amedeo Mascioli, Olimpio Muratore, Giuseppe Palmero, Ettore Renacci, Elio Riello, Tommaso Frontero, Alessandro Rubini, Silvio Tomasi, Pietro Trucchi e Eraldo Viale. Solamente Elio Riello, Amedeo Mascioli, Aldo e Antonio Biancheri sopravvissero alla deportazione. Emilio Airaldi, invece, già sul carro merci destinato in Germania, riuscì a scardinare un finestrino del carro e a gettarsi di notte nel vuoto nei pressi di Bolzano; venne aiutato da ferrovieri che lo aiutarono s nascondersi e quindi a ritornare a casa dove giunse dopo 3 mesi. Giuseppe Palmero e Ettore Renacci furono fucilati a Fossoli, Olimpio Muratore, Silvio Tomasi, Alessandro Rubini, Eraldo Viale, Ernesto Lerzo e Pietro Trucchi morirono nel campo di Mauthausen.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Il 18 corrente, nei pressi di VENTIMIGLIA (IMPERIA) una pattuglia della G.N.R. confinaria catturava una donna, che aveva tentato di espatriare clandestinamente.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 19 maggio 1944, p. 31. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Pagina 31 del Notiziario GNR cit. infra – Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Imperia – Nella zona di Ventimiglia agisce un’organizzazione clandestina, denominata “G.I.”, dipendente dal partito comunista dell’Italia invasa, che si propone di occupare, al momento opportuno, le caserme, gli uffici postali e telegrafici e le centrali telefoniche, nonché di prendere possesso della ferrovia.
Elementi della G.N.R. hanno già preso contatto con un membro dell’organizzazione, convinto di aver da fare con sovversivi.
Le indagini continuano.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 24 maggio 1944, p. 31. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

In questi giorni, nella zona di VENTIMIGLIA (IMPERIA), in seguito alle indagini svolte dalla G.N.R. per individuare gli appartenenti al “Comitato di liberazione nazionale”, sono stati effettuati 39 arresti di elementi indiziati, compresi i componenti di tre cellule comuniste. L’operazione continua e si sviluppa verso la zona di ponente e nella provincia di CUNEO. Riserva di ulteriori comunicazioni.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 25 maggio 1944, p. 42. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

L’11 corrente, da certo Secondo BOSIO, residente in Ventimiglia, è stato catturato un colombo viaggiatore che portava un messaggio dei ribelli diretto alle autorità militari inglesi.
Si unisce copia del messaggio
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 28 maggio 1944, p. 21. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

In montagna, su per giù nel periodo stesso [metà giugno 1944] in cui vi sale Don Micheletto, vi si trasferiscono pure, per entrare fra i partigiani, col consenso e l’appoggio del loro maresciallo, i carabinieri di Ventimiglia, portandosi armi e bagagli.
Il maresciallo, rimasto in Ventimiglia con lo scopo di difenderli, verrà deportato in Germania, sebbene avesse quattro figli ancora piccoli.
La famiglia del maresciallo abitava in Camporosso.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

Sebbene, per ora, non si abbiano dati probanti per fare illazioni sullo sviluppo delle operazioni militari sul fronte occidentale, tuttavia allo stato delle cose sembra che la baldanza anglosassone sia stata arrestata a Mentone e ricacciata e costretta a ripiegare.
L’autorità militare germanica, per le necessità contingenti, ha ordinato lo sgombero delle popolazioni della vallata di Ventimiglia, che sono state avviate nei centri di sfollamento a cura delle Federazioni dei Fasci Repubblicani.
Nei giorni scorsi mezzi navali cannoneggiavano Imperia, Ventimiglia, Bordighera, Vallecrosia, causando danni di una certa entità a case di abitazioni private, facendo qualche vittima.
[…] E’ stato catturato a Ventimiglia, dove si era rifugiato, e tradotto a Novi Ligure a disposizione del Tribunale Militare, un agente di P.S. che aveva disertato dall’Ufficio di P.S. di confine di San Dalmazzo di Tenda (Cuneo).
Questore di Imperia, Al capo della Polizia – Vobarno, Relazione mensile sulla situazione economica e politica (mese di settembre 1944), n° di Prot. 013538, Imperia, 1° ottobre 1944 – XII. Documento “MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4” dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma

1944
1° luglio
Stamane Pinuccio è partito per Baiardo, accompagnato da Manetta. Chissà se riuscirà a raggiungere i ribelli ! La settimana scorsa è morto Cassini, il genero di Pepinetu; la morte è stata causata da una mina disseminata nel suo terreno a Grimaldi.
I prigionieri di Airole sono stati liberati, tranne due di cui fino ad ora si ignora la sorte.
2 luglio
Si sentono spesso sganciare bombe non tanto distante da noi. Su tutti i fronti continua l’avanzata degli anglo-americani. I ribelli sono scesi fino a Calvo, ma nessun fastidio hanno dato alla Milizia e nemmeno alla popolazione.
Oggi abbiamo cominciato a vendere il vino a Lire 36 alla bottiglia.
3 luglio
Pinuccio è tornato, si è presentato ieri l’altro, l’hanno subito mandato dietro un mulo e poi la fatalità ha voluto che, assieme ad altri, fossero circondati dai tedeschi e fossero presi prigionieri. Lui però si è scusato dicendo di essere andato a Baiardo a salutare un amico sfollato. Avendo ancora la sua licenza non scaduta, lo hanno lasciato libero. Cercherà egli un’altra via di scampo?
I ribelli sono tornati a Calvo.
[…]
1° agosto
Stamattina sono andata a Ventimiglia per riscuotere il sussidio e ho passato l’intera mattinata nella galleria del Cavo. È stata una giornata di allarmi consecutivi, e dire che non abbiamo ancora visto il bello!
[…]
3 agosto
Dopo una notte di rumore continuo, prodotto dalle zattere e dagli apparecchi, la mattinata è stata abbastanza brutta. Verso le 10, formazioni di apparecchi hanno combattuto con i caccia. Un’infinità di piccole bombe sono state gettate a San Bernardo, Seglia, Peidaigo e Ville. Le più vicine a noi sono cadute da Rocco: 5 di numero. Alle Ville, abbiamo da lamentare una morta, la Magnuna che lavorava da Enrico a raccogliere ceci. Hanno sganciato pure su Bevera con diversi morti anche là. La giornata è proseguita con un ininterrotto rombo di apparecchi che sorvolavano continuamente le nostre teste.
[…]
2 ottobre
Anche oggi sono arrivate parecchie cannonate nei nostri dintorni e siamo stati all’erta quasi tutto il giorno. La notte non c’è stato male, è stata passabile. In Piemattone, da Mascarello, vi è l’incendio, il Butassu e i dintorni sono stati molto battuti.
Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988

Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945: […] Quando i partigiani uccisero in Castelvittorio il parroco Don Padoan, presi parte alla spedizione effettuata dalla squadra in detto paese ove trovammo già sul posto elementi della GNR [Guardia Nazionale Repubblicana]. Fu provveduto all’interrogatorio del sagrestano e non essendo emersi a carico degli abitanti, dopo aver assistito ai funerali del parroco svoltisi a Ventimiglia, facemmo ritorno ad Imperia senza aver fatto nessuna rappresaglia […] Nego di aver assistito all’interrogatorio di elementi comunisti di Ventimiglia, arrestati dal Questore Durante. Nego di aver infierito contro di loro con percosse e sevizie. Mi ricordo che nell’ufficio dove si procedeva al loro interrogatorio entrava un agente che generava fra i colleghi ilarità in quanto portava a braccetto gli arrestati.
[…] Fittipaldi Natale: nato a Ventimiglia il 25 dicembre 1928, squadrista della Brigata Nera “Padoan”
Interrogatorio del 20.6.45: Mio padre fu inviato nel febbraio del 1944 in Germania a lavorare. Rimasi così a Ventimiglia, dove con mia madre e mia sorella vivevo dei proventi del mercato nero fino al novembre del 1944 quando mia madre rimase vittima di un bombardamento navale. Essendo giunto l’ordine di sfollamento, insieme a mia sorella mi recai ad Alassio. Nei primi di gennaio, e precisamente il 10 gennaio, essendo rimasto senza soldi mi arruolai
nella brigata nera di Imperia.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 – Liguria: Imperia – Savona – La Spezia, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

Ventimiglia e la seconda guerra europea. (Appunti Storici dei Fratelli Maristi in Italia – Libro in edizione)
(1944)
[…] In casa si va pensando ai provvedimenti da prendersi per il passaggio della linea del fuoco, giacché si è persuasi che gli alleati, sbarcati a Cannes, passeranno di qua dalle Alpi. Abbiamo sentito radio Londra annunziare che
Ventimiglia è in mano degli alleati giunti già a sette chilometri oltre la città… L’otto settembre [1944], Natività della Madonna, un po’ di calma ci permette la Messa solenne e persino una passeggiatina verso il castello Appio. Ufficiali tedeschi ci avvertono del pericolo che si corre alla vetta. Alcuni fratelli vanno tuttavia a constatare de visu come, dal largo di Latte, le navi alleate hanno sotto il loro controllo tutti i versanti della valle del Latte.
La notte, le batterie del greto della Roia cominciano a sparare maledettamente. Ogni quindici o venti minuti un cannone aggiunge un tal colpo da far sussultare tutta la casa. Al mattino entra in azione anche la marina alleata: i proiettili, con un sibilo caratteristico, rasentano la vetta del monte Magliocca e piombano nella valle verso Bevera. Alle 4.30 tutto il monte è in fiamme. Nella giornata del 9, parecchi son quelli, dei nostri, che non ardiscono fermarsi un momento in casa neppure per pranzare. Durante tutto il pomeriggio l’artiglieria della Roia si mantiene in azione permettendo agli aeroplani nemici di individuarne le precise posizioni.
Aa.Vv., Pennellate storiche sulle Comunità mariste d’Italia e Destinazione annuale dei Fratelli, 1887-2003. Volume 3º, Provincia Marista Mediterránea, Guardamar del Segura – España, 2018

La vecchia strada provinciale all’ingresso meridionale di Airole, Val Roia

1944

Agosto 1944

VENERDÌ 25 – Bombardamento aereo di Latte e Mortola [Frazioni di ponente di Ventimiglia (IM)]. Prima notte al rifugio (27 persone).

Il torrente Bevera sotto Calvo

Settembre

 

Calvo, Frazione di Ventimiglia (IM)

MARTEDÌ 5 – Assistiamo, dalla galleria della Mortola, al cannoneggiamento di Mont Agel da parte dell’I.L. Emile Bertin e di 2 C.C.T.T. [I.L. e C.T. abbreviano rispettivamente Incrociatore Leggero e Cacciatorpediniere]

MERCOLEDÌ 6 – Lungo mitragliamento da parte dell’aereo catapultabile su Punta Mortola e Punta Beniamin [località nel ponente di Ventimiglia (IM)]. Giungono i tedeschi nel nostro giardino per impiantare uno scivolo.

GIOVEDÌ 7 – Arrivano gli autocarri tedeschi. Il muro al mare, vicino al terrazzo, alcuni pilastri e il cancello rosa fatti saltare; incomincia la costruzione dello scivolo. Partenza di una parte dei Bargioni.

VENERDÌ 8 – La costruzione dello scivolo rallentata dal mare grosso. Un trattore, per errore, schianta il cancello sulla strada. Posizioni, in Francia, cannoneggiate dall’I.L. Dugay Trouin. Partenza dei rimanenti Bargioni.

SABATO 9 – Primo giorno che andiamo alla casa giù. Un C.T. bombarda Bellenda [altura sovrastante la Frazione, di ponente, Latte di Ventimiglia (IM)]. Conversazione con un tedesco sulle nuove armi. Undici corvette, protette da 2 C.T. e un I.L. cannoneggiano posizioni sopra Ventimiglia e Bordighera.

LUNEDI 11 – Posizioni tedesche sui monti bombardate dalla corazzata Lorraine. Bagno sotto i tiri. Un C.T. bombarda per un’ora Punta Mortola e Punta Arma [località nel ponente di Ventimiglia (IM)].

Diario di guerra, steso da ragazzo, dall’ing. Giuseppe Biancheri, pubblicato su LA VOCE INTEMELIA anno XXXIX n. 10  ottobre 1984, qui ripreso da Cumpagnia d’i Ventemigliusi

Oltre ai partecipanti alla scuola sabotatori, di cui si fa cenno nel resoconto della «Missione Corsaro», furono parecchie decine i Ventimigliesi passati in Francia e incorporati nelle unità alleate. Redazione, Martirio e Resistenza della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale, Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare,  Comune di Ventimiglia (IM), 1971

17 novembre 1944 – Dalla Sezione SIM della IV^ Brigata “E. Guarrini” al comando della IV^ Brigata – Relazione giornaliera
[…] Ventimiglia: Non esiste quasi più nessuna forza tedesca in detta città, pochi sono anche i fascisti. Da voci della popolazione gli Alleati arriverebbero spesse volte in Ventimiglia Vecchia e paeselli dei dintorni ritirandosi dopo a Latte. Inoltre da notizie non confermate ufficialmente pare che gli Alleati abbiano raggiunto Bevera, San Dalmazzo di Tenda e Briga Marittima. La flotta Alleata bombarda incessantemente la striscia di terra tra San Remo e Ventimiglia. Firmato: Uliano
da documento IsrecIm in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore – Farigliano, 1977

I soldati tedeschi avevano trasferito la sede del comando del loro distaccamento nella galleria sottostante alla casa.
[…] Nella notte fra l’11 e il 12 dicembre [1944], durante un terribile bombardamento, due proiettili della marina colpirono la casa: uno nella parte superiore del fabbricato centrale, verso il mare; l’altro a pian terreno del fabbricato del noviziato, alla sommità della porta centrale. Lo spavento fu grande, naturalmente; i danni relativamente non molto rilevanti. I Fratelli raddoppiarono di attività per avere dai Tedeschi il permesso di restare nella casa, e vi riuscirono. Riflettendo però su casi già accaduti, in cui cittadini erano stati mandati via sull’istante, i quattro giudicarono miglior partito dividersi in due gruppi: due di loro, si trasferirebbero a Bordighera e due resterebbero in casa; e così fecero […] Ecco il diario delle feste natalizie quale è registrato nel libro degli annali della casa [n.d.r.: il Convento – tuttora esistente, ma ormai abbandonato – dei Frati Maristi è situato in località Santo Stefano di Ventimiglia, due chilometri circa a sud della già citata frazione di Bevera]:
“24 dicembre [1944]: preparativi per la funzione di mezzanotte; nel pomeriggio, forte bombardamento terrestre. Una bomba cade davanti alla falegnameria e rompe tutti i vetri, altre cadono dietro la concimaia. Il C. Fr. Celestino Guyon incamminato per raccogliere dei cavoli corre grave pericolo. Veglia di Natale in compagnia della famiglia Cavandoli. Alle 11,30, come di tradizione, principio della funzione religiosa, col canto dell’invitatorio e del Te Deum laudamus. Poi S. Messa cantata con S. Comunione cui si accostano anche tutti gli assistenti.
25 dicembre [1944]: Natale di sangue! In mattinata, Messa cantata, poi pranzo disturbato da bombardamento terrestre: numerose le bombe cadute nella nostra proprietà e sul pendio verso S. Bernardo.
26 dicembre [1944]: Santo Stefano: festa patronale: Messa cantata. Vi assistono anche i vicini di casa.
29 dicembre [1944]: Arrivo inaspettato del C. Fr. Pancrazio, Direttore e Visitatore, accompagnato dal Fr. Federico Sismondini. Che festa, nel rivederci, dopo tre mesi di spaventi! Si trascorrono insieme gli ultimi giorni dell’anno”.
Il 15 gennaio [1945], s’ingegnarono per improvvisare un carrettino a mano che caricarono di viveri e di vestiario per quattro persone (in previsione dell’espulsione degli altri due); aiutati e accompagnati da un vicino di casa e anche da uno dei due destinati a restare poi in casa, alle sei del mattino, dopo l’ultima messa, durante la quale furono consumate tutte le sacre particole, giacché il Parroco di Bevera era obbligato a partire anche lui, si avviarono verso Bordighera.
Aa.Vv., Pennellate storiche sulle Comunità mariste d’Italia e Destinazione annuale dei Fratelli, 1887-2003. Volume 3º, Provincia Marista Mediterránea, Guardamar del Segura – España, 2018

15 marzo 1945 – Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 342, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione – Comunicava che… “il paese di Trucco sul confine italo-francese è presidiato da 30 tedeschi con una batteria antiaerea da 20 mm“…

19 aprile 1945 – Dal comando della Divisione SAP “Giuseppe Mazzini” [di Albenga (SV)], prot. n° 56, al rappresentante dell’Alto Comando Alleato [capitano Bentley] ed al comando della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” – Informava che “… Proveniente da Ventimiglia è transitato un treno carico di materiale diretto a Savona…”

22 aprile 1945 – Dal comando della II^ Divisione al Comando Operativo della I^ Zona Liguria – Si chiedevano con urgenza precise disposizioni nei confronti delle truppe liberatrici, che con ogni probabilità saranno Degolliste; le competenze nei confronti del CLN e delle SAP secondo gli accordi intervenuti tra voi e dette organizzazioni… se bisogna portare gradi, in caso positivo quali.

24 aprile 1945 – Dal C.L.N. di Perinaldo (IM) al comando della II^ Divisione – Comunicava che una nostra staffetta ha preso oggi contatto con un piccolo nucleo di degollisti dentro Ventimiglia. Tutta questa zona è tranquilla.

23 aprile 1945 – Dal comando della Divisione SAP “Giuseppe Mazzini” [di Albenga (SV)], prot. n° 60, al rappresentante dell’Alto Comando Alleato [capitano Bentley] – Segnalava… un treno da Ventimiglia per Savona carico di materiale…

da documenti Isrecim in Rocco Fava, La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999

 

Molti dei Ventimigliesi incorporati nelle unità alleate unita­mente a numerosi partigiani parteciparono alla fine marzo 1945 con le truppe alleate alla sanguinosa battaglia dell’Aution, che terminava con la cacciata delle truppe tedesche dal Bacino del Roia…da MARTIRIO E RESISTENZA della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale, Op. cit.

La XXXIV divisione Brandenburg, comandata dal generale Theo-Helmut Lieb, era costituta da tre reggimenti (Grenadier-Regiment 80, 107 e 253) e da un reggimento di artiglieria (Artillerie-Regiment 34) <9 ed era schierata da Ventimiglia sulla costa ligure e sulle Alpi marittime fino al Monviso <10. Essa doveva ripiegare dalla Val Roya verso Torino ed aveva incontrato notevoli difficoltà a causa della lunghezza del percorso (si dovevano
oltrepassare il colle di Tenda ed il col di Nava), dei ripetuti attacchi aerei degli Alleati e di quelli dei partigiani, ai quali il 15° Gruppo di armate alleate chiedeva di ostacolare la ritirata tedesca.
[NOTE]
9 Cfr. C. GENTILE, Le forze tedesche di occupazione, cit., pp. 116-117.
10 La divisione, già dal 12 aprile, quando la I divisione France Libre iniziò l’offensiva sulle Alpi Marittime, non era più in grado di mantenere le proprie posizioni nonostante le ingiunzioni di resistere a qualsiasi costo; cfr. ALBERTO TURINETTI DI PRIERO, NOTE su una divisione tedesca in Piemonte. La “5. Gebirgsjaegerdivision” agosto 1944-maggio 1945, in “Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia”, n. 36, dicembre 1989, pp. 193-194.
Ezio Manfredi, Dalle Alpi Occidentali a Santhià. La strage dell’aprile 1945 e la resa del 75° Corpo d’armata, in “l’impegno”, a. XXI, n. 3, dicembre 2001, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

Negi era il punto di contatto tra le varie formazioni partigiane che operavano nella zona

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Una vista sull’abitato di Perinaldo (IM); dietro ancora, Baiardo

Nei giorni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre 1943 numerosi soldati sbandati dell’ex Regio Esercito passarono sul territorio del comune di Perinaldo (IM). Ovunque essi vennero accolti ed assistiti dalla popolazione e aiutati nella loro fuga verso casa. Ben quattordici di loro tuttavia furono catturati dai tedeschi e deportati in Germania. I contadini raccolsero le armi da loro abbandonate per consegnarle in seguito ai partigiani… ben sette cittadini di Perinaldo combatterono nel Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.)… Alla fine di settembre 1943 un primo presidio tedesco costituito da un plotone di soldati si stabilì in località Massabò… Nel febbraio 1944 un altro forte presidio di trecento soldati tedeschi si insediò in permanenza nel centro abitato… La Resistenza fu animata da un CLN costituitosi nei primi mesi del 1944 per iniziativa dei tre militanti comunisti Pietro Guglielmi, Guglielmo Guglielmi e Armando Cassini. Le attività di questo Comitato furono volte essenzialmente a raccogliere viveri, denaro e indumenti per i partigiani, oltre al consueto lavoro di propaganda contro i tedeschi e i fascisti e a favore della guerriglia patriottica. Esso ebbe anche parte importante nella costituzione di una banda armata locale nel giugno 1944, banda prima composta da sette e poi da diciassette elementi, comandata inizialmente da Aniello Scarano [alla figura di Scarano, come a quella del dottor Giuseppe Leone, che, benché segretario comunale di Perinaldo, fu attivissimo patriota e collaboratore di Scarano, sono dedicate due ampie relazioni in data 20 maggio 1945, oggi, come si apprende da Biga-Iebole, Op. di cui infra, documenti Isrecim, di Kimi Ivar Oddone, commissario politico della II^ Divisione] e poi da Giobatta Guglielmi fino alla Liberazione.    Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

… 1944…  20 giugno – …. La scorsa notte, circa 200 uomini, fra richiamati e operai della Todt, hanno preso la via della montagna per raggiungere i ribelli che, oggi, hanno fatto saltare il ponte di Perinaldo.   Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988

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Perinaldo in una cartolina d’epoca (Archivio: Giulio Rigotti di Bordighera – Rielaborazione: Luca Nifosi di Bordighera)

Garibaldini della predetta brigata [V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”] distruggono con mine un ponte sulla rotabile Perinaldo-Apricale.       Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore – Farigliano, 1977

Otto giorni dopo [il 27 giugno 1944] Argo [Altorino Iezzoni] moriva in un’operazione a Baiardo (IM). Fu il primo schiaffo che ricevetti dalla realtà della mia guerra di partigiano. Fummo segnati su un grosso registro e arruolati al comando di Vittò [Vitò/Ivano,  Giuseppe Vittorio Guglielmo]… Con altri 6 o 7 scendemmo in Alpicella, vicino a Perinaldo (IM), dove c’era un rudere di caserma con i muri perimetrali, ma senza tetto. Qui si radunarono fino a più di 40 partigiani. Per la fame, facevamo da mangiare in una enorme vecchia marmitta, ma avevamo poco o niente da mettere dentro. Decidemmo di andare in una osteria del paese (era di un noto fascista), l’albergo “Da Milano”. Erano i primi di luglio del 1944…     Renato Plancia Dorgia in Giuseppe Mac FiorucciGruppo Sbarchi Vallecrosia <ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007

Nell’agosto del 1944 mi aggregai al gruppo partigiano di Girò [o Gireu, Pietro Gerolamo Marcenaro di Vallecrosia (IM)], che operava nella zona di Negi [Frazione di Perinaldo]. Dove godevamo anche dell’appoggio di Umberto Sequi a Vallebona e di Giuseppe Bisso a Seborga; tutti e due membri del C.L.N. di Bordighera. Negi era il punto di contatto tra le varie formazioni partigiane che operavano nella zona, tra queste, quelle sotto il comando di Cekoff [o Cecof, Mario Alborno di Bordighera] e di Gino [Luigi Napolitano di Sanremo (IM)]. Facevo da staffetta tra Negi e Vallebona. A settembre 1944 insieme a Renzo Rossi partecipai all’incontro con Vitò… Vitò investì formalmente Renzo Rossi del compito di organizzare, per la nostra zona, il S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] e la S.A.P.: io fui nominato suo agente e collaboratore.    Renzo Gianni Biancheri, “Rensu u Longu“, in  Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
 
A sinistra, la località Alpicella di Perinaldo (IM)

Alla fine di luglio del 1944 dei Distaccamenti della V Brigata garibaldina vennero a stabilirsi nel territorio del Comune e ivi operarono con largo appoggio della popolazione. I loro caposaldi furono le località Negi, Alpicella, Suseneo e un vecchio convento al centro dell’abitato… Una lettera inviata al comandante Vitò, datata 28 settembre 1944 e firmata con lo pseudonimo Vespa, ci informa che a Perinaldo già a partire dal precedente luglio era stato formato un embrione di Giunta Comunale clandestina… Un’importante riunione clandestina avveniva nel pomeriggio dell’8 ottobre 1944 con la presenza di Nuccia [dottor Eugenio Kahnemann di Sanremo (IM)] e Ormea…      Francesco Biga e Ferruccio Iebole, Op. cit.

Il 1° settembre [1944] operammo divisi in tre colonne una discesa su Perinaldo. L’azione si svolse fulminea. Giungemmo in paese alle prime luci dell’alba, bloccammo le strade e in pochi minuti eravamo padroni dell’abitato. Per alcuni giorni si rimase a Perinaldo… la popolazione fraternizzava con noi… Ferruccio Ragno Corte in Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975

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Uno scorcio di Negi

Ci spostammo a Perinaldo [(IM)] perché là era troppo pericoloso. La stessa notte i tedeschi rastrellarono Seborga e uccisero [era il 9 settembre 1944] il pilota inglese… Eravamo al comando di Cekoff, comandante partigiano che da borghese abitava a Bordighera. I problemi erano tanti e tutti molto seri.
Eravamo 30 partigiani tra cui una ragazza,  Sascia [Ada Pilastri, che lasciò su L’epopea dell’esercito scalzo, di Mario Mascia, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975, una vivida testimonianza delle difficoltà incontrate dai partigiani dell’imperiese per trovare rifornimenti, passando sulle montagne innevate, nel gelido novembre 1944], ma la metà era disarmata. Proposi a Cekoff  un piano per recuperare un po’ di armi e ne discutemmo a lungo. Alla fine accettò… Il gelataio Eccolo (Renzo Pirotelli) mi prestò il triciclo fatto a barchetta, con il quale durante l’estate vendeva i gelati sul lungomare di Bordighera e Vallecrosia. Mi procurai anche un attrezzo da scasso e un piccone, depositai tutto nel portone di casa mia e attesi la notte… Piano piano, per fare meno rumore possibile, forzai la porta. Proprio nell’ingresso era in bella mostra la rastrelliera dei fucili con casse di munizioni. Tre alla volta li caricai nel ventre della barchetta e al quindicesimo caricai le scatole di munizioni. Il triciclo era quasi colmo… Pedalai e pedalai con fatica sulla leggera salita per arrivare fino a Massabò, dove mi aspettava Franco Palombi, un amico di Bordighera che mi aiutò a spingere lungo i tornanti per Perinaldo. Senza il suo aiuto non ce l’avrei fatta. Arrivammo stremati in cima alla collina … un urlo di gioia ci accolse. Baci, abbracci e strette di mano. La  V^ Brigata partigiana Garibaldi era tutta armata!    Angelo Athos Mariani  in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

Quando le campane di Bordighera [(IM)] suonarono le 23.00, il 6 gennaio del 1945 il gruppo di sbarco composto dal caporale Mac Dougall, Mimmo [Domenico Dònesi], Nino [Alberto Guglielmi] e me, era riunito su di un battello pneumatico.  Avendo ricevuto dalla spiaggia il segnale di via libera, aiutati da Giulio [Giulio Corsaro/Caronte Pedretti, responsabile del gruppo clandestino di partigiani di Ventimiglia, operanti via mare con gli alleati nella Missione Corsaro] con il suo battello, ci dirigemmo verso la riva… A Vallecrosia prendemmo la mulattiera per Negi che raggiungemmo alle 03.30. L’8 gennaio alle 4 lasciammo Negi per salire a Monte Bignone…   capitano Robert Bentley in  Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

… le armi [arrivate via mare a Vallecrosia] venivano avviate in montagna a Negi dove Cekof  [o Cecof, Mario Alborno di Bordighera] le riceveva per inoltrarle alle formazioni; distribuite agli uomini di Bordighera o per mezzo di Piero (Angelo Amato), René (Renato Magni) e i Laura delle Sap di Ospedaletti …    Mario Mascia, Op. cit.

4 gennaio 1945 – Dal comando del I° Battaglione “Mario Bini”, prot. n° 32, al comando della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” – Relazione militare: … a Perinaldo si era portata una squadra di 20 tedeschi per riparare la strada Perinaldo-San Romolo [Frazione di Sanremo (IM)].

12 marzo 1945 – Dal CLN di Sanremo, prot. n° 425, alla Sezione SIM della V^ Brigata – Segnalava che la Brigata Nera il giorno dopo alle 5 avrebbe lasciato Sanremo per dirigersi ad Imperia e e ricongiungersi con altre forze nazifasciste a Perinaldo

19 aprile 1945 – Dalla sezione SIM [responsabile Brunero, Francesco Bianchi] della V^ Brigata al Comando della I^ Zona Operativa Liguria – Segnalava che… ad Isolabona vi erano 50 tedeschi, ad Apricale 25, a Perinaldo 60-70 ma con alcuni pezzi di artiglieria, che sussistevano lavori in corso nelle postazioni nemiche di Località Alpicella [di Perinaldo] e che sul fronte italo-francese …

20 aprile 1945 – Da “Fedé” al SIM della V^ Brigata – Segnalava che “… Da Perinaldo truppe tedesche d’artiglieria lasciano la zona, forse dirette a Genova…“.

24 aprile 1945 – Dal C.L.N. di Perinaldo al comando della II^ Divisione [Vittò/Ivano Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante] – Scriveva: “Comunichiamo che una nostra staffetta ha preso oggi contatto con un piccolo nucleo di degollisti dentro Ventimiglia. Tutta questa zona è tranquilla“.

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945)” – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999

Negi 1. 5/1945
Egr. Sig. Marchesi
Vi faccio presente che oggi 17 maggio ci sono le votazioni in Perinaldo così che anche la Fraz. Negi é invitata a votare.
Siccome la popolazione é contraria nessuno ha partecipato. Date conferma
Distinti saluti
Il Partigiano VITTORIO
Documento desegretato OSS: il comandante della II^ Divisione Giuseppe Vittorio Guglielmo (Vittò/Ivano) riferiva a Salvatore Marchesi, membro del CLN di Sanremo, del referendum annessionistico indetto dalle truppe francesi che in quel periodo occupavano la zona

I partigiani ed il cannone di Monte Lega

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Casamatta di Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Il rastrellamento di luglio [1944] da parte dei nazifascisti non fu lungo. ll Comandante Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo – detto anche “Ivano” o “Vittò “, in quel momento comandante della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”] aveva ordinato ed organizzato una ritirata di emergenza e dava ordini precisi ai vari comandanti dei distaccamenti di attendere i suoi ordini.
Radunò lo Stato Maggiore e studiò nei minimi particolari un attacco alla caserma di Pigna (IM), forte di un presidio di circa 80 uomini, con numerose mitragliatrici sul tetto e con posizioni strategiche di importanza.
Sembrava che la caserma Crespi fosse inattaccabile dalle forze partigiane, in quanto da un lato c’era il torrente Nervia, che corre molto incassato, profondo e passa davanti all’ingresso della caserma.  Dal lato nord un alto monte la difendeva egregiamente.
Dai colli antistanti la caserma, al di là del fiume, si rimaneva troppo distanti per un attacco di un certo effetto. Il monte dietro la caserma, terrazzato con declivio dolce, coltivato ad ulivi, era ben difeso dalle mitragliatrici che erano sul tetto.
Appena cessato il rastrellamento tedesco, Vitò presentò i suoi piani di attacco ai vari distaccamenti.

Il gruppo di Castelvittorio (IM), che aveva sconfitto i tedeschi al lago Pigo durante i rastrellamenti, doveva formare il gruppo di attacco sulla facciata della caserma.

Il distaccamento di Stefano Leo Carabalona [n.d.r.: poco tempo dopo comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato] dalla parte di Rocchetta Nervina (IM), con Lolli [n.d.r.: Giuseppe Longo, poco tempo dopo vice comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato], doveva vegliare con i suoi uomini la strada Dolceacqua-Pigna.

La banda di Moscone [n.d.r.: Basilio Mosconi, poco tempo dopo comandante del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V ^ Brigata], che vigilava a Gordale, a Monte Mela e a La Marigia, doveva essere la forza di rincalzo insieme con le bande di Prealba e di Passoscio sopra Buggio [Frazione di Pigna].

Fuoco [Marco Dino Rossi], abilissimo vice comandante, con Zena che morirà più tardi, con Volpe, con Pagasempre [Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo Capo di Stato Maggiore della V^ Brigata], con Mia [anche “Miria“, Antonio Zoroddu, ex maggiore del Regio Esercito, nato ad Orotelli in provincia di Nuoro il 16 maggio 1897], con Dino di Pigna, e con Cosacco [Pietro Bernocchi], armati quasi esclusivamente di pistole e di bombe a mano, dovevano avvicinarsi al torrente, passarlo, risalire la ripa opposta, attraversare la strada ed irrompere nella caserma dal portone principale, provocando panico e distruzione col lancio di bombe a mano. Salire veloci sul tetto, prendendo alle spalle i mitraglieri.

Questo era un primo progetto, naturalmente suscettibile di cambiamenti qualora le circostante lo avessero richiesto.
E le circostanze arrivarono puntuali, come per appuntamento, a scombussolare ogni iniziativa e a costringere a nuove idee. Il fatto consolante che emergeva era la sicurezza di poter finalmente riuscire a sgombrare la zona dai nazifascisti per una più ampia azione di respiro. Non importava il momento dell’avverarsi del sogno.

I progetti si moltiplicavano. Giulio Manesero di Pigna (IM), l’amico sincero e devoto, pensava a provvedere ad un progettino di impianto di telefoni per collegare tutti i distaccamenti. Si serviva della linea telefonica in atto e con appropriati congegni ed apparecchi poneva un centralino a Pigna ed uno a Carmo Langan [territorio di Castelvittorio]. Aveva già provveduto alla provvista necessaria di filo e di apparecchi telefonici da campo.

don Ermando Micheletto *La V ^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” – Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

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Tabella illustrativa – presente in loco – della vecchia postazione militare di Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

[…] Era una postazione di mitragliatrici ad alto potenziale che impediva il libero movimento delle formazioni partigiane. Bisognava distruggerla. Fuoco pensò che questo poteva essere fatto solamente utilizzando un cannone da fortezza piazzato su Cima di Marta. Egli ed i suoi uomini riuscirono a caricarlo sopra un camion e malgrado l’enorme peso e le difficoltà del trasporto in tale impervia zona, priva di una vera strada, riuscirono a trasportarlo da Cima Marta a Carmo Langan [nel territorio di Castelvittorio (IM)], quasi a fondo valle, per potere da quella posizione più favorevolmente sparare su Monte Ceppo e contro la casamatta tedesca.
Certo, molto difficile era raggiungere il bersaglio nemico mancando il cannone non solo delle ruote che avrebbero consentito di muoverlo e piazzarlo sul terreno come sarebbe stato necessario, ma anche perché il cannone mancava persino del congegno di puntamento. Ma Fuoco non si perse d’animo e seppe superare ingegnosamente queste difficoltà, che sarebbero sembrate a chiunque insormontabili, e il cannone… fece fuoco. E fece fuoco tanto bene che i suoi colpi presero in pieno la casamatta tedesca e la postazione nemica fu distrutta. Naturalmente il Gruppo di Fuoco dovette abbandonare subito, provvisoriamente, la postazione ed il cannone per ritirarsi sul Passo della Mezzaluna. Poi la guerriglia riprese come prima, più tenace di prima.
Ma questo non è che un episodio, uno dei tanti episodi che possono dare una pallida idea di quanto eroismo, di quanto sacrificio e quale impegno fu sempre necessario ai partigiani per concludere la loro lotta contro gli invasori tedeschi ed i fascisti, per aprire le vie alla Liberazione ed al progresso civile del nostro paese.
On. Carlo Farini (“Simon“)
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985, pp. 87-89

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Fuoco, con i suoi uomini, destinati ad entrare nella caserma, per una migliore riuscita dell’impresa, propose al comando ed ottenne il permesso di andare a Monte Lega, dove vi era in un forte un pezzo di artiglieria 75/27.
Con esso si intendeva bombardare la caserma da Monte Moro in concomitanza con gli attacchi che sarebbero stati effettuati dai vari distaccamenti.
A Monte Lega dopo inauditi sforzi, aiutati da alcuni contadini di Pigna, sul luogo per lavori campestri, i partigiani riuscirono a tirar fuori dalla fortificazione il pezzo di artiglieria.
Si dovette farlo salire sui gradini che dall’entrata giungevano sulla strada. Pesava circa undici quintali.
Ma il cannone, con un ricco corredo di proiettili, mancava di cariche.
Fermati gli uomini a custodia, Fuoco, si avviava di corsa verso Roverino [Frazione di Ventimiglia (IM)], dove sapeva che vi erano molte cariche.
Il tragitto da percorrere era lungo, occorrevano molte ore.
Verso sera Pagasempre notò un movimento di uomini verso Cima Marta.
Di tanto in tanto da loro partiva qualche sparo come ad avvisare del loro arrivo.
Per i partigiani l’ordine era di rimanere di guardia e vi rimasero tutta la notte, all’erta. La notte calda e la luna aiutavano la vigilanza.
Al mattino dopo il sorgere del sole, tra Pietravecchia e il Toraggio, su un sentiero militare, si vide una lunga colonna di uomini e di muli.
Potevano essere cinquecento unità. Data però la distanza ragguardevole e la mancanza di un binocolo, gli uomini di guardia al cannone non seppero prendere una decisione.
Chi erano gli uomini della colonna?
Ogni supposizione non poteva avere una soluzione precisa e chiara.
Mandare un uomo a vedere significava che avrebbe dovuto assentarsi e che non avrebbe potuto aiutare se fosse stato necessario occultare il cannone.
A toglierli dalla incertezza, verso le ore nove, due contadini tornando dal Toraggio, dove avevano segato il fieno, si avvicinarono a noi di corsa, e gridavano: «I tedeschi, i tedeschi!».

Il cannone lo si poteva considerare perduto.

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Quanto sudore aveva spremuto agli uomini per toglierlo dalla tana.
Fuoco non era ancora di ritorno. Il guaio era che aveva voluto andare da solo. Se gli fosse capitato un’avventura, sempre possibile in guerra, non si sarebbe potuto sapere nulla. Pochi come erano e per di più in posizione di svantaggio, coprirono in fretta, con rami d’albero e con sterpi il cannone, per occultarlo alla vista dei tedeschi.
Si ritirarono in posizione più sicura.
Ci fu dello scoraggiamento per l’impresa non riuscita. Era quello il primo atto di delusione che si contrapponeva al magnifico progettato attacco alla caserma di Pigna.
Senz’altro il movimento di truppe naziste, con tutte le salmerie, era diretto verso la zona partigiana per un rastrellamento.
Bisognava dare l’allarme e mettere in guardia tutti i distaccamenti. In quel tempo però, purtroppo, i collegamenti facili di telefono non c’erano e quelli delle staffette erano troppo lenti.
Gli uomini della Resistenza non si conoscevano bene tra loro e dominava ancora una certa volontà di autogoverno indipendente.
Conveniva avvisare di passaggio ed andare subito al comando. Così si fece. Due uomini partirono di corsa, gli altri si nascosero nel bosco sovrastante la strada, tenendo d’occhio la colonna, che distava, allora, non più di cinquecento metri.
Si seppe qualche giorno dopo che la colonna non aveva intenzioni di lotta contro i partigiani, ma che il trasferimento era dovuto ad una marcia di addestramento per esercitare i nuovi arrivati dalla Germania. Ma allora non si sapeva e la realtà appariva molto diversa. Bisognava attendere gli eventi e sperare nella buona sorte. Bisognava non lasciarsi dominare dagli imprevisti, irriducibili in una guerra.

[n.d.r.: i partigiani usarono il cannone, opportunamente spostato, per bombardare nel pomeriggio del 22 luglio 1944 la caserma di Dolceacqua; alla fine di agosto iniziò, poi, la battaglia per Pigna]

don Ermando Micheletto *Op. cit.

* … Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell’assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Partigiani a Pigna (IM)

 
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Uno scorcio di Pigna (IM), Alta Val Nervia
[…] La Val Nervia aveva capisaldi nazifascisti a Dolceacqua (IM) ed a Pigna (IM) in ben munite caserme. Da tali caserme i nemici facevano puntate sui monti sovrastanti per impedire la formazione di bande partigiane. … A Castelvittorio (IM) nella primavera appena iniziata del 1944 si organizzava una banda autonoma di oppositori ai tedeschi. Erano, per lo più, giovani della zona. Anche a Buggio [Frazione di Pigna (IM)] si tentò una organizzazione, poi un poco infiacchita e ripresa quando si congiunse con un’altra banda a Carmo Langan [nel comune di Castelvittorio (IM)]…
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi Luigi Nuvoloni (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

[…] in marzo [1944] tre partigiani del gruppo di Vittò [Vitò/Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] sono catturati in Baiardo (IM) dai militi fascisti: un polacco e due italiani (di cognome Repetto e Faraldi). Un ex segretario del fascio, mediante una sua camionetta, porta i tre prigionieri da Baiardo a Pigna (IM), dove vengono rinchiusi nella prigione della caserma. Mario Cichéro si presenta a Erven [Bruno Luppi] con la dolorosa e preoccupante notizia. In Pigna, per ischerno, agli arrestati, ancora vivi, i nazifascisti celebrano il funerale, con rito religioso; poi li portano nel cimitero e li uccidono. Gli italiani vengono fucilati dai fascisti; il giorno dopo, i tedeschi fucileranno il polacco. Gli italiani, condotti alla morte, avevano percorsa la strada di Pigna cantando “Fischia il vento” e “Bandiera rossa”; la popolazione aveva ascoltato commossa e muta.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria). Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

 
[…] una pattuglia del distaccamento di Vittò ** e di Erven * va al Passo Muratone, situato fra Pigna e Saorge, a monte di rio Muratone. Sulla base delle citate indicazioni, l’azione avviene in data 11 giugno. A Passo Muratone vi erano cinque o sei guardie di finanza della repubblica di Salò. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923]. I partigiani, in tutto, erano circa una ventina, fra cui: Serpe [Isidoro Faraldi, in seguito comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“], Guido di Cetta, Marconi [Gino Asplanato] di Castel Vittorio, e i giovinetti Géna e Spezia (o «Scarzéna») [Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927]. L’azione era difficile per la posizione della caserma, che aveva alle spalle il monte e davanti lo strapiombo. A compiere l’attacco fu Assalto, insieme con Géna e Spezia…                                                           
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria). Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Antonio Padoan, figlio di un colonnello e di sentimenti liberali, prima del 25 luglio 1943 era parroco di Creppo, un paesino di montagna in Valle Argentina. Poi venne trasferito alla parrocchia di Castel Vittorio, nell’entroterra di Bordighera-Sanremo. Dopo l’8 settembre 1943 aderì alla RSI, aiutò a compilare le liste dei renitenti, sostituì il parrocco di Pigna che si era rifiutato di celebrare la Messa per tre giovani di Baiardo portati in chiesa prima di essere fucilati al cimitero da un plotone fascista. I partigiani della V Brigata lo affrontarono in parrocchia una sera della primavera 1944 invitandolo ad abbandonare il paese. Don Padoan estrasse la pistola e sparò; venne eliminato dopo una violenta colluttazione. I funerali si svolsero a Ventimiglia presenti tedeschi ed i militi di Imperia, che intitolarono al suo nome la Brigata Nera di Imperia.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983

 
Il rastrellamento di luglio [1944] da parte dei nazifascisti non fu lungo. ll Comandante Vitò aveva ordinato ed organizzato una ritirata di emergenza e dava ordini precisi ai vari comandanti dei distaccamenti di attendere i suoi ordini. […] [Metà agosto del 1944] A Pigna (IM) vi erano molti carabinieri e finanzieri. Pigna era una preoccupazione continua dei partigiani. […] Fu fatto un primo attacco alla caserma dei carabinieri. […] Erven * [Bruno Luppi]: “È  stata un’azione veramente rischiosa quella che abbiamo fatto a Pigna e che adesso non oserei  rifare. Siamo scesi con Vitò a Pigna, a piedi. Era con noi tutto il gruppo di uomini del Comando della Goletta…” […] Erven, Assalto, Argo [Biagio Salomone] ed i partigiani di Castelvittorio diedero l’assalto alla richiamata caserma. Puntarono tre mitragliatori, mentre più indietro un gruppo era pronto a proteggere un’eventuale ritirata. […] Dalle due caserme fu asportato tutto quanto poteva servire ai patrioti, armi, munizioni, viveri […]  [Vitò] Radunò lo Stato Maggiore e studiò nei minimi particolari un attacco alla caserma di Pigna (IM) […] Il distaccamento di Stefano Leo Carabalona dalla parte di Rocchetta Nervina (IM), con Lolli [Giuseppe Longo, poco tempo dopo vice comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato], doveva vegliare con i suoi uomini la strada Dolceacqua-Pigna. La banda di Moscone [Basilio Mosconi, in seguito comandante del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V ^ Brigata], che vigilava a Gordale, a Monte Mela e a La Marigia, doveva essere la forza di rincalzo insieme con le bande di Prealba e di Passoscio sopra Buggio […]  Giulio Manesero di Pigna (IM), l’amico sincero e devoto, pensava a provvedere ad un progettino di impianto di telefoni per collegare tutti i distaccamenti. Si serviva della linea telefonica in atto e con appropriati congegni ed apparecchi poneva un centralino a Pigna ed uno a Carmo Langan […] Fuoco [Marco Dino Rossi] con i suoi uomini, destinati ad entrare nella caserma, per una migliore riuscita dell’impresa, propose al comando ed ottenne il permesso di andare a Monte Lega, dove vi era in un forte un pezzo di artiglieria 75/27. Con esso si intendeva bombardare la caserma da Monte Moro […]           
don Ermando Micheletto, Op. cit.
 

n.d.r.: i partigiani usarono il cannone, opportunamente spostato, per bombardare nel pomeriggio del 22 luglio 1944 la caserma di Dolceacqua (IM); alla fine di agosto iniziò, poi, la battaglia per liberare Pigna  ]

… Giovanni Rebaudo Janò/Monaco operò nel Distaccamento di Buggio [Frazione di Pigna (IM)], comandato da Carlo Cattaneo “Carletto”, attivo nella zona di Carmo Langan [Comune di Castelvittorio (IM)]… a fine luglio [1944] distruzione del Ponte della “Bunda” [in effetti, secondo altri testi, si trattava del ponte degli Erici, sito tra Isolabona e Pigna, poco dopo i prati di Ganté] per tagliare i rinforzi ai tedeschi… Vittorio Detassis in Isrecim

Il presidio di carabinieri di stanza a Pigna passò ai partigiani il 27 agosto 1944 […] Prof. Francesco Biga in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)

Ai primi di settembre 1944, mentre infuria una battaglia tra la V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” ed il nemico nella zona di Baiardo (IM) Contemporaneamente i garibaldini di Pigna (IM) puntarono la loro mitragliatrice pesante in direzione del trivio di accesso a Baiardo e bloccarono in questo modo i nazisti. Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999

Pigna (IM)

2/9/1944 – […] giunge al campo una vecchia signora scortata da alcuni partigiani; la signora, a nostro parere, è accusata di collaborazionismo con i fascisti;  dall’interrogatorio emergono i nomi di autorevoli personalità di Pigna e “Nettu” [anche Nettù, Ernesto Corradi, sino a quel momento comandante di un distaccamento della V^ Brigata, ma che, insieme ad altri compagni e a Giorgio Lavagna, che qui fa da testimone, stava cercando, d’intesa con il suo comando superiore, di passare oltre le linee, per andare a combattere con gli alleati: questi garibaldini riuscirono nell’impresa, trovandosi poi ad operare soprattutto tra montagne del Nizzardo e del Cuneese inquadrati nei reparti stranieri francesi dell’ultima fase della guerra] si offre per procedere al loro arresto. Il paese di Pigna è da alcuni giorni occupato dai partigiani mentre le autorità fasciste seguono i Tedeschi che abbandonano le loro posizioni nell’entroterra a causa dell’avvicinamento degli Americani alla frontiera francese. Scendiamo affiancati da numerosi partigiani e procediamo al fermo di quelle persone che, vigorosamente, smentiscono le accuse loro contestate. Consegnamo agli uomini della V^ Brigata quella gente che ostinatamente non vorrebbe subire un processo sommario e che considera illegittimo, ma solo il Comando che ne ha ordinato l’arresto potrà decidere della loro sorte. Ci separiamo da quel gruppo di compagni che, con i prigionieri, si avvia verso la montagna. Rimaniamo in paese, al nostro gruppo si unisce “Alberto” che, durante il tragitto verso la Francia, ci farà da commissario…                                   Giorgio Lavagna (Tigre), Dall’Arroscia alla Provenza, Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim – ed. Cav. A. Dominici – Oneglia – Imperia, 1982

… si nominò un’amministrazione provvisoria [il 18 settembre 1944, con documento redatto sul Registro delle delibere del Comune, venne ufficialmente costituita la Libera Repubblica di Pigna] e si provvide a munire la difesa della zona sia per poter riprendere gli attacchi verso la costa ed in direzione del fronte francese che si andava spostando verso est, sia per far fronte ad eventuali contrattacchi nemici. Infatti il I° distaccamento prese posizione su Passo Muratone alla destra dello schieramento per impedire puntate provenienti da Saorge (in Val Roia, Francia); il distaccamento al comando di Leo [Stefano Carabalona] occupò la stessa Pigna, posta al centro dello schieramento, distaccando una squadra di venti uomini a Gola di Gouta a guardia della strada; infine il IX° distaccamento guidato da Leo il mortaista [Vittorio Curlo], insieme alla banda locale di Castelvittorio (IM), si dispose a difesa sulla linea Monte Vetta-Rio Bonda. Il cardine di tutto lo schieramento era quindi costituito da Pigna […] Ci furono diverse puntate dei partigiani durante tutto il mese di settembre del 1944,  ma la sperata avanzata alleata si era ormai esaurita ed il fronte al confine italo-francese sembrava essersi stabilizzato. Sintomi di un ritorno offensivo tedesco non mancavano e il S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] riceveva continuamente segnalazioni di spostamentì nemici intesi a preparare un vasto movimento contro i patrioti. A fine settembre i presidi tedeschi di Isolabona (IM) e di Dolceacqua (IM) furono notevolmente rafforzati. Vitò, allo scopo di prevenire il nemico – di cui si presentiva che avrebbe presto scatenato un attacco in forze contro le posizioni per tentare di ricacciare i partigiani verso l’alta montagna e di disperderli -, studiò un piano di operazioni che avrebbe dovuto sorprendere i tedeschi nella fase preparatoria e ne avrebbe minacciato tutto lo schieramento sul fronte francese. A fine settembre i presidi tedeschi di Isolabona (IM) e di Dolceacqua (IM) furono notevolmente rafforzati.
Vitò, allo scopo di prevenire il nemico – di cui si presentiva che avrebbe presto scatenato un attacco in forze contro le posizioni per tentare di ricacciare i partigiani verso l’alta montagna e di disperderli -, studiò un piano di operazioni che avrebbe dovuto sorprendere i tedeschi nella fase preparatoria e ne avrebbe minacciato tutto lo schieramento sul fronte francese.
Doria [Armando Izzo, capo di Stato Maggiore, in seguito comandante della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”] venne inviato a Pigna con la squadra di mortai da 81 e da 45, comandata da Leo il mortaista [Vittorio Curlo], in modo che il centro della linea dei resistenti formasse un baluardo formidabile e desse la possibilità alle ali di agire senza la preoccupazione di essere tagliate in due tronconi.
Rinforzata così la difesa di Pigna iniziarono azioni offensive condotte contro la media e bassa Valle del Nervia e contro la Valle del Roia, che, con la grande rotabile che l’attraversa, rappresentava l’unica via di rifornimento per le truppe tedesche attestate nel versante della valle stessa […]                                                                                                             

 Mario Mascia, Op. cit.

 

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Da L’Avanguardia, organo clandestino della Federazione di Imperia del Partito Comunista Italiano, Anno I numero 2 del 1° novembre 1944 – Fonte: Istituto Nazionale “Ferruccio Parri”

Il 26 settembre Doria, appoggiato da Leo il mortaista [Vittorio Curlo, comandante del IX° Distaccamento della V^ Brigata, in seguito Capo di Stato Maggiore della II^ Divisione “Felice Cascione”] con una squadra di fucilieri ed il mortaio da 45, sviluppò una azione di disturbo su Isolabona. Il mortaio si condusse egregiamente. Non meno di 25 bombe caddero sull’edificio occupato dal nemico, che però non osò uscire. A Pigna, nel frattempo, era giunta una missione [qualche cenno a questo link] composta da ufficiali alleati, accompagnati da un corrispondente di guerra canadese. La missione, studiata la zona, avrebbe dovuto proseguire per la Francia passando attraverso le maglie delle linee tedesche fra Gramondo e Sospel.
In vista della difficoltà dell’operazione, il comando della Brigata stimò opportuno sospendere momentaneamente le azioni, allo scopo di non tenere la zona in continuo allarme ed evitare in tal modo una possibile sorpresa da parte tedesca sul gruppo degli ospiti. La forzata inazione venne sfruttata per rafforzare le linee e Vitò affidò a Doria il compito di cooperare con Leo il mortaista ad un nuovo piano di attacco, nel quale avrebbe concorso l’artiglieria, quella recuperata in qualche modo dai partigiani in vari forti abbandonati di confine. Mario Mascia, Op. cit.

Il capitano Morton, canadese, corrispondente di guerra disse allora e poi scrisse: “Peccato che non abbiamo mezzi di collegamento per far sapere al mondo che qui si è aperto un fronte e che da oltre un mese un pugno di disperati, tiene aperto il contatto coi tedeschi, che non riescono a sfondare“. don Ermando Micheletto, Op. cit.

Nei primi giorni di ottobre del 1944 i tedeschi, puntando ad annientare la I^ e la V^ Brigata d’Assalto Garibaldi, profusero uno dei maggiori, per numero di uomini e vastità di azione, rastrellamenti nei territori dell’estremo ponente ligure, che prese il nome di “Pigna-Piaggia-Upega” dai nomi delle località interessate. L’attacco aveva come principale obiettivo Pigna (IM) […] I tedeschi provenivano in gran parte da Isolabona (IM). Erano fronteggiati dalle scarse armi pesanti a disposizione dei patrioti. Gli attaccanti intrapresero presto un intenso bombardamento. Dalle ore 17 del 5 alle ore 13 del 6 ottobre 1944 due batterie tedesche da 105/17, piazzate ad Isolabona, vomitarono nella zona oltre 500 proiettili… Nei due giorni successivi il bombardamento continuò… Rocco Fava di Sanremo (IM), Op. cit., Tomo I

Dopo l’arrivo di ulteriori forze nemiche dalla Francia, i garibaldini si sganciarono verso Carmo Langan e Cima Marta. Tutta la II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, incalzata da più parti della provincia di Imperia dal nemico, fu costretta sino al 18 Ottobre 1944 alla strategica ritirata su Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN). Fatte salve le dispersioni in altre modalità di altre decine e decine di patrioti  ]

Fino al 18 ottobre 1945 si protrasse il rastrellamento, che costrinse gli uomini della I^ Brigata e della V^ Brigata a riparare in Piemonte. I partigiani riuscirono, non senza subire pesanti perdite, a sganciarsi attraverso il Passo del Bocchin d’Aseo, oltrepassando il Mongioie, trasferendosi a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN), in Piemonte. Pigna (IM) venne così persa dai partigiani. I tedeschi procedettero all’ormai consueto e triste rito di incendiare e razziare. I tedeschi, ritenendo fondata l’ipotesi di un imminente sfondamento anglo-americano sulla frontiera italo-francese, intrapresero anche la costruzione di una seconda linea difensiva, per realizzare la quale fu reclutata parte della popolazione, che malvolentieri assolse a questo onere, al punto che “i tedeschi decisero di inviare 300 persone a Verona con l’intento di internarli in Germania“. Rocco Fava, Op. cit., Tomo I

Gli abitanti di Pigna, terrorizzati, cercarono rifugio nelle cantine o fuggirono tra i boschi   ]

… a metà di ottobre 1944 l’esteso rastrellamento effettuato dai Tedeschi tra Pigna e Viozene, durato una decina di giorni… Francesco Biga, Op. cit.

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Fonte: Roberto Trutàlli di Pigna

Civili deceduti nel bombardamento aereo su Pigna del 22 dicembre 1944 alle ore 9,45: Arnaldi Vittoria in Lorenzi, anni 63 Cane Marisa, 21 mesi Lambrugo Bianca in Casiraghi, anni 31 Lantero Lucrezia “Lina de Manun”, anni 34 Raimondo Vittoria in Cane, anni 31 Rollo Margherita in Pani “Margarita de Pilatu”, anni 52   Giorgio Caudano

Nel dicembre 1944 il centro abitato subì inoltre le offese di numerosi bombardamenti aerei da parte delle forze alleate, che distrussero, oltre a parecchie abitazioni, la Piazza Vecchia, detta La Loggia, adiacente la Chiesa Parrocchiale di San Michele, poi ricostruita nel dopoguerra secondo le linee architettoniche originarie, e parte dell’archivio storico del Comune. Il rastrellamento in Pigna del 10 marzo 1945 porterà alla cattura di numerosi ostaggi ed alla fucilazione di 14 partigiani a Latte, Frazione di Ventimiglia (IM)  [tragico episodio su cui un prossimo articolo farà degli approfondimenti]. A Pigna, dove si trovavano tra i 100 ed i 200 tedeschi, il tribunale militare germanico a metà marzo 1945 condannò 5 militari per tentata diserzione. Nello stesso periodo a Pigna e Castelvittorio vennero catturati 100 civili che furono inviati al vicino fronte per eseguire lavori di fortificazione. Rocco Fava, Op. cit. , Tomo I

16 aprile 1945 – Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” [responsabile, “Brunero” Francesco Bianchi] alla Sezione SIM della II^ Divisione [“Achille”, Francesco Martelli responsabile] – Comunicava notizie su Pigna già indicate in data 15 aprile con prot. 390/SIM, aggiungendo che il presidio era comandato da un tenente mutilato che sembrava orientato ad entare nelle file garibaldine…

16 aprile 1945 – Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” [responsabile, “Brunero” Francesco Bianchi], prot. n° 391, al comando della V^ Brigata [comandante, “Fragola Doria”, Armando Izzo – vice comandante “Gino”, Luigi Napolitano] – Comunicava che… al più presto il responsabile SIM si sarebbe recato a Pigna per prendere contatti con i militari di quel presidio che sembravano intenzionati a passare nelle file garibaldine.

18 aprile 1945 – Dal comando della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” al comando della II^ Divisione – Scriveva, dato che il capo di Stato Maggiore [Vittorio Curlo] della Divisione aveva informato lo scrivente comando della decisione del comando di Divisione di formare un nuovo Distaccamento a Pigna (IM) al comando di “Franco”…

Rocco Fava, Op. cit. , Tomo II

* Erven, Bruno Luppi, già incarcerato nel 1935 a Modena per attività clandestina antifascista; iscritto al partito comunista clandestino a Sanremo (IM); ufficiale durante la guerra, partecipò, appena sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi, il 10 settembre 1943 ai combattimenti di Porta San Paolo a Roma; riuscì a rientrare in provincia; da comandante di Distaccamento della V^ Brigata venne gravemente ferito il 27 giugno 1944 nella battaglia di Sella Carpe (tra Baiardo e Badalucco); mesi dopo, appena guarito, diventò vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria. da Vittorio Detassis in Isrecim

** Guglielmo Giuseppe Vittorio (comandante Vittò)
Nasce a Sanremo il 2 febbraio del 1916 nel pieno della Prima guerra mondiale. Emigra giovanissimo in Francia per lavoro e al momento di svolgere il servizio militare, avendo già una radicata coscienza antifascista, diserta e decide di arruolarsi nelle Brigate internazionali al fine di combattere l’insurrezione fascista avvenuta in Spagna. Animato dalla volontà di difendere la Repubblica democratica spagnola Vittò organizza l’espatrio di una trentina di antifascisti sanremesi.
Insieme ad altri sei compagni viene fermato a Breil e, nonostante il fatto che al governo della Francia ci fosse il Fronte popolare, viene fatto rimpatriare. Durante il rimpatrio salta giù dal treno e, una volta raggiunto Mentone, viene prima nascosto e poi, giunto a Nizza, viene messo in condizione di arrivare, nel febbraio del 1937, a Figueres dove si arruola nel Battaglione Garibaldi.
Vittò in Spagna partecipa a numerose battaglie tra le quali quella del Guadarrama, di Estremadura e quella, molto famosa, combattuta sul fiume Ebro. Una volta sconfitta la Repubblica spagnola, passa i Pirenei nel febbraio del 1939 nel tentativo di cercare rifugio in Francia. Catturato dalla polizia francese viene rinchiuso, riesce a fuggire, per poi essere nuovamente catturato.
Tornerà in Italia soltanto due anni dopo la firma dell’armistizio con la Francia. Arrestato come renitente alla leva in occasione della visita a Sanremo di Vittorio Emanuele III viene assegnato alla Divisione Siena sul fronte greco-albanese. Successivamente viene mandato sull’isola di Creta dove viene condannato per insubordinazione a 4 anni e 7 mesi.
Rientrato a Sanremo in licenza nell’agosto del 1943 non tornerà più a Creta e salirà in montagna all’indomani dell’8 settembre dove assumendo il nome di battaglia di Ivano organizzerà i primi resistenti. Da partigiano partecipa a numerosi scontri e sarà ferito da una pallottola che gli resterà in corpo per tutta la vita. Nel dicembre del 1944, forte di una grande esperienza militare maturata in seguito a otto anni di guerra, assume il comando della II Divisione d’assalto Garibaldi Felice Cascione, nella I zona Liguria. Tra i partigiani che hanno combattuto al suo fianco c’era anche Italo Calvino, il quale prese spunto da Vittò per un personaggio di uno dei suoi romanzi più famosi, il comandante Ferriera de “Il sentiero dei nidi di ragno”.
La medaglia d’argento riconosciutagli dopo la Liberazione non lo ha fatto sedere sugli allori e, dal dopo guerra ai giorni nostri, ha sempre dato un importante contributo a quella che è stata la vita politica e sociale di tutto il ponente ligure.
(a cura di Romano Lupi, da “Liberazione”, 25 aprile 2002)
Redazione, Guglielmo Giuseppe Vittorio, Storia XXI Secolo

La missione Flap ed i partigiani del ponente ligure

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[Qui di seguito si fa largo riferimento ad un rapporto segreto inglese, redatto dal capitano Geoffrey K. Long, artista di guerra, relativo ad una parte della Missione Flap, condotta tra i Partigiani, nel Basso Piemonte, del comandante Mauri e, con culmine ai primi di ottobre 1944, tra i Partigiani della I^ Zona Operativa Liguria. Il documento in questione venne rintracciato, ma non pubblicato, a cura di Giuseppe “Mac” Fiorucci per la preparazione del suo “Gruppo Sbarchi Vallecrosia” [Partigiani del mare], ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007.]

Verso la fine di settembre del 1944, a fronte del rafforzamento della presenza tedesca in Valle Impero e della scarsità di armi e di vestiario che affliggeva le formazioni partigiane dell’imperiese, Simon Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, si recò in Piemonte per conferire con il maggiore inglese Temple, capo della missione alleata colà già insediata. Farini chiese l’invio, tramite avio lanci, di materiale bellico per i partigiani della II^ Divisione “Felice Cascione”, come già avveniva  per i partigiani [badogliani] del Piemonte. I lanci nel ponente ligure, tuttavia, iniziarono soltanto nel marzo del 1945… Dopo il ripiegamento dei partigiani della I^ Zona Liguria su Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN)… 20 ottobre 1944… Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l’incontro tra il comandante Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski): “Curto” chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto… Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999

 Rosina (Luciano Mannini) racconta: Il servizio di informazioni militari, esplicato dalla missione «Leo» in Italia con i comandi alleati, ebbe inizio alla fine del settembre 1944, con l’arrivo nella zona della V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni“] di ufficiali americani ed inglesi giunti attraverso i passi montani dal Piemonte, ove erano stati paracadutati. […] Il capitano Leo [Stefano Carabalona], attestato allora a Pigna, comandante del distaccamento che li ospitava e che provvide in seguito a farli condurre – parte attraverso i valichi alpini e parte via mare – in Francia, stabilì col capo della missione alleata [Missione Flap] i primi accordi che dovevano condurre alla formazione di un gruppo specializzato che collegasse, per mezzo di una rete segreta, la nostra zona a quella occupata dagli alleati e fungesse da centro di raccoglimento e di smistamento di notizie militari e politiche interessanti la lotta. La missione Leo alla quale appartenevano Rosina, Lolli [Giuseppe Longo], Giulio Pedretti, ed alcuni altri giovani che si erano temprati nelle lotte di montagna, si portò a Nizza nel [il 10] dicembre 1944, dopo due mesi di utile lavoro preparatorio, per mezzo della leggendaria imbarcazione guidata dall’infaticabile «Caronte» Giulio Pedretti e da Pascalin [Pasquale Pirata Corradi, di Ventimiglia (IM), come Pedretti]. A Nizza, Leo si incontra con i responsabili dei servizi speciali alleati e prepara il piano definitivo di lavoro, che comportava, fra l’altro, l’uso di apparecchi radio trasmittenti, per i quali la missione aveva già predisposto gli operatori. Nel gennaio 1945 la missione rientra in Italia, dove il terreno era già stato preparato in anticipo. Si organizza e comincia a funzionare in pieno […]  Mario Mascia, L’Epopea dell’Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

Della Missione Flap, quantomeno dei gruppi della medesima che, unitamente ad altro personale alleato, sfuggito alla cattura nemica, e a patrioti del Piemonte, che intendevano recarsi a Roma per conferire con esponenti del governo Bonomi, per rientrare nelle loro linee, passarono da Pigna, dove ricevettero dai garibaldini imperiesi anche alcune indicazioni logistiche, scrisse inoltre il capitano Paul Morton, canadese, corrispondente di guerra, in Mission Inside, ma pubblicato solo nel 1979 a Cuneo da L’Arciere, soprattutto per le insistenze di partigiani piemontesi.

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Del documento citato in premessa qui si intende sottolineare, ed integrare, solo qualche aspetto particolare, riferito alla I^ Zona Operativa Liguria.

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Il comandante “Leo“, Stefano Carabalona, che, impegnato in quei giorni come comandante di Distaccamento nella strenua, ancorché vana, ma gloriosa, difesa di Pigna (IM) e dell’appena sorta, omonima Repubblica, era già in grado di indicare ai componenti della Missione un modo per rientrare nelle linee alleate via mare. E Carabalona ben presto assunse la carica di comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato in Costa Azzurra.

Il trasferimento a Ventimiglia (IM) del relatore del dossier “Flap“, capitano G. K. Long,  del capitano Paul Morton, corrispondente di guerra, di un britannico, ex prigioniero di guerra, William McClelland, delle Guardie Scozzesi, e di Bob La Roche, sergente mitragliere americano. Aiutati da una guida, Pietro Pierino Loi. Loi, capo gruppo in seno alla già citata V^ Brigata e in procinto di divenire, con altri patrioti, membro della Missione Corsaro, con sede a Ventimiglia (IM), guidata da Giulio Caronte Pedretti. Loi accompagnò per la maggior parte del percorso su colline questi alleati. Alcuni di loro, il capitano Lees, comandante della Missione, con molti documenti, due altri statunitensi delle forze dell’aviazione (tutti gli americani qui citati erano stati abbattuti, ma si erano salvati ed erano riusciti a sfuggire ai nazifascisti) ed altri tre ex-prigionieri britannici, tentarono, invece, con successo in due turni di raggiungere la Francia ormai liberata per le vie dei monti (Tenda, Olivetta San Michele)]. I due ufficiali del  gruppo accompagnato da Loi entrarono in Ventimiglia (IM), vestiti da contadini.bregliano.f2a

E vestito da contadino, un contadino che accudiva degli ovini al bivio di Dolceacqua (IM) per Rocchetta Nervina (IM) in modo da rendere sicuro il loro passaggio in loco fu anche Ampelio Elio Bregliano, dell’altro costituendo gruppo di contatti operativi con gli Alleati, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, anche questo coordinato di lì a poco da Leo.

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La spiaggia di Marina San Giuseppe di Ventimiglia (IM), da cui Pedretti e Corradi partirono per portare in Francia i militari alleati

A Ventimiglia il gruppo di Loi incontrò Giulio Caronte Pedretti, detto anche “Corsaro“, l’uomo che alla Liberazione recò sulle spalle il peso di 27 traversate in mare per trasportare ex-prigionieri alleati in fuga, altri uomini di coegamento tra i partigiani e gli alleati, armi, munizioni, ecc.

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Pedretti  portò materialmente, insieme a Pasquale, Pascalin per gli amici, Corradi, nome di battaglia Pirata, e a Loi direttamente  a Montecarlo nel Principato di Monaco, un viaggio di cui aveva già appurato la disponibilità “Leo“, in barca a remi, con arrivo, il 9 ottobre 1945, nelle prime ore del mattino, come sembra di capire da Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II, Paperback, 2013, un viaggio di cui aveva, per l’appunto, già appurato la possibilità “Leo“.

In effetti, le fonti che hanno letto il libro di Morton, riferiscono un approccio alquanto pittoresco del gruppo alleato che raggiunse Monaco tramite l’aiuto dei richiamati abitanti di Ventimiglia. Ad esempio, Don Nino Allaria Olivieri * in Ventimiglia… sentieri della speranza, ANPI – Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia>, Nante Edizioni, Imperia, 2006 > riporta che gli alleati comprarono l’imbarcazione, pagandola 500 dollari, con l’intermediazione del pescatore Bric e Brac, mentre un altro pescatore, il vero venditore fece una proposta: Ho un figlio robusto e un suo amico ancor più robusto che vorrebbero passare in Francia. Se accettate di portarli con voi vi prometto che remeranno per tutto il tragitto. Sono persino tentato di ridurre un po’ il prezzo della barca.

In ogni caso, quell’approdo di italiani in Costa Azzurra, indotto dalla Missione Flap, fu foriero di successive valide, ancorché talvolta tormentate, specie con i francesi, relazioni dei partigiani della I^ Zona Operativa Liguria con gli Alleati.

Sempre secondo Brooks Richards, Op. cit., Pedretti e Corradi, una volta portati a destinazione i loro compagni di viaggio, vennero ingaggiati dall’istanza OSS americana di Nizza, una struttura in cui operavano già circa 25 italiani, un aspetto, questo, su cui si tornerà con alcune testimonianze.

Adriano Maini

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Pagina di un documento firmato in data 3 agosto 1944 dal comandante, a quella data, della I^ e della II^ Zona Operativa Liguria, poi ispettore della I^ Zona, Carlo Simon Farini, documento in cui si fa riferimento alla presenza di Biagio tra i partigiani della II^ Divisione “Felice Cascione” – Fonte: Fondazione Gramsci

Al posto di sbarco di Voltri arrivava nel febbraio del ’44 [il 1° febbraio] una prima missione capitanata da un certo Siro [Cavallino Italo, tenente del genio guastatori] con un istruttore di sabotaggio portante il nome di Annibale [Bellegrandi Nino, sottotenente di artiglieria] (che fu poi fucilato dalle S.S. [a Cravasco]) e dal R.T. Biagio [Balestri Secondo, sottocapo r.t.]. Siro e il R.T. furono avviati nella zona di Mondovì e messi a disposizione della organizzazioni partigiane del Basso Piemonte alle dipendenze dell’ufficiale di collegamento responsabile di zona Repetto; l’Annibale tenuto a disposizione ed utilizzato in vari settori (anche a Genova città) come istruttore di sabotaggio. La missione era denominata LLL2-CHARTERHOUSE, proveniva da Bastia con un MAS italiano e operò, fino all‟arresto di “Siro” avvenuto il 13 marzo 1944, comunicando alla base informazioni per i lanci di rifornimenti alle formazioni operanti in Val Pesio, Val Ellero, Val Corsaglia e Val Casotto. “Biagio” fu arrestato il 22 aprile, fu costretto con le minacce e le torture a trasmettere alla base false notizie date dai tedeschi, ma riuscì a cambiare alcuni gruppi cifrati ed a far capire, in questo modo, di essere in mano delle SS. Riuscì a fuggire il 31 luglio e a riprendere contatto con i partigiani garibaldini operanti a nord di Imperia. Verso la metà di settembre, attraversò il confine con la Francia insieme al capitano Michael Lees, comandante della missione FLAP2-BARSTON, e da Avignone, in aereo tornò a Bari il 15 settembre 1944. A Balestri è stata conferita la Medaglia d’argento al valor militare… Antonio Martino, L’attività di intelligence dell’Organizzazione OTTO nella relazione del prof. Balduzzi, pubblicato su Quaderni savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’età contemporanea dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della Provincia di Savona, n. 24, Savona, 2011

Dal richiamato documento Flap, invece, si estrapolano ancora le seguenti affermazioni: Alle 6 di sera del [giorno non indicato, ma dovrebbe essere il 7 ottobre 1944: si veda infra] partimmo per ROCCHETTA [Rocchetta Nervina (IM)] dove giungemmo dopo quattro ore di marcia. Ripartimmo di nuovo a mezzanotte con la guida PIERINO LOI che ci diresse attraverso la parte principale delle postazioni armate tedesche raggiungendo la periferia di VENTIMIGLIA dopo sei ore di marcia. Qui rimanemmo in un piccolo riparo dietro alla casa dei genitori della guida… Noi avevamo viaggiato da PIGNA in vestiti civili e siccome stava piovendo dalle 6 di sera quando dovemmo attraversare la città, potemmo indossare dei sacchi sulla testa nel modo in cui lo facevano i contadini, il che si aggiunse al nostro travestimento. Camminammo 2-3 chilometri lungo la strada principale che costeggia il fiume ROIA ed attraversammo il ponte nella città vecchia passando oltre le sentinelle tedesche senza sollevare il minimo sospetto ed andando alla casa del pescatore sulla spiaggia. Qui rimanemmo dalle 7 di sera fino a mezzanotte… A mezzanotte portammo la barca (lunga approssimativamente 14 piedi con quattro remi) per una strada e giù attraverso la spiaggia di ciottoli – l’unica area non minata – fino al mare. I pescatori ci portarono vogando, senza ulteriori incidenti, in 3 ore e mezza a Monte Carlo (MONACO) dove sbarcammo [quindi, approssimativamente alle ore 4 del 9 ottobre 1944, data in ogni caso indicata da Brooks Richards, Op.cit.] e ci arrendemmo alla  guarnigione F.F.I. La mattina seguente guidammo fino a Nizza e facemmo rapporto al Maggiore H. GUNN delle Forze Speciali … A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana circa la squadra dei quattro prigionieri di guerra che ci avevano lasciato per TENDA. Fino a quel momento non era arrivata nessuna loro notizia attraverso le pattuglie americane in quell’area… A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana circa la squadra dei quattro prigionieri di guerra che ci avevano lasciato per TENDA. Fino a quel momento non era arrivata nessuna loro notizia attraverso le pattuglie americane in quell’area… I pescatori erano in grado di fornire informazioni preziose alla Sezione di Interpretazione Fotografica del quartier generale americano sulla Forza Tedesca, posizioni delle armi, campi minati, ecc. a VENTIMIGLIA. (Mr. Paul Morton ha i nomi e i documenti di questi due uomini che darà senza dubbio alla Rappresentativa delle Forze Speciali n. 1 con P.W.B. a Roma). Questi uomini furono poi consegnati dal Maggiore GUNN al Capitano Jones, Esercito Americano a Nizza… PIERINO LOI, la guida procurata da LEO, mise su un’operazione straordinaria e non perse nemmeno una volta la pista durante le sei difficili ore di marcia da ROCCHETTA a VENTIMIGLIA… I pescatori sono sicuri che questo percorso  (Ventimiglia – Monaco o Mentone) potrebbe essere usato con successo in entrambi i sensi. Essi affermano che si potrebbero evacuare da VENTIMIGLIA fino a venti persone alla volta se fosse disponibile un’imbarcazione più grande. Ciò vedemmo ed annotammo, e si può attestare che i pescatori condussero a termine il loro piano di evacuazione senza alcuna deviazione…  Adriano Maini

… sarà ancora il Loi che potrà, tramite conoscenze in Nizza iscrivere in forza al comando americano dell’OSS il gruppo [Pedretti, Corradi ed altri] operante alla Marina di San Giuseppe  [di Ventimiglia]… fece il suo inizio la Missione Corsaro [di cui si scriverà in prossimi articoli] Don Nino Allaria Olivieri * in Ventimiglia Partigiana – ANPI – Sezione di Ventimiglia

In effetti la relazione di Long, dopo la premessa che la Missione al completo lasciò Prea, Frazione di Roccaforte Mondovì in provincia di Cuneo, sede della medesima, il 27 settembre 1944 per passare attraverso montagne innevate in Liguria, tratteggia subito le linee di fuga verso la Francia.

Ancora qualche pertinente esempio di partigiani e situazioni citati nella relazione di Long. Su altri ancora si tornerà in seguito.

Vitò, Vittorio Giuseppe Guglielmo, comandante in quel frangente della V^ Brigata Garibaldi, prima ancora organizzatore di uno dei primi distaccamenti partigiani in provincia di Imperia, da dicembre del 1944, poi, comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”: di lui nel citato documento Flap si dice che era stato prigioniero politico del fascismo.

Nino Siccardi, “Curto“,  comandante in quel momento della II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, da dicembre 1944, poi, comandante della “Prima Zona Operativa Liguria”, compresa tra Ventimiglia e l’Albenganese.

La miseria della popolazione dell’entroterra, la penuria di generi alimentari, gli scarsi armamenti dei partigiani, che a loro volta scontano i primi due aspetti.

L’incontro con alcuni civili che reggono la Repubblica di Pigna, costituita il 18 settembre 1944.

L’ammirazione per il comportamento in battaglia dei partigiani. Sull’eroismo dei patrioti combattenti a Pigna (IM) esiste, invero, una discreta letteratura, che discende in larga misura proprio dalle parole entusiaste (una sua frase pittoresca Vous êtes été magnifiques, una wery well bataille, viva garibaldini era già stata riportata in Mario Mascia, Op. cit.), che in merito mise nel suo libro il capitano Morton.  Adriano Maini

… relazione del 5 di ottobre <1944> dell’ispettore della zona. Sul documento non c’è traccia del nome [n.d.r.: si trattava di Simon, detto anche Manes, Carlo Farini, ispettore, per l’appunto, della I^ Zona Operativa Liguria]. La stessa relazione informa delle gravi difficoltà nei rapporti con la formazione autonoma del maggiore “Mauri” **, che ha la sua base in Piemonte, ma si estende fino alla Liguria… Il 20 settembre i  rappresentanti garibaldini vengono invitati in Piemonte per incontrare la missione inglese <la Missione Flap>, che si trova presso il comando Mauri. La relativa relazione del 5 ottobre riferisce che il maggiore inglese si è dimostrato molto interessato alla documentazione delle azioni svolte dalle formazioni Garibaldi e ha dovuto constatare che “contrariamente alle informazioni che aveva ricevuto fino allora, la nostra era una vera e propria organizzazione militare dipendente da Comandi di regione e di zona, efficiente e capace di condurre azioni di una certa importanza”. La missione inglese assiste anche al tentativo fatto dai tedeschi di rioccupare Pigna, e alla brillante azione con cui i garibaldini li rigettano. La propaganda spietatamente anticomunista del maggiore  Mauri viene così totalmente neutralizzata… da 1944 – Le Repubbliche Partigiane

[…] quando nei primi giorni di agosto 1944  Mauri fu catturato nelle Langhe, immediatamente giunse dal comando di Verona un inviato di Harster, il capitano Adolf Wiessner, anch’egli un esperto in materia, il quale non per caso in precedenza aveva operato a Kiew contro il movimento partigiano nazionalista ucraino e che probabilmente fu tra gli artefici della politica di “assorbimento” attuata dai servizi tedeschi nei loro confronti. Wiessner elaborò un piano semplicissimo il cui contenuto lo possiamo ricavare da una serie di appunti vergati a mano su di un registro del comando generale SS di Karl Wolff che recita: “Il capobanda Mauri [è stato] arrestato [e si trova presso il comando] SD di Cuneo. Wiesner [sic] attualmente a Cuneo per le trattative […] Mauri ritorna [presso le sue formazioni partigiane]. Accordo: niente attacchi contro la Wm [ovvero la Wehrmacht]; informazioni sui gruppi comunisti; rastrellamento e presidio delle aree comuniste; prima i comunisti e poi Mauri”.  Con quali intenzioni il comandante autonomo, il cui anticomunismo è ben noto, abbia effettivamente condotto queste trattative è una domanda alla quale, in mancanza dei documenti del comandante partigiano, non possiamo rispondere. E nemmeno siamo in grado di dire se egli abbia intuito la parte del piano tedesco riassunta nell’espressione “prima i comunisti e poi Mauri”. Probabilmente, da comandante abile e astuto quale egli era, lo fece. Appare tuttavia evidente che la versione ufficiale fornita da Mauri, fuga rocambolesca dalle mani naziste durante il trasferimento a Torino, sia da considerare una chiara falsificazione. Dobbiamo infine anche considerare il fatto che, al di là di come egli intendesse regolarsi al suo rientro presso le sue formazioni, la presenza di una missione inglese, giunta proprio durante la sua breve assenza,
non poté non influire sulla sua decisione di continuare la lotta nel movimento di Liberazione. Carlo Gentile in AA.VV, a cura di Paolo Ferrari e di Alessandro Massignani, Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Franco Angeli Edizioni, 2010

… Approfittammo della tregua per porre in salvo la missione alleata, la quale venne accompagnata fino ad un punto di ritrovo in prossimità del fronte germanico, ove le staffette già predisposte avrebbero dovuto guidarla attraverso le linee nemiche, fino alla terra di Francia. Come fummo in seguito informati dal comando alleato l’operazione venne ef­fettuata con pieno successo e senza la perdita di un sol uomo… Doria [Fragola Doria, Armando Izzo, capo di Stato Maggiore della V^ Brigata, da dicembre 1944 comandante della V^ Brigata] in Mario Mascia, Op. cit.

*  Don Antonio Allaria Olivieri “Poggio“, nato ad Andagna, Frazione di Molini di Triora (IM), il 19.11.1923. Nel 1943, ventenne, studente di teologia presso il Seminario di Bordighera. Nel mese di ottobre, rifiutato l’arruolamento nella Repubblica di Salò, in montagna. Con lo pseudonimo di “Poggio”, nella formazione di Guglielmo Vittorio “Vitò” presso Loreto di Triora. Incorporato nelle formazioni garibaldine con prevalenti compiti di staffetta e servizio informazioni. Il 25 maggio 1944 arrestato ad Andagna nel corso di un rastrellamento. Riuscito a fuggire grazie alla complicità di un soldato austriaco, tornato al Distaccamento. Il 18.6.1944 partecipe della battaglia di Carpenosa che vide la liquidazione del presidio tedesco. Il 25 Aprile 1945 a Sanremo con il I° Battaglione “Mario Bini” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” comandato da Vincenzo Orengo “Figaro”.  Vittorio Detassis su Isrecim

** Quando gli alleati si resero conto dell’importanza che la Resistenza italiana avrebbe potuto avere nel sostenere le operazioni militari e l’avanzata angloamericana nel complicato teatro di guerra della Campagna d’Italia, appoggiarono e sostennero le formazioni partigiane con rifornimenti e missioni dietro le linee tedesche, organizzate dagli esponenti dei Servizi segreti alleati in Italia: l’OSS (Office of Strategic Services) americano e il SOE (Special Operations Executive) britannico. Essi misero in piedi un’efficiente rete di spionaggio su tutto il territorio ancora sotto l’occupazione nazifascista, in particolare nella fase in cui il fronte si fermò per lunghi mesi sul fronte della Linea Gotica. Una rete che si avvalse anche dell’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), un servizio di intelligence autonoma con funzioni di collegamento fra i partigiani del CLNAI e il quartier generale delle armate alleate. Le missioni alleate compiute in appoggio alla Resistenza italiana, secondo i dati da fonte statunitense (History of Special Operations) indicano un totale di 4.280 voli compiuti, di cui 2.652 riusciti.  […] La missione più significativa, sia per numero di componenti che per quantità e qualità dei rifornimenti fu quella [n.d.r.: quella che per l’appunto si era incrociata con la già ampiamente citata Missione Flap] lanciata dal Number 1 Special Force britannico nel Cuneese, presso le formazioni autonome del maggiore Enrico Martini “Mauri”, guidata dal maggiore Neville Darewski, che si avvalse anche di un campo di aviazione nelle Langhe. […] Gabriele RonchettiLe montagne dei Partigiani (150 luoghi della Resistenza in Italia), Viaggi nella Storia, Mattioli 1885, 2011