I partigiani ed il cannone di Monte Lega

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Casamatta di Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni
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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Il rastrellamento di luglio [1944] da parte dei nazifascisti non fu lungo. ll Comandante Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo – detto anche “Ivano” o “Vittò “, in quel momento comandante della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”] aveva ordinato ed organizzato una ritirata di emergenza e dava ordini precisi ai vari comandanti dei distaccamenti di attendere i suoi ordini.
Radunò lo Stato Maggiore e studiò nei minimi particolari un attacco alla caserma di Pigna (IM), forte di un presidio di circa 80 uomini, con numerose mitragliatrici sul tetto e con posizioni strategiche di importanza.
Sembrava che la caserma Crespi fosse inattaccabile dalle forze partigiane, in quanto da un lato c’era il torrente Nervia, che corre molto incassato, profondo e passa davanti all’ingresso della caserma.  Dal lato nord un alto monte la difendeva egregiamente.
Dai colli antistanti la caserma, al di là del fiume, si rimaneva troppo distanti per un attacco di un certo effetto. Il monte dietro la caserma, terrazzato con declivio dolce, coltivato ad ulivi, era ben difeso dalle mitragliatrici che erano sul tetto.
Appena cessato il rastrellamento tedesco, Vitò presentò i suoi piani di attacco ai vari distaccamenti.

Il gruppo di Castelvittorio (IM), che aveva sconfitto i tedeschi al lago Pigo durante i rastrellamenti, doveva formare il gruppo di attacco sulla facciata della caserma.

Il distaccamento di Stefano Leo Carabalona [n.d.r.: poco tempo dopo comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato] dalla parte di Rocchetta Nervina (IM), con Lolli [n.d.r.: Giuseppe Longo, poco tempo dopo vice comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato], doveva vegliare con i suoi uomini la strada Dolceacqua-Pigna.

La banda di Moscone [n.d.r.: Basilio Mosconi, poco tempo dopo comandante del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V ^ Brigata], che vigilava a Gordale, a Monte Mela e a La Marigia, doveva essere la forza di rincalzo insieme con le bande di Prealba e di Passoscio sopra Buggio [Frazione di Pigna].

Fuoco [Marco Dino Rossi], abilissimo vice comandante, con Zena che morirà più tardi, con Volpe, con Pagasempre [Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo Capo di Stato Maggiore della V^ Brigata], con Mia [anche “Miria“, Antonio Zoroddu, ex maggiore del Regio Esercito, nato ad Orotelli in provincia di Nuoro il 16 maggio 1897], con Dino di Pigna, e con Cosacco [Pietro Bernocchi], armati quasi esclusivamente di pistole e di bombe a mano, dovevano avvicinarsi al torrente, passarlo, risalire la ripa opposta, attraversare la strada ed irrompere nella caserma dal portone principale, provocando panico e distruzione col lancio di bombe a mano. Salire veloci sul tetto, prendendo alle spalle i mitraglieri.

Questo era un primo progetto, naturalmente suscettibile di cambiamenti qualora le circostante lo avessero richiesto.
E le circostanze arrivarono puntuali, come per appuntamento, a scombussolare ogni iniziativa e a costringere a nuove idee. Il fatto consolante che emergeva era la sicurezza di poter finalmente riuscire a sgombrare la zona dai nazifascisti per una più ampia azione di respiro. Non importava il momento dell’avverarsi del sogno.

I progetti si moltiplicavano. Giulio Manesero di Pigna (IM), l’amico sincero e devoto, pensava a provvedere ad un progettino di impianto di telefoni per collegare tutti i distaccamenti. Si serviva della linea telefonica in atto e con appropriati congegni ed apparecchi poneva un centralino a Pigna ed uno a Carmo Langan [territorio di Castelvittorio]. Aveva già provveduto alla provvista necessaria di filo e di apparecchi telefonici da campo.

don Ermando Micheletto *La V ^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” – Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

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Tabella illustrativa – presente in loco – della vecchia postazione militare di Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni
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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

[…] Era una postazione di mitragliatrici ad alto potenziale che impediva il libero movimento delle formazioni partigiane. Bisognava distruggerla. Fuoco pensò che questo poteva essere fatto solamente utilizzando un cannone da fortezza piazzato su Cima di Marta. Egli ed i suoi uomini riuscirono a caricarlo sopra un camion e malgrado l’enorme peso e le difficoltà del trasporto in tale impervia zona, priva di una vera strada, riuscirono a trasportarlo da Cima Marta a Carmo Langan [nel territorio di Castelvittorio (IM)], quasi a fondo valle, per potere da quella posizione più favorevolmente sparare su Monte Ceppo e contro la casamatta tedesca.
Certo, molto difficile era raggiungere il bersaglio nemico mancando il cannone non solo delle ruote che avrebbero consentito di muoverlo e piazzarlo sul terreno come sarebbe stato necessario, ma anche perché il cannone mancava persino del congegno di puntamento. Ma Fuoco non si perse d’animo e seppe superare ingegnosamente queste difficoltà, che sarebbero sembrate a chiunque insormontabili, e il cannone… fece fuoco. E fece fuoco tanto bene che i suoi colpi presero in pieno la casamatta tedesca e la postazione nemica fu distrutta. Naturalmente il Gruppo di Fuoco dovette abbandonare subito, provvisoriamente, la postazione ed il cannone per ritirarsi sul Passo della Mezzaluna. Poi la guerriglia riprese come prima, più tenace di prima.
Ma questo non è che un episodio, uno dei tanti episodi che possono dare una pallida idea di quanto eroismo, di quanto sacrificio e quale impegno fu sempre necessario ai partigiani per concludere la loro lotta contro gli invasori tedeschi ed i fascisti, per aprire le vie alla Liberazione ed al progresso civile del nostro paese.
On. Carlo Farini (“Simon“)
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985, pp. 87-89

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Fuoco, con i suoi uomini, destinati ad entrare nella caserma, per una migliore riuscita dell’impresa, propose al comando ed ottenne il permesso di andare a Monte Lega, dove vi era in un forte un pezzo di artiglieria 75/27.
Con esso si intendeva bombardare la caserma da Monte Moro in concomitanza con gli attacchi che sarebbero stati effettuati dai vari distaccamenti.
A Monte Lega dopo inauditi sforzi, aiutati da alcuni contadini di Pigna, sul luogo per lavori campestri, i partigiani riuscirono a tirar fuori dalla fortificazione il pezzo di artiglieria.
Si dovette farlo salire sui gradini che dall’entrata giungevano sulla strada. Pesava circa undici quintali.
Ma il cannone, con un ricco corredo di proiettili, mancava di cariche.
Fermati gli uomini a custodia, Fuoco, si avviava di corsa verso Roverino [Frazione di Ventimiglia (IM)], dove sapeva che vi erano molte cariche.
Il tragitto da percorrere era lungo, occorrevano molte ore.
Verso sera Pagasempre notò un movimento di uomini verso Cima Marta.
Di tanto in tanto da loro partiva qualche sparo come ad avvisare del loro arrivo.
Per i partigiani l’ordine era di rimanere di guardia e vi rimasero tutta la notte, all’erta. La notte calda e la luna aiutavano la vigilanza.
Al mattino dopo il sorgere del sole, tra Pietravecchia e il Toraggio, su un sentiero militare, si vide una lunga colonna di uomini e di muli.
Potevano essere cinquecento unità. Data però la distanza ragguardevole e la mancanza di un binocolo, gli uomini di guardia al cannone non seppero prendere una decisione.
Chi erano gli uomini della colonna?
Ogni supposizione non poteva avere una soluzione precisa e chiara.
Mandare un uomo a vedere significava che avrebbe dovuto assentarsi e che non avrebbe potuto aiutare se fosse stato necessario occultare il cannone.
A toglierli dalla incertezza, verso le ore nove, due contadini tornando dal Toraggio, dove avevano segato il fieno, si avvicinarono a noi di corsa, e gridavano: «I tedeschi, i tedeschi!».

Il cannone lo si poteva considerare perduto.

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Quanto sudore aveva spremuto agli uomini per toglierlo dalla tana.
Fuoco non era ancora di ritorno. Il guaio era che aveva voluto andare da solo. Se gli fosse capitato un’avventura, sempre possibile in guerra, non si sarebbe potuto sapere nulla. Pochi come erano e per di più in posizione di svantaggio, coprirono in fretta, con rami d’albero e con sterpi il cannone, per occultarlo alla vista dei tedeschi.
Si ritirarono in posizione più sicura.
Ci fu dello scoraggiamento per l’impresa non riuscita. Era quello il primo atto di delusione che si contrapponeva al magnifico progettato attacco alla caserma di Pigna.
Senz’altro il movimento di truppe naziste, con tutte le salmerie, era diretto verso la zona partigiana per un rastrellamento.
Bisognava dare l’allarme e mettere in guardia tutti i distaccamenti. In quel tempo però, purtroppo, i collegamenti facili di telefono non c’erano e quelli delle staffette erano troppo lenti.
Gli uomini della Resistenza non si conoscevano bene tra loro e dominava ancora una certa volontà di autogoverno indipendente.
Conveniva avvisare di passaggio ed andare subito al comando. Così si fece. Due uomini partirono di corsa, gli altri si nascosero nel bosco sovrastante la strada, tenendo d’occhio la colonna, che distava, allora, non più di cinquecento metri.
Si seppe qualche giorno dopo che la colonna non aveva intenzioni di lotta contro i partigiani, ma che il trasferimento era dovuto ad una marcia di addestramento per esercitare i nuovi arrivati dalla Germania. Ma allora non si sapeva e la realtà appariva molto diversa. Bisognava attendere gli eventi e sperare nella buona sorte. Bisognava non lasciarsi dominare dagli imprevisti, irriducibili in una guerra.

[n.d.r.: i partigiani usarono il cannone, opportunamente spostato, per bombardare nel pomeriggio del 22 luglio 1944 la caserma di Dolceacqua; alla fine di agosto iniziò, poi, la battaglia per Pigna]

don Ermando Micheletto *Op. cit.

* … Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell’assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976