Una spedizione dalla zona di Triora e Bregalla verso la Francia per guidare sei anglo-americani

Tenda – Fonte: http://www.neldeliriononeromaisola.it
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Un tratto di Alpi Marittime prossimo al confine italo-francese

La collaborazione antifascista tra Italiani e Francesi nelle Alpi Liguri e nelle Alpi Marittime, dopo l’8 settembre 1943 trasformatasi in collaborazione armata nella lotta contro i nazifascisti, ha origini lontane […] Infatti nel Sud-Est della Francia i resistenti incaricati raccolsero numerose informazioni valide e dal 3 gennaio 1943 furono autorizzati dai quadri superiori della Resistenza francese ad attaccare e sabotare le organizzazioni civili fasciste, cercando di evitare la frattura con le truppe regolari italiane d’occupazione. Nel luglio del 1943 una buona parte del Comitato di Informazione italiano e dell’O.V.R.A. erano passati sotto il quadro dell’Intelligence Service inglese. (Da una testimonianza scritta del comandante partigiano francese Joseph Manzoni detto “Joseph le Fou”). Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell’Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

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Una delle mappe a suo tempo utilizzate da Joseph Manzone. Copia di Giuseppe Mac Fiorucci

Joseph Manzone [nd.r.: come si può notare nelle fonti sussiste incertezza sull’esatta dicitura del cognome di questo importante personaggio della Resistenza francese, talvolta indicato come Manzone (versione la più ricorrente), talvolta come Manzoni], detto le fou (il pazzo), era una figura di spicco della Resistenza di Nizza. In particolare collaborò attivamente con il capitano Geoffrey M.T. Jones, capo del servizio di informazione americano, nelle missioni facenti capo ai servizi segreti alleati presso il maniero Belgrano di Nizza. Portò a termine importanti missioni in territorio nemico, cioé italiano, per la raccolta di informazioni sul dislocamento delle truppe nemiche. Di rilievo la collaborazione del Manzone con i Partigiani italiani della Divisione del comandante Rocca. Note preparatorie, non pubblicate, di Giuseppe Mac Fiorucci per Gruppo Sbarchi Vallecrosia < Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM)>, 2007

Johnny [Gian Sandro] Menghi, capo della missione Youngstown/Melon era stato catturato dalle SS ma era riuscito, fortunatamente, a scappare e ad attraversare il confine a Ventimiglia, quasi in contemporanea con l’operazione Anvil, ovvero gli sbarchi degli Alleati nel Sud della Francia. Fuggendo, aveva nascosto delle mappe che riportavano le difese dell’Asse lungo la costa ligure. Quando raggiunse Bonfiglio, insieme tornarono indietro e, con grande rischio personale, recuperarono le mappe dal nascondiglio. Max Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani 1942-1945, Libreria Editrice Goriziana, 2006

[…] Caso particolare fu l’attività svolta dall’italiano tenente Rivosecchi * che, inviato in missione nel Piemonte occidentale, si era preso cura di quei partigiani rifugiati in Francia che subivano maltrattamenti dalle autorità indigene, in HS 6/846del 2-6-45, ?-Officer Commanding N 1 Special Force; L. RIVOSECCHI, Missione mista Crosse…cit., p. 145 e ss., «i nostri combattenti venivano accolti duramente in Francia», al punto che «lo scopo della missione era improntato su una collaborazione efficace con le autorità militari francesi, per soccorrere i partigiani ed ottenere un trattamento migliore nei loro confronti». Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia, 2007

* [n.d.r.: la lapide dedicata alla memoria del tenente Livio Rivosecchi, già insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare —con D.L. 31 gennaio 1947, sulla caserma della Guardia di Finanza in Contrada Sant’Andrea di Fermo nelle Marche, indica che Rivosecchi fu operativo nella Special Force Service britannica, una volta paracadutato in Piemonte, dall’agosto 1944 all’aprile 1945] 

… Oldoino Maurizio (Mauro) < anche Leo >, che salì in montagna subito dopo l’8 settembre 1943, entrò poi nella banda garibaldina di Tito < Rinaldo Risso, o Tito R., in seguito vice comandante della II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione” > dove rimase dal febbraio al marzo 1944, entrerà quindi – ritornato in Sanremo – nelle formazioni GAP (2 agosto), ed infine da queste inviato in Francia per tentare di mettersi in contatto con gli Alleati, resterà tagliato fuori dai tedeschi, ed entrerà nel Maquis (nome di battaglia “Batté Leo”), dove sarà promosso sergente di un battaglione di volontari stranieri, con i quali per oltre sette mesi combatterà contro i tedeschi sul confine italiano… Giovanni Strato, Storia della Resistenza imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

19/9/1944 – Per motivi di sicurezza ci trasferiamo dalla pensione Mimosa a Villa Lucca, sotto Roquebrune, di fronte a Montecarlo. Davanti allo splendido mare della Costa Azzurra […] Ogni settimana, al comando degli Americani, eravamo destinati ad eseguire missioni sempre più pericolose. Divisi in due gruppi, uno agiva in montagna per individuare le posizioni tedesche, l’altro, via mare, stabiliva collegamenti con i partigiani di Ventimiglia. Giorgio Lavagna (Tigre) <1>, Dall’Arroscia alla Provenza – Fazzoletti Garibaldini nella ResistenzaIsrecim, ed. Cav. A. Dominici, Oneglia Imperia, 1982 

[ n.d.r.: a settembre 1944 Lavagna ed il suo gruppo furono arruolati nella FSSF, First Special Service Force (chiamata anche The Devil’s Brigade, The Black Devils, The Black Devils’ Brigade, Freddie’s Freighters), reparto d’elite statunitense-canadese di commando, impiegato anche nella Operazione Dragoon nel sud della Francia, tuttavia sciolto nel dicembre 1944; a questa data per non farsi internare dalle autorità francesi, questi garibaldini si trovarono costretti ad immatricolarsi nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese]

[…] Fosse caduto un po’ più a nord, Harris avrebbe potuto sperare di raggiungere la Svizzera: nel Vercellese erano attive da tempo organizzazioni legate alla Resistenza, sorte, in origine, per aiutare gli ex prigionieri fuggiti dopo l’8 settembre, che mantenevano i contatti con i partigiani dell’Ossola [5]. Trovandosi però in prossimità della Zona Libera dell’Alto Monferrato, Harris fu avviato in questa direzione. Mediante marce notturne raggiunse il borgo di Canelli, <<dove una banda di partigiani comandata da un certo Capitano Tino aveva il suo quartier generale>>: si trattava della Brigata Asti, una delle cosiddette <<formazioni autonome>> dipendenti da Enrico Martini Mauri. Martini, ex ufficiale del Regio Esercito, operava in sintonia con la missione britannica del maggiore Temple, paracadutata nella zona sin dall’estate precedente. Tino era il nome di battaglia di Augusto Bobbio, anch’egli un ex ufficiale, comandante della brigata.
[…] Klemme, caduto al confine con il Piemonte, fu dunque indirizzato verso il Monferrato e si ritrovò con Walker Harris. Entrambi, purtroppo, persero il volo del 19 novembre [1944]. Il giorno successivo, i tedeschi attaccarono il campo d’aviazione di Vesime, se ne impadronirono e dissestarono il terreno di volo arandolo ripetutamente. I partigiani sarebbero nuovamente riusciti a rimetterlo in funzione, ma non prima della primavera successiva. Sfumata questa possibilità, Augusto Bobbio decise di trasferire Harris e Klemme a Prea, nella zona di Cuneo.
I due aviatori, marciando sempre di notte, giunsero a Prea tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 1944. Furono presi in consegna dai partigiani di un’altra formazione autonoma, la Divisione Alpi di Pietro Cosa, che operava in collegamento con una Missione militare [Flap] anch’essa britannica […]
[5] Massimiliano Tenconi, Prigionia, sopravvivenza e Resistenza. Storie di australiani e neozelandesi in provincia di Vercelli (1943-1945), “L’Impegno”, giugno 2008.
Alberto Magnani, I sentieri della salvezza. Aviatori americani e resistenza italiana tra Piemonte e Liguria, in Gruppo Ricercatori Aerei Caduti Piacenza (Grac)

[ ndr:  Ross, Michael Ross, nel suo From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy, Minerva Press, London, 1997 (aggiornato di recente dal figlio, Michael Ross, in The British Partisan, Pen & Sword, London, 2019), raccontò in modo dettagliato anche la permanenza sua e di Bell tra i partigiani imperiesi. Dei patrioti non fece mai nomi veri o di battaglia, ad eccezione del sopra citato Giuseppe Porcheddu e della sua famiglia, presso i quali i due ufficiali britannici trovarono ospitalità clandestina per circa un anno, di Renato Brunati, martire della Resistenza, e Lina Meiffret, (poi fortunosamente tornata salva dalla deportazione in Germania, ma tormentata, a dir poco, nello spirito), i quali per primi sul finire del 1943 diedero loro rifugio ai due ufficiali in Baiardo, di Vito – Vitò, Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”,  di Achille – identificabile in Achille “AndreaLamberti del Gruppo Sbarchi Vallecrosia, tra gli organizzatori della loro esfiltrazione definitiva verso gli alleati con arrivo in barca a remi (a marzo 1945) a Montecarlo e di Giuseppe Porcheddu, colui che li tenne nascosti per circa un anno e che tentò di aiutarli in varie maniere. Di questo libro qui si vogliono citare solo alcuni fatti immediatamente antecedenti la fuga finale. Che per tre volte,  a seguito delle comunicazioni via radio fatte dal telegrafista dell’ufficiale di collegamento alleato, il capitano del SOE britannico Robert Bentley, un sommergibile inglese si avvicinò alla costa vicino a Taggia – forse alla Curva del Don di Riva Ligure, già altre volte pensata per simili missioni; che che per due volte la scorta dei partigiani ed il gruppetto degli alleati – tra i quali i sopra menzionati Erickson e Klemme – che dovevano imbarcarsi dovettero fuggire perché trovarono i tedeschi che li mitragliarono con l’ausilio di bengala; che all’ultimo appuntamento con il natante i nazisti attesero invano, perché nel frattempo i garibaldini avevano individuato la spia che aveva messo in allarme il nemico, una giovane donna, di probabile origine iugoslava, prontamente giustiziata. Che risultarono dispersi, poco prima della loro partenza, due partigiani e due americani, indicati come Ricky e Reg. E che alla fine si compose la squadra che, formata da Ross, Bell e due piloti alleati sfuggiti alla cattura da parte nazifascista, marciò attraverso l’entroterra di Sanremo, Negi di Perinaldo, Vallebona verso Vallecrosia, punto clandestino di partenza per la Francia]

22 febbraio 1945 – Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione – Segnalava che: “… occorre che il comandante ‘Ivano’ [anche Vitò, Vittò, Giuseppe Vittorio Guglielmo] organizzi una spedizione dalla zona di Triora e Bregalla verso la Francia per guidare sei anglo-americani. È previsto un premio per le guide di lire 4.000 per ogni persona condotta oltre frontiera verso le forze alleate…”     30 marzo 1945 – Dal comando della I^ Divisione “Gin Bevilacqua [della II^ Zona Operativa Liguria] alla Sezione SIM (Servizio Informazioni Militari) della II^ Divisione “Felice Cascione”  [della I^  Zona Operativa Liguria] – Richiesta urgente per avere informazioni sui movimenti nemici alla frontiera italo-francese, dovendo inviare segnalazioni del proprio SIM alla missione alleata in Piemonte.    22 aprile 1945Da Kimi [Ivar Oddone, commissario politico della II^ Divisione] al comando della II^ Divisione – Segnalava che una fonte attendibile riferiva che la radio francese aveva annunciato la notizia dell’occupazione di Briga Marittima [La Brigue, Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime] da parte delle truppe degaulliste e la penetrazione delle stesse in territorio italiano.    22 aprile 1945Dal comando della II^ Divisione al comando della I^ Zona Operativa Liguria – Si chiedevano con urgenza precise disposizioni nei confronti delle truppe liberatrici, che con ogni probabilità saranno Degolliste; le competenze nei confronti del CLN e delle SAP secondo gli accordi intervenuti tra voi e dette organizzazioni… se bisogna portare gradi, in caso positivo quali.    23 aprile 1945 – Dal comando della VI^ Divisione “Silvio Bonfante”, prot. n° 330, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria – Comunicava che in pari data era giunto presso quel comando il capitano Bartali [Giovanni Bortoluzzi] della Missione Alleata.    30 maggio 1945 – Da H.Q. Allied Liaison Mission I^ Ligurian Zone a “Ramon” [Raymond Rosso], capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione –  Veniva espresso il ringraziamento del Capitano “Bartali[Giovanni Bortoluzzi], vice comandante della missione inglese nella I^ Zona, per la collaborazione accordata nei mesi passati.  da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 – 1999

Il 6 febbraio 1945 il servizio di controspionaggio tedesco arrestò diversi agenti alleati. L’agente francese Jean Soletti alla Cima del Diavolo [dipartimento francese delle Alpi Marittime] mentre cercava di attraversare la linea del fronte. L’agente Charles Canevas a Tenda [Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime]. Il 12 febbraio tre agenti inglesi a Tenda: furono gravemente torturati. Due agenti francesi furono feriti dalle mine durante l’attraversamento del Col de Raus [dipartimento francese delle Alpi Marittime] l’11 febbraio 1945. Il 24 marzo l’agente francese François Raibaut fu ucciso mentre tentava il passaggio delle linee nella Valle del Boréon [dipartimento francese delle Alpi Marittime]: doveva recarsi in Italia con l’agente Barel, che nell’occasione rimase solo leggermente ferito. Anche italiani subirono perdite durante le missioni. Il 4 gennaio 1945 a Ventimiglia [(IM)] fu ucciso Gino Punzi, mentre cercava di effettuare una missione per i servizi di informazione alleati. Il 1 gennaio 1945 mentre stavano per sbarcare nel porto di Mentone un agente fu ucciso ed un altro ferito dai militari di guardia, che, per pessimo coordinamento dei servizi, li avevano scambiati per agenti tedeschi.  Pierre-Emmanuel KlingbeilLe front oublié des Alpes-Maritimes (15 août 1944- 2 mai 1945), Ed. Serre, 2005

Molti dei Ventimigliesi incorporati nelle unità alleate unita­mente a numerosi partigiani  parteciparono a fine marzo 1945 con le truppe alleate alla sanguinosa battaglia dell’Aution, che terminava con la cacciata delle truppe tedesche dal Bacino del Roia…
MARTIRIO E RESISTENZA della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale, Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare, Comune di Ventimiglia (IM), 10  aprile 1971

 

I partigiani ed il cannone di Monte Lega

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Casamatta di Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Il rastrellamento di luglio [1944] da parte dei nazifascisti non fu lungo. ll Comandante Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo – detto anche “Ivano” o “Vittò “, in quel momento comandante della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”] aveva ordinato ed organizzato una ritirata di emergenza e dava ordini precisi ai vari comandanti dei distaccamenti di attendere i suoi ordini.
Radunò lo Stato Maggiore e studiò nei minimi particolari un attacco alla caserma di Pigna (IM), forte di un presidio di circa 80 uomini, con numerose mitragliatrici sul tetto e con posizioni strategiche di importanza.
Sembrava che la caserma Crespi fosse inattaccabile dalle forze partigiane, in quanto da un lato c’era il torrente Nervia, che corre molto incassato, profondo e passa davanti all’ingresso della caserma.  Dal lato nord un alto monte la difendeva egregiamente.
Dai colli antistanti la caserma, al di là del fiume, si rimaneva troppo distanti per un attacco di un certo effetto. Il monte dietro la caserma, terrazzato con declivio dolce, coltivato ad ulivi, era ben difeso dalle mitragliatrici che erano sul tetto.
Appena cessato il rastrellamento tedesco, Vitò presentò i suoi piani di attacco ai vari distaccamenti.

Il gruppo di Castelvittorio (IM), che aveva sconfitto i tedeschi al lago Pigo durante i rastrellamenti, doveva formare il gruppo di attacco sulla facciata della caserma.

Il distaccamento di Stefano Leo Carabalona [n.d.r.: poco tempo dopo comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato] dalla parte di Rocchetta Nervina (IM), con Lolli [n.d.r.: Giuseppe Longo, poco tempo dopo vice comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato], doveva vegliare con i suoi uomini la strada Dolceacqua-Pigna.

La banda di Moscone [n.d.r.: Basilio Mosconi, poco tempo dopo comandante del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V ^ Brigata], che vigilava a Gordale, a Monte Mela e a La Marigia, doveva essere la forza di rincalzo insieme con le bande di Prealba e di Passoscio sopra Buggio [Frazione di Pigna].

Fuoco [Marco Dino Rossi], abilissimo vice comandante, con Zena che morirà più tardi, con Volpe, con Pagasempre [Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo Capo di Stato Maggiore della V^ Brigata], con Mia [anche “Miria“, Antonio Zoroddu, ex maggiore del Regio Esercito, nato ad Orotelli in provincia di Nuoro il 16 maggio 1897], con Dino di Pigna, e con Cosacco [Pietro Bernocchi], armati quasi esclusivamente di pistole e di bombe a mano, dovevano avvicinarsi al torrente, passarlo, risalire la ripa opposta, attraversare la strada ed irrompere nella caserma dal portone principale, provocando panico e distruzione col lancio di bombe a mano. Salire veloci sul tetto, prendendo alle spalle i mitraglieri.

Questo era un primo progetto, naturalmente suscettibile di cambiamenti qualora le circostante lo avessero richiesto.
E le circostanze arrivarono puntuali, come per appuntamento, a scombussolare ogni iniziativa e a costringere a nuove idee. Il fatto consolante che emergeva era la sicurezza di poter finalmente riuscire a sgombrare la zona dai nazifascisti per una più ampia azione di respiro. Non importava il momento dell’avverarsi del sogno.

I progetti si moltiplicavano. Giulio Manesero di Pigna (IM), l’amico sincero e devoto, pensava a provvedere ad un progettino di impianto di telefoni per collegare tutti i distaccamenti. Si serviva della linea telefonica in atto e con appropriati congegni ed apparecchi poneva un centralino a Pigna ed uno a Carmo Langan [territorio di Castelvittorio]. Aveva già provveduto alla provvista necessaria di filo e di apparecchi telefonici da campo.

don Ermando Micheletto *La V ^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” – Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

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Tabella illustrativa – presente in loco – della vecchia postazione militare di Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

[…] Era una postazione di mitragliatrici ad alto potenziale che impediva il libero movimento delle formazioni partigiane. Bisognava distruggerla. Fuoco pensò che questo poteva essere fatto solamente utilizzando un cannone da fortezza piazzato su Cima di Marta. Egli ed i suoi uomini riuscirono a caricarlo sopra un camion e malgrado l’enorme peso e le difficoltà del trasporto in tale impervia zona, priva di una vera strada, riuscirono a trasportarlo da Cima Marta a Carmo Langan [nel territorio di Castelvittorio (IM)], quasi a fondo valle, per potere da quella posizione più favorevolmente sparare su Monte Ceppo e contro la casamatta tedesca.
Certo, molto difficile era raggiungere il bersaglio nemico mancando il cannone non solo delle ruote che avrebbero consentito di muoverlo e piazzarlo sul terreno come sarebbe stato necessario, ma anche perché il cannone mancava persino del congegno di puntamento. Ma Fuoco non si perse d’animo e seppe superare ingegnosamente queste difficoltà, che sarebbero sembrate a chiunque insormontabili, e il cannone… fece fuoco. E fece fuoco tanto bene che i suoi colpi presero in pieno la casamatta tedesca e la postazione nemica fu distrutta. Naturalmente il Gruppo di Fuoco dovette abbandonare subito, provvisoriamente, la postazione ed il cannone per ritirarsi sul Passo della Mezzaluna. Poi la guerriglia riprese come prima, più tenace di prima.
Ma questo non è che un episodio, uno dei tanti episodi che possono dare una pallida idea di quanto eroismo, di quanto sacrificio e quale impegno fu sempre necessario ai partigiani per concludere la loro lotta contro gli invasori tedeschi ed i fascisti, per aprire le vie alla Liberazione ed al progresso civile del nostro paese.
On. Carlo Farini (“Simon“)
Osvaldo Contestabile, La Libera Repubblica di Pigna, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 1985, pp. 87-89

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Fuoco, con i suoi uomini, destinati ad entrare nella caserma, per una migliore riuscita dell’impresa, propose al comando ed ottenne il permesso di andare a Monte Lega, dove vi era in un forte un pezzo di artiglieria 75/27.
Con esso si intendeva bombardare la caserma da Monte Moro in concomitanza con gli attacchi che sarebbero stati effettuati dai vari distaccamenti.
A Monte Lega dopo inauditi sforzi, aiutati da alcuni contadini di Pigna, sul luogo per lavori campestri, i partigiani riuscirono a tirar fuori dalla fortificazione il pezzo di artiglieria.
Si dovette farlo salire sui gradini che dall’entrata giungevano sulla strada. Pesava circa undici quintali.
Ma il cannone, con un ricco corredo di proiettili, mancava di cariche.
Fermati gli uomini a custodia, Fuoco, si avviava di corsa verso Roverino [Frazione di Ventimiglia (IM)], dove sapeva che vi erano molte cariche.
Il tragitto da percorrere era lungo, occorrevano molte ore.
Verso sera Pagasempre notò un movimento di uomini verso Cima Marta.
Di tanto in tanto da loro partiva qualche sparo come ad avvisare del loro arrivo.
Per i partigiani l’ordine era di rimanere di guardia e vi rimasero tutta la notte, all’erta. La notte calda e la luna aiutavano la vigilanza.
Al mattino dopo il sorgere del sole, tra Pietravecchia e il Toraggio, su un sentiero militare, si vide una lunga colonna di uomini e di muli.
Potevano essere cinquecento unità. Data però la distanza ragguardevole e la mancanza di un binocolo, gli uomini di guardia al cannone non seppero prendere una decisione.
Chi erano gli uomini della colonna?
Ogni supposizione non poteva avere una soluzione precisa e chiara.
Mandare un uomo a vedere significava che avrebbe dovuto assentarsi e che non avrebbe potuto aiutare se fosse stato necessario occultare il cannone.
A toglierli dalla incertezza, verso le ore nove, due contadini tornando dal Toraggio, dove avevano segato il fieno, si avvicinarono a noi di corsa, e gridavano: «I tedeschi, i tedeschi!».

Il cannone lo si poteva considerare perduto.

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Monte Lega. Foto: Bruno Calatroni

Quanto sudore aveva spremuto agli uomini per toglierlo dalla tana.
Fuoco non era ancora di ritorno. Il guaio era che aveva voluto andare da solo. Se gli fosse capitato un’avventura, sempre possibile in guerra, non si sarebbe potuto sapere nulla. Pochi come erano e per di più in posizione di svantaggio, coprirono in fretta, con rami d’albero e con sterpi il cannone, per occultarlo alla vista dei tedeschi.
Si ritirarono in posizione più sicura.
Ci fu dello scoraggiamento per l’impresa non riuscita. Era quello il primo atto di delusione che si contrapponeva al magnifico progettato attacco alla caserma di Pigna.
Senz’altro il movimento di truppe naziste, con tutte le salmerie, era diretto verso la zona partigiana per un rastrellamento.
Bisognava dare l’allarme e mettere in guardia tutti i distaccamenti. In quel tempo però, purtroppo, i collegamenti facili di telefono non c’erano e quelli delle staffette erano troppo lenti.
Gli uomini della Resistenza non si conoscevano bene tra loro e dominava ancora una certa volontà di autogoverno indipendente.
Conveniva avvisare di passaggio ed andare subito al comando. Così si fece. Due uomini partirono di corsa, gli altri si nascosero nel bosco sovrastante la strada, tenendo d’occhio la colonna, che distava, allora, non più di cinquecento metri.
Si seppe qualche giorno dopo che la colonna non aveva intenzioni di lotta contro i partigiani, ma che il trasferimento era dovuto ad una marcia di addestramento per esercitare i nuovi arrivati dalla Germania. Ma allora non si sapeva e la realtà appariva molto diversa. Bisognava attendere gli eventi e sperare nella buona sorte. Bisognava non lasciarsi dominare dagli imprevisti, irriducibili in una guerra.

[n.d.r.: i partigiani usarono il cannone, opportunamente spostato, per bombardare nel pomeriggio del 22 luglio 1944 la caserma di Dolceacqua; alla fine di agosto iniziò, poi, la battaglia per Pigna]

don Ermando Micheletto *Op. cit.

* … Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell’assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Arrivarono gli inglesi e Leo fu finalmente ricoverato al Pasteur di Nizza

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Il teatro di mare su cui operavano di notte i partigiani del mare

Nell’estate 1944 i servizi segreti americani avevano inviato sulla costa una rete di informatori, capeggiati da Gino Punzi .
Dovendo tornare in Francia, per attraversare le linee [non era certo la prima volta] Gino Punzi si avvalse della collaborazione di un passeur, dal quale, poiché era passato al soldo dei tedeschi, durante il viaggio venne ucciso [n.d.r.: ferito nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 1945 in una casa in zona Marina San Giuseppe a Ventimiglia, agonizzante, ricevette il colpo di grazia per ordine di un agente dei servizi segreti della Marina da Guerra tedesca]. Il comandante tedesco si infuriò perché avrebbe voluto catturare vivo il Gino. Sul suo cadavere furono rinvenuti dei documenti, dai quali i tedeschi vennero a conoscenza del fatto che sarebbero stati inviati altri agenti e telegrafisti alleati.
I tedeschi predisposero una trappola e quando arrivò il telegrafista “
Eros” lo catturarono ferendolo. Si avvalsero di lui per trasmettere falsi messaggi al comando alleato di Nizza.
Con questi falsi messaggi fu richiesto l’invio di un’altra missione: la missione “Leo”.
Renzo Biancheri, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia <Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007

Al centro della fotografia Stefano Leo Carabalona nella baia di Villefranche-sur-Mer

Luciano “Rosina” Mannini in Mario Mascia, L’Epopea dell’esercito scalzo (ed. ALIS, 1945), definisce, invece, “Missione Leo” la vera e propria presa di contatto di Carabalona, comandante della Missione Militare (dei partigiani della I^ Zona Operativa Liguria) presso il Comando Alleato, con gli Alleati, Missione perfezionata il 15 dicembre 1944 con l’arrivo tra gli Alleati della Missione partigiana Kanheman; nella missione Leo erano – sempre  secondo Mannini – coinvolti, tra gli altri, Giulio “Caronte” o “Corsaro” Pedretti e Pasquale Pirata Corradi di Ventimiglia (IM), della Missione o Gruppo Corsaro di Ventimiglia, nonché Lolli, Giuseppe Longo, vice comandante di Carabalona, e lui stesso, Mannini (di Vallecrosia); rientrarono, dopo adeguata preparazione fornita dagli Alleati, a metà gennaio 1945, come si può leggere anche in Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II, Paperback, 2013, che definisce tale rientro come una missione dell’OSS statunitense. Adriano Maini

La missione andò a rotoli con il ferimento [era l’8, forse il 9, febbraio 1945] di “Leo” [Stefano Carabalona], che venne nascosto nella cantina di casa mia.
I tedeschi rastrellarono tutta la zona cercando
“Leo”; “visitarono” anche la mia casa: sulla porta rimasero le impronte dei chiodi degli scarponi di quando sfondarono l’ingresso a calci.
Ma non cercarono in cantina. Si limitarono ad arraffare del cibo dalla cucina. Con Renzo Rossi nascondemmo tutti i documenti del SIM e del CNL nel mio giardino, preparandoci al trasferimento di
“Leo” in Francia.
Il Gruppo Sbarchi Vallecrosia aveva frattanto predisposto una barca. Renzo Rossi con Lotti [Aldo Levis Lotti, commissario della squadra S.A.P. di Vallecrosia] avevano preavvisato i bersaglieri della necessità di effettuare l’imbarco quanto prima possibile.


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La collaborazione dei bersaglieri fu determinante per tutte le operazioni del Gruppo Sbarchi. Il sergente Bertelli comandava un gruppo di bersaglieri a Collasgarba – sopra Nervia di Ventimiglia – e aveva manifestato la volontà di aderire alla Resistenza. Fu avvicinato dai fratelli Biancheri [martiri della Resistenza], detti Lilò, per stabilire le modalità della diserzione, quando il plotone fu distaccato alla difesa costiera giusto sulla costa di Vallecrosia in prossimità del bunker alla foce del Verbone.

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Una vecchia fotografia, tratta da Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Op. cit. infra, attinente il presidio dei bersaglieri a Vallecrosia (IM)

I Lilò convinsero allora i bersaglieri a non disertare, ma ad operare dall’interno per consentire ed agevolare le nostre operazioni. Alla data convenuta, in pieno giorno trasferimmo “Leo” a Vallecrosia, facendolo sedere sulla canna della bicicletta di Renzo. In pieno giorno, perché approfittammo di un furioso bombardamento. Le strade erano deserte, solo granate che esplodevano da tutte le parti. Ricoverammo “Leo” in casa di Achille [Achille Lamberti di Vallecrosia, “Andrea“], aspettando la notte. Al momento opportuno ci trasferimmo sul lungomare; il soldato tedesco di guardia, come al solito, era stato addormentato da Achille con del sonnifero fornito dal dr. [Salvatore] Marchesi [nomi di battaglia “Turi“, “Salibra“, “Salvamar“, ispettore circondariale del CLN di Sanremo, fratello del prof. Concetto Marchesi, quest’ultimo, come noto, un insigne latinista e figura di spicco della Resistenza a livello nazionale], laureato in chimica. Renzo Biancheri, Op. cit.

7 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo a Turi Salibra ed al CLN di Bordighera - L'ufficiale addetto al Comando, Piero [Pietro De Andreis], sarebbe stato con il CLN di Bordighera al momento dello sbarco per la ripartizione delle armi provenienti dalla Francia. In base agli accordi le armi sarebbero state assegnate per il 25% alle SAP di Ventimiglia, Vallecrosia e Bordighera e per il restante alle SAP di Ospedaletti, Sanremo, Taggia e Riva-Santo Stefano [allora comune unico]...  da un documento Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
I bersaglieri ci aiutarono a mettere in acqua la barca e a caricare “Leo” ferito. Cominciammo a remare, ma, dopo poche centinaia di metri, la barca cominciò ad imbarcare acqua. Non potevamo tornare indietro. Mentre io e “Rosina” (Luciano Mannini) remavamo, “Leo” e Renzo [Renzo Rossi] si misero di buona lena a gottare, con una sassola che, per puro caso, avevamo portato con noi.
Riuscimmo a tenere il mare e ad arrivare al porto di Monaco. Con la pila facemmo i soliti segnali, ma non ricevemmo alcuna risposta; entrammo nel porto e accostammo alla banchina. Chiamammo una ronda di passaggio, che ci portò al comando di polizia, dove chiedemmo di informare Milou, l’agente di collegamento.
Arrivarono gli inglesi e “Leo” fu finalmente ricoverato al Pasteur di Nizza. Anche io e “Rosina” ci facemmo medicare il palmo delle mani piagate dal remare.

Renzo Biancheri, Op. cit.

... Anche io fui condotto a Montecarlo, con Renzo Rossi, Girò [Pietro Gerolamo Marcenaro] e Renzo Biancheri, già allora sordo come una campana. Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata. Fummo accolti dal capitano Lamb, che ci condusse a Le Petit Rocher... Renzo Biancheri chiese di poter usare il telefono, compose il numero e ottenuta la comunicazione tra lo stupore generale iniziò a cantare Polvere di Stelle. Renzo era sordo e come tutti i duri d’orecchio cantava bene. Sussurrava la melodia d’amore di “Polvere di Stelle”, alle orecchie di una interlocutrice, evidentemente conosciuta in qualche precedente missione e con la quale di certo non scambiava lunghe conversazioni: 
Sometimes I wonder why I spend
The lonely night dreaming of a song
Renato Plancia Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op.cit.
 
Renzo Rossi (Renzo, Stienca, Zero)… dopo aver riorganizzato il CLN di Bordighera e dopo un periodo di permanenza in montagna lavorerà per il CLN circondariale adoperandosi tra l’altro in viaggi via mare… per stabilire rapporti tra le forze resistenziali italiane e ufficiali americani, inglesi, francesi… Renzo Biancheri (Gianni), di Bordighera, che aiutò Renzo Rossi nella sua attività… Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Tra quei giovani credo ci fosse anche Italo Calvino

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Uno scorcio di case Cristai-Peverei, in Negi, Frazione di Perinaldo (IM)

Trascorso il plenilunio, la notte del 14 [dicembre 1944] partiva con un’altra barca anche il partigiano dott. Kahneman (Nuccia) con la pianta di tutte le postazioni tedesche del primo schieramento costiero e le coordinate delle principali fortificazioni, ricevute a Coldirodi [Frazione di Sanremo (IM)] da un incaricato della Divisione Felice Cascione. Su interessamento del comando della I^ Brigata Silvano Belgrano [ n.d.r.: che faceva ancora parte della II^ Divisione “Felice Cascione”, ma asarebbe passata dopo pochi giorni a far parte della neo costituita Divisione “Silvio Bonfante” ], rientravano dal Piemonte nella prima decade di novembre e, con l’aiuto di Corsaro [Giulio Pedretti], dopo qualche giorno seguivano Nuccia verso la Francia anche due soldati R.T. americani, fuggiti ai tedeschi in Alta Italia, con il compito di sollecitare presso il Comando alleato l’invio di apparecchi radio ricetrasmittenti. Il tenente Antonio Capacchioni del gruppo Kanhemann veniva incaricato di preparare, in collaborazione con la S.A.P. di Vallecrosia, l’arrivo presso la Divisione Felice Cascione del capo della Missione alleata, il capitano inglese Robert Bentley. L’insieme degli uomini addetti al raggruppamento sbarchi e imbarchi, forniti quasi tutti dalla S.A.P. di Vallecrosia, comandati dal garibaldino Renzo Rossi di Bordighera e dal commissario Gerolamo Marcenaro di Vallecrosia, tra gli altri comprendeva i garibaldini Achille Andrea Lamberti [comandante del distaccamento S.A.P. di Vallecrosia], Vittorio Lotti [in effetti Aldo Levis Lotti, commissario del distaccamento S.A.P. di Vallecrosia], Renato Plancia Dorgia, Ezio Amalberti, Vincenzo Biamonti, Irene Anselmi, Eraldo [Mura] Fullone… Salvatore Marchesi [Turi Salibra Salvamar], Angelo Mariani [Athos], Luciano Mannini (Rosina), Renzo Biancheri [dai compagni di lotta ricordato sempre nelle testimonianze da loro rese come Rensu u Longu, mentre il nome di battaglia era Gianni], fino a raggiungere una forza di una ventina di uomini che funzionavano a pieno ritmo.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005

Le prime voci di antifascismo a Vallecrosia si ebbero nel 1940/41 da parte di Achille [Achille Lamberti, “Andrea”], di Francesco “Cè” Garini, di “Girò” [n.d.r.: o “Gireu”, Pietro Gerolamo Marcenaro], di Aldo Lotti e di altri.
Un antifascismo molto riservato, anche perché le ritorsioni erano molto dure, come nel caso di Alipio Amalberti, zio materno di Girò, che per aver gridato in un bar di Vallecrosia “Viva la Francia” venne dapprima schedato e successivamente costantemente perseguitato, fino a essere fucilato per ritorsione dopo essere stato preso come ostaggio.
Renato Plancia Dorgia  in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2017
 
[  n.d.r.: Sergio Sergio Marcenaro, all’epoca quattordicenne staffetta partigiana, nonché fratello del già citato Girò, precisa che lo zio materno Alipio per quella frase, riportata qui sopra da Dorgia, era stato condannato a cinque anni di confino. Ne fece poco più di tre, perché avendo dato prova pratica nel luogo di isolamento di essere un valido agricoltore del ponente ligure, il graduato fascista, che gli aveva già concesso la possibilità di lavorare, aveva altresì intercesso a quel punto per una riduzione della sua pena. Ma il suo nome era rimasto segnato e, a seguito di varie traversie, schematicamente indicate qui di seguito, venne trucidato a Badalucco (IM) il 5 giugno 1944  ]
[ n.d.r.: Pietro Gerolamo Marcenaro risultava latitante già nel verbale della Questura (fascista) di Imperia del 15 giugno 1944, riferito alle indagini ed agli arresti effettuati verso la fine di maggio nella zona di Ventimiglia e di Bordighera a danno del costituendo CLN di Ventimiglia, del già esistente CLN di Bordighera, del gruppo antifascista “Giovane Italia” e di altri patrioti collegati, un documento edito in don Nino Allaria Olivieri, Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999, pp. 9, 24 ]
[ n.d.r.:  Alipio Amalberti, nato a Soldano l’11 febbraio 1901, già nelle giornate che seguirono l’8 settembre metteva in piedi un’organizzazione per finanziare ed armare i gruppi che si stavano formando in montagna a Baiardo (IM) insieme a Renato Brunati di Bordighera, fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino e Lina Meiffret, proprietaria di una villa poco fuori Baiardo, punto di riferimento e talora rifugio di quella piccola banda, che, catturata insieme al fidanzato Brunati, venne deportata in un campo di concentramento in Germania, da cui tornò fortemente provata, ma salva. Arrestato il 24 maggio 1944 a Vallecrosia e tenuto come ostaggio, in quanto segnalato più volte come sovversivo, Alipio Amalberti venne fucilato a Badalucco il 5 giugno 1944 come ritorsione ad un’azione del distaccamento di “Artù”,  Arturo Secondo, compiuta il 31 maggio ]

Sono nato nel 1925 e nel 1943 ero uno studente, che frequentava con profitto il liceo classico di Sanremo, sempre promosso e anche un po’ imbevuto di fanatismo fascista, specialmente dopo la guerra di Spagna. A causa della propaganda di allora parteggiavo per i franchisti.

Ero renitente alla leva, ma non c’era ancora una resistenza organizzata. Per evitare di farmi catturare, mio padre mi nascose da parenti di mia madre a Isola del Cantone, in provincia di Genova. Venni dichiarato disertore e fui condannato a morte con sentenza del tribunale di Sanremo in data 28 febbraio 1944. Per i disertori la pena comminata dalla Repubblica Sociale di Salò era, infatti, la fucilazione immediata.
La mia permanenza a Isola del Cantone era dunque pericolosa per me e per i miei parenti.
Approfittando del bando che sospendeva la fucilazione per i disertori che si fossero presentati spontaneamente all’arruolamento, mio padre mi venne a prendere e col treno ritornai con lui fino ad Arma di Taggia [Taggia (IM)], poi da Arma a Vallecrosia in bicicletta, fortunatamente senza essere mai fermati. Nel frattempo Girò, Achille Lamberti ed altri avevano organizzato un principio di Resistenza.
Attraverso mio padre, presi contatto con loro e assieme ci demmo alla macchia.
Achille Lamberti, Cè Garini, Girò Marcenaro, Aldo Lotti, Nello Moro e io partimmo per il punto di raduno a Langan.
Poco pratici, percorremmo il tragitto più lungo e impervio dove Girò dimostrò tutta la sua volontà: per una malformazione camminava con difficoltà e meno agevolmente di noi, ma non si arrese.
In località San Martino di Soldano (IM) ci unimmo ad un gruppo di studenti di Sanremo che il C.L.N. aveva indirizzato verso noi per raggiungere Langan [Località di Castelvittorio (IM)]. Tra quei giovani credo ci fosse anche Italo Calvino [ n.d.r.: di lì a breve tra i redattori del giornale “Il Garibaldino”, stampato a Realdo, Frazione di Triora (IM), di cui furono creatori ed animatori Fragola Doria ([Armando Izzo) e Silla, Ferdinando Peitavino, di Isolabona (IM), quest’ultimo in seguito, da fine gennaio 1945, vice commissario politico della II^ Divisione “Felice Cascione”]. Non ne sono sicuro, ma dalle fotografie dello scrittore viste nel dopoguerra sono certo di aver riconosciuto un compagno con i quali trascorsi a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)] i miei primi giorni da partigiano.
Quando giungemmo sopra Castelvittorio (IM), ci venne incontro un partigiano, un militare unitosi alla resistenza dopo l’8 settembre 1943, tale Iezzoni “Argo” [n.d.r.: Altorino Iezzoni, nato ad Atri (TE), il 26/04/1914, già caporale del Regio Esercito, commissario di Distaccamento della neoformata (il 20 giugno) IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”], che ci accompagnò fino a Langan, dove c’era il “quartier generale” e dove si concentravano tutti i neo-partigiani.
Salutandoci, il partigiano Iezzoni ci disse che l’indomani probabilmente sarebbero sbarcati gli alleati.  Sarebbe stato, invece, il giorno della da noi famosa “notte dei bengala” del 21 giugno del 1944, quando tutti credevano e speravano nello sbarco degli alleati e invece ci fu solo un grande bombardamento. Otto giorni dopo [il 27 giugno 1944] “Argo” moriva in un’operazione a Baiardo (IM).
Fu il primo schiaffo che ricevetti dalla realtà della mia guerra di partigiano.
Fummo segnati su un grosso registro e arruolati al comando di Vittò [anche Vitò e Ivano, nomi di battaglia di Vittorio Giuseppe Guglielmo, dal 7 luglio 1944 comandante della V^ Brigata d’assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, dal 19 dicembre 1944  comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”].
Girò mi attribuì il “nome di battaglia” di “Riccardo”, da Riccardo Cuor di Leone. In realtà non mi sono mai sentito tale.
Restammo a Langan un paio di giorni e depositammo le armi che ci eravamo procurati a Vallecrosia, tanto avevamo possibilità di averne altre, recuperandole tra quelle nelle caserme abbandonate o gettate dai soldati dell’armata italiana in rotta dal fronte francese dopo l’8 settembre.  […] Le merci sbarcate venivano nascoste e successivamente trasportate a Negi e consegnate ai garibaldini di “Curto” e Gino Napolitano. Sovente ero incaricato del trasporto a Negi. Tra gli altri carichi ricordo una macchina da scrivere. Era pesante, pesava quanto un mortaio; ricordo che, nella fatica, dovetti sforzarmi non poco per convincermi che per vincere la guerra fosse necessaria anche una macchina da scrivere e superare la tentazione di buttarla in una scarpata.
Chi dirigeva tutte le operazioni era Renzo Rossi “Rensu u Curtu” per distinguerlo da Renzo Biancheri “U Longu”. Il comando alleato aveva deciso già nel settembre ’44 di inviare presso le formazioni partigiane ufficiali-istruttori e di collegamento. […] Con lo sbarco [6 gennaio 1945] del capitano Bentley [n.d.r.: ufficiale del SOE britannico, incaricato del Comando Alleato presso il comando partigiano della I^ Zona Liguria] si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di “Leo” Carabalona, del quale faceva parte Giulio Corsaro Pedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate. Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. […] L’organizzazione dell’Operazione Sbarchi non fu cosa semplice. Bisognò innanzitutto trovare natanti idonei a raggiungere la costa francese per le necessità di trasporto dall’Italia alla Francia; in senso inverso provvedevano gli alleati con potenti motoscafi pilotati da Pedretti […]

Renato Plancia Dorgia  in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. Cit.

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Una vista su Camporosso (Mare), Vallecrosia e Bordighera

4 aprile 1945 – Dal Quartiere Generale rappresentante dell’Alto Comando Alleato al commissario Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”] – Veniva conferito incarico al commissario in indirizzo di avvisare i responsabili della ricezione degli sbarchi di iniziare le segnalazioni alle ore 23.15 del giorno 4 stesso per i 5 giorni successivi, mentre dal giorno 10 al giorno 12  dovevano iniziare alle ore 24.  L’intervallo tra una segnalazione e l’altra doveva essere di 5 minuti.  Si richiedevano chiarimenti sulla lettera del 29 marzo con la quale era stato comunicato che i tedeschi erano a conoscenza del punto di sbarco.

7 aprile 1945Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria a Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“] – Venivano chiesti, dietro protesta del capitano Roberta [Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento], chiarimenti circa la distribuzione di armi arrivate in tre differenti sbarchi, circostanze sulle quali non erano state fatte le dovute relazioni.

9 aprile 1945 – Dal comando della V^ Brigata  al Comando della I^ Zona Operativa Liguria – Riferiva che “… sono giunti 2 garibaldini dalla Francia che hanno colà seguito un periodo di istruzione e che hanno preannunciato un prossimo arrivo di materiale bellico...”

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio / 30 Aprile 1945), Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico 1998/1999
La base alleata in Francia era a Saint Jean Cap Ferrat, nella baia di Villafranca, nella villa Le Petit Rocher.
Da Vallecrosia si partiva, naturalmente di notte, e si raggiungeva il porto di Montecarlo, facilmente individuabile perché l’unico illuminato.
All’ingresso del porto una vedetta intimava l’alt e accompagnava il natante all’approdo sotto stretta sorveglianza.
Qui l’equipaggio forniva alle sentinelle alleate del porto di Monaco solo un numero di telefono o di codice e il nome dell’ufficiale dell’Intelligence Service. […] Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata.
Fummo accolti dal capitano Lamb, che ci condusse a Le Petit Rocher. Ci diede qualche istruzione, tra le quali ricordo che, alla mia richiesta di una qualche sorta di documento, ci disse che a eventuali controlli dovevamo solo rispondere che eravamo maltesi e di riferire il suo nome, capitano Lamb con il numero di riconoscimento.
Mettendo mano al portafoglio, Lamb cominciò a distribuire una banconota da 500 franchi. La sua intenzione era di consegnarne una per ognuno di noi, ma Renzo Rossi, intascata la prima banconota ringraziò dicendo che 500 franchi bastavano per tutti.
Il capitano, sorpreso, ci fissò negli occhi uno per uno e domandò:
“Ma voi siete proprio Italiani?”.
Scoppiò poi a ridere, ma, per un attimo, vidi nel suo sguardo il sospetto che fossimo sabotatori. […] Nei giorni successivi ci portarono nei pressi dell’aeroporto di Nizza.
In un capannone erano accatastate una quantità notevole di mitragliatrici italiane Breda nuove e imballate. Evidentemente preda di guerra dell’avanzata alleata su Nizza nell’agosto del 1944.
Ma perché non le avevano fornite a noi già l’anno prima?
Prelevammo armi, viveri, vestiario e materiale sanitario.
Al Petit Rocher predisponemmo tutto sulla banchina per stivare il carico sul motoscafo che ci avrebbe riportato a Vallecrosia.
Dovemmo imbarcare anche due agenti di Ventimiglia (Paolo Loi e un altro che non ricordo, che avevano seguito un corso di sabotatori imparando a maneggiare l’esplosivo al plastico).
Per far posto ai due sabotatori, lasciammo a terra i viveri e il vestiario imbarcando solo le armi e i medicinali, contro la volontà degli ufficiali inglesi.
Ricevemmo la direttiva di annullare lo sbarco se non avessimo avvistato da terra il segnale di riconoscimento.
Arrivati al largo di Vallecrosia, nessun segnale, ma Girò mise ugualmente in acqua i due canotti e disse che, per maggior sicurezza, saremmo approdati nel tratto di spiaggia davanti alla sua abitazione.
Era meno sorvegliato dai fascisti perché … minato.
Come “maggior sicurezza” non era male!
Ma Girò conosceva il posizionamento delle mine. Il canotto con i due sabotatori approdò sulla spiaggia più verso Bordighera, forse non si fidavano a seguirei o volevano mantenersi una probabilità di fuga in caso fossimo stati accolti dai nazifascisti.
Solo più tardi ci vennero incontro camminando sulla battigia per paura delle mine. Per un attimo tememmo si trattasse di una pattuglia nemica.
Con estrema cautela Girò ci guidò nel sentiero minato fino a casa sua.
Portammo le armi a Negi come le altre volte, rifornendo le brigate Garibaldine.

Renato Plancia Dorgia  in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

 

Un amico dei partigiani di Bordighera, non ricordo chi fosse, mise a disposizione gratuitamente due bare, una per mio fratello [Alberto Nino Guglielmi, del Gruppo Sbarchi] e l’altra per Alipio Amalberti, trucidato a Badalucco. Insieme a Ezio Amalberti, andammo [fine aprile-inizio maggio 1945] a Baiardo passando da Apricale. […] L’indomani mattina ritornò Ezio con la bara di Alipio. Ritornammo a Vallecrosia scendendo da Ceriana con quel triste carico. Al nostro passaggio la gente si segnava commossa. Il ponte danneggiato lungo la strada era stato reso parzialmente agibile con assi di fortuna. Alcuni uomini impietositi si levarono il cappello e ci aiutarono nel difficile passaggio del ponte. Arrivammo a Vallecrosia in serata ma ci aspettavano in tanti. Venne improvvisata una camera ardente nella sede del PCI. […] L’indomani i feretri furono portati in chiesa per la cerimonia religiosa (per evitare ulteriori problemi mio padre, prima di entrare, tolse le bandiere rosse che coprivano le bare) e quindi seppelliti nel cimitero di Vallecrosia alla presenza di tutti i partigiani e di tanta, tanta gente. […] testimonianza di Emilia Guglielmi in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

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