Ventimiglia (IM): la zona dei ponti sul fiume Roia
1° agosto 1944 Stamattina sono andata a Ventimiglia per riscuotere il sussidio e ho passato l’intera mattinata nella galleria del Cavo. È stata una giornata di allarmi consecutivi, e dire che non abbiamo ancora visto il bello! 2 agosto 1944 Giornata come ieri, la sirena ha fischiato continuamente. È stato ucciso il figlio del Barun di Siestro. Il dott. Cassano è stato arrestato e portato via dalle SS. Attendiamo delle giornate nere e, pur di salvare la vita, siamo pronti a qualsiasi sacrificio. 3 agosto 1944 Dopo una notte di rumore continuo, prodotto dalle zattere e dagli apparecchi, la mattinata è stata abbastanza brutta. Verso le 10, formazioni di apparecchi hanno combattuto con i caccia. Un’infinità di piccole bombe sono state gettate a San Bernardo, Seglia, Peidaigo e Ville. Le più vicine a noi sono cadute da Rocco: 5 di numero. Alle Ville, abbiamo da lamentare una morta, la Magnuna che lavorava da Enrico a raccogliere ceci. Hanno sganciato pure su Bevera con diversi morti anche là. La giornata è proseguita con un ininterrotto rombo di apparecchi che sorvolavano continuamente le nostre teste. 4 agosto 1944 Sebbene molto a malincuore, sono partita lo stesso, data la mia solita abitudine di andare al mercato. Erano le 6,30 e gli apparecchi già ronzavano sulle nostre teste. È stato un attimo e la gente è scomparsa tutta. Sono rimasta sola con la mia Cita che frustavo più che potevo per farla correre e potermi mettere in salvo. Quando sono giunta sul ponte Roia, gli apparecchi bombardavano Bevera, ma mi sembrava che fossero sulla mia testa. Ero terrorizzata, ho raggiunto la galleria del Borgo e mi ci sono infilata, finalmente al sicuro, ma angosciata per la mula che avevo lasciata esposta al pericolo. Certo, appena tornata un po’ di calma, sono ripartita, ma le frustate che prendeva la povera bestia erano continue. Un giovane che era anche lui rifugiato in galleria, e che veniva verso Latte, mi faceva compagnia e coraggio e gridava anche lui alla mula per farla galoppare di più. Sono arrivata a casa senza che gli aeroplani mi rombassero più sulla testa. Non andrò più a Ventimiglia con la bestia. È stata una giornata terribile per tutti, la gente non è più uscita dai rifugi, tutti zeppi di persone. Anche le gallerie del treno sono state occupate, famiglie intere vi hanno preso alloggio. Verso le 10,30, hanno gettato di nuovo le loro bombe per colpire il ponte, ma non vi sono riusciti neanche questa volta. Molte bombe sono cadute nel Roia e qualcuna alle Gianchette, che ormai sono addirittura rase al suolo. Anche il ponte di Nervia è stato preso di mira, ma è rimasto intatto. In serata sembra che l’uragano di ferro e di fuoco si sia calmato un po’, ma non abbiamo quasi il coraggio di andare a letto. Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988
3 agosto 1944 – Ventimiglia-Imperia: ore 11 – sgancio di bombe nelle zone di Ventimiglia e Camporosso danneggiando complessivamente 86 abitazioni e causando 6 morti e 31 feriti. 4 agosto 1944 […] In zona Ponte Roia di Ventimiglia e frazione Bevera, sgancio di altre bombe, senza conseguenze. Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 22 agosto 1944, p. 43, Fondazione Luigi Micheletti
25 agosto 1944 Bombardamento aereo di Latte e Mortola [Frazioni di Ventimiglia (IM)]. Prima notte al rifugio (27 persone). 29 agosto 1944 Bombardamento aereo al Forte. Riccardo Bargioni ferito lievemente. 30 agosto 1944 Mitragliamento al Ponte del Butassu [a Latte]. Macchina tedesca incendiata. Giuseppe Biancheri, Diario [giovanile] di guerra, pubblicato su “La Voce Intemelia”, anno XXXIX, n. 10 ottobre 1984, qui ripreso da Cumpagnia d’i Ventemigliusi
8 settembre 1944 […] Solo questa mattina abbiamo appreso che sparavano sul tratto di strada tra Bordighera e Ventimiglia dove c’era un agglomerato di truppe e materiale avanzanti verso la frontiera. 9 settembre […] I marinai che dovevano partire entro due giorni sono tutt’ora qui e in casa ne abbiamo nuovamente una trentina. Da una finestra uno di questi mi fa un cenno e mi spiega che da lassù si scorgono 10 navi inglesi: in un baleno sono anch’io là con mamma e a occhio nudo non posso vedere che tanti punti neri muoversi verso noi. Ridiscendo, ma non sono affatto tranquilla: dopo un mezz’ora ecco un bel cannoneggiamento coi fiocchi. Ora apprendo che avevano sparato nuovamente sulla strada tra Bordighera e Ventimiglia. Che Iddio ci tenga lontani da simili bombardamenti! [n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo] Renato Tavanti, Sanremo. “Nido di vipere”. Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006
Settembre VENERDÌ 1° – Fuga della Milizia e sacco della Casa Rossa (Paraixu Russu) [località di Ventimiglia (IM)]. Si avvista, per la prima volta, il caccia. Gli americani a Olivetta [Olivetta San Michele (IM), in Val Roia]? MARTEDÌ 5 – Assistiamo, dalla galleria della Mortola, al cannoneggiamento di Mont Agel da parte dell’I.L. Emile Bertin e di 2 C.C.T.T. [I.L. e C.T. abbreviano rispettivamente Incrociatore Leggero e Cacciatorpediniere] MERCOLEDÌ 6 – Lungo mitragliamento da parte dell’aereo catapultabile su Punta Mortola e Punta Beniamin [località di Ventimiglia (IM)]. Giungono i tedeschi nel nostro giardino per impiantare uno scivolo. GIOVEDÌ 7 – Arrivano gli autocarri tedeschi. Il muro al mare, vicino al terrazzo, alcuni pilastri e il cancello rosa fatti saltare; incomincia la costruzione dello scivolo. Partenza di una parte dei Bargioni. VENERDÌ 8 – La costruzione dello scivolo rallentata dal mare grosso. Un trattore, per errore, schianta il cancello sulla strada. Posizioni, in Francia, cannoneggiate dall’I.L. Dugay Trouin. Partenza dei rimanenti Bargioni. SABATO 9 – Primo giorno che andiamo alla casa giù. Un C.T. bombarda Bellenda [altura sovrastante la Frazione, di ponente, Latte di Ventimiglia (IM)]. Conversazione con un tedesco sulle nuove armi. Undici corvette, protette da 2 C.T. e un I.L. cannoneggiano posizioni sopra Ventimiglia e Bordighera. DOMENICA 10 – Le stesse navi della sera precedente tirano su Forte San Paolo [a ponente del centro storico di Ventimiglia]. I tedeschi non tornano nella mattinata e gli ultimi rimasti partono definitivamente. Marinai tedeschi cercano MAS a Punta Beniamino con feriti. La sera un C.T. bombarda Nervia e Capo Ampelio. LUNEDI 11 – Posizioni tedesche sui monti bombardate dalla corazzata Lorraine. Bagno sotto i tiri. Un C.T. bombarda per un’ora Punta Mortola e Punta Arma [località di Ventimiglia (IM)]. MERCOLEDÌ 13 – Proiettili, non si sa da dove, cadono da Gaetano [in Frazione Latte] e davanti a casa nostra. GIOVEDÌ 14 – Vendemmia, la mattina, con aeroplani. Verso le 13 un C.T. lancia proiettili sulla Mortola, vicino alla Vedetta e da Carlo. Verso sera compare un I.L. americano tipo Savannah. VENERDÌ 15 – La mattina continua la vendemmia. Bagno con aeroplani. Si fa sgomberare la popolazione di Sealza [Frazione di Ventimiglia (IM)]. Un soldato tedesco avvisa che verrà un ordine di sfollamento. SABATO 16 – Ordine, per Latte, di sfollare entro le 20. Fiasco della commissione che cerca di evitare lo sgombero. Partenza degli Orengo e dei Queirolo-Ammirati. Verso le 21 salta la galleria di Acquarone. DOMENICA 17 – Il Federale ottiene il rinvio dello sgombero fino a martedì sera. La sera, ordine di sgombero a Ciotti e Grimaldi [località di Ventimiglia (IM)]. […] GIOVEDÌ 21 – Giornata trascorsa a Ventimiglia. Verso le 19.30 partenza per Bordighera. Arrivo a Villa Elisa. Giuseppe Biancheri, Op. cit.
25 settembre – Ventimiglia-Imperia Ore 8,15 – Violento bombardamento navale e terrestre sul centro abitato, protrattosi fino alle ore 20. Colpiti e gravemente danneggiati il Credito Italiano, la Banca Commerciale, la caserma del presidio della G.N.R. e diverse case d’abitazione. Sei morti ed alcuni feriti fra la popolazione. Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 13 ottobre 1944, p. 42, Fondazione Luigi Micheletti
Settembre MARTEDÌ 26 – Diciotto bimotori attaccano obiettivi nella Val Roia. GIOVEDÌ 28 – Proiettili vicino al Continentale diretti al cannone di Villa Ortensia [in Bordighera (IM)]. (C.T. inglese tipo Greyound). VENERDÌ 29 – Fra le 13 e le 16 bombardamento navi zona centrale di Bordighera. SABATO 30 – Ci trasferiamo alla Pensione Bellavista [in Bordighera (IM)]. Un C.T. bombarda Latte. Giuseppe Biancheri, Op. cit.
9 gennaio 1945 – XIII Efisio Loi: Via Ferruccio, 8 S.Remo è un ex-maresciallo capo di Finanza, il quale dopo l’8 settembre non ha fatto giuramento al DUCE. Ha due figli: Pietro (1924) e Paolo (1926) che sono ora al Comando Militare Americano di Mentone. Efisio Loi, maresciallo, ha detto giorni or sono a Otto Antellini: “Salutami mio cugino che è Commissario alla Dogana Internazionale in Isvizzera, a Chiasso. Digli che i miei due figli sono a Mentone, al Comando Americano. Per il momento sono disoccupato, ma attendo gli avvenimenti (intendendo dire… ‘gli inglesi’)”. Informazione Otto Ant. Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan – Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo
Mio fratello Piero [nome di battaglia Pierino] da oltre due mesi era in territorio francese. Con Gianni (Katiuscia) [n.d.r.: Giovanni Leuzzi, commissario di un Distaccamento garibaldino], mio compagno a Pigna e a Testa d’Alpe, decidemmo di attraversare il fronte con una barca; trovai subito Bric e Brac [Amilcare Allegretti], pescatore; la barca c’era, non era sua, ma la vendette come fosse stata di sua proprietà; pagai con quanto mi rimaneva. A sera nel magazzino, con la barca, trovammo dieci giovani nascosti che volevano fuggire e chiesero di portarli con noi: ricordo fra questi il caro amico Giacomo Amalberti (Giacurè); non dicemmo di no. Andammo in casa della famiglia di Pascalin [Pasquale Corradi, Pirata]. Incontrai il cap. Gino [Punzi], tipo di poche parole, forse un napoletano; portava con sé una borsa nera rigonfia che mai abbandonava. Anche i miei genitori giunsero con le loro poche cose. Improvvisamente giunse Scipio da Mentone e appresi che viveva alla Villa Citroniers con mio fratello e Pascalin […] Paolo Pollastro Loi, testimonianza raccolta da Don Nino Allaria Olivieri in Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999, ripubblicata in Quando fischiava il vento. Episodi di vita civile e partigiana nella Zona Intemelia, Alzani Editore – La Voce Intemelia – A.N.P.I. Sezione di Ventimiglia (IM), 2015
Al Petit Rocher predisponemmo tutto sulla banchina per stivare il carico sul motoscafo che ci avrebbe riportato a Vallecrosia. Dovemmo anche imbarcare due agenti di Ventimiglia (Paolo Loi ed un altro che non ricordo), che avevano seguito un corso per sabotatori imparando a maneggiare l’esplosivo al plastico. Per fare posto ai due sabotatori, lasciammo a terra i viveri e il vestiario, imbarcando solo le armi e i medicinali, contro la volontà degli ufficiali inglesi. […] Arrivati al largo di Vallecrosia nessun segnale ma Girò [n.d.r.: Gireu/Giraud, Pietro Gerolamo Marcenaro] mise ugualmente in acqua i due canotti e disse che per maggior sicurezza saremmo approdati nel tratto di spiaggia davanti alla sua abitazione [nd.r.: la zona della foce del piccolo rio Rattaconigli al confine con Bordighera]. Era meno sorvegliato dai fascisti perché… minato. Come maggior sicurezza non era male! Ma Girò conosceva il posizionamento delle mine. Renato “Plancia” Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Comune di Vallecrosia (IM), Provincia di Imperia, Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007
Alle 6 di sera partimmo per ROCCHETTA [Rocchetta Nervina (IM)] dove giungemmo dopo quattro ore di marcia. Ripartimmo di nuovo a mezzanotte con la guida PIERINO LOI che ci diresse attraverso la parte principale delle postazioni armate tedesche raggiungendo la periferia di VENTIMIGLIA dopo sei ore di marcia. Qui rimanemmo in un piccolo riparo dietro alla casa dei genitori della guida… Noi avevamo viaggiato da PIGNA in vestiti civili e siccome stava piovendo dalle 6 di sera quando dovemmo attraversare la città, potemmo indossare dei sacchi sulla testa nel modo in cui lo facevano i contadini, il che si aggiunse al nostro travestimento. Camminammo 2-3 chilometri lungo la strada principale che costeggia il fiume ROIA ed attraversammo il ponte nella città vecchia passando oltre le sentinelle tedesche senza sollevare il minimo sospetto ed andando alla casa del pescatore sulla spiaggia. Qui rimanemmo dalle 7 di sera fino a mezzanotte… A mezzanotte portammo la barca (lunga approssimativamente 14 piedi con quattro remi) per una strada e giù attraverso la spiaggia di ciottoli – l’unica area non minata – fino al mare. I pescatori ci portarono vogando, senza ulteriori incidenti, in 3 ore e mezza a Monte Carlo (MONACO) dove sbarcammo [n.d.r.: alle prime ore del mattino del 9 ottobre 1944, nella versione lasciata da Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II: Clandestine Sea Operations in the Western Mediterranean, North Africa and the Adriatic, 1940-1944, Paperback, 2013] e ci arrendemmo alla guarnigione F.F.I. La mattina seguente guidammo fino a Nizza e facemmo rapporto al Maggiore H. GUNN delle Forze Speciali … A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana circa la squadra dei quattro prigionieri di guerra che ci avevano lasciato per TENDA. Fino a quel momento non era arrivata nessuna loro notizia attraverso le pattuglie americane in quell’area… I pescatori erano in grado di fornire informazioni preziose alla Sezione di Interpretazione Fotografica del quartier generale americano sulla Forza Tedesca, posizioni delle armi, campi minati, ecc. a VENTIMIGLIA. (Mr. Paul Morton ha i nomi e i documenti di questi due uomini che darà senza dubbio alla Rappresentativa delle Forze Speciali n. 1 con P.W.B. a Roma). Questi uomini furono poi consegnati dal Maggiore GUNN al Capitano Jones, Esercito Americano a Nizza… PIERINO LOI, la guida procurata da LEO, mise su un’operazione straordinaria e non perse nemmeno una volta la pista durante le sei difficili ore di marcia da ROCCHETTA a VENTIMIGLIA… I pescatori sono sicuri che questo percorso (Ventimiglia – Monaco o Mentone) potrebbe essere usato con successo in entrambi i sensi. Essi affermano che si potrebbero evacuare da VENTIMIGLIA fino a venti persone alla volta se fosse disponibile un’imbarcazione più grande. Ciò vedemmo ed annotammo, e si può attestare che i pescatori condussero a termine il loro piano di evacuazione senza alcuna deviazione… capitano G. K. Long (membro della Missione Flap), Relazione generale sul Piemonte e la Liguria, 1944 (senza indicazione di giorno e mese), documento britannico desegretato, copia di Giuseppe Mac Fiorucci
Loi [Pierino Loi] resta in territorio francese, opererà tra Carnoles e Mentone in qualità di addetto a radio libera; ritornerà [a Ventimiglia] saltuariamente via Grammondo, Grimaldi e la Mortola; la sua missione è di trasmettere notizie militari, di portare in salvo altri perseguitati e, poiché i suoi genitori erano in pericolo, attendeva di portarli oltre confine. … sarà ancora il Loi che potrà, tramite conoscenze in Nizza iscrivere in forza al comando americano dell’OSS il gruppo [Pedretti, Corradi ed altri] operante alla Marina di San Giuseppe [di Ventimiglia]… fece il suo inizio la Missione Corsaro… don Nino Allaria Olivieri, Ventimiglia partigiana… op. cit.
Nell’ambito dell’O.S.S. veniva così costituita la Missione Corsaro, che assumeva il compito del collegamento tra il Comando alleato e i Comandi partigiani operanti nella zona Ventimiglia… Accettando l’incarico di capo dell’Ufficio Operazioni della Missione in zona nemica, tramite Corsaro [Giulio Pedretti], Leo [Stefano Carabalona] poteva inviare da Pigna al comando alleato le informazioni necessarie… Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005
[…] avevano luogo sbarchi di materiale bellico nella zona di Vallecrosia-Bordighera. I volontari che si occuparono di tali trasporti appartenevano al gruppo di Leo (Stefano Carabalona), che fungeva da tramite tra i garibaldini e la missione alleata in Francia. Giulio Pedretti fu il partigiano che più di ogni altro si impegnò in tali operazioni, al punto che alla fine della guerra aveva effettuato 27 traversate per recapitare armi e uomini attraverso il tratto di mare prospicente la zona di confine italo-francese. Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945), Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998/1999
Tra gli uomini che dovettero subire i drammi della storia dopo l’8 settembre 1943 molti furono coloro che provenivano dall’estremo ponente ligure. E tra questi alcune storie personali degne di essere ricordate.
Airole (IM): uno scorcio di Val Roia
BIANCHERI GIOVANNI (20/1/1918) di Airole. G. a. F. 1^ Settore di Copertura. Catturato il 13 settembre 1943 a Fusine (UD) venne internato in Germania. Rientrato in Italia nel luglio 1945 fu ricoverato in Ospedale a Verona. Morì a Airole il 3 settembre 1945 per una malattia contratta in prigionia.
Il suo compaesano VIALE ANDREA (4/11/1919), aviere della Regia Aeronautica, catturato a Rodi (GRE) il 9 settembre 1943, non ebbe la possibilità di tornare a case e morì il 12 agosto 1944 in prigionia in Germania.
Apricale (IM): la strada provinciale
Apricale (IM): la strada provinciale
Non tornò più ad Apricale PISANO ENRICO (24/8/1923) marò presso il Comando Marina Egeo disperso a Rodi 11 settembre 1943. Di Bordighera erano BERSIA TERESIO (29/11/21), CALDO VITTORIO LUIGI (23/6/1922), il sottotenente SOLERI GIOVANNI 8/9/12 che morirono nei lager tedeschi, mentre ELLENA MATTEO, (Bordighera 25/1/1915) legionario della XXXIII Btg. Camicie Nere (alcuni legionari dei battaglioni camicie nere subirono la stessa sorte degli altri militari perché rifiutarono anch’essi di combattere a fianco dei tedeschi) disperso a Cattaro (Montenegro) il 30 settembre 1943, LORENZI VITTORIO (Bordighera 15/2/1920) marinaio della Regia Marina disperso a Sebenico (Jug) il 9 settembre 1943.
PASTORE GIOVANNI (12/2/12) di Camporosso disperso il 23 settembre, l’alpino di Castel Vittorio ALBERTI LUIGI (9/1/1920), catturato il 9 settembre a Chiusa all’Isarco (BZ), deceduto il 19 marzo 1944 in Germania come ALLAVENA GIUSEPPE, Castel Vittorio 11/10/1916, aviere scelto Spec. Montatore. Zithain Stalag IV B (Germania), catturato ad Atene il 10 settembre 1943 e deceduto per malattia in Germania il 21 ottobre 1944.
E poi:
TORNATORE ALFREDO, nato a Dolceacqua 14 marzo 1917. del 341^ Rgt. fanteria. deceduto in prigionia il 1 settembre 1944, catturato a Creta nel settembre 1943.
FERRARI FEDERICO LINO (Isolabona 28 aprile 1923), catturato dopo il 9 settembre 1943 in Alto Adige deceduto per malattia a Mauthausen (Sottocampo di Ebensee) il 16 aprile 1944. Una tragica coincidenza dettata dal destino. Federico Ferrari morì a Ebensee il 16 aprile 1944, lo stesso giorno del decesso di Federico Ferrari, ad alcune migliaia di chilometri di distanza, nel suo paese natio, veniva arrestato e deportato, anche lui a Ebensee, il suo compaesano GAVINO ALFREDO (Isolabona 5 maggio 1920) che si spense meno di un anno dopo, A Mauthausen fu internato anche CANE LINDO morto a a Isolabona 1947 per una malattia contratta in prigionia.
PIANETA GILDO (Isolabona 28 novembre 1913) deceduto a Villafranca il 13 settembre 1943, caduto mentre tentava la fuga dal treno durante il trasporto verso la prigionia in Germania. Il fatto venne ricordato dal quotidiano L’Arena del 13 settembre 2013. «Alla stazione di Villafranca, su un binario morto, era fermo un treno bestiame carico di militari italiani che, oltrepassato il Brennero, erano destinati ai campi di prigionia in Germania. Approfittando del treno fermo ed eludendo la sorveglianza, due fanti prigionieri fuggirono dal loro vagone, percorrendo pochi metri lungo la linea e nascondendosi in un cespuglio sotto la massicciata della ferrovia. Uno era Gildo Pianeta, fante di Isolabona, era sposato e a casa l’attendeva il piccolo Adriano. L’altro era Alberto Pomponi, di Bracciano. Ce l’avevano quasi fatta. Sarebbe bastato che tutto calasse nella quiete e al momento opportuno sarebbero schizzati fuori dal cespuglio, perdendosi nelle campagne dei dintorni. Ma non andò così. Da un altro vagone uscì un militare, anch’egli tentò la fuga e riuscì a eclissarsi in un campo di mais. I tedeschi lo avevano però visto. Si lanciarono al suo inseguimento invano. Fu così che, tornando al treno, notarono nascosti nel cespuglio Pomponi e Pianeta, che non ebbero scampo, uccisi da una raffica.».
LIMON CELESTINO di Olivetta San Michele (29/4/1909) del 43^ Rgt. fanteria, catturato da forze tedesche nel settembre 1943 in Albania, detenuto nel Lager di Bor, al sopraggiungere dell’Armata rossa, nell’inverno ’44, venne trasferito nel campo sovietico di Reni dove morì l’1 febbraio 1945, Il Campo di Reni n° 38 si trovava in Ucraina sul mar Nero ai confini con la Romania. Qui furono rinchiusi i militari italiani trovati dai sovietici nel campo di prigionia tedesco di Bor in Serbia. In questo campo sono accertati almeno 673 decessi di detenuti italiani.
Olivetta San Michele (IM): colline
COTTA ATTILIO, nato a Olivetta San Michele 24 settembre 1909. Carabiniere Reale 25^ Btg. Catturato a Cettigne (Montenegro) il 2 ottobre 1943. Internato Stalag IX B. Rientrato il 7 luglio 1945.
CASSINI GIUSEPPE, nato a Perinaldo 16 settembre 1916. Serg.te 23^ Sezione Sanità. Stalag tedesco 2 giugno 1944, catturato dopo l’8 settembre 1943.
Pigna (IM): Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo
SICARDI Giovanni, nato a Pigna 2 giugno 1917. Fante 341^ Rgt. fanteria. Baia di Suda, 8 febbraio 1944, disperso in mare nall’affondamento del piroscafo Petrella “adibito per il trasporto di prigionieri italiani dall’Egeo verso la Germania, fu affondato nelle acque di Creta, colpito da siluri del sommergibile HMS Sportsman. Dei 3.173 soldati italiani imbarcati, fatti prigionieri nelle isole dell’Egeo dopo l’8 settembre 1943, solamente 424 si salvarono”.
BOERO RODOLFO, nato a Rocchetta Nervina 21 maggio 1909. Rep. sconosciuto. Jugoslavia 21 settembre 1943
CROESI ENNIO, nato a San Biagio della Cima 14 ottobre 1922. Geniere. Stalag di Altengrabow (Germania) 29 aprile 1944, deceduto in prigionia, catturato dopo l’8 settembre 1943 in località sconosciuta.
MOLINARI ANTONIO, nato a San Biagio della Cima 14 gennaio 1923. + 8 settembre 1943 disperso in località sconosciuta.
MACCARIO ELIO, nato a Soldano 14 maggio 1923. Brigadiere Carabinieri. Germania 31 gennaio 1945, deceduto in prigionia, catturato dopo l’8 settembre 1943 in località sconosciuta.
ANFOSSO GIUSEPPE (Ninò), nato a Soldano 25 settembre 1923. Reparto sconosciuto. Grecia 17 gennaio 1944.
ANFOSSO SILVANO di Giuseppe e Anfosso Silvia, nato a Ventimiglia 26 maggio 1918. Tenente Rgt. Genio artieri. Grecia 18 ottobre 1943.
GIRALDI ALBERTO, nato a Ventimiglia 3 marzo 1923 divisione Acqui, disperso in mare in prossimità di Patrasso il 13 ottobre 1943, per il naufragio della motonave Marguerite impegnata nell’evacuazione di prigionieri italiani da Cefalonia.
Seborga (IM): uno scorcio sulle colline di ponente di Vallebona
GUGLIELMI LORENZO ALDO di Giovanni Battista e Guglielmi Lorenzina, nato a Vallebona 26 marzo 1918. Aviere. Catturato a Pola il 9 settembre 1943, internato in Germania. Rimpatriato dalla prigionia il 5 aprile 1945. Deceduto a Vallebona il 16 aprile 1945 per malatia contrata in prigionia.
LEONE FRANCESCO, nato a Vallecrosia 4 ottobre 1919. Artiglieria. Grecia 20 settembre 1943
ALBERTINI BRUNO, nato a Ventimiglia 20 settembre 1924. G. a F. 27^ Settore. Catturato a Fiume il 19 settembre 1943. Ospedale da Campo di Magdeburgo (Germania) 8 gennaio 1944, deceduto per malattia. Precedentemente internato nei Stalag X B e XI B.
BORRI FEDERICO, nato a Ventimiglia 8 luglio 1922. Cannoniere Marina Mil.. Rodi 11 settembre 1943, disperso.
COLTELLI GIOVANNI di Giulio e Lanteri Petronilla, nato a Ventimiglia 3 aprile 1923. 8^ Rgt. Bersaglieri. Germania 15 maggio 1944, deceduto in prigionia.
LORENZI GIOBATTA, nato a Ventimiglia 1 ottobre 1923. Cannoniere Marina Mil.. Rodi 11 settembre 1943, disperso.
Questa è una lista, che, come tutte le liste, può risulta asettica e non permette di valutare appieno la tragedia di tutti questi ragazzi che morirono resistendo consapevolmente o meno alla violenza imposta da una ideologia deteriore, moltissimi altri, i cosidetti IMI, riuscirono a tornare alle proprie case dopo mesi e mesi di fame, sofferenze, fatiche dalla schiavitù imposta loro dal nazismo.
Tra i tanti volti sconosciuti vorrei ricordare in modo particolare quattro figure, quattro ufficiali che attraverso il loro sacrificio, in modo diverso e con conclusioni diverse, diedero lustro al territorio che li vide nascere.
Il primo è il capitano di Vallecrosia ANTONIO VALGOI (19 agosto 1907) del 3° raggruppamento artiglieria di C.A. (Corpo d’Armata) caduto a Cefalonia il 22 settembre 1943, fucilato come quasi tutti gli ufficiali e sottuficiali della Divisione Acqui e MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE alla memoria. Questa è la motivazione della decorazione: «Comandante di reparto munizioni e viveri di un gruppo d’artiglieria, nei giorni immediatamente successivi all’armistizio partecipava attivamente e valorosamente ad aspra lotta. Al profilarsi dell’insuccesso delle nostre armi, informato dai suoi artiglieri che gli Ufficiali venivano passati per le armi e sollecitato a rifugiarsi all’ospedale militare, dove avrebbe potuto facilmente confondersi col personale sanitario perché laureato in medicina e chirurgia, rifiutava con orgogliosa fierezza il suggerimento per rimanere, fino all’ultimo, accanto ai soldati che la Patria gli aveva affidato. Subito dopo la cattura accortosi che il Comandante dell’unità avversaria faceva schierare armi automatiche intorno al Reparto, con l’intento di sterminare indiscriminatamente i suoi dipendenti, si portava decisamente avanti a tutti e dichiarava: “Sono io il Comandante di questi uomini. Sparate su di me”. Aveva appena finito di pronunciare queste parole che una raffica lo abbatteva esanime al suolo unitamente ai suoi valorosi artiglieri – Argostoli-Cefalonia (Grecia) 22 settembre 1943 MOVM.»
CASELLA ALDO, nato a Ventimiglia 12 marzo 1915, tenente dell’84° Rgt fanteria, che dopo l’8 settembre continuò a combattere ma contro i tedeschi nella Divisione Garibaldi sorta raccogliendo i superstiti delle divisioni del R.E.I. Veneza, Taurinense ed Emilia di stanza in Montenegro e Serbia. Combattè a fianco delle brigate partigiane jugoslave, contro i tedeschi. Tra l’8 settembre ’43 e la conclusione del conflitto si contano più di 20.000 caduti tra le file italiane. Al suo comando il generale CARLO RAVNIC che si spense a Bordighera il 2 marzo 1996. Casella cadde in combattimento il 18 ottobre 1944 a Brodarevo in Montenegro. Gli venne conferita una Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: «Comandante di compagnia, già distintosi in precedenti azioni di guerra, si prodigava costantemente per il sempre maggiore rendimento bellico del reparto. Durante un furioso attacco di preponderanti forze nemiche guidava più volte all’assalto i propri uomini, sempre primo ove era maggiore il pericolo, più necessaria la presenza del comandante. Nella conseguente azione di sganciamento metteva in luce tutta la sua perizia. Il suo alto amor patrio, il suo sentito attaccamento al dovere. – Brodarevo, 16 novembre 1943. MBVM.»
il maggiore dei Carabinieri LIVIO DUCE, nato a Ventimiglia il 5 dicembre 1897. Studente al terzo anno di ingegneria all’Università di Genova, si arruolò volontario per partecipare alla Grande Guerra.
Al momento della mobilitazione nel 1940 fu trasferito all’XI Btg. mobilitato dell’Arma, al cui comando venne inviato in Dalmazia. Nel 1942 promosso maggiore, assumeva il comando del III C. A. dei Carabinieri impiegato per il controllo dell’Attica. Catturato nel settembre 1943 dai tedeschi, venne fucilato il 24 settembre 1943. «Comandante di battaglione carabinieri in territorio di occupazione, caduto in una imboscata con una piccola colonna e circondato da sovverchianti forza nemiche opponeva, benché ferito, accanita ed eroica resistenza imponendosi all’ammirazione degli stessi avversari, finché ferito un aseconda volta, sopraffatti e caduti quasi tutti i componenti della colonna, veniva catturato. Sottoposto ad indicibili sevizie materiali e morali, rifiutava sdegnosamente l’offerta di aver salva la vita a patto di sottoscrivere falsa dichiarazione atta a trarre in inganno altri reparti italiani. Appreso che un compagno di prigionia era stato fucilato dichiarava che, se gli fosse toccata la stessa sorte, avrebbe saputo morire da «italiano e da Carabiniere». Condotto al luogo del suplizio manteneva col suo contegno fede alla promessa, finché cadeva fulminato dal piombo del nemico che ne aveva soppresso il corpo ma non piegato lo spirito. Ammirevole esempio di virile coraggio e di elette virtù militari. – Montagne dell’Attica (Grecia), agosto 1943 – gennaio 1944. MOVM alla memoria.»
ADOLFO RIVOIR, nato a Vallecrosia nel 1895, figlio di genitori di fede valdese. Combattente nella prima guerra mondiale come sottufficiale di complemento, venne ferito gravemente, prima sul Monte Fior, poi sull’Ortigara. All’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 Adolfo Rivoir è già un uomo maturo, sposato e con due figli piccoli. Combatte sul fronte greco-albanese; il 15 dicembre 1940 viene ferito gravemente sul Var i Lamit e nel luglio 1941 riceve la medaglia d’oro. Quando riprende in pieno le forze viene assegnato al Comando del 5° Reggimento alpini, quale comandante della caserma di Fortezza, presso Merano. L’8 settembre viene catturato dai tedeschi e inizia per lui l’internamento. Prima a Tschenstochau in Polonia, sede dello Oflag 367, poi a Norimberga, Oflag D, fino al 19 febbraio quando arriva a Altengrabow, Oflag A. Il 4 maggio del ’45 viene liberato dei sovietici e l’8 maggio comincia l’odissea che si conclude con il ritorno a Torre Pellice il 5 settembre 1945. Per tutta la durata della prigionia Adolfo Rivoir celò su di se la bandiera del V Alpini, che al momento dell’arresto riuscì a portare con sé, conservandola e nascondendola, sfuggendo sempre ai controlli dei tedeschi, fino a portarla in salvo in Italia. La sua odissea di prigioniero nei campi tedeschi è raccontata nel libro di Ivetta Fuhrmann, L’ufficiale che salvò la bandiera – Diario di prigionia in Polonia e in Germania, Claudiana, 2013.
Per ultima, un’esperienza diversa. Un ventimigliese che dopo l’8 settembre non fu costretto a salire sui monti, oppure entrare in clandestinità. Non conobbe neanche le sofferenze della prigionia ma partecipò alla Resistenza contro il nazifascismo combattendo nel CORPO ITALIANO DI LIBERAZIONE.
CROVESI IVO, nato a Saorge nel 1920 e residente a Ventimiglia. Frequenta il corso AUC e al termine viene nominato sottotenente e destinato al 5º alpini, battaglione Morbegno; dovrebbe partire per la Russia ma una domanda, presentata tempo addietro, per un corso paracadutisti, lo fa partire per Tarquinia dove, alla fine del periodo di addestramento, viene destinato alla divisione Nembo di rincalzo alla Folgore, impegnata nei deserti della Libia. Il suo reparto, in attesa d’impiego, è accantonato in Sardegna. Arriva l’8 settembre e una mattina la sua caserma è circondata dai Tedeschi che, con una sydecar e pochi camion di soldati, chiedono al comandante di arrendersi. Questi risponde che se loro sono accerchiati, i suoi soldati hanno cinquemila paracadutisti attorno, pronti ad aprire il fuoco. Si arriva ad un gentleman agreement e il reparto germanico viene scortato fino alle Bocche di Bonifacio e lasciato andare in Corsica. La divisione Nembo, nel frattempo rinforzata dei resti delle battaglie in Libia, viene trasferita a Napoli. Gli Americani li vogliono al loro fianco, gli Inglesi li considerano prigionieri di guerra e così per due volte salgono e scendono dalle navi, senza sapere se destinati al fronte o a un campo di concentramento. A Ortona, la sua divisione partecipa per la prima volta ad operazioni di guerra e, benché male armati e con soli due cannoni, escono spesso in avanguardia in micidiali campi minati e sostengono aspri combattimenti sull’Appennino a Filtrano, Castellone di Suada e Grinzano, nel Bolognese. Negli ultimi giorni di guerra, a Casalecchio dei Conti, nel Bolognese, nel corso di cruenti combattimenti con le truppe tedesche, viene decorato con una medaglia di Bronzo. Nel dopoguerra si trasferisce in Venezuela dove, per anni, presiede la locale Associazione Nazionale Alpini. Ritornava spesso a Ventimiglia e mantenne sempre vivi i contatti con gli amici ventimigliesi.
«Motivazione Medaglia d’Argento al Valor Militare Crovesi Ivo, Sottotenente Rgt. Paracad. “Nembo”, II Btg. – Comandante di un plotone fucilieri di provato valore, durante una giornata di aspri combattimenti, organizzava il fuuoco delle sue armi in modo da infligere al nemico notevoli perdite e dare valido appoggio ad altri plotoni della sua compagnia. Assicurava il rifornimento munizioni del reparto fortemente impegnato, trascinando con l’esempio i suoi uomini, attraverso un terreno aspro, intensamente battuto dal fuoco nemico. Nobile esempio di attaccamento al dovere. – Casalecchio dei Conti, 19 aprile 1945. MBVM». Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020
[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L’immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell’Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 – 8 ottobre 1944), (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]
La cerimonia di commemorazione dei partigiani martiri dell’Albarea a Sospel nell’agosto del 2011La zona a sud del GrammondoIl Grammondo visto da Ventimiglia (IM)
Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e ancora fino al 1943, nel periodo primavera-estate era facile per chi percorreva la val Bevera notare sulle pendici del Grammondo, verso sera numerosi fuochi accesi. Erano i bivacchi di gruppi di contadini che si recavano ad accudire i loro campi e rimanevano lassù a pernottare anche per alcune settimane. Nella primavera del 1944 avevo 14 anni e per sbarcare il lunario facevo la stagione sulle pendici del Grammondo in località “Brunei”. Dormivo al primo piano di una vecchia abitazione in pietra e tornavo a casa per rifornirmi di viveri una volta alla settimana. Una mattina presto vengo svegliato da quattro uomini armati fino ai denti che mi invitano a seguirli. Mi conducono al loro Quartier Generale nelle caserme abbandonate del Grammondo dove il loro comandante [n.d.r. Ernesto “Nettu” Corradi, sulla cui figura vedere infra], dopo avermi interrogato a lungo mi fa capire che, siccome ormai conosco il loro rifugio o mi considerano prigioniero o devo arruolarmi con loro. È così che quasi senza volerlo, divento partigiano. I primi tempi mi utilizzano per i lavori più umili poi dopo alcuni giorni mi mandano una notte di guardia alla postazione di mitragliatrice sul monte Cimone. Durante il giorno rimaneva un solo partigiano di guardia, alla notte sei. Il mio incarico diventa quello del rifornimemo d’acqua. Ogni mattina mi recavo con una mula alla sorgente in “Gerri” e riempivo alcuni bidoni di acqua. Nelle caserme erano ospitati una cinquantina di partigiani. Ogni tanto un gruppo partiva in missione. Ero con loro da una ventina di giorni e stavo meritandomi la loro fiducia tanto che mi avevano dotato di un fucile mitragliatore. Una sera il comandante, con un gruppo di fidati, esce in missione e durante la notte parecchie granate cadono sul Grammondo. I partigiani si dividono in gruppi e si sparpagliano sul territorio. Stava albeggiando e mi reco come al solito a fare rifornimento d’acqua quando sento dei rumori. Mi allontano dalla fonte e mi nascondo tra i cespugli in vigile attesa. E’ un gruppo numeroso di tedeschi che avanza verso il rifugio dei partigiani. Dalla mia posizione sento raffiche di mitra nella zona di “Albarea” dove evidentemente i partigiani oppongono resistenza. Poco dopo ne vedo passare uno trascinato prigioniero. Decido di fuggire verso Castellar. Lungo il percorso incontro un partigiano di nome “Pineta”, un ex ufficiale degli alpini e continuo con lui la fuga. Da Castellar salgono altri tedeschi accompagnati da cani. Non sappiamo cosa fare, poi decidiamo di calarci tra le rocce e raggiungere poco sotto un anfratto sulla parete. Utilizzando le cinghie dei fucili come corde prima scendo io e poi aiuto “Pineta” trattenendolo per i piedi. Rimaniamo nel buco, nascosti per quarantotto ore, poi proseguiamo sempre per boschi verso le alture di Nizza dove incontriamo un gruppo di partigiani francesi e rimaniamo con loro fino all’arrivo degli americani. Non posso rientrare in Italia né tantomeno avvisare mia madre per cui decido di seguire le truppe alleate e con loro alla fine della guerra entro in Torino. Qui incontro il sig. Beltrame un mio compaesano sfollato e padre di quella che diventerà mia moglie. Finita la guerra dicono a mia madre che un Lorenzi è stato ucciso, fucilato, a Sospel con altri partigiani. Desolata ordina così una messa di suffragio. Fortunatamente in quei giorni il sig. Beltrame torna in paese e racconta a mia madre di avermi incontrato qualche giorno prima a Torino. Il partigiano “Pineta”, con il quale ho passato gli ultimi mesi di guerra, morirà su una mina pochi giorni dopo il rientro a casa… Francesco Lorenzi, Avventura partigiana sul Monte Grammondo in Renzo Villa e Danilo Gnech (a cura di), Ventimiglia 1940-1945: ricordi di guerra (con la collaborazione di Danilo Mariani e Franco Miseria), Comune, Studio fotografico Mariani, Dopolavoro ferroviario, Ventimiglia, 1995
La zona sottostante, ad oriente, a Monte Cimone
Verso metà giugno Ernesto Corradi (Nettù) <1 si porta con la sua banda in località Cimone sui pendii del monte Grammondo (m. 1378 s.l.m.). e più precisamente, presso la frazione di Villatella. Il luogo è molto vicino alla frontiera francese ed il raggio d’azione è costituito dalle valli Roja e Bevera, fra Olivetta San Michele, Airole e Ponte San Luigi. A «Nettù» si aggrega il gruppo di patrioti ventimigliesi organizzato da Rino Poli che nella primavera si era stabilito in frazione Ville; sul finire del giugno 1944 la formazione conta circa sessanta elementi ed inizia ad effettuare numerose azioni di guerriglia che si protraggono anche nel successivo mese di luglio. A seguito di tali episodi la sede garibaldina è individuata ed il Comando tedesco progetta di eliminarla. Il Comando partigiano, venuto a conoscenza della minaccia nemica, decide il trasferimento del 7° distaccamento. La zona prescelta è costituita dalla foresta dell’Albarea, sottostante a Fontana Fredda (Fuon Freia) ed ubicata sul Grammondo. Nel sito vi sono casoni e varie grotte, tra le quali una vastissima denominata «Pertus du Gorilla». Il luogo non dista molto da Sospel e Castillon sul versante francese e da Olivetta San Michele su quello italiano. All’inizio del mese di agosto la Resistenza è particolarmente viva e provoca gravi danni alla macchina bellica tedesca. Gli atti di sabotaggio sono numerosi: la ferrovia Ventimiglia-Cuneo è gravemente danneggiata; saltano in aria le linee telefoniche e molti ponti; le colonne ed i presidi militari nazisti sono continuamente attaccati. I partigiani hanno ricevuto l’ordine di prendere ovunque l’iniziativa, soprattutto nelle località sulla frontiera italo-francese sottostante alle Alpi Marittime. Sicché l’impegno è grande anche se, probabilmente, non tutti i combattenti comprendono l’enorme importanza della loro lotta, inquadrata in un vasto piano bellico: infatti, la zona riveste grande importanza perché l’efficienza o meno delle poche vie di comunicazione può rappresentare la salvezza o la perdita delle truppe tedesche ivi operanti, nell’eventualità di uno sbarco alleato sulla Costa Azzurra <2. Anche i maquis sferrano attacchi al nemico in continuità. Per dimostrare la loro efficienza avevano occupato il villaggio di Peillon e vi si erano trattenuti per ventiquattro ore; quindi, si erano ritirati per risparmiare alla popolazione la furia devastatrice dei cannoni tedeschi piazzati nell’ex forte francese del monte Agel <3. I rapporti di collaborazione tra patrioti francesi e italiani diventano sempre più stretti, tanto che i maquisards promettono armi ai garibaldini se i lanci aerei saranno effettuati prima a loro che alla V Brigata «L. Nuvoloni» <4. Il giorno 8 agosto, esponenti della Resistenza nizzarda raggiungono i partigiani del 7° distaccamento e chiedono la loro partecipazione ad un’azione all’Hotel du Golf, presso Maurand. Nella notte parte degli uomini del gruppo «Nettù» attraversa a guado il torrente Bevera. L’azione è felicemente effettuata. Come si vede lo spirito di collaborazione è sempre più stretto. Italiani e Francesi insieme per la comune lotta della libertà e, quando i Tedeschi sferreranno il loro attacco all’Albarea, li troveranno accomunati nella difesa ed anche nella morte. Subito dopo il trasferimento di sede della formazione «Nettù» erano stati catturati tre doganieri tedeschi, uno dei quali berlinese, nazista convinto ed arrogante nei confronti degli Italiani. Gli altri due, di nazionalità polacca, avevano chiesto di essere incorporati nel distaccamento, professandosi antinazisti ed intonando l’Internazionale per provare la loro fede. Il nazista era stato condannato a morte; ma i giovani incaricati dell’esecuzione, mossi a compassione ed ignari della inesorabile legge della guerriglia e delle sue esigenze, avevano liberato segretamente il prigioniero, il quale, raggiunto il suo Comando di Sospel, aveva fornito tutte le informazioni sui garibaldini e sull’ubicazione delle loro posizioni. Sarà quindi di guida nel rastrellamento progettato e già preparato che provocherà tristi e dolorose giornate per la nostra Resistenza. L’operazione è definita in tutti i particolari dal Comando tedesco. Il 9 agosto 1944 le colonne naziste partono da varie località della Francia e dell’Italia: da Olivetta San Michele, Torri, Villatella, Castellar, Plateau Saint Germain, Sealza, Sospel, Breil, Menton, Cabbé, Roquebrune. Sono affiancate da forti contingenti della milizia confinaria ed appoggiate dal fuoco dei mortai e deicannoni. Si calcola che le forze nazifasciste partecipanti all’azione ammontino a circa 1600 uomini. Al momento dell’attacco una pattuglia di partigiani si trova sulla strada militare Mortola-Grammondo; un’altra è di vedetta nelle campagne di Villatella ed elementi di banda locale sono nei pressi di Olivetta San Michele e Sospel. Questi ultimi vengono catturati mentre tentano di avvisare i partigiani del distaccamento; gli altri riescono a mettersi in salvo, allontanandosi quando nella zona ritorna la calma. Precedentemente, per stornare l’attenzione circa il progettato rastrellamento, i Tedeschi avevano provveduto ad affiggere dei manifesti per invitare la popolazione a tenersi lontana dalle campagne a causa delle esercitazioni di tiro dell’artiglieria someggiata. Le sopracitate colonne tedesche verso le 17 riescono ad accerchiare il 7° distaccamento già disorientato per la momentanea assenza del comandante «Nettù» e di quindici uomini, precedentemente allontanatisi per le ragioni che diremo. Con i garibaldini combattono alcuni Francesi delle formazioni denominate «Chasseurs des Alpes». Il violento attacco è contenuto per oltre un’ora ed i partigiani, asserragliatisi nel casone presso Fontana Fredda, si difendono con accanimento e coraggio. Degna di elogio è una meravigliosa figura di combattente: il caposquadra Sauro Dardano (Bob) <5. Egli, incurante delle intense raffiche delle armi nemiche, tenta varie volle di uscire dal casone per porsi in salvo con i compagni. Vista vana ogni resistenza, i partigiani decidono il da farsi. Pensano che per i principi della Convenzione di Ginevra i prigionieri debbano essere rispettati e Dardano, allo scopo di guadagnare tempo, strappa una camicia facendone una bandiera bianca; l’innalza attraverso un buco del soffitto in segno di resa, mentre i Tedeschi continuano a sparare. Approfittando di un momento di tregua, Dardano esce per parlamentare con la bandiera bianca alzata, ma appena fuori è stroncato da una raffica di mitragliatrice. Mentre cade, grida ancora: «Salvatevi ragazzi, viva l’Italia!». Più avanti, ancor meglio, vedremo come i Tedeschi rispetteranno la Convenzione di Ginevra! Dopo la morte commovente ed eroica del giovane Dardano, Domenico Ferraro si fa nascondere dal suo compagno Osvaldo Lorenzi sotto al fieno anunucchiato in un angolo. I Tedeschi entrano, catturano i partigiani, li legano e li conducono fuori. Quindi incendiano il casone. Ferraro si tira fuori dal fieno e da una finestra ha tempo di vedere i nazisti che si allontanano portandosi appresso i prigioneri. In un partigiano ferito, che procede appoggiandosi ad un Tedesco, gli pare di riconoscere Dardano. Evidentemente si sbaglia, poiché il valoroso caposquadra giace steso al suolo <6. Poco prima della morte di Dardano era caduto Giovanni Vesco (Tobruk) <7, in un tentativo di fuga dal retro del casone. Le salme di Dardano e Vesco saranno in seguito recuperate da Aldo Dardano in collaborazione con l’abate Aprosio, e quindi portate a Ventimiglia <8. Il garibaldino Bruno Pizzol, gravemente ferito, viene ricoverato presso l’Ospedale Santo Spirito di Ventimiglia dove cesserà di vivere dopo due giorni <9. Giuseppe Orengo, ferito nel corso del combattimento, e Nandino Gandolfi riescono a fuggire. Il 2 di settembre partiranno in barca da Latte per tentare di raggiungere la costa oltre Ponte San Luigi, ma di entrambi non si avranno più notizie <10. Nell’infausto giorno sono fatti prigionieri diciassette patrioti. Di essi parleremo più avanti <11 dopo aver narrato altri avvenimenti connessi alla battaglia descritta. Tre Tedeschi uccisi ed una quarantina di feriti rappresentano le perdite naziste. Le vicende del Comandante Ernesto Corradi (Nettù) Poco prima dell’attacco nemico «Nettù», con alcuni uomini, si era recato al colle di Castillon per comprare due quintali di sale, cartine per sigarette e per prendere in consegna quattro muli, provenienti da Sospel, sottratti alla requisizione dei Tedeschi. Secondo quanto riferito dalla staffetta «Rovi» sia gli animali che la merce sarebbero stati destinati al Comando della V Brigata poiché nella zona Triora-Carmo Langan, come del resto in tutte le nostre zone, il sale era scarso. «Nettù» aveva chiesto dei volontari disposti ad effettuare il viaggio perché nei garibaldini pesava ancora la fatica sostenuta la notte precedente per la missione presso l’Hotel du Golf. Era partito per il versante francese un gruppo composto da una quindicina di uomini. Si contava di impiegare due o tre ore per il viaggio di andata e ritorno. Caricato il sale sui muli, i partigiani si preparano al ritorno quando una staffetta francese li informa che da Sospel sono partiti due camion tedeschi diretti al Grammondo. Si sentono, infatti, i primi colpi delle armi automatiche ed i garibaldini si affrettano verso l’accampamento dell’Albarea; ben presto devono abbandonare la via più breve, costituita dalla mulattiera, poiché passa allo scoperto ed è esposta all’incombente pericolo dei tiri nemici. Sono costretti a camminare in terreni coltivati a vigneto ed a frutteto; poi, malgrado i contadini li esortino a fermarsi per il grave rischio cui vanno incontro, si avventurano in una zona scogliosa e scoperta e pervengono alla «Graia» <12 dell’Albarea. La sparatoria è intensa ma «Nettù» riesce a raggiungere la cresta del monte, procede oltre la «Graia», e si mette a chiamare. Non ode alcuna risposta, perciò pensa che i garibaldini, avvertiti, abbiano abbandonato l’accampamento e si siano messi in salvo prima dell’arrivo dei nazifascisti, per cui dà l’ordine di ritirarsi. Poiché è fatto segno da una raffica si ferma ed ordina agli uomini, rimasti indietro a breve distanza, di buttarsi a terra. Una colonna tedesca scende da passo Carei mentre altre avanzano da varie direzioni. Sparano con mitragliatrici piazzate nei forti francesi e con machinen-pistole, provocando uno scenario infernale. I partigiani cercano di raggiungere il «Pertus du Gorilla» ma un fuoco nutrito li investe nuovamente, impedendo loro di proseguire. Poi sentono altre raffiche, ma non sono rivolte contro di loro e non ne comprendono la ragione. (In seguito si saprà che erano quelle dei mitragliatori azionati dai due polacchi che, come precedentemente ricordato, avevano aderito al movimento partigiano). «Allora con i miei uomini – scrive «Nettù» – mi ritirai (in una situazione difficile) verso i valloni di Esu e di Cordillon; riuscii ad attraversarli ed a salire verso il Plateau de Segrand da dove guadagnai l’accampamento dei maquis…» Da fonte francese si verrà poi a conoscenza che i Tedeschi, per effettuare il rastrellamento e trasportare munizioni e viveri al Grammondo, avevano requisito i muli a Sospel, Morlì, Castellar e Saint Agnès . Le colonne naziste erano guidate dai doganieri tedeschi di stanza presso Castellar, buoni conoscitori dei luoghi circostanti al Grammondo, oltre che da quel nazista berlinese che, come detto, era stato fatto prigioniero e successivamente rilasciato da quei giovani partigiani, i quali pagano ora di persona la loro imprevidente generosità. La storia di Cascione tragicamente si ripete. «Nettù» e compagni sono impossibilitati a riprendere subito il viaggio di ritorno. Tentano varie volte, ma sono costretti a rimanere presso i compagni francesi per la stretta vigilanza nemica lungo la strada Sospel Castellar-Menton. Finalmente, per vie traverse, riescono a passare dietro l’Escuvion ed a sbucare presso le sorgenti del Carei. Sopra la sorgente vi è una distesa erbosa che sale alla frontiera sino al passo Cuori. Sotto c’è un folto bosco di pini. Il silenzio che regna nel luogo, ed alcuni muli che fuggono al loro arrivo, rendono tutti fiduciosi. Ma ad un tratto, dai cespugli di lentischio, spuntano i Tedeschi che intimano la resa. «Nettù» urla agli uomini di guadagnare il bosco vicino. Poi si inginocchia ed apre il fuoco con lo sten mentre un partigiano spara un caricatore di moschetto: tre o quattro nemici sono colpiti. Mentre gli altri rimangono sorpresi «Nettù» introduce nello sten un secondo caricatore e grida al partigiano rimasto con lui di mettersi al sicuro: ma l’arma s’inceppa ed anche Corradi deve scappare, inseguito da due Tedeschi che gli sparano contro. Anche stavolta egli è salvo poiché, come è scritto nella sua relazione: «… il diavolo scartava le pallottole da me; sempre facevano più baccano che danno…». Constatata l’impossibilità di transitare da Passo Cuori, «Nettù» si dirige con i suoi uomini verso Passo Vacca. Fra i due passi vi è una zona di alte rocce, luogo pochissimo conosciuto e sulle carte topografiche dichiarato intransitabile (o “infrancisabile” come riferisce Corradi). Poco dopo incontrano uomini della Resistenza francese che si prendono cura di un garibaldino rimasto ferito ad unacoscia ed avvertono che tutti i passi sono presidiati dal nemico. In quel momento «Nettù» si ricorda di un segreto confidatogli da un contadino della zona in riconoscenza di servizi resigli: nella roccia vi è un canalone appena praticabile. Rintracciato detto percorso, il gruppo può raggiungere la vetta e tentare il ritorno a Villatella. Gli uomini sono nuovamente avvistati, di conseguenza «Nettù» ordina ai suoi di seguirlo; quindi si butta giù per una «Graia». Tutti cominciano a scendere lentamente, poi la velocità aumenta per forza di inerzia e giungono in fondo di corsa. I Tedeschi sparano ancora, ma stavolta i partigiani si mettono definitivamente in salvo fuggendo nel bosco. Nella notte raggiungono una casa amica. Ci sono soltanto due donne che offrono pane e pomodori. Poi, ripartono. Prosegue ancora la relazione citata: «… Finalmente riuscii a passare ed arrivare all’accampamento che trovai devastato […]. Ripiegai quindi con i miei uomini nel vallone di Castellar, attraversando la frontiera tra i passi Vacca e Corna…». Nel corso del vasto rastrellamento è stata fatta prigioniera anche la figlia del Corradi, mentre si recava a trovare il padre in montagna. Precedentemente sono stati ricordati quei due polacchi che sparavano contro i Tedeschi nel momento in cui «Nettù», con i suoi compagni, era non distante dal «Pertus du Gorilla». In quel momento i partigiani non si erano resi conto della provenienza di quelle raffiche non dirette su di loro. Soltanto a calma ritornata, alcuni giorni dopo l’impari scontro, si scopre la dolorosa realtà: il fuoco dei mitragliatori era quello dei polacchi. Ora li rivedono là, su quel praticello presso quel fienile, morti al sole senza sepoltura, con i bossoli delle pallottole sparpagliati intorno. Il loro fuoco non è certamente stato inefficace perché lungo buon tratto della mulattiera numerose sono le tracce del sangue tedesco. I due generosi non si erano arresi, ma rabbiosamente avevano lottato. Combattendo con i partigiani italiani hanno combattuto anche per il loro popolo e per tutti gli altri popoli minacciati ed oppressi dal nazismo. Il prezzo da loro pagato è stato altissimo, e la loro morte passa, purtroppo, inosservata. Non sono ricordati. Sono sconosciuti, morti lontano, molto lontano dalla loro terra e dai loro cari; hanno riposato in un angolo, sull’orlo di un bosco; ora, forse, di essi non resteranno più neppure le ossa. È altresì doveroso segnalare che l’esito doloroso del rastrellamento, la gravissima perdita di venti garibaldini, le sofferenze patite, lo sbandamento avvenuto nelle fila partigiane è stato principalmente originato, per citare un giudizio di «Nettù» espresso nella sua relazione: «… dall’inesperienza di pochi giovani che avevano lasciato libero il nazista…». Probabilmente, malgrado le informazioni assunte, il nemico non avrebbe potuto rintracciare i rifugi dei partigiani nelle grotte sparpagliate nel bosco dell’Albarea. Ma non si sa se tale affermazione sia da condividere pienamente o se vi siano state altre cause a generare la più grande perdita di vite umane subita in un solo episodio della nostra Resistenza nel mese di agosto del 1944. Il distaccamento è smembrato e molti superstiti passeranno in territorio francese dove saranno assistiti dalle popolazioni locali. [NOTE] 1 Ernesto Corradi (Nettù) di Bartolomeo e di Angela Pastorelli, nato a Torrazza (ora Imperia) il 20 ottobre 1894, in montagna dal 10 maggio 1944, dichiarazione integrativa n. 4748. Abbraccia giovanissimo la causa dell’antifascismo e viene varie volte ammonito dal federale perché sospettato. Svolge vita cospirativa a Torino presso la Fiat Mirafiori. Verso la fine del 1943 torna a Torrazza, mantenendo però contatti con Torino. Durante il terzo viaggio nella capitale subalpina, Corradi viene arrestato nottetempo e, dopo 48 giorni di carcere, è deferito al Tribunale Speciale dal quale è condannato alla libertà vigilata, avendo simulato nel periodo di detenzione atteggiamenti di alienato mentale. Iniziata la lotta armata raduna ventidue giovani tra Piani di Imperia e Torrazza. Dal Comando garibaldino riceve l’ordine di spostarsi sul confine francese e «Nettù» si avvia con una parte di uomini, poiché gli altri preferiscono combattere presso il proprio paese. Il gruppo raggiunge il monte Faudo, dove esisteva un nascondiglio di armi e munizioni. Poi, per Villatalla e Carpasio, attraverso varie vallate, giunge nella zona di frontiera. Prende contatto con i partigiani francesi e in cambio dell’aiuto dato ai maquisards in occasione di un lancio aereo alleato, viene in possesso di esplosivo per sabotaggi. 2 Lo sbarco avverrà poi in Provenza il 15 agosto. 3 Vedasi il giornale Corriere della Riviera del 12 agosto 1964. 4 Dalla relazione del Comando della V Brigata datata 11 agosto 1944, inviata al Comando della II Divisione «F. Cascione» 5 Sauro Dardano (Bob) l’8 settembre 1943 è presso la base militare di La Spezia in qualità di puntatore cannoniere. All’annuncio dell’armistizio si incammina verso Ventimiglia per rientrare in famiglia, ma a pochi chilometri dalla meta è catturato dai nazisti; essendo privo dei documenti di riconoscimento è incolonnato per essere deportato in Germania. Dardano tenta la fuga, ma è ripreso, ridotto all’impotenza e percosso con il calcio del fucile. Alla stazione di Recco, mentre i Tedeschi si apprestano ad internare i prigionieri nei vagoni piombati diretti ai «lager» germanici, suona l’allarme per un’improvvisa incursione aerea degli Alleati. Nella confusione che si crea Sauro riesce a dileguarsi ed a raggiungere la sua famiglia dopo una marcia di quindici giorni, attraverso strade e sentieri di campagna e di montagna. Poi, si avvia alle formazioni partigiane che si stanno creando nell’entroterra ventimigliese ed organizza una banda in frazione Torri di Ventimiglia: successivamente si trasferisce sul monte Grammondo. Per circa un anno «Bob» offre il suo contributo alla causa della libertà, dimostrando grande generosità e lealtà verso i compagni, per i quali prepara anche degli scritti da leggere periodicamente nel distaccamento. Grazie al suo coraggio ed alla buona conoscenza dei luoghi in cui opera riesce sempre a respingere i numerosi attacchi nemici. Giovane di grande entusiasmo, è di esempio ai compagni anche in quelle iniziative che, apparentemente estranee alla lotta armata, tendono a cementare la fraternità fra i partigiani (da documentazione di archivio presso l’ANPI di Imperia e da una testimonianza scritta dello zio Aldo Dardano). 6 Testimonianza di Aldo Dardano. 7 Relazione di Ernesto Corradi (Nettù) del 22 agosto 1944 – prot. N° 47/0, inviata al Comando della V Brigata. 8 Testimonianza di Rino Poli e di Aldo Dardano. 9 Vedasi fascicolo personale presso ANPI di Imperia. 10 G. Strato nel 1° volume della presente opera a pag. 244 scrive che Orengo Giuseppe fuggì e non diede più notizie. Aldo Dardano, in una testimonianza successiva, riferisce che Orengo è stato catturato, trasportato a Nizza ed ucciso in località Scarena. 11 I partigiani catturati saranno fucilati a Sospel (vedasi il capitolo seguente). 12 «Graia» significa frana pietrosa. Queste pietraie sono assai numerose nelle Alpi Marittime. Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) – Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992
Villatella, Frazione di Ventimiglia (IM) ed uno scorcio del Grammondo
25/8/44 […] Siamo di fronte uno all’altro, ci guardiamo meravigliati, poi scoppiamo dal ridere; mi racconta [Ernesto “Nettu” Corradi] che è reduce da un imponente rastrellamento subìto sulle pendici del monte Grammondo. Ora cerca il Comando di divisione per fare il suo rapporto. Mi propone di seguirlo, dicendomi che sarebbe sceso a Torrazza [Frazione di Imperia] e ritornato, poi, in Francia. Il desiderio di rivedere i miei genitori era immenso e l’idea di avvicinarmi agli alleati mi allettava molto. Illuso di poter entrare a Porto Maurizio sopra un carro armato americano, accetto la proposta e decido di seguirlo. Convinto dall’entusiasmo del mio compagno, abbandonavo la vita partigiana nelle montagne imperiesi, mentre una nuova spericolata avventura mi avrebbe condotto oltre confine, dove pensavo di arruolarmi in un esercito regolare per combattere, con maggiori probabilità di riuscita, quel nemico da cui non volevo più fuggire e che volevo vincere. Saluto i compagni, dispiaciuti per la mia decisione, che rimangono là in attesa di quelle armi che non arriveranno mai, e mi avvio con “Nettu” verso il Comando di divisione. Terminato il suo rapporto sulla sconfitta subìta sul monte Grammondo, “Nettu” ottiene da “Giulio”, commissario di divisione [Libero Remo Briganti], il permesso di partire per la Francia, ed io con lui. 29/8/44 – Con una lunga camminata, prima di sera raggiungiamo Triora […] Giorgio Lavagna (Tigre), Dall’Arroscia alla Provenza. Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim, ed. Cav. A. Dominici, Oneglia Imperia, 1982
[ n.d.r. sulla controversa figura di Ernesto Corradi si possono leggere alcuni significativi passi in “La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 – 8 ottobre 1944)” (a cura di) Paolo Veziano (con il contributo di) Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020 ]
Con un nuovo documento al quale allegava le testimonianze di alcuni garibaldini “Nettu” era determinato a smontare pietra per pietra il castello accusatorio costruito da “Dritto”. “Fu provato che non abbandonai i miei garibaldini, che presi parte al combattimento di Albarea nel quale fui solo a sparare contro i tedeschi, uccidendo fra l’altro un ufficiale a Passo Cuori. Che non riparai in Francia perché tutta la compagnia vi era, Albarea trovandosi in Francia. Che venni con scorta a fare rapporto ai comandi di brigata e di divisione. Che ricevetti da Vittò Ivano [n.d.r.: Giuseppe Vittorio Guglielmo, all’epoca comandante della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”, poco tempo dopo della II^ Divisione “Felice Cascione”] ordine scritto di ritornare sul Grammondo e Albarea ed eseguii quell’ordine, fui tagliato fuori dalla spinta tedesca e rimasi colà per forza come tanti altri. Che non avevo ingenti somme, e che il poco che avevo mi fu sequestrato, poi rubato dall’avventuriero Giacomo Alberti [n.d.r.: il partigiano “Dritto” che aveva mosso accuse molto pesanti a Corradi]”. L’Associazione Nazionale Partigiani (ANPI) affidò ad Arnolfo Ravetti, “Paga”, il delicato incarico di dirimere l’incandescente controversia. Dopo aver letto gli atti, l’arbitro si convinse che le accuse reciproche fossero esagerate e che queste nascessero dall’inimicizia derivata dalle loro datate e burrascose relazioni. Inappuntabile pare invece il suo giudizio sulle gravi responsabilità del comandante del distaccamento del Grammondo “Si comportò in modo leggero con soprusi ed arbitri sia contro la popolazione che contro i Garibaldini, che a me personalmente dissero di vivere sotto il suo terrore: senonché a tale epoca non potei prendere provvedimenti. La sua incompetenza di avventuriero risultò chiara nella strage del suo distaccamento che sorpreso verso il 9 di agosto dai tedeschi perdette 18 uomini su 24”. “Paga”, repetita iuvant, inseparabile compagno di “Fragola”, conferma che “Nettu” fu chiamato a Carmo Langan da “Ivano” e che questi lo inviò a “Curto” [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante all’epoca della II^ Divisione “Felice Cascione”, in seguito della I^ Zona Operativa Liguria] al quale spettava la decisione finale sui provvedimenti da adottare. Tornò dopo alcuni giorni affermando trionfante di aver avuto un lungo colloquio in seguito al quale “Curto” lo aveva assolto e gli aveva ordinato di tornare sul Grammondo. Solo a partenza avvenuta si seppe che “Nettu” non si era mai presentato all’incontro. Giunto a destinazione, reclutò altri uomini e il 20 settembre passava alle dipendenze delle Forze armate francesi come gruppo autonomo della V brigata “L. Nuvoloni”. Il suo comportamento, e una nuova serie di arbitri, furono oggetto di feroci critiche da parte degli alleati d’oltralpe. Meno intransigente, ma non completamente assolutorio, il giudizio che “Paga” espresse su “Dritto”: «Inviato in Francia in missione, non ne fece più ritorno che alla Liberazione sebbene più volte richiesto per mezzo di staffette, ma saltuariamente giunsero notizie su di lui che fecero comprendere come male si fosse apposto il Comando della brigata inviandolo in Francia». In sostanza – concludeva Ravetti – l’aiuto prezioso offerto dalla permanenza di Alberti e Corradi in Francia alle formazioni partigiane non sarebbe mancato se con il loro comportamento si fossero guadagnati la fiducia della Missione alleata che considerava, invece, tutti i garibaldini italiani alla stregua «del campione che aveva sottomano». Paolo Veziano, Giustizia partigiana in La libera Repubblica di Pigna op. cit.
[ n.d.r.: in effetti a settembre 1944, come lasciò scritto Lavagna (vedasi op. cit. supra) Corradi ed il suo gruppo erano stati arruolati nella FSSF, First Special Service Force (chiamata anche The Devil’s Brigade, The Black Devils, The Black Devils’ Brigade, Freddie’s Freighters), reparto d’elite statunitense-canadese di commando, impiegato anche nella Operazione Dragoon nel sud della Francia, tuttavia sciolto nel dicembre 1944; a questa data, per non farsi internare, questi partigiani italiani furono costretti ad immatricolarsi nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese, nel quale prestarono servizio sino alla fine della guerra ]
[…] Elenco delle vittime decedute Chiodin Angela, anni 37, civile Chiodin Maria, Lorenzi Alberto, anni 64, civile Lorenzi Battistina, anni 62, civile Pallanca Rosalba, anni 2, civile Pallanca Vincenzo, anni 4, civile Pastorino Giovanni, anni 80, civile Pittaluga Rinaldo, anni 52, civile Plank Antonia, anni 22, civile Trovato Giovanna, anni 2, civile Trovato Salvatore, anni 37, civile […] Fucilazione di tre gruppi familiari nell’abitato di Grimaldi superiore, precedentemente evacuato per ordine tedesco. La motivazione della strage è incerta, ma potrebbe essere legata al mancato rispetto dell’ordine di evacuazione. Dagli articoli pubblicati sul giornale “La Stampa” del 04.07.1999 e dell’11.07.1999 risulta che detta strage è stata compiuta in seguito a una delazione ai tedeschi di Giuseppe Eusebi la cui moglie è stata licenziata a causa di un furto dai titolari dell’Albergo “Vittoria” (Lorenzi e Pallanca) […] Sabrina Giribaldi, Episodio di Frazione Grimaldi “Albergo Vittoria”, Ventimiglia, 07.12.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
Tutto era come sempre quel mattino a Grimaldi. Il mare non ansimava più delle altre volte e il cielo aveva il broncio solito di tutti gli inverni. Tutto intorno era pace. I mandarini in fiore con il loro profumo annunciavano, prossime, le feste di Natale. Era il 7 dicembre 1944. Il giorno prima le autorità militari tedesche, di stanza a Ventimiglia, avevano emanato l’ordine di evacuazione. Poche anime erano rimaste in paese e quello stato di disagio accompagnava la paura di quell’ultima gente ancora ancorata alla propria terra, legata ai risparmi di tutta una vita. Perché non fuggirono? A due passi li attendeva la terra di Francia. L’attesa spasmodica, la paura e la speranza ebbero fine alle 8,30. Un crepitio di fucili lacerò il silenzio e l’aria tersa di quella piccola comunità. Davanti al muro esterno dell’Albergo Vittoria, una squadra di tedeschi li aveva ammucchiati come tante pecore, e li aveva massacrati. La barbarie aveva reciso senza pietà la vita innocente di Giovanna Trovato di due anni, di Rosalba di quattro, e del suo fratellino, Sergio Pallanca, di sei, e con loro uomini e donne: la mamma della piccola Giovanna, malgrado fosse incinta, e Alberto Lorenzi (detto Berto de Tacun) con la moglie Battistina, proprietari del piccolo albergo, e tutti gli altri e Rinaldo Pittaluga, che la sera precedente aveva deciso di rimanere con loro. I nomi di tutte quelle povere vittime della guerra sono scolpiti, con i loro sogni, nel marmo che guarda, con gli occhi del martirio, la Chiesa dei Santissimi Angeli nella piazzetta di Grimaldi Superiore […] Perché si è sempre parlato poco dell’eccidio di Grimaldi? Alcuni sono motivi di natura locale ma, essenzialmente, sono le stesse ragioni che hanno impedito, per anni, di capire e scoprire i colpevoli di altrettanti massacri perpetrati durante la guerra nel nostro Paese. Da ricordare, intanto, l’anno 1944 (cinquant’anni dopo!) perché fu in quei mesi che chi indagava sul caso Priebke, ebbe la ventura di scoprire il posto dove giacevano 695 fascicoli processuali, “dimenticati” da decine di anni. Tra quei fascicoli c’era anche una cartella celeste, con il n. 660 e con un titolo: “Ventimiglia (Imperia)”. Era dedicato all’eccidio di Grimaldi. Di fronte a quella scoperta qualcuno, in alto, manifestò un certo stupore, ma si trattava di una squallida messa in scena. Le gerarchie dello Stato, nonché gli alti gradi della Magistratura Militare, sapevano che nella seconda metà degli anni ’40 era successo di tutto e che sull’altare della cosiddetta “ragione di stato” erano state sacrificate le più elementari norme del diritto e commessi i più inqualificabili soprusi. Ci riferiamo alla scoperta di quei 695 fascicoli, riguardanti i crimini nazifascisti, recuperati a Roma, in via degli Acquasparte, dove ha sede il Palazzo Cesi che ospita la Procura generale militare. Erano stati occultati in un armadio di legno che aveva le ante appoggiate alla parete. L’ingresso era difeso da un cancelletto di ferro, chiuso a chiave. Molti di quelle ignobili vicende, che avevano caratterizzato quel tragico periodo erano raccontate nei minimi dettagli: saccheggi, omicidi, stragi e i loro nomi, quelli dei carnefici e quelli dimenticati delle vittime. Il ritrovamento portò alla luce un grande registro con la sintesi di quella carneficina e l’elenco di 2274 procedimenti penali, tutti iscritti nel “Ruolo generale dei provvedimenti contro criminali di guerra tedeschi”. Quegli scheletri dell’armadio erano lì a significare le esigenze della politica di Stato, 2274 nomi nascosti, non per la dabbenaggine di qualche appuntato, ma dietro ordini precisi. Bisognava evitare, in quel momento (un momento che durò lunghi anni), la celebrazione dei processi contro i criminali di guerra tedeschi. Perché i più alti gradi della Magistratura Militare accettarono di abdicare al proprio dovere? L’esclusione dal governo dei comunisti di Togliatti e dei socialisti di Nenni aveva, di fatto, dilatato e inasprito i contorni della “guerra fredda”, diventata ormai la strategia politica e militare della nazioni del blocco occidentale. Ad ogni costo (anche a costo di occultare 695 fascicoli) si doveva evitare di riproporre le condizioni per una “Norimberga italiana”. L’imminente fondazione della Repubblica Federale di Germania suggeriva l’opportunità politica di soprassedere, di dimenticare. Quando si trattò di estradare in Italia una trentina di ex ufficiali tedeschi, responsabili in prima persona di quel cruento massacro effettuato nell’isola di Cefalonia, nell’ottobre del 1943, arrivò puntuale il veto ministeriale. La celebrazione di quel processo avrebbe sicuramente determinato lo sdegno dell’opinione pubblica e la mobilitazione delle opposizioni di sinistra, frapponendo così seri ostacoli alla ricostituzione dell’esercito germanico che si apprestava a entrare nell’alleanza atlantica. Il 14 gennaio 1960 il procuratore generale militare, Enrico Santacroce, decretava l’”archiviazione provvisoria” dei 695 fascicoli per crimini di guerra, con un provvedimento inaudito (l’ordinamento giuridico italiano infatti non lo prevede). Se questi 695 fascicoli sono tornati a galla, dopo essere stati secretati per decine di anni, lo si deve alle indagini sul caso Priebke. Altri nomi di triste memoria, come quelli di Herbert Kappler e di Walter Reder, processati e condannati, non sono sufficienti per cancellare una vergogna che la “ragione di stato” non è in grado di assolvere. Quando saltarono le ante di quel famoso armadio di legno di Palazzo Cesi la Procura Militare ebbe tra le mani anche il fascicolo di Grimaldi. La Procura militare di Torino ebbe l’incarico di istruire il processo e quella è l’unica fonte attendibile per ricostruire una probabile storia che si porterà appresso, per sempre, le ombre del sospetto delle cose dette e smentite, e il veleno di antichi ricordi. La scomparsa di tanti testimoni ha ulteriormente complicato le varie fasi della vicenda. Il dispositivo della sentenza formulata dal Giudice Alessandro Benigni, nei confronti del maggiore Hans Geiger e del tenente Heinrich Goering, ultra ottantenni ormai, porta la data del 15 maggio 2000. L’esito appare sconcertante. I due imputati di “violenza con omicidio contro privati italiani” non sono stanti condannati per le seguenti ragioni: “non luogo a procedere perché gli elementi acquisiti dal P.M. risultano insufficienti a provare che gli stessi abbiano commesso il fatto”. Un fascicolo riemerso cinquant’anni dopo l’accadimento dei fatti, non poteva che riproporsi logorato dal tempo e privo di ogni possibile immediatezza. Così le stesse testimonianze apparivano lontane e non concordi con le ultime risultanze. Condizionato da questo stato di fatto il pubblico ministero, Paolo Scafi, inizia la sua indagine il 29 gennaio 1997. La pattuglia tedesca che irrompe nell’Albergo Vittoria è accompagnata da un certo Egidio Eugeni noto collaborazionista. I bambini e i grandi vengono fucilati e i loro corpi gettati in una fossa che viene ricoperta con terra, paglia e rifiuti. Le salme saranno poi riesumate per stabilire le cause della morte. L’inchiesta scopre che “non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi” ma le testimonianze sono ancora troppo frammentarie e reticenti. Un mese dopo la strage, nel gennaio del 1945, il titolare di una panetteria di via Cavour, in Ventimiglia, tale Giuseppe Viale, riferisce che, alla presenza anche di un certo Moro, titolare di un negozio di busti in Bordighera, un sergente tedesco aveva asserito di aver ucciso parecchi “banditi” (così erano definiti i partigiani) per ordine del loro comandante il maggiore Geiger, e tra quei “banditi” c’erano anche tre bambini e una donna incinta. Entrando nei particolari aveva inoltre affermato che avevano ucciso un bambino molto bello e fu ascoltata un’altra teste, la signorina Antonietta De Re, che all’indomani della strage aveva parlato con un soldato tedesco di nome Karl, il quale, ubriaco, aveva confermato, piangendo, di aver ucciso “una bambina bionda che sembrava un angelo”, anche lui per ordine del maggiore Geiger e del tenente Goering. Nel novembre del ’45 il fratello di una delle vittime, il dott. Alberto Pallanca presenta un esposto al Comando Alleato della Liguria con il quale, secondo le prove a sua conoscenza, l’Egidio Eugeni, noto nemico dei Lorenzi i proprietari del “Vittoria”, è da considerare lo stimolatore dell’eccidio. Si accenna anche a una presunta polizza assicurativa di 50 mila lire riscossa dai Lorenzi per la morte in guerra del loro figlio. Con la morte di Egidio Eugeni, avvenuta il 19 marzo del 1946, un mese dopo la condanna all’ergastolo della Corte d’Assise di Sanremo, sparisce per sempre l’imputato – testimone più importante di tutta la vicenda. Quando il P.M. cerca di venire in possesso degli atti processuali, è trascorso mezzo secolo, sia la cancelleria del tribunale di Sanremo che quella del tribunale di Imperia “attestano di non avere alcuna notizia in merito”. La testimone, la signorina De Re, che al momento del processo viveva a Beaulieu, appare ormai reticente e la sua ultima testimonianza non collima più con la prima: non è più un solo soldato che le ha confessato quel massacro, ma più militari tedeschi. Non è facile tirare le fila perché non si riesce ad individuare il movente di quella strage così feroce e all’apparenza immotivata. Chi di quel gruppo aveva garantito i contatti tra partigiani italiani e partigiani francesi? Qualcuno avanza l’ipotesi che sia il genero dei Lorenzi, Vincenzo Gino Pallanca, anche lui fucilato. E se fosse vera questa ipotesi perché l’ordine di evacuazione? E ancora, ed è un interrogativo destinato forse a rimanere senza una risposta, perché non se ne sono andati? Quale fu la vera ragione che inchiodò tutta quella gente a Grimaldi? Le risultanze processuali prendono atto delle voci di un tesoro di banconote e di un sacco di marenghi. L’Eugeni, il complice collaborazionista, si sarebbe servito di alcuni soldati tedeschi per portare a termine una rapina e non un’operazione militare. Tra i moventi torna in ballo la somma incassata per la polizza assicurativa dal figlio dei Lorenzi, proprietari dell’albergo, tenente dell’Aeronautica, morto durante il bombardamento di Tobruk. La Stampa, in una sua corrispondenza del 30 settembre 1998, chiama in causa, sia pure in via ipotetica, la Curia di Ventimiglia, a cui avrebbero affidato, in custodia “un baule pieno d’oro”. È una ipotesi suggerita da lontani parenti dei coniugi Lorenzi, di cui si conoscono anche i nomi. Dopo i giorni della Liberazione trovò accoglienza l’ipotesi che i fascisti del posto per venire in possesso del malloppo avessero commissionato la rapina e il massacro. Chi ha sparato davanti il “Vittoria”? Alcuni sostengono siano stati gli uomini di un battaglione di disciplina, composto da fior di delinquenti comuni, impiegati alla bisogna per le operazioni più sporche. Non c’è altro. Ora il processo di Torino è rimbalzato al tribunale di Verona, ma l’incalzare del tempo non potrà aiutare chi cerca la verità. La gente di Grimaldi, trucidata in quel lontano dicembre, rimarrà rassegnata con i suoi nomi e i suoi sogni scolpiti su quel marmo che guarda la Chiesa e il rumore del mare continuerà a coprire le voce di quelle lontane tragiche ore. Nello Pacifico, Cos’è davvero successo a Grimaldi il 7 dicembre 1944? Quel marmo che guarda la Chiesa, La Gazzetta di Grimaldi, Anno 7°, n° 37, giugno 2005, http://www.terraligure.it/gazzetta
[…] Il Tribunale Militare di Torino in data 15 maggio 2000, dopo un processo che vide alla sbarra il maggiore Hans Geiger (nato a Francoforte il 12 giugno 1906) e il tenente Heinrich Goering (nato a Betzdorf il 17 luglio 1923), rispettivamente comandanti del 253. Grenatier Regiment della 34 Infanterie division e della VI compagnia dello stesso reggimento, emise una sentenza di non luogo a procedere [n.d.r.: vedere infra] per i due ufficiali tedeschi. La sentenza riporta i seguenti fatti: « Nella mattinata del 7 dicembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi, accompagnata da un noto collaborazionista italiano, tale Egidio Eugeni, irrompeva nell’Hotel “Vittoria” situato sulla Rocca di Grimaldi e, dopo averli radunati all’esterno dell’albergo, uccideva dodici civili: cinque donne, quattro uomini e tre bambini, espressamente indicati nel capo di imputazione. I corpi furono gettati in una fossa e coperti con terra, paglia e rifiuti. Nel giugno 1945 le salme furono riesumate e gli esami necroscopici rivelarono la causa della uccisione confermando che essa era avvenuta tramite fucilazione. Divenne opinione generale l’attribuzione della responsabilità della strage a soldati tedeschi in quanto, in quella fredda mattinata di dicembre, non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi, sentire da lontano il rumore degli spari, e, successivamente, vedere la pattuglia tedesca lasciare il villaggio. Cominciarono anche a circolare voci sulle singole responsabilità. Nel gennaio 1945, al Caffè Ligure di Bordighera, un Sergente tedesco in compagnia di altri suoi camerati, raccontò al Sig. Giuseppe Viale, titolare della panetteria di via Cavour in Ventimiglia all’epoca sfollato a Bordighera, e a un certo non meglio identificato, Sig. Moro, titolare di un negozio di busti sito in Bordighera, via Vittorio Emanuele, di avere ucciso parecchi “banditi” – così erano definiti i partigiani dai soldati tedeschi – per ordine del loro comandante, il Maggiore Geiger, tra cui vecchi, donne e bambini. Raccontò in particolare l’uccisione di un bambino bello molto biondo, che nessuno aveva il coraggio di trucidare, ma che fu anch’egli assassinato su reiterato ordine di Geiger (Relazione di Pallanca fogl. 422-423 fasc. PM). Il 10/7/1945 fu sentita la Sign.na Antonietta De Re la quale espose di avere incontrato l’8 dicembre 1944 un soldato tedesco di nome Karl, il quale, dopo avere bevuto molto, era scoppiato in lacrime descrivendole i fatti di Grimaldi e confessando di avere ucciso «una bambina bionda che sembrava un angelo… per ordine del Maggiore Geiger e del Comandante la sua compagnia Tenente Goering» (copia della dichiarazione De Re fogl. 424 fasc. PM); il soldato tedesco sarebbe poi stato rintracciato e fucilato dai suoi commilitoni senza sapere chi fosse stato (verb. DE RE 6/6/1998 fogl. 145). Il 25/11/1945 il Dott. Alberto Pallanca, fratello di Vincenzo Pallanca una delle vittime della strage, presentò un accurato esposto al Comando Alleato della Liguria (fogl. 420-423 fasc. PM), in cui ripercorreva le vicende di quei giorni dando ampio risalto alle testimonianze che aveva personalmente raccolto. Nell’esposto riferiva come le fonti tedesche indicassero in ragioni di spionaggio la causa della strage mentre egli personalmente riteneva assai più probabile che l’eccidio fosse stato stimolato da Egidio Eugeni, il quale era notorio nemico di Alberto Lorenzi, rimasto ucciso nella strage, il quale vantava una posizione economica assai invidiabile in quel fosco periodo, avendo riscosso una polizza assicurativa di £50.000 (e non come ha erroneamente sostenuto il P.M. nella sua requisitoria una indennità statuale pag.11 verb. 15/5/2000) per la morte del figlio caduto in combattimento, incassando la somma di £50.000 per la vendita di un terreno. Era inoltre proprietario di «Titoli, argenteria, preziosi». Vincenzo Pallanca invece, racconta sempre il fratello «possedeva un buon ristorante a Grimaldi ed aveva ricavato da tale esecuzione un forte utile. Risulta inoltre che l’Eugeni e la sua famiglia composta dalla moglie e da quattro figlie, mentre a Grimaldi vivevano in miseria, da quando l’Eugeni incominciò a praticare i tedeschi e specialmente da dicembre 1944 iniziarono un tenore di vita elevato. La moglie si vantava con i vicini di quanto giornalmente acquistava al mercato nero… in quei tempi l’Eugeni ebbe a dire a certo Giacometti Dario: “ho fatto un colpo che ho guadagnato ottanta mila franchi, ma io vivo all’albergo, la mia famiglia spende molto e se non mi procuro presto un altro colpo, finisco presto i soldi”». Il Pallanca continua sottolineando come l’Eugeni fosse a Grimaldi il giorno dell’eccidio e, come ebbe a dire alla Prof.ssa Maddalena Orengo «”io ero a tre metri quando li hanno uccisi e con essi vi è pure il Pittoluga”» (altra vittima dell’eccidio). Alberto Pallanca riteneva quindi che la causa della morte del fratello e delle altre persone presenti all’Hotel Vittoria, fosse da ricercare non in presunte attività di spionaggio, ma in moventi «di lucro e saccheggio». Alla fine del conflitto Egidio Eugeni fu processato dalla Corte d’Assise di Sanremo, Sezione speciale la quale con sentenza 12/2/1946 lo condannò all’ergastolo. Un mese dopo l’Eugeni morì (19/3/1946)». Il tribunale non reputò la deposizione della signora De Re convincente e, a causa della morte degli altri due testimoni, Moro e Viale, decise il non luogo a procedere verso i due ufficiali tedeschi. Giorgio Caudano
Tribunale Militare di Torino, ufficio del G.U.P., sentenza del 15 maggio 2000, sulla responsabilità di Goering e Geiger per la fucilazione il 7 dicembre 1944 davanti all’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del Comune di Ventimiglia (Fonte: http://www.diritto2000.it):
TRIBUNALE MILITARE DI TORINO UFFICIO DEL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE SENTENZA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice dott. Alessandro BENIGNI alla udienza preliminare del 15/05/2000 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di: 1) Hans GEIGER, nato il 12/06/1915 a Francoforte (D) e residente a BAD SODEN (D), Dachbergstr.30-32, già Maggiore dell’Esercito Tedesco, assente; Difeso ed assistito dall’Avvocato d’ufficio, Lucia FRANZESE, foro di Torino, presente. 2) Heinrich GOERING, nato il 17/07/1923 a Betzdorf (D) e residente in Ludwigshafen (D), Wasgaristr. 38, già Tenente dell’Esercito Tedesco, assente; Difeso e assistito dall’Avvocato di Fiducia GIORDANENGO, foro di Torino, presente.
IMPUTATI dei reati di: “VIOLENZA CON OMICIDIO CONTRO PRIVATI ITALIANI” (artt. 13 e 185 comma 1 e 2 C.PM.P., artt. 575 e 577 nn.3 e 4, 61 n.4 C.P.) per aver cagionato, senza necessità o comunque senza giusto motivo, agendo con crudeltà ed efferatezza verso le persone e con premeditazione, rispettivamente quali Maggiore e Tenente delle Forze Armate tedesche, nemiche dello Stato Italiano, la morte di: Chiodin Angela, anni 37, civile Chiodin Maria, anni 18, civile Lorenzi Alberto, anni 64, civile Lorenzi Battistina, anni 62, civile Pallanca Rosalba, anni 2, civile Pallanca Vincenzo, anni 4, civile Pastorino Giovanni, anni 80, civile Pittaluga Rinaldo, anni 52, civile Plank Antonia, anni 22, civile Trovato Giovanna, anni 2, civile Trovato Salvatore, anni 37, civile
nel piazzale antistante l’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del Comune di Ventimiglia (IM), ordinandone la fucilazione, avvenuta dalle ore 08.30 del 7.12.1944, durante lo stato di guerra fra l’Italia e la Germania.
MOTIVAZIONE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI
Il P.M. ha esercitato l’azione penale nei confronti di GEIGER Hans e GOERING Heinrich, per il reato militare di cui in epigrafe, con richiesta di rinvio a giudizio emessa in data 10/4/1999 (fogl. 516 fasc. P.M.). Con decreto del 20/10/1999, confermato in data 12/1/2000, il Presidente del Tribunale Militare di Torino conferma le funzioni di G.U.P. al Dott. Alessandro Benigni, unico magistrato non incompatibile con il procedimento. All’udienza preliminare del 9/2/2000 il G.U.P., ai sensi dell’art.421 bis c.p.p., indicava al P.M. di approfondire i Temi di indagine descritti nella relativa ordinanza (fogl. 120 fasc. G.U.P.). All’udienza preliminare del 15/5/2000 le parti proponevano le seguenti conclusioni: P.M.: rinvio a giudizio di entrambi gli imputati; Difesa Goering: sentenza di proscioglimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 192/195/425 c.p.p.; Difesa Geiger: si associa alle conclusioni della difesa Goering. Il G.U.P. ha emesso sentenza di non luogo a procedere ex art.428 c.p.p. per le ragioni che ora si espongono. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Il fatto: la strage di Grimaldi, le prime testimonianze e la riapertura delle indagini nel 1997
Nella mattinata del 7 dicembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi, accompagnata da un noto collaborazionista italiano, tale Egidio Eugeni, irrompeva nell’Hotel “Vittoria” situato sulla Rocca di Grimaldi e, dopo averli radunati all’esterno dell’albergo, uccideva dodici civili: cinque donne, quattro uomini e tre bambini, espressamente indicati nel capo di imputazione. I corpi furono gettati in una fossa e coperti con terra, paglia e rifiuti. Nel giugno 1945 le salme furono riesumate e gli esami necroscopici rivelarono la causa della uccisione confermando che essa era avvenuta tramite fucilazione. Divenne opinione generale l’attribuzione della responsabilità della strage a soldati tedeschi in quanto, in quella fredda mattinata di dicembre, non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi, sentire da lontano il rumore degli spari, e, successivamente, vedere la pattuglia tedesca lasciare il villaggio. Cominciarono anche a circolare voci sulle singole responsabilità. Nel gennaio 1945, al Caffè Ligure di Bordighera, un Sergente tedesco, in compagnia di altri suoi camerati, raccontò al Sig. Giuseppe Viale, titolare della panetteria di via Cavour in Ventimiglia, all’epoca sfollato a Bordighera, e a un certo non meglio identificato, Sig. Moro, titolare di un negozio di busti sito in Bordighera, via Vittorio Emanuele, di avere ucciso parecchi “banditi” (così erano definiti i partigiani dai soldati tedeschi) per ordine del loro comandante, il Maggiore Geiger, tra cui vecchi, donne e bambini. Raccontò in particolare l’uccisione di un bambino bello molto biondo, che nessuno aveva il coraggio di trucidare, ma che fu anch’egli assassinato su reiterato ordine di Geiger (Relazione di Pallanca fogl. 422-423 fasc. PM). Il 10/7/1945 fu sentita la Sign.na Antonietta De Re la quale espose di avere incontrato l’8 dicembre 1944 un soldato tedesco di nome Karl, il quale, dopo avere bevuto molto, era scoppiato in lacrime descrivendole i fatti di Grimaldi e confessando di avere ucciso «una bambina bionda che sembrava un angelo… per ordine del Maggiore Geiger e del Comandante la sua compagnia Tenente Goering» (copia della dichiarazione De Re fogl. 424 fasc. PM); il soldato tedesco sarebbe poi stato rintracciato e fucilato dai suoi commilitoni senza sapere chi fosse stato (verb. DE RE 6/6/1998 fogl. 145). Il 25/11/1945 il Dott. Alberto Pallanca, fratello di Vincenzo Pallanca, una delle vittime della strage, presentò un accurato esposto al Comando Alleato della Liguria (fogl. 420-423 fasc. PM), in cui ripercorreva le vicende di quei giorni dando ampio risalto alle testimonianze che aveva personalmente raccolto. Nell’esposto riferiva come le fonti tedesche indicassero in ragioni di spionaggio la causa della strage mentre egli personalmente riteneva assai più probabile che l’eccidio fosse stato stimolato da Egidio Eugeni, il quale era notorio nemico di Alberto Lorenzi, rimasto ucciso nella strage, il quale vantava una posizione economica assai invidiabile in quel fosco periodo, avendo riscosso una polizza assicurativa di £50.000 (e non come ha erroneamente sostenuto il P.M. nella sua requisitoria una indennità statuale pag.11 verb. 15/5/2000) per la morte del figlio caduto in combattimento, incassando la somma di £50.000 per la vendita di un terreno. Era inoltre proprietario di «Titoli, argenteria, preziosi». Vincenzo Pallanca invece, racconta sempre il fratello «possedeva un buon ristorante a Grimaldi ed aveva ricavato da tale esecuzione un forte utile. Risulta inoltre che l’Eugeni e la sua famiglia composta dalla moglie e da quattro figlie, mentre a Grimaldi vivevano in miseria, da quando l’Eugeni incominciò a praticare i tedeschi e specialmente da dicembre 1944 iniziarono un tenore di vita elevato. La moglie si vantava con i vicini di quanto giornalmente acquistava al mercato nero… in quei tempi l’Eugeni ebbe a dire a certo Giacometti Dario: “ho fatto un colpo che ho guadagnato ottanta mila franchi, ma io vivo all’albergo, la mia famiglia spende molto e se non mi procuro presto un altro colpo, finisco presto i soldi”». Il Pallanca continua sottolineando come l’Eugeni fosse a Grimaldi il giorno dell’eccidio e, come ebbe a dire alla Prof.ssa Maddalena Orengo «”io ero a tre metri quando li hanno uccisi e con essi vi è pure il Pittaluga”» (altra vittima dell’eccidio). Alberto Pallanca riteneva quindi che la causa della morte del fratello e delle altre persone presenti all’Hotel Vittoria, fosse da ricercare non in presunte attività di spionaggio, ma in moventi «di lucro e saccheggio». Alla fine del conflitto Egidio Eugeni fu processato dalla Corte d’Assise di Sanremo, Sezione speciale la quale con sentenza 12/2/1946 lo condannò all’ergastolo. Un mese dopo l’Eugeni morì (19/3/1946). E’ facile immaginare l’importanza delle acquisizioni degli atti processuali al presente fascicolo al fine di rinvenire eventuali riscontri diretti o indiretti alla dichiarazione della De Re o all’esposto del Dott. Pallanca. Il P.M. ha chiesto copia degli atti sia presso il Tribunale di Sanremo (fogl. 143) sia presso quello di Imperia (fogl. 314). Tale richiesta è stata reiterata dal P.M. su espressa richiesta del G.U.P. ex art. 421 bis c.p.p. ma con esito negativo in quanto sia la cancelleria del Tribunale di Sanremo, sia quella del Tribunale di Imperia attestano di non avere alcuna notizia in merito (verb. ind. prel. 15/5/2000). Il fascicolo rimane a giacere per circa cinquanta anni per le note vicende legate a fattori di politica internazionale e accuratamente descritte nella delibera del C.M.M. del 23/3/1999. Si tratta, purtroppo, di una delle tante pagine tristi della Magistratura italiana che più di una volta si è fatta coinvolgere da interessi e priorità ben diverse dalla Amministrazione della Giustizia e dalla applicazione del diritto. Il fascicolo giunge alla Procura Militare di Torino dove dopo varie vicende, viene affidato al Dott. Paolo Scafi che procede alla iscrizione in data 29/1/1997. 2.La valutazione che il G.U.P. deve compiere nella udienza preliminare ai sensi dell’art. 425 c.p.p.
La prima questione che questo Giudice deve esaminare, ed è preliminare ad ogni successiva valutazione, riguarda la possibilità per il Giudice dell’udienza preliminare di emettere una sentenza di non luogo a procedere anche quando un principio di prova della responsabilità penale sembra esistere, ma non in misura tale da potere supportare una pronuncia di condanna in sede dibattimentale. Su questo specifico punto la Procura ha vivamente sostenuto come il metodo di giudizio nella udienza preliminare debba essere diverso da quello che il giudice deve assumere al termine del dibattimento. Le difese invece hanno sostenuto che la L. 479/1999 (c.d. Legge Carotti), introducendo il III comma dell’Art. 425 c.p.p., abbia voluto imporre al Giudice di disporre il rinvio a giudizio solo quando vi siano gli elementi sufficienti per una condanna dibattimentale. La risoluzione di questo problema presuppone una necessaria analisi della natura e della funzione dell’udienza preliminare. Dottrina e giurisprudenza inizialmente hanno ritenuto, unitariamente, come lo scopo di tale udienza consistesse nella precisione di un «controllo giurisdizionale volto a delibare il fondamento dell’accusa» (così espressamente, la Relazione al progetto preliminare pag. 228). La decisione del G.U.P. non avrebbe natura sostanziale, ma solo processuale, dovendo analizzare non la responsabilità dell’imputato, ma solo l’accertamento del corretto esercizio della azione penale. Tale affermazione trovava un suo fondamento postumo nella lettera dell’Art. 425 c.p.p., che imponeva al G.U.P. di emettere sentenza solo quando «risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso». Ora, prevedere che il G.U.P. prosciolga solo quando è evidente che il fatto non sussiste, oppure che l’imputato non lo ha commesso, equivale a dire che il G.U.P. deve prosciogliere solo quando il P.M. aveva evidentemente (oppure, se vogliamo utilizzare un sinonimo, macroscopicamente) sbagliato nel chiedere il rinvio a giudizio. Dal momento che quest’ultimo fenomeno, per la fortuna dei cittadini e della Giustizia in generale, non avviene così sovente, si aveva una percentuale elevatissima di rinvii a giudizio in quanto, se anche solo nel fascicolo del P.M. era presente un solo indizio, non era più evidente la prova dell’estraneità dell’imputato. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza N. 82/1992 aveva sancito l’intrinseca razionalità del sistema affermando che «diverse sono infatti la struttura e la funzione dell’udienza preliminare rispetto a quelle che caratterizzano la fase del dibattimento… Ciò spiega la ragione per la quale il Legislatore delegante ha ritenuto di limitare ai soli casi di “evidenza” le ipotesi in cui il giudice può apprezzare l’infondatezza dell’imputazione e pronunciare sentenza di non luogo a procedere con le formule in fatto, così precludendo una sorta di giudizio anticipato che minerebbe non poco quella mancata autonomia del dibattimento che lo stesso sistema accusatorio antologicamente postula». Questo fenomeno ha costituito l’inizio di una serie interminabile di facili polemiche sfocianti nel referendum, appena effettuatosi, sulla separazione delle carriere, fondata sul fatto che il G.U.P. «mandava sempre a giudizio» perché «appiattito sulle posizioni del P.M.» al punto che il Parlamento ha dovuto intervenire nel corso della discussione con la L. 105/1993 per abolire il requisito dell’evidenza della prova. La soppressione della parola «evidente» compiuta con il dichiarato intento di ampliare l’ambito delle valutazioni del giudice ha comportato, come accade sempre in Italia per ogni questione giuridica, alla formazione di due divergenti orientamenti interpretativi. Secondo una prima impostazione che ha trovato maggiore fortuna in dottrina (Dawan “Elementi probatori insufficienti: sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio?” in Dir. pen. e processo 1997, 177 ss e, più recentemente Anca Voce «”Udienza preliminare”» in Dig. Disc. pen., Torino, vol. XV, 1999, 74ss) e nella giurisprudenza di merito (App. Torino 15/11/1995 in Riv. It. Dir. Proc. pen. 1997, 288; App. Napoli 8/3/1998 in Arch. Nuova proc. pen. 1995, 466) che non in quella di legittimità (sul punto si rinvengono principalmente Cass. 13/3/1998 in Arch. Proc. pen. 1998, 627 e Cass. 18/11/1998 in Guida al Diritto 1999, 14, 83) l’abolizione del termine «evidente» comportava la necessità, da parte del G.U.P. di procedere ad un giudizio di merito pieno. Secondo l’orientamento presente in dottrina (soprattutto E.Fortuna/ S.Dragone/ E.Fassone/ R.Giustozzi/ A.Pignatelli “Manuale pratico del Nuovo processo penale” Padova 1995, 594-595 e A.Nappi “Guida al codice di procedura penale” Milano, 1996, 303) e dominante nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 19/6/1996 in Dir. pen. e processo 1997,174; Cass. 22/1/1997 in Arch. nuova proc. pen 1997, 507, Cass. 27/11/1995 in Arch. nuova proc. pen. 1996, 98 Cass. 5/2/1999) e soprattutto in quella costituzionale (Corte Cost. ord. 97/97; ord 367/97; ord 91/98 in Cass. pen. 1999,14) la L. 105/1993 non aveva comportato un cambiamento della natura della sentenza di non luogo a procedere che era rimasta processuale: di conseguenza il giudice poteva emettere sentenza solo in caso di presenza della prova positiva della innocenza dell’imputato o di mancanza della prova a carico; nell’ipotesi invece di insufficienza o contraddittorietà della prova il Giudice non potendo entrare nel merito della imputazione, doveva sottoporre la fattispecie concreta al vaglio dibattimentale. In questa situazione si inserisce la nuova formulazione dell’Art. 425 c.p.p., come modificato dalla L. 479/1999, che prevede come «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio». In sede di prima lettura di questa disposizione una Autorevole dottrina (mi riferisco a R.Bricchetti in AA.VV. “Il nuovo processo penale davanti al Giudice unico” Milano 2000, 142-144) ho ritenuto che la modifica dell’art. 425 c.p.p. non comporta il proscioglimento dell’imputato qualora gli elementi acquisiti risultino insufficienti e contraddittori. Il P.M. aderendo a questa tesi ha infatti affermato che «il metodo della udienza preliminare è diverso da quello del dibattimento». Questo giudice ritiene, invece, che una corretta lettura dell’art. 425 c.p.p. comporti una diversa soluzione per le seguenti tre considerazioni: a) l’evoluzione storica della disposizione citata; b) il criterio generale costituito dall’art. 2 n.11 Legge Delega N.81/1987 ; c) il confronto e la conseguente discrasia tra l’art. 425 c.p.p. e l’art.125 disp. att.. a) L’evoluzione della norma, dalla sua originaria formulazione a quella attuale, descritta nelle precedenti righe appare, in un giudizio complessivo, estremamente palese nel delineare una volontà legislativa tesa via via ad ampliare la competenza e i poteri del G.U.P. consentendogli la possibilità di compiere quel prezioso “filtro” che costituisce presupposto indispensabile per la scrematura dei fascicoli da inviare al dibattimento e la tenuta del sistema accusatorio che, come è noto a tutti, e come fu detto sin dall’entrata in vigore del codice Vassalli, richiede un numero di processi celebrati con le garanzie del pubblico dibattimento in misura non superiore al complessivo 10%. In questa prospettiva non appare razionale ritenere che il Legislatore sia intervenuto modificando completamente la struttura della norma introducendo una fattispecie completamente inedita, il proscioglimento per insufficienza e contraddittorietà della causa, per lasciare intatto il quadro dei poteri del Giudice. Se il legislatore ha modificato la norma, evidentemente aveva la volontà di modificare la situazione preesistente e, sembra di capire a questo giudice, nel senso di inserire un filtro più spesso tra le indagini e il dibattimento che comprenda anche le ipotesi in cui il G.U.P. soggettivamente sia certo che non potranno formarsi nel corso del dibattimento le prove sufficienti per una decisione di condanna. b) L’art. 2 N.11 L.81/1987 prevede espressamente che «si ha mancanza di prova anche quando essa è insufficiente o contraddittoria». Nella disposizione non vi è alcuna formulazione che possa fare ritenere come essa sia applicabile al solo dibattimento, dato che anche la pronuncia di non luogo a procedere può essere equiparata ad una sentenza di proscioglimento. Si è descritto come invece la giurisprudenza abbia nettamente distinto le due ipotesi ritenendo necessario il rinvio a giudizio nell’ipotesi di prove insufficienti o contraddittorie. A questo punto non restava altra via per il Legislatore, che riaffermare espressamente la equivalenza intercorrente tra i concetti di “prova mancante” e “prova insufficiente”, situazione che sembra essere avvenuta con la modifica dell’art. 425 c.p.p.. Terzo dato, ma non ultimo in ordine di importanza, da prendere in considerazione è quello costituito dalla contraddittoria discrasia creatasi in passato, e che permarrebbe, in futuro, ove si accedesse alla soluzione della natura “confermativa” della attuale formulazione dell’art. 425 c.p.p., tra gli artt. 425 c.p.p. e 125 disp. att. Come è noto, l’art. 125 disp. att. prevede che il P.M. debba richiedere l’archiviazione quando «gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio». Il G.I.P. provvede con decreto motivato. La disciplina codicistica pertanto conteneva l’illogico paradosso per cui il G.I.P. poteva chiudere il procedimento con un provvedimento archiviativo ma, in presenza degli stessi elementi di prova, e cioè prova insufficiente per sostenere con successo l’accusa in dibattimento, era costretto a rinviare a giudizio l’imputato. Esaminando i lavori preparatori alle disposizioni di attuazione si rileva come il C.S.M., in sede di parere consultivo si era accorto dell’incongruenza del sistema criticandolo espressamente: «ne consegue che il giudice dovrebbe addirittura archiviare in presenza di una situazione probatoria più pesante di quella che nell’udienza preliminare giustifica il rinvio a giudizio dell’imputato: infatti, in sede di udienza preliminare, il giudice può non rinviare a giudizio l’imputato non già se ritiene che gli elementi a suo carico non sono sufficienti ai fini della condanna in sede dibattimentale ma solo se l’innocenza dell’imputato appare “evidente”». Il Governo, nelle sue osservazioni, aveva replicato, in maniera non chiarissima, affermando comunque la necessità di «scoraggiare la prassi del rinvio a giudizio nonostante l’insufficienza degli elementi a carico riscontrata nella applicazione del codice abrogato: una prassi palesemente in contrasto con i caratteri del sistema accusatorio, fra i quali va sicuramente compresa la “deflazione dibattimentale”». Gli spiriti più avveduti già all’epoca si erano resi conto della necessità di collegare idealmente la regola di giudizio caratterizzante l’epilogo dell’archiviazione con quella di cui all’art. 425 c.p.p.. Ma poiché la giurisprudenza di legittimità è andata in senso opposto affermando che «soltanto il giudice del dibattimento… può prosciogliere l’imputato per carenza, insufficienza o contraddittorietà delle prove» il Legislatore sembra essere appositamente intervenuto, con l’indicazione del terzo comma, per sancire espressamente la possibilità, anche per il G.U.P., di prosciogliere l’imputato in presenza di prova insufficiente o contraddittoria. Sulla base delle considerazioni sin qui esposte questo Giudice ritiene di dovere verificare attentamente se gli elementi contenuti nel fascicolo del P.M. siano tali da poter ritenere, con un giudizio prognostico, ma probabile, o almeno possibile, condanna in sede dibattimentale.
3. Credibilità della testimonianza De Re
Come è stato evidenziato nel capitolo della sentenza riguardante la descrizione dei fatti, il presente procedimento ruota intorno alla testimonianza di De Re Antonietta la quale ha detto di avere appreso dal soldato Karl, il giorno successivo alla strage, che essa era stata compiuta per ordine diretto degli imputati. L’Avv. Giordanengo, sul punto, invoca l’applicazione dell’Art. 195 c.p.p. che al settimo comma prevede come «non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame». Il difensore richiama all’attenzione del giudice le sommarie informazioni rese dal giornalista Maurizio Vezzano che ha dichiarato come, nel corso di una conversazione telefonica la De Re avesse ammesso di avere ricevuto le confidenze di alcuni soldati tedeschi (e quindi non di uno solo) i quali le descrissero l’esecuzione avvenuta in Grimaldi da un compagnia di disciplina composta da soldati macchiatisi di reati. La donna era rimasta in contatto con alcuni di questi militari di cui non voleva assolutamente fornire i nominativi perché sapeva che essi volevano dimenticare quell’episodio (fogl. 159). Il giornalista aveva poi pubblicato tale rivelazione in un articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” del 30/9/1998 (fogl. 157). Inoltre in data 8/11/1999 (fogl. 168 fasc. G.U.P.) la De Re dichiarava che Goering era a capo della compagnia disciplinare e faceva parte delle SS «poiché sul colletto si vedevano le due SS», ed escludeva che egli potesse comandare la sesta compagnia dell’esercito tedesco. Queste ultime dichiarazioni peraltro contrastano con le risultanze della consulenza tecnica del Prof. Carlo Gentile, disposte su iniziativa della Procura, la quale ha argomentatamente escluso che Goering facesse parte delle SS e, anzi, aveva assunto il comando della VI Compagnia del Grenadier Regiment 253 della XXXIV Infanterie Division il 1/7/1944. Da queste discordanze, e soprattutto dal fatto che la De Re non abbia voluto in alcun modo contribuire alla identificazione degli altri soldati tedeschi con cui avrebbe parlato nel lontano 1945, il difensore di Goering ritiene di poter evincere l’inattendibilità del teste “de relato” ex Art. 195 c.p.p. in quanto non sarebbe intrinsecamente attendibile. Correttamente, però, l’Avv. Giordanengo riconosce come l’art. 195 c.p.p., nella prevalente applicazione giurisprudenziale richiede una semplice indicazione in astratto del teste riferito (pag. 18 verb. ud. 15/5/2000), il problema, al riguardo, inerisce alla attendibilità intrinseca della potenziale teste. Su questo profilo occorre valutare il lunghissimo tempo trascorso (55 anni!!) che depone sicuramente a favore della possibilità di avere ricordi nebulosi, confusi, contraddittori. Se le uniche dichiarazioni della De Re fossero quelle rese negli anni novanta, non ci sarebbe dubbio nel concordare con la difesa sulla inesistenza concreta di ogni elemento indiziante. Occorre però considerare come, in data 10/7/1945, in epoca assai prossima ai fatti, fosse stata molto più circostanziata sull’episodio, sicuramente perché assai più vivido era nella sua mente il ricordo di quel tragico episodio: appare quindi probabile che contraddizioni e lacune riscontrate nell’ultima audizione siano dovute a questo fattore. Come ha affermato giustamente il P.M., con cui si concorda sul punto, se costituisce prassi normale degli esami dibattimentali sentire testi che, magari a distanza di tre anni, affermano di ricordarsi “X”, ma se hanno dichiarato “Y” nelle indagini preliminari, evidentemente è vero “Y” e non “X”, non si può pretendere da una signora di 76 anni che abbia gli stessi ricordi e le stesse impressioni di 55 anni prima. La dichiarazione della De Re, ai sensi dell’Art. 192 c.p.p., è quindi attendibile anche se, proprio a causa delle discordanze che sussistono effettivamente, può assumere solo la natura di indizio, richiedente quindi dei riscontri precisi e concordanti, e non di autonomo e sufficiente elemento di prova.
4. L’assenza di univoci riscontri oggettivi nel fascicolo processuale e nella Relazione del Prof. C.Gentile.
Questo giudice ha pervicacemente cercato dei riscontri documentali, o testimoniali, che potessero supportare le dichiarazioni della De Re. A tal fine il 9/2/2000 ha emesso un’ordinanza ex Art. 421 bis c.p.p. con cui invitava l’Ufficio inquirente a insistere in indagini che peraltro, erano già state intraprese. Le ulteriori indagini compiute dalla Procura non hanno dato esiti positivi. Il P.M., a suo tempo aveva disposto una consulenza tecnica sulla documentazione presente negli archivi tedeschi, affidata al Prof. C. Gentile la cui indubbia competenza era risultata preziosa, se non forse indispensabile, nei processi Saevecke e Engel celebrati avanti al Tribunale Militare di Torino, e che si erano conclusi con due condanne all’ergastolo. La Relazione, estremamente circostanziata e precisa, depositata in Cancelleria il 4/1/2000 ha aumentato i dubbi di questo giudice e dimostrato quanto segue: a) il Tenente Goering era comandante della VI Compagnia all’epoca dei fatti (pag. 17 C.T.P.); b) la VI Compagnia non si trovava in zona prossima a Grimaldi in data 7/12/1944 (pag. 19 C.T.P.); c) non vi è nessuna prova diretta, nella documentazione esaminata dal Prof. Gentile che attesti la presenza degli uomini del Tenente Goering (pag. 19 C.T.P.); d) nessun dato oggettivo lega la VI Compagnia alla strage (pag. 20 C.T.P.); e) il Magg. Geiger era a capo del II Battaglione del Grenadier Regiment 253, unica unità tedesca nella zona di Ventimiglia del settembre 1944 alla primavera del 1945 (pag. 5-12 C.T.P.); f) nella notte del 17/9/1944 il Battaglione Geiger aveva impartito un primo ordine di sgombero della popolazione di Grimaldi (pag. 12-13 C.T.P.); g) non si può escludere che una qualsiasi azione militare repressiva eseguita in questo ambito possa essere avvenuta all’insaputa del Comandante (pag. 18 C.T.P.). Il P.M. ha sottolineato le dichiarazioni rese dalla Signora Stela Luisa Lorenzi (fogl. 623 fasc. P.M.) la quale in data 4/8/1999 ha ricordato come nell’autunno del 1944, mentre lasciava insieme ai parenti e a prossimi congiunti il proprio ristorante, vide arrivare il Capitano Geiger il quale aveva sfondato un cancelletto in legno con un calcio dicendo «quanti banditi essere qua». L’Avv. Giordanengo, invece, ha ricordato le dichiarazioni di Francesco MARCENARO che si trovava quella tragica notte nei pressi dell’Hotel Vittoria e aveva sentito gli spari dell’eccidio. Il Marcenaro ha consegnato alla Polizia Giudiziaria la Relazione sull’accaduto redatta dal Comandante Jonseph MANZONI responsabile della “Missione Alleata” per la zona di confine Italia – Francia il quale attribuisce la responsabilità della strage a una pattuglia tedesca delle SS inviata da due repubblichini. Questo dato escluderebbe la responsabilità degli imputati, nessuno dei quali apparteneva alle SS.
5. Conclusioni. Proscioglimento in quanto le prove raccolte sono tra loro insufficienti e contraddittorie e quindi non idonee ad ottenere una sentenza di condanna in sede dibattimentale.
L’insieme di queste circostanze, alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, non appare in grado di rinforzare, confermandola, la deposizione della De Re. Viale e Moro essendo morti, non possono confermare se abbiano reso effettivamente le dichiarazioni attribuitegli, e in quali termini. Il Sig. Alberto Pallanca, per le sue gravi condizioni di salute, non è più in grado di riferire eventuali particolari o circostanze aggiuntive a quelle già indicate nella sua analitica denuncia. Si deve ricordare anche che, astrattamente, nessun dato legislativo espresso impedirebbe di utilizzare l’esposto di Pallanca come fonte di una testimonianza de “relato” di secondo grado utilizzando il combinato disposto degli artt. 195-191 c.p.p. e attribuendo quindi valenza probatoria alle dichiarazioni di Viale e Moro. Occorre però considerare che, a fronte di queste astratte possibilità, restano troppi elementi negativi. In primo luogo la Relazione Gentile sembrerebbe smentire la presenza perlomeno di Goering nei luoghi del delitto, e quindi l’intrinseca attendibilità del racconto di Viale e Moro. In secondo luogo la De Re parla di un ufficiale delle SS, identificandolo in Goering, e questa affermazione sembra trovare conferma nella deposizione di Marcenaro. Ma Goering non è mai entrato nelle SS: pertanto anche la dichiarazione della De Re, pur credibile, lascia adito al dubbio che abbia in buona fede confuso Goering con un altro ufficiale tedesco. Infine il fatto che Geiger fosse nella zona di Grimaldi, come affermato dalla Signora Lorenzi, in sé non prova nulla, soprattutto se si considera che ancora oggi le indagini della Procura non hanno chiarito il movente dell’eccidio, come bene ha messo in luce il Prof. Gentile: una punizione per non aver ottemperato alle disposizioni di sgombero tedesche? Un’azione militare contro collaboratori delle formazioni partigiane? O un omicidio per uccidere i testimoni di un saccheggio ispirato dalla cupidigia di Egidio Eugeni? E in quest’ultima ipotesi come si potrebbe istituire una correlazione probatoria con il Comandante Geiger e con il Maggiore Geiger? Bisogna alfine riconoscere che i vari elementi indiziari non risultano, ad avviso di questo giudice, avere la precisione e la concordanza richieste dall’art. 192 c.p.p.. Certo una seria e approfondita indagine alla fine del conflitto, con tutti i testimoni in vita e freschi di quei tragici ricordi, avrebbe condotto a ben diversi risultati. Ma le esigenze della guerra fredda combattuta tra i due «blocchi contrapposti» non lo ha consentito, come ha denunciato la eccellente e meritoria relazione del C.M.M. Pertanto, le ragioni del diritto impongono una sentenza di non luogo a procedere per insufficienza degli elementi raccolti dal P.M. a costituire le prove necessarie per ottenere una condanna in sede di dibattimento. PER QUESTI MOTIVI visti gli artt. 424, 425 e 426 c.p.p. DICHIARA Non luogo a procedere nei confronti di GEIGER Hans e GOERING Heinrich, in ordine al reato ascrittogli di violenza con omicidio contro privati nemici perché gli elementi acquisiti dal P.M. risultano insufficienti a provare che gli stessi abbiano commesso il fatto. Deposito in 30 giorni. Così deciso in Torino il 15/05/2000. IL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE Dott. Alessandro BENIGNI
Il cippo commemorativo dei partigiani trucidati dai nazisti il 2 marzo 1945 davanti al cimitero di Isolabona (IM)
Dopo un rastrellamento effettuato dai tedeschi nelle campagne di Buggio [Frazione di Pigna (IM)], probabilmente per iniziare a prepararsi una via di fuga nel caso dello sfondamento della linea del fronte – che passava sul Grammondo e sulle vette dell’Authion – vennero catturati otto giovani. Le modalità del loro arresto sono alquanto controverse. Alcuni abitanti del paese riferirono che i tedeschi si recarono a colpo sicuro in un fienile dove un gruppo di questi si era nascosto in un rifugio ben celato sotto numerose balle di fieno. Questa sicurezza mostrata dai tedeschi fa pensare a una probabile delazione. Gli otto prigionieri furono trasferiti a Isolabona con i polsi legati con il fil di ferro dietro la schiena. Dopo un interrogatorio, che immaginiamo assai cruento, furono fucilati presso il muro esterno del camposanto del paese. Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall’Autore, 2016
Trascorso il terribile inverno 1944-1945, mentre si rinforzano nuovamente i distaccamenti garibaldini con l’afflusso di reclute e con il ritorno nelle formazioni di coloro che, meno atti, avevano trascorso il crudo periodo invernale nel fondovalle, anche il nemico riprende le operazioni per salvaguardare le vie di comunicazione, per esso vitali, ripetutamente interrotte dalle formazioni partigiane. E sovente, come una belva ferita che negli ultimi istanti della sua esistenza si scatena con ferocia, è ancora il suo unico modo di combattere. Alcuni garibaldini della V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”della II^ Divisione “Felice Cascione”], catturati in precedenza, più numerosi nelle zone di Pigna (IM) e di Buggio [Frazione di Pigna (IM)], vengono raggruppati dal nemico, 34 I.D. Grenadier-Regiment 253, a Isolabona (IM) e il 2 marzo 1945 fucilati presso il cimitero per rappresaglia in risposta alle sconfitte subite.
Aimo Domenico
Massa Vito
Pallanca Antonio
Pastor Attilio
Sciutto Umberto
Vivaldi Benedetto
Immagini desunte dal lavoro citato di Giorgio Caudano
Cadono così, coraggiosamente, gettando disprezzo in faccia al nemico: Domenico Aimo, Giulio Grassi, Vito Massa, Antonio Pallanca, Attilio Pastor, Umberto Sciutto, Primolino Verrando e Benedetto Vivaldi. Infine Giovanni Guglielmi, di Torri, Frazione di Ventimiglia (IM), muore all’ospedale lo stesso giorno. Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005
Caddero: ALBERIGO COSTANTINO Giuseppe Casanova Lerrone SV 1/2/13 + Sanremo fucilato 2/3/45
D’ONGHIA FRANCESCO Franz Noci BA 01/2/23 + Sanremo fucilato 2/3/45
AIMO DOMENICO Ventimiglia 13/6/1927 + Isolabona fucilato 2/3/45
GRASSI GIULIO Milano 29/7/1925 + Isolabona fucilato 2/3/45
MASSA VITO Ripacandida (PZ) 24/12/1923 + Isolabona fucilato 2/3/45
PALLANCA ANTONIO Airole (Collabassa) 1/9/1922 + Isolabona fucilato 2/3/45
PASTOR ATTILIO Pigna (Buggio) 2/12/1927 + Isolabona fucilato 2/3/45
SCIUTTO UMBERTO Cairo Mont.tte (SV) 30/6/1924 + Isolabona fucilato 2/3/45
VERRANDO PRIMOLINO Pigna (Buggio) 18/11/1924 + Isolabona fucilato 2/3/45
VIVALDI BENEDETTO Taggia 24/12/1923 + Isolabona fucilato 2/3/45 Giorgio Caudano, Op. cit.
n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016
Potrebbe essere ancora vivo l’ex tenente Josef Fellermeier, comandante del plotone di genieri tedeschi del 253° Reggimento granatieri inquadrato nella 34a Divisione, responsabile dell’eccidio di otto ostaggi partigiani fucilati a Isolabona il 4 marzo 1945. È bastata un’ora, al professor Carlo Gentile, originario di Dolcedo e con casa a San Lazzaro Reale, docente di Storia contemporanea all’Università di Colonia, per trovare dati che consolidano le ricerche fatte dallo storico di Isolabona Paolo Veziano. Fellermeier è della classe 1918: in teoria potrebbe essere in vita. È stato Veziano a incaponirsi sull’identità di chi diede l’ordine di uccidere gli ostaggi poi vantandosene con i commilitoni. I soldati tedeschi, gli stessi probabilmente che compirono la strage di Grimaldi e altri assassinii di partigiani a Forte San Paolo a Ventimiglia e a Latte [Frazione di Ventimiglia] nel periodo che precedette la ritirata delle truppe germaniche dall’Italia, erano di stanza proprio a Isolabona. Si parla di circa 1700 uomini nelle cui file c’erano anche appartenenti alla Marina e componenti delle milizie fasciste. Veziano ha desunto il nome di Fellermeier compulsando i resoconti degli interrogatori a cui i partigiani avevano sottoposto i prigionieri tedeschi. Maurizio Vezzaro, Potrebbe vivere in Baviera l’ex “aguzzino” Fellermeier. Le ricerche del professor Gentile confermano la pista seguita da Veziano. Il responsabile dell’eccidio di Isolabona dopo la guerra tornò in patria,La Stampa, 28 Aprile 2017
È stato scoperto – e comunicato per la prima volta oggi in occasione delle celebrazioni del 25 aprile – l’ufficiale della Gestapo che il 4 marzo del 1945 ordinò la fucilazione di otto “garibaldini”, a Isolabona, piccolo centro storico dell’entroterra di Ventimiglia (Imperia). È stato lo storico Paolo Veziano, membro del direttivo scientifico dell’Istituto storico della Resistenza a effettuare la scoperta, grazie all’analisi dei verbali di interrogatorio dell’epoca a carico dei tedeschi catturati dai partigiani. “Aspetto di raccogliere dell’altra documentazione dall’archivio militare di Friburgo – ha annunciato Veziano – dopodiché trasmetterò tutti gli atti alla Procura militare di La Spezia, competente per questo genere di reati”. Secondo quanto ricostruito da Veziano fu il caporal maggiore del genio tedesco Gerard Kunat, catturato dai partigiani, a indicare in un uomo: “alto, magro e con un occhio di cristallo”, l’ufficiale nazista, poi identificato nel tenente Feller, che ordinò la fucilazione. Nello stesso documento si legge pure la richiesta di trasferire il gerarca a Isolabona, affinché venga fucilato nello stesso punto in cui si trovavano ancora le macchie di sangue dei “garibaldini” ammazzati. Fucilazione che tuttavia non avvenne mai, così come ancora oggi non si sa che fine abbia fatto il tenente Feller. CRONACA, L’annuncio dello storico Paolo Veziano: fu il tenente Feller. 25 Aprile, scoperto l’ufficiale nazista che ordinò le fucilazioni a Isolabona, Primocanale.it, mercoledì 26 aprile 2017
Dalle nebbie del passato affiorano, come spaventosi spettri, nuovi brandelli di verità sull’identità di Josef Fellermeier, l’ufficiale nazista presunto responsabile delle torture e dell’uccisione inflitte a otto ostaggi partigiani in quel di Isolabona, nel lontano ma mai dimenticato 4 marzo 1945. Dalle ricerche partite dagli spunti storici dello studioso locale Paolo Veziano che è andato scandagliare gli archivi, trovando documenti riportanti l’esito di interrogatori di soldati tedeschi prigionieri, e approfondite dal professor Carlo Gentile, originario di Dolcedo e docente di storia contemporanea dell’Università di Colonia, la figura di Josef Fellermeier comincia a delinearsi in tutti i suoi freddi, brutali contorni […] Stiamo parlando di un sottotenente derivante dai ranghi dei sottufficiali che prima lavorava come funzionario nel Reichsarbeitsdienst (Servizio del lavoro: un’organizzazione interna al partito nazionalsocialista). «Ulteriore conferma dell’identità – scrive il professor Gentile – è il fatto che Fellermeier, nell’estate del 1942, fu ferito e perdette l’occhio sinistro». E in effetti, nel resoconto degli interrogatori condotti dai partigiani, i soldati tedeschi riferiscono tutti il particolare dell’occhio mancante. Difficile poter dire se la Procura militare di Verona oggi competente, a distanza di così tanto tempo e con sì labili elementi (non sono sufficienti quelli già a disposizione), possa decidere di aprire un fascicolo penale. Veziano e Gentile gli spunti li hanno forniti. Si vedrà. Per quanto riguarda l’estremo Ponente, l’unità maggiormente responsabile di eccidi di resistenti e civili fu il «Grenadier-regiment 253 comandato dal maggiore Geiger. Un elenco di persone trucidate dai tedeschi nell’area di Ventimiglia contempla, oltre alle 12 vittime della strage di Grimaldi, i nomi di 41 persone assassinate nel circondario nel periodo in cui la famigerata squadra era di stanza a Ventimiglia. Il 21 marzo 1945, al forte San Paolo a Ventimiglia furono passati per le armi otto ragazzi tra i 16 e i 24 anni, in parte collaboratori delle formazioni partigiane, rastrellati a Bordighera e Dolceacqua. Giudicati da una corte marziale presieduta dallo stesso Geiger, prima di essere giustiziati furono picchiati dal maresciallo Rudolf Przibilla, un altro dei volenterosi carnefici di Hitler. Maurizio Vezzaro, Eccidio di Isolabona, nuovi particolari sul “volenteroso” carnefice di Hitler. Proseguono le ricerche del professor Carlo Gentile e dello storico locale Paolo Veziano sui fatti accaduti nel marzo del 1945, La Stampa, 19 Maggio 2017
[n.d.r.: tra i lavori di Paolo Veziano: La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 – 8 ottobre 1944), a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014; Paolo Veziano, Ombre di confine: l’emigrazione clandestina degli ebrei stranieri dalla Riviera dei fiori verso la Costa azzurra, 1938-1940, Alzani, 2001; Paolo Veziano, Sanremo. Una nuova comunità ebraica nell’Italia fascista 1937-1945, Diabasis, 2007; Paolo Veziano, San Remo. Una piccola comunità ebraica nella Riviera dei Fiori degli anni Trenta, in “La Rassegna mensile di Israel, volume LXIX n. 1, gennaio-aprile 2003”; Saggi sull’ebraismo italiano del Novecento in onore di Luisella Mortara Ottolenghi, Catalogo della Mostra Angelo Donati. Un ebreo modenese tra Italia e Francia, a cura di Paolo Veziano, 2004]
Fucilazione di tre gruppi familiari nell’abitato di Grimaldi superiore, precedentemente evacuato per ordine tedesco. La motivazione della strage è incerta, ma potrebbe essere legata al mancato rispetto dell’ordine di evacuazione del paese. Il Tribunale Militare di Torino in data 15 maggio 2000, dopo un processo che vide alla sbarra il maggiore Hans Geiger (nato a Francoforte il 12 giugno 1906) e il tenente Heinrich Goering (nato a Betzdorf il 17 luglio 1923), rispettivamente comandanti del 253. Grenatier Regiment della 34 Infanterie division e della VI compagnia dello stesso reggimento, emise una sentenza di non luogo a procedere per i due ufficiali tedeschi […] Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall’Autore, 2020
Tenda – Fonte: WikipediaSan Dalmazzo di Tenda – Fonte: TourMaG.comBreil – Fonte: Mapio.netTra Airole e Breil – Fonte: neldeliriononeromaisola.itSan Dalmazzo di Tenda – Fonte: Mapio.netPonte sospeso sopra La Brigue – Fonte: Mapio.netSaorge – Fonte: Wikipedia
Briga Marittima, oggi La Brigue, Val Roia francese, Dipartimento delle Alpi Marittime, nei primi mesi del 1945 era controllata da circa 40 genieri della Repubblica di Salò e da un centinaio di soldati della Wehrmacht, dei quali metà erano tedeschi e metà slavi. Questi ultimi sul finire di gennaio cercarono di contattare i garibaldini della I^ Zona Operativa Liguria. Verso metà febbraio una ventina di loro riuscirono a fuggire dal presidio di Briga. San Dalmazzo di Tenda e Tenda erano presidiate da militari della Divisione “Muti”, da altri 40 soldati repubblichini e solo da alcuni tedeschi. Libri, Breglio (Breil-sur-Roya), Piena, Olivetta San Michele a metà febbraio apparivano ormai sgombre di presenze nazifasciste. Lo stesso accadde per Saorge nei primi dieci giorni di marzo.Ai primi di aprile i tedeschi abbandonarono anche Cima Marta e il monte Graj.Il 10 aprile il comando della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” comunicava al comando della II^ Divisione “Felice Cascione” che “dopo alterni combattimenti importanti posizioni controllate dai nazifascisti sono state conquistate da reparti degaullisti“.Verso la metà di aprile sulla zona di confine si intensificarono il cannoneggiamento ed il mitragliamento delle forze alleate, in particolare su Saorge, Breglio, Fontan, Cima Arpetta e Passo Muratone. Il 18 aprile circa 100 soldati della Wehrmacht, provenienti dalla zona di La Brigue, si allontanarono verso Andagna, Frazione di Molini di Triora (IM), Valle Argentina: di questi militari 7 uomini di nazionalità russa fuggirono per raggiungere i partigiani. Le truppe francesi, intanto, stavano occupando Breil-sur-Roya, fermandosi a soli 3 chilomentri da Fontan. Tra il 19 ed il 20 aprile i tedeschi abbandonarono il presidio di La Brigue, raggiunta la mattina del 20 dalle cannonate sparate dalle forze anglo-francesi. Il 21 aprile il comando della Divisione Cascione comunicò al proprio informatore della zona l’ordine di costituire immediatamente il CLN a Briga Marittima. Il 23 aprile 1945 il comando della IV^ Brigata “Elsio Guarrini” della II^ Divisione segnalava ai comandi delle formazioni dipendenti che “l’attacco sferrato dalle forze francesi sulle Alpi Marittime e l’occupazione delle stesse ha portato la necessità da parte nostra di tenerci pronti per un eventuale attacco in collaborazione con gli alleati”. Il 24 aprile alcune staffette del CLN di Perinaldo presero contatto in Ventimiglia (IM) con un nucleo di gollisti. I garibaldini nutrivano fiducia nei riguardi degli alleati che stavano avanzando… Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
I russi erano scappati da Briga dove i tedeschi li tenevano a lavorare nelle fortificazioni, e per un po’ avevano girato nei paraggi, spaventando le donne sole in casa la notte che non li capivano e li credevano tedeschi. Poi erano riusciti a raggiungerci, e, insieme a qualche alsaziano o lorenese che aveva disertato dall’esercito tedesco, costituivano la Squadra Internazionale e avevano in dotazione l’arma più bella del battaglione, il Mayerling sputafuoco. Subito, come succede, si creò intorno alla Squadra Internazionale la leggenda che fosse la squadra più affiatata, più sfegatata, più disciplinata del battaglione. Non che in effetti non fosse così, ma c’era in quella ammirazione per loro, in quel portar loro ad esempio da parte dei comandanti, un qualcosa di leggendario, di dato per irraggiungibile. Noi ci sentivamo gli italiani, gente che non si lava, non si spidocchia, che va stracciata, che litiga tra sé, che urla e spara per nulla, che non sa bene perché è da questa parte e non dall’altra pure si batte a morte, carica di furore; loro i russi, un mondo sereno, che ha già deciso tutto, e ora sa di far la guerra, e continua a farla, con entusiasmo e odio e metodo, ma senz’abbandonarcisi, tenendo le armi pulite come specchi, non barando sui turni di guardia, non litigandosi sull’andare a legna, come continuassero una naja per conto loro, senz’ufficiali né consegne. Italo Calvino, Romanzi e racconti, Mondadori, 1994, p. 846
“I francesi parlano sovente di occupare fino a S.Remo, e siccome hanno sul fronte qualche battaglione potrebbero anche farlo; ad evitare ciò basterebbe l’occupazione fatta Mezz’ora prima dai garibaldini. Noi avevamo a che fare con gli americani che comandano questo fronte. Per conto mio, sono molto migliori degli inglesi, con noi poi vanno molto d’accordo… Ti prego di dire a Vittò che mi tenga sempre presente come suo garibaldino perché tutto il lavoro che faccio, l’ho fatto e lo continuerò a fare come Garibaldino della 2a Divisione Garibaldi. Io tornerò in Francia fra una decina di giorni anche perché la mia ferita me lo impone (non sono riusciti a prendermi, però mi hanno ferito allo stomaco) e se sia tu o Simon o qualche altro vuol darmi qualche incarico sarò ben lieto di rendermi utile. Ti saluto caramente. Tuo Leo“ stralcio della lettera di Stefano Carabalona al comandante Curto che era stata allegata al dispaccio del C.L.N. di Bordighera, prot. n° 2 in data 26 febbraio 1945, inviato al comandante “Curto”, Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria da documentoIsrecim in Rocco Fava, Op. cit. Tomo II
L’operazione «Canard»: 11-17 aprile 1945 Sul massiccio dell’Authion, la linea di difesa era presidiata dai due battaglioni del 107° reggimento della 34a divisione, sostenuti da un potente schieramento di artiglieria. L’azione principale si svolse il 10 e l’11 aprile, e la sera del 12 l’Authion cadde in mani francesi, mentre i forti a sudest e quelli della Baisse de Saint-Véran e della Tête de la Secca resistevano. Il 14 l’attacco progredì tra il passo di Barbacane e la cima di Sespoul; il giorno dopo fu occupato il paese di Bréil, mentre un reparto scese nel vallone del Caïros, minacciando Saorge. Il 16 le batterie tedesche intervennero pesantemente, fermando ogni tentativo di avanzare lungo la Val Roya, mentre sulle vie di comunicazione venivano compiute distruzioni. L’operazione verso il col di Tenda fu sospesa per attaccare invece in direzione della Valle Stura di Demonte, al fine di coordinare l’azione della 1a D.F.L. con quella prevista contro il colle della Maddalena, l’operazione «Laure». Le perdite subite dai francesi furono molto alte: 195 caduti e 714 feriti. Gli italo-tedeschi ebbero 272 prigionieri, subendo perdite pesanti in morti e feriti, ma riuscirono a tamponare l’attacco e a mantenere il possesso del col di Tenda. L’operazione «Canard» bloccò comunque una delle vie di ritirata, tagliando la Val Roya […] A Ventimiglia, il 25 [aprile 1945], un gruppo di civili italiani raggiunse la Francia per avvertire che i tedeschi se n’erano andati e il 26 i primi militari francesi entrarono nella città, subendo perdite a causa delle numerose mine disseminate dappertutto. Nel corso della giornata i francesi risalirono la Val Roya, raggiungendo Tenda e Briga, trovando difficoltà ad avanzare, viste le imponenti distruzioni e l’estensione dei campi minati. Il 29 reparti francesi raggiunsero Borgo San Dalmazzo, congiungendosi con i reparti provenienti dal colle di Tenda e con quelli arrivati dalla Valle Stura. Alberto Turinetti di Priero, Il «fronte alpino»: 1944-1945, in Alpi in Guerra
25 aprile, mercoledì Sono scrosciate cannonate per tutta la notte. Ma allora è proprio noi che vogliono ammazzare? Ada [la figlia di Caterina Gaggero ved. Viale] è partita per andare a casa, ma dicono che i tedeschi, prima allontanarsi, abbiano minato dappertutto. Di qui dalla Marina San Giuseppe è partito un battello con sopra Bottiero, Rocca e Dardano: vanno a Mentone a chiamare i francesi e a dire loro che ormai tedeschi a Ventimiglia non ve ne sono più. Ada, nell’andare a casa, ha incontrato Lorenzo Vacca che le ha proposto di andare ad avvisare i francesi. Così sono andati fino a Mentone dove sono arrivati prima della barca. Sono tornati al pomeriggio, sani e salvi dalle mine, conducendo con sé i liberatori. Poco prima, un piccolo aereo militare, a causa di un’avaria al motore, era atterrato qui davanti a noi su un isolotto del letto del Roia e tutta la gente attraversava il fiume per avvicinarvisi il più possibile. Ci sarebbe stato proprio da girare una pellicola! E dire che stamane sono ancora passati gli aeroplani e, subito dopo aver pranzato, abbiamo dovuto rifugiarci in galleria perché c’è stato un mitragliamento su per la vallata di Camporosso e hanno sganciato diverse bombe dalle parti di Vallecrosia. I tedeschi che avevano fatto saltare il ponte sono stati uccisi dai patrioti a Vallecrosia. Altri tedeschi in ritirata hanno trovato la morte fra Ospedaletti e San Remo. Del ponte, soltanto due arcate sono andate distrutte e ci si può benissimo passare sopra con un carretto a mano. Il cavalcavia di Nervia è, invece, impraticabile. Nelle vicinanze della proprietà del signor Grazio, a causa delle mine, un soldato francese è morto, tre sono rimasti feriti. Pure ferita una suora e Benedé. La bandiera bianca sventola sulla Torre Littoria. Le campane suonano a festa, per lo meno quelle poche che vi sono ancora. Quella che si trovava alla Madonna delle Virtù giace abbandonata davanti alla sede dell’U.n.p.a.. La gente, quasi incredula, esce dalla galleria, dai rifugi e dalle cantine dove ha trascorso lunghi mesi in condizioni di vita terribili. 26 aprile Stamane sono passati Pippo e Adriano che andavano da Bataglia [n.d.r.: Caterina Gaggero ved. Viale gestiva, con l’aiuto della figlia Ada, l’osteria-trattoria da Bataglia, sita tra la zona Ville e Latte, Frazione di Ventimiglia]. Ho deciso di andarci anch’io e di dormirci. Ada trasporta a casa la roba che abbiamo qui a Ventimiglia; porta su anche le galline ed io ho intenzione di trasferirmi nella nostra casa. Ora vedrò fin dove arriva il mio coraggio. Continuano a passare truppe francesi, molti soldati sono negri. Sia i militari che i civili passano per la strada Romana. Un mulo è stato ucciso da una mina nei pressi del signor Orazio. CaterinaGaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988
Ventimiglia e la seconda guerra europea. (Appunti Storici dei Fratelli Maristi in Italia – Libro in edizione) (1943) A Ventimiglia, nei giorni di generale disorientamento che seguirono l’armistizio dell’8 settembre, avvenne il saccheggio popolare della Caserma Gallardi, nei pressi della nostra casa. Nei fabbricati di questa vasta caserma erano stati ammassati, in seguito alle operazioni di guerra precedenti, ingenti quantità di rifornimenti logistici, particolarmente calzature e indumenti. Molti Fratelli assistettero al parapiglia indescrivibile di una fiumana di gente che durante più di ventiquattro ore correva a prendersi quanta più roba poteva portar via: immagine fedele dell’anarchia e della necessità che regnavano in quei giorni. L’arrivo delle milizie tedesche con le armi in pugno e in mezzo a terribili sparatorie intimidative riuscì a poco a poco a ristabilire l’ordine. Una parte di quelle masserizie fu poi restituita nei giorni seguenti, dietro minaccia di fucilazione. Aa.Vv., Pennellate storiche sulle Comunità mariste d’Italia e Destinazione annuale dei Fratelli, 1887-2003. Volume 3º, Provincia Marista Mediterránea, Guardamar del Segura – España, 2018
Il 10 di settembre [1943] i futuri dirigenti del Fascio repubblichino di Ventimiglia, Ferdinando Rey, Ugo Ughetto, Elio Piccioni, il generale della milizia Brandimarte ed il commissario di PS Pavone [n.d.r.: responsabile dell’arresto, avvenuto in Ventimiglia il 26 novembre 1943, e della conseguente deportazione in Germania, ad Auschwitz, dove tragicamente perirono, dei commercianti ebrei, Bassi, Ettore, il padre, e Marco, il figlio, benefattori non solo degli ebrei stranieri in fuga, a causa delle Leggi Razziali del 1938, tramite Ventimiglia e zona verso la Francia nel periodo 1938-1939, ma anche benemeriti della città e del comprensorio] richiamavano i tedeschi che, su autocarri, giungevano in città, iniziando una feroce rappresaglia contro tutti coloro che venivano trovati intorno ai magazzini militari […] Già il 10 settembre 1943 a Ventimiglia per loro spontanea iniziativa si erano costituiti in CLN Libero Alborno, Luigi Lorenzi, comunisti, Carlo De Paulis, Domenico Gastaldi, Adriano Notari [n.d.r.: noto medico specialista di Ventimiglia: la sua fama era tale che aveva curato anche il maresciallo Caviglia], rimanendo quasi del tutto isolati nella loro attività. Essi si adoprarono per raccogliere i primi soldati sbandati dell’ex Regio Esercito e convogliarli verso Rocchetta Nervina […] Questo CLN esaurì la sua funzione quando i nazifascisti ordinarono lo sfollamento della città […] bande, anche se disorganizzate, incominciarono a formarsi nelle zone di Calvo, Bevera e Ciotti. Sorte più che altro per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, si sciolsero in breve tempo. Soltanto a fine maggio 1944 nasceranno le prime bande partigiane […] CLN di Ventimiglia. Quello che operava precariamente anche dopo lo sfollamento generale veniva liquidato il 23 maggio 1944 [n.d.r.: qualche riferimento in più qui e qui] per opera del maggiore della G.N.R. ferroviaria Restituto Aprosio. Dopo di che la mancanza di documentazione rende assai difficile ricostruire quanto è successo. Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
A Ventimiglia in ambienti che gravitavano intorno alla stazione ferroviaria si formò una rete clandestina con l’obiettivo di sabotare i trasporti tedeschi e difendere le infrastrutture ferroviarie e stradali in concomitanza di un’eventuale sbarco alleato. A questa organizzazione aderirono una decina di ferrovieri assieme a carabinieri, poliziotti, civili. Il gruppo, che assunse il nome di Giovine Italia, riuscì a collaborare con un’altra organizzazione legata al partito comunista di Bordighera, la quale in clandestinità forniva documenti falsi a militari sbandati e antifascisti ritenuti sovversivi dalle autorità della Repubblica Sociale. Gli ufficiali dell’esercito e i carabinieri che aderirono avrebbero dovuto stabilire il controllo dell’ordine pubblico una volta il territorio fosse stato liberato. A causa di un incauto approccio da parte di Olimpio Muratore, tentato con due suoi compagni di scuola arruolatisi nella GNR ferroviaria, Carlo Calvi e Ermanno Maccario, questi rivelarono l’esistenza dell’organizzazione al loro comandante. Iniziarono subito le indagini portate avanti dalla G.N.R. e dal Commissario Capo della Polizia Repubblicana di Ventimiglia, Pavone. All’alba del 23 maggio 1944 una retata portò alla cattura di una trentina di persone, ventuno delle quali consegnate ai tedeschi, e di queste tredici furono successivamente inviate a Fossoli e poi a Mauthausen: Airaldi Emilio, Aldo Biancheri, Antonio Biancheri, Tommaso Frontero, Stefano Garibaldi, Ernesto Lerzo, Amedeo Mascioli, Olimpio Muratore, Giuseppe Palmero, Ettore Renacci, Elio Riello, Tommaso Frontero, Alessandro Rubini, Silvio Tomasi, Pietro Trucchi e Eraldo Viale. Solamente Elio Riello, Amedeo Mascioli, Aldo e Antonio Biancheri sopravvissero alla deportazione. Emilio Airaldi, invece, già sul carro merci destinato in Germania, riuscì a scardinare un finestrino del carro e a gettarsi di notte nel vuoto nei pressi di Bolzano; venne aiutato da ferrovieri che lo aiutarono s nascondersi e quindi a ritornare a casa dove giunse dopo 3 mesi. Giuseppe Palmero e Ettore Renacci furono fucilati a Fossoli, Olimpio Muratore, Silvio Tomasi, Alessandro Rubini, Eraldo Viale, Ernesto Lerzo e Pietro Trucchi morirono nel campo di Mauthausen. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020 [ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]
Il 18 corrente, nei pressi di VENTIMIGLIA (IMPERIA) una pattuglia della G.N.R. confinaria catturava una donna, che aveva tentato di espatriare clandestinamente. Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 19 maggio 1944, p. 31. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
Pagina 31 del Notiziario GNR cit. infra – Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
Imperia – Nella zona di Ventimiglia agisce un’organizzazione clandestina, denominata “G.I.”, dipendente dal partito comunista dell’Italia invasa, che si propone di occupare, al momento opportuno, le caserme, gli uffici postali e telegrafici e le centrali telefoniche, nonché di prendere possesso della ferrovia. Elementi della G.N.R. hanno già preso contatto con un membro dell’organizzazione, convinto di aver da fare con sovversivi. Le indagini continuano. Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 24 maggio 1944, p. 31. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
In questi giorni, nella zona di VENTIMIGLIA (IMPERIA), in seguito alle indagini svolte dalla G.N.R. per individuare gli appartenenti al “Comitato di liberazione nazionale”, sono stati effettuati 39 arresti di elementi indiziati, compresi i componenti di tre cellule comuniste. L’operazione continua e si sviluppa verso la zona di ponente e nella provincia di CUNEO. Riserva di ulteriori comunicazioni. Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 25 maggio 1944, p. 42. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
L’11 corrente, da certo Secondo BOSIO, residente in Ventimiglia, è stato catturato un colombo viaggiatore che portava un messaggio dei ribelli diretto alle autorità militari inglesi. Si unisce copia del messaggio Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) del giorno 28 maggio 1944, p. 21. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
In montagna, su per giù nel periodo stesso [metà giugno 1944] in cui vi sale Don Micheletto, vi si trasferiscono pure, per entrare fra i partigiani, col consenso e l’appoggio del loro maresciallo, i carabinieri di Ventimiglia, portandosi armi e bagagli. Il maresciallo, rimasto in Ventimiglia con lo scopo di difenderli, verrà deportato in Germania, sebbene avesse quattro figli ancora piccoli. La famiglia del maresciallo abitava in Camporosso. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia
Sebbene, per ora, non si abbiano dati probanti per fare illazioni sullo sviluppo delle operazioni militari sul fronte occidentale, tuttavia allo stato delle cose sembra che la baldanza anglosassone sia stata arrestata a Mentone e ricacciata e costretta a ripiegare. L’autorità militare germanica, per le necessità contingenti, ha ordinato lo sgombero delle popolazioni della vallata di Ventimiglia, che sono state avviate nei centri di sfollamento a cura delle Federazioni dei Fasci Repubblicani. Nei giorni scorsi mezzi navali cannoneggiavano Imperia, Ventimiglia, Bordighera, Vallecrosia, causando danni di una certa entità a case di abitazioni private, facendo qualche vittima. […] E’ stato catturato a Ventimiglia, dove si era rifugiato, e tradotto a Novi Ligure a disposizione del Tribunale Militare, un agente di P.S. che aveva disertato dall’Ufficio di P.S. di confine di San Dalmazzo di Tenda (Cuneo). Questore di Imperia, Al capo della Polizia – Vobarno, Relazione mensile sulla situazione economica e politica (mese di settembre 1944), n° di Prot. 013538, Imperia, 1° ottobre 1944 – XII. Documento “MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4” dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma
Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia Interrogatorio del 10.10.1945: […] Quando i partigiani uccisero in Castelvittorio il parroco Don Padoan, presi parte alla spedizione effettuata dalla squadra in detto paese ove trovammo già sul posto elementi della GNR [Guardia Nazionale Repubblicana]. Fu provveduto all’interrogatorio del sagrestano e non essendo emersi a carico degli abitanti, dopo aver assistito ai funerali del parroco svoltisi a Ventimiglia, facemmo ritorno ad Imperia senza aver fatto nessuna rappresaglia […] Nego di aver assistito all’interrogatorio di elementi comunisti di Ventimiglia, arrestati dal Questore Durante. Nego di aver infierito contro di loro con percosse e sevizie. Mi ricordo che nell’ufficio dove si procedeva al loro interrogatorio entrava un agente che generava fra i colleghi ilarità in quanto portava a braccetto gli arrestati. […] Fittipaldi Natale: nato a Ventimiglia il 25 dicembre 1928, squadrista della Brigata Nera “Padoan” Interrogatorio del 20.6.45: Mio padre fu inviato nel febbraio del 1944 in Germania a lavorare. Rimasi così a Ventimiglia, dove con mia madre e mia sorella vivevo dei proventi del mercato nero fino al novembre del 1944 quando mia madre rimase vittima di un bombardamento navale. Essendo giunto l’ordine di sfollamento, insieme a mia sorella mi recai ad Alassio. Nei primi di gennaio, e precisamente il 10 gennaio, essendo rimasto senza soldi mi arruolai nella brigata nera di Imperia. Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 – Liguria: Imperia – Savona – La Spezia, Vol. 9, StreetLib, Milano, 2019
Ventimiglia e la seconda guerra europea. (Appunti Storici dei Fratelli Maristi in Italia – Libro in edizione) (1944) […] In casa si va pensando ai provvedimenti da prendersi per il passaggio della linea del fuoco, giacché si è persuasi che gli alleati, sbarcati a Cannes, passeranno di qua dalle Alpi. Abbiamo sentito radio Londra annunziare che Ventimiglia è in mano degli alleati giunti già a sette chilometri oltre la città… L’otto settembre [1944], Natività della Madonna, un po’ di calma ci permette la Messa solenne e persino una passeggiatina verso il castello Appio. Ufficiali tedeschi ci avvertono del pericolo che si corre alla vetta. Alcuni fratelli vanno tuttavia a constatare de visu come, dal largo di Latte, le navi alleate hanno sotto il loro controllo tutti i versanti della valle del Latte. La notte, le batterie del greto della Roia cominciano a sparare maledettamente. Ogni quindici o venti minuti un cannone aggiunge un tal colpo da far sussultare tutta la casa. Al mattino entra in azione anche la marina alleata: i proiettili, con un sibilo caratteristico, rasentano la vetta del monte Magliocca e piombano nella valle verso Bevera. Alle 4.30 tutto il monte è in fiamme. Nella giornata del 9, parecchi son quelli, dei nostri, che non ardiscono fermarsi un momento in casa neppure per pranzare. Durante tutto il pomeriggio l’artiglieria della Roia si mantiene in azione permettendo agli aeroplani nemici di individuarne le precise posizioni. Aa.Vv., Pennellate storiche sulle Comunità mariste d’Italia e Destinazione annuale dei Fratelli, 1887-2003. Volume 3º, Provincia Marista Mediterránea, Guardamar del Segura – España, 2018
La vecchia strada provinciale all’ingresso meridionale di Airole, Val Roia
1944
Agosto1944
VENERDÌ 25 – Bombardamento aereo di Latte e Mortola [Frazioni di ponente di Ventimiglia (IM)]. Prima notte al rifugio (27 persone).
Il torrente Bevera sotto Calvo
MARTEDÌ 29 – Bombardamento aereo al Forte – Riccardo Bargioni ferito lievemente.
MERCOLEDÌ 30 – Mitragliamento al Ponte del Butassu [a Latte]. Macchina tedesca incendiata.
Settembre
Calvo, Frazione di Ventimiglia (IM)
VENERDÌ 1° – Fuga della Milizia e sacco della Casa Rossa (Paraixu Russu) [località di Ventimiglia (IM)]. Si avvista, per la prima volta, il caccia.
MARTEDÌ 5 – Assistiamo, dalla galleria della Mortola, al cannoneggiamento di Mont Agel da parte dell’I.L. Emile Bertin e di 2 C.C.T.T. [I.L. e C.T. abbreviano rispettivamente Incrociatore Leggero e Cacciatorpediniere]
MERCOLEDÌ 6 – Lungo mitragliamento da parte dell’aereo catapultabile su Punta Mortola e Punta Beniamin [località nel ponente di Ventimiglia (IM)]. Giungono i tedeschi nel nostro giardino per impiantare uno scivolo.
GIOVEDÌ 7 – Arrivano gli autocarri tedeschi. Il muro al mare, vicino al terrazzo, alcuni pilastri e il cancello rosa fatti saltare; incomincia la costruzione dello scivolo. Partenza di una parte dei Bargioni.
VENERDÌ 8 – La costruzione dello scivolo rallentata dal mare grosso. Un trattore, per errore, schianta il cancello sulla strada. Posizioni, in Francia, cannoneggiate dall’I.L. Dugay Trouin. Partenza dei rimanenti Bargioni.
SABATO 9 – Primo giorno che andiamo alla casa giù. Un C.T. bombarda Bellenda [altura sovrastante la Frazione, di ponente, Latte di Ventimiglia (IM)]. Conversazione con un tedesco sulle nuove armi. Undici corvette, protette da 2 C.T. e un I.L. cannoneggiano posizioni sopra Ventimiglia e Bordighera.
DOMENICA 10 – Le stesse navi della sera precedente tirano su Forte San Paolo [a ponente del centro storico di Ventimiglia]. I tedeschi non tornano nella mattinata e gli ultimi rimasti partono definitivamente. Marinai tedeschi cercano MAS a Punta Beniamino con feriti. La sera un C.T. bombarda Nervia [zona di levante di Ventimiglia] e Capo Ampelio [a Bordighera].
LUNEDI 11 – Posizioni tedesche sui monti bombardate dalla corazzata Lorraine. Bagno sotto i tiri. Un C.T. bombarda per un’ora Punta Mortola e Punta Arma [località nel ponente di Ventimiglia (IM)].
Diario di guerra, steso da ragazzo, dall’ing. Giuseppe Biancheri, pubblicato su LAVOCE INTEMELIA anno XXXIX n. 10 ottobre 1984, qui ripreso da Cumpagnia d’i Ventemigliusi
Oltre ai partecipanti alla scuola sabotatori, di cui si fa cenno nel resoconto della «Missione Corsaro», furono parecchie decine i Ventimigliesi passati in Francia e incorporati nelle unità alleate. da MARTIRIO E RESISTENZA della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale, Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare – Edita dal Comune di Ventimiglia (IM), 10 aprile 1971 – Tipografia Penone di Ventimiglia (IM)
17 novembre 1944 – Dalla Sezione SIM della IV^ Brigata “E. Guarrini” al comando della IV^ Brigata – Relazione giornaliera “[…] Ventimiglia: Non esiste quasi più nessuna forza tedesca in detta città, pochi sono anche i fascisti. Da voci della popolazione gli Alleati arriverebbero spesse volte in Ventimiglia Vecchia e paeselli dei dintorni ritirandosi dopo a Latte. Inoltre da notizie non confermate ufficialmente pare che gli Alleati abbiano raggiunto Bevera, San Dalmazzo di Tenda e Briga Marittima. La flotta Alleata bombarda incessantemente la striscia di terra tra San Remo e Ventimiglia. Firmato: Uliano“ da documento IsrecIm in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore – Farigliano, 1977
I soldati tedeschi avevano trasferito la sede del comando del loro distaccamento nella galleria sottostante alla casa. […] Nella notte fra l’11 e il 12 dicembre [1944], durante un terribile bombardamento, due proiettili della marina colpirono la casa: uno nella parte superiore del fabbricato centrale, verso il mare; l’altro a pian terreno del fabbricato del noviziato, alla sommità della porta centrale. Lo spavento fu grande, naturalmente; i danni relativamente non molto rilevanti. I Fratelli raddoppiarono di attività per avere dai Tedeschi il permesso di restare nella casa, e vi riuscirono. Riflettendo però su casi già accaduti, in cui cittadini erano stati mandati via sull’istante, i quattro giudicarono miglior partito dividersi in due gruppi: due di loro, si trasferirebbero a Bordighera e due resterebbero in casa; e così fecero. Aa.Vv., Pennellate storiche sulle Comunità mariste d’Italia e Destinazione annuale dei Fratelli, 1887-2003. Volume 3º, Provincia Marista Mediterránea, Guardamar del Segura – España, 2018
… di essere venuto a conoscenza, subito dopo l’arresto dello Iannacone e dei Chiappa [titolari di un noto garage ed officina di autoriparazioni in Bordighera], precisamente dal figlio minore Aldo Chiappa, che il capitano Punzi era stato ucciso [colpito il 4 gennaio 1945, morì 2 giorni dopo] dal pescatore… di Ventimiglia, padre di una spia e spia delle SS di Sanremo, il primo arrestato e tradotto in Francia dallo Iannacone ed il secondo fu arrestato per ordine dello Iannacone stesso e messo a disposizione del Comando francese SROI di Sanremo, dipendente del servizio OSS americano. Antonino Panascì (documento Isrecim) in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore – Farigliano, 1977
Riferirono [Renzo StiencaRossi e Luciano RosinaMannini] che “un agente locale di nome Gino [capitano Gino Punzi] era stato ucciso e trovato in possesso di appunti scritti con nomi di agenti e ubicazione di rifugi nell’area di Bordighera” e che questo fatto spiegava il ‘tradimento’di Irene. Sir Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II, Paperback, 2013
24 gennaio 1945 – Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 219/CL, al comando della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” – Si comunicava che la zona di competenza del C.L.N. di Sanremo comprendeva la zona costiera da Ventimiglia a Santo Stefano al Mare (IM).
15 marzo 1945 – Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 342, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione – Comunicava che… “il paese di Trucco sul confine italo-francese è presidiato da 30 tedeschi con una batteria antiaerea da 20 mm“…
21 marzo 1945 – Dal CLN d Alassio (SV), prot. n° 34, al comando della Divisione “Silvio Bonfante” [comandante “Giorgio” Giorgio Olivero] – Comunicava che un agente alleato, un italiano di Parma, che era sbarcato nella zona di Ventimiglia per raggiungere i partigiani in montagna, era in quel momento degente presso il nosocomio militare tedesco di Alassio sotto sorveglianza in attesa di giudizio e che i tedeschi, in sostituzione di quell’agente, era già riusciti ad infiltrare tra i garibaldini un loro uomo munito di radio-trasmittente.
7 aprile 1945 – Dal C.L.N. circondariale di Sanremo a “Turi Salibra” [Salvatore Marchesi, ispettore circondariale] ed al C.L.N. di Bordighera – Comunicava che l’ufficiale addetto al Comando, Piero [Pietro De Andreis], sarebbe stato con il C.L.N. di Bordighera al momento dello sbarco per la ripartizione delle armi provenienti dalla Francia. In base agli accordi le armi sarebbero state assegnate per il 25% alle SAP di Ventimiglia, Vallecrosia e Bordighera e per il restante…
19 aprile 1945 – Dal comando della Divisione SAP “Giuseppe Mazzini” [di Albenga (SV)], prot. n° 56, al rappresentante dell’Alto Comando Alleato [capitano Bentley] ed al comando della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” – Informava che “… Proveniente da Ventimiglia è transitato un treno carico di materiale diretto a Savona…”
22 aprile 1945 – Dal comando della II^ Divisione al Comando Operativo della I^ Zona Liguria – Si chiedevano con urgenza precise disposizioni nei confronti delle truppe liberatrici, che con ogni probabilità saranno Degolliste; le competenze nei confronti del CLN e delle SAP secondo gli accordi intervenuti tra voi e dette organizzazioni… se bisogna portare gradi, in caso positivo quali.
24 aprile 1945 – Dal C.L.N. di Perinaldo (IM) al comando della II^ Divisione – Comunicava che una nostra staffetta ha preso oggi contatto con un piccolo nucleo di degollisti dentro Ventimiglia. Tutta questa zona è tranquilla.
23 aprile 1945 – Dal comando della Divisione SAP “Giuseppe Mazzini” [di Albenga (SV)], prot. n° 60, al rappresentante dell’Alto Comando Alleato [capitano Bentley] – Segnalava… un treno da Ventimiglia per Savona carico di materiale…
da documenti Isrecimin Rocco Fava, La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999
Molti dei Ventimigliesi incorporati nelle unità alleate unitamente a numerosi partigiani parteciparono alla fine marzo 1945 con le truppe alleate alla sanguinosa battaglia dell’Aution, che terminava con la cacciata delle truppe tedesche dal Bacino del Roia…da MARTIRIO E RESISTENZA della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale, Op. cit.
La XXXIV divisione Brandenburg, comandata dal generale Theo-Helmut Lieb, era costituta da tre reggimenti (Grenadier-Regiment 80, 107 e 253) e da un reggimento di artiglieria (Artillerie-Regiment 34) <9 ed era schierata da Ventimiglia sulla costa ligure e sulle Alpi marittime fino al Monviso <10. Essa doveva ripiegare dalla Val Roya verso Torino ed aveva incontrato notevoli difficoltà a causa della lunghezza del percorso (si dovevano oltrepassare il colle di Tenda ed il col di Nava), dei ripetuti attacchi aerei degli Alleati e di quelli dei partigiani, ai quali il 15° Gruppo di armate alleate chiedeva di ostacolare la ritirata tedesca. [NOTE] 9 Cfr. C. GENTILE, Le forze tedesche di occupazione, cit., pp. 116-117. 10 La divisione, già dal 12 aprile, quando la I divisione France Libre iniziò l’offensiva sulle Alpi Marittime, non era più in grado di mantenere le proprie posizioni nonostante le ingiunzioni di resistere a qualsiasi costo; cfr. ALBERTO TURINETTI DI PRIERO, NOTE su una divisione tedesca in Piemonte. La “5. Gebirgsjaegerdivision” agosto 1944-maggio 1945, in “Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia”, n. 36, dicembre 1989, pp. 193-194. Ezio Manfredi, Dalle Alpi Occidentali a Santhià. La strage dell’aprile 1945 e la resa del 75° Corpo d’armata, in “l’impegno”, a. XXI, n. 3, dicembre 2001, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia
Rapporto del Tenente-Colonnello Salbat, francese, in data 12 maggio 1945, da cui qui si estrapolano le seguenti frasi: “Visita dei tenenti colonnello Salbat e Romanetti a Dolceacqua e Pigna… Incontro con il Podestà ed il segretario di Pigna… La popolazione sembra assai indifferente all’idea di annessione alla Francia, ma i dirigenti e le classi agiate sembrano volere restare italiani… In particolare è indispensabile rifornire le popolazioni… Da notizie ottenute risulta che mentre a Dolceacqua, Bajardo, Pigna, Buggio, le popolazioni siano nettamente francofile, sono cattive a Apricale e pessime a Castelvittorio”. Fonte: Archivio Militare francese (SHAT), copia di Giuseppe Mac Fiorucci
Il 5 maggio [1945], intanto, il Cln di Ventimiglia aveva deciso di interpellare il tenente colonnello Romanetti per sapere quali funzioni avrebbe potuto ancoraespletare nella nuova situazione che si era venuta a creare. Una settimana dopo giunse la risposta di Romanetti, che informò i membri del Comitato di liberazione nazionale come, per l’autorità militare francese, non vi fosse più alcun bisogno di un Cln italiano a Ventimiglia, in quanto ormai tutte le funzioni governative e amministrative erano state assunte dall’autorità di occupazione. Il giorno prima il generale Doyen aveva fatto occupare dalle sue truppe tredici paesi delle valli Nervia, Crosia e Roia, che sarebbero così entrati a far parte dei territori occupati […] La campagna propagandistica era organizzata da un apposito Comité d’action pour le rattachement à la Comté de Nice, guidato da Hilaire Lorenzi, un marmista italiano di Beausoleil, che avrebbe anche promosso la fondazione di vari sottocomitati del sodalizio in alcune località dell’estremo Ponente ligure […] Nei mesi dell’occupazione francese di Ventimiglia, il comitato presieduto da Lorenzi avrebbe svolto un’intensa attività per convincere il maggior numero di persone delle grandi opportunità che avrebbe potuto offrire a Ventimiglia il passaggio sotto la giurisdizione francese. A livello governativo, invece, la Direction générale d’études et recherches, in pratica i servizi segreti francesi, aveva già inviato in zona una propria ambasceria, detta “missione Bananier”, affidata al comandante Sarocchi, con l’incarico di organizzare plebisciti clandestini per constatare l’orientamento delle popolazioni locali in merito all’opzione annessionista. Nel maggio del 1945 si tennero quindi varie consultazioni, di carattere non ufficiale, né tantomeno vincolante, in numerosi comuni del circondario intemelio, che avrebbero dato esito favorevole alle tesi annessioniste. I plebisciti svoltisi nei paesi delle valli ventimigliesi avrebbero evidenziato, nella maggioranza dei casi, la chiara volontà delle popolazioni locali, cui si erano però aggiunti molti naturalizzati francesi fatti affluire dalla Costa Azzurra dalle autorità di occupazione, di passare alla Francia, nonostante gli alleati avessero imposto, alla guida di tali comuni, sindaci contrari alla scelta annessionista. Andrea Gandolfo, L’occupazione francese di Ventimiglia (aprile-luglio 1945), in Rivista ILSREC, n° 2/2016
Bordighera (IM), Paese Alto: a destra le ex carceri
Il giorno 10 maggio 1943 mio figlio Nino venne preso in casa mentre ancora si trovava a cena insieme a noi e venne portato dai tedeschi e dai fascisti prima nel Castello Selvadolce [in Bordighera]; dopo due giorni fu portato in Paese Alto [sempre in Bordighera] nelle carceri alla Maddalena, innocentemente. E di lì fu sempre perseguitato, perché aveva suo fratello nei partigiani, finché stanco di non poter camminare libero prese anche lui la via dei monti insieme a suo fratello e tanti suoi compagni.
Il giorno 24 dicembre 1944, vigilia di Natale, dietro una lettera anonima, veniva preso come ostaggio mio marito e tenuto al Borghetto sotto sorveglianza dei tedeschi, e messo in libertà solo con la promessa che mi fece fare a me il Capitano tedesco Austin di ritrovare i miei figli. Io mi misi alla loro ricerca per informarli di quanto succedeva in casa nostra, girai nei boschi e nella neve dal 4 all’11 gennaio, sempre del 1945, e infine dopo inaudite sofferenze li trovai a Monte Ceppo e insieme a me fecero ritorno a casa.
Subito si presentarono e non gli fu fatto alcun male, furono messi a lavorare nella Paladina (la Todt che si occupava di bunker e delle difese costiere), una ditta tedesca [n.d.r.: invero, la ditta era la Palladino ed era italiana] e anche lì adoperarono tutte le loro forze e il loro coraggio per aiutare i loro fratelli della montagna, erano allegri e felici. Ma il giorno 19 marzo, giorno del fatale rastrellamento di Bordighera, vennero da spie italiane indicati ai tedeschi come capi partigiani mentre passavano in bicicletta alla galleria della Migliarese per sorvegliare e segnalare al comando chi veniva preso. Furono presi e portati a Villa Cava insieme a una SO. Mentre gli altri venivano consegnati alle Brigate Nere loro due e il loro compagno di sventura Paolo Biancheri venivano portati al Forte San Paolo di Ventimiglia e dopo quattro giorni, cioè il 22 marzo, venivano trucidati dai nazifascisti. Questa è la triste vita dei miei adorati figli Nino di anni 23 e Ettore di anni 21, la loro vita fu una lotta continua senza conoscere nessuna gioia, per loro non c’era che il lavoro e la casa, in quanti li conobbero lasciarono un caro ricordo. Questo mia figlia Diana lo scrivo io tua madre Ida Sasso solo perché quando io non ci sarò più non devi dimenticare quanto hanno fatto i tuoi cari fratelli, tu devi sempre ricordarli con grande affetto, e difenderli da chiunque osasse parlare male di loro, perché loro vissero eroi e morirono martiri, tutti e due ti amavano e avrebbero fatto la tua vita dolce e serena, ma il destino gli fu crudele. Dopo tante sofferenze sui monti, perché sappi che tuo fratello Ettore fece sedici mesi di montagna, privo tante volte anche della più piccola sostanza sia fisica sia morale; anche Nino dopo ventotto mesi di soldato come motorista sul Cacciatorpediniere Maestrale, dopo sei mesi di montagna per essere stati riconosciuti vennero barbaramente trucidati. Il dolore mi uccide, soffro in silenzio racchiudendo tutto in me, ma tu cara Diana diletta sii sempre orgogliosa dei tuoi cari e adorati fratelli, e se un giorno ti sposerai, ai tuoi figli non dimenticare di insegnare ad amare e venerare la memoria dei loro zii.
Ti raccomando Bernardo fa che Diana sia felice e guidala sempre su una buona strada.
Bordighera, 24 agosto 1945 Ida Sasso in Biancheri Documento riprodotto con il titolo Tristi vicende della guerra vissute dai miei figli Nino e Ettore in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 7, nr. 4, Aprile 2014
[…] Lavorai a Mentone, poi un giorno, un manifesto affisso sui muri della città non lasciava dubbi: Todt o non Todt, tutti gli uomini della classe 1921, la mia, e di altre venivano richiamati alle armi nell’esercito della Repubblica di Salò. I renitenti, “Kaputt!” Con i fratelli Biancheri fuggimmo a Seborga. […] Ci spostammo a Perinaldo, perché là era troppo pericoloso… Eravamo al comando di Cekoff [o Cecoff, Mario Alborno di Bordighera (IM)], comandante partigiano che da borghese abitava a Bordighera. […] AngeloAthosMariani in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia < ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007
… La sorveglianza del tratto di costa di Vallecrosia (IM) era affidata a un distaccamento di circa 25 bersaglieri accasermato [n.d.r.: ed a fianco della sede del loro presidio c’era il vecchio mattatoio, punto di riferimento, citato in altre fonti, per gli arrivi notturni via mare di tante spedizioni] sul lungomare alla foce del torrente Verbone. Tra i bersaglieri c’era il sergente Bertelli, di Genova, che sembrava nutrire qualche simpatia per la Resistenza. Il Bertelli frequentava la barberia di Aldo Lotti [commissario del distaccamentoS.A.P. di Vallecrosia] e nei discorsi da… barbiere fece qualche allusione antifascista. Fu avvisato il C.L.N. [quello di Bordighera (IM)], che incaricò i fratelli Biancheri [Bartolomeo ed Ettore] di Bordighera, soprannominati Lilò, di prendere i necessari contatti. I bersaglieri volevano disertare e unirsi ai partigiani in montagna. I Lilò li convinsero a rimanere nel presidio sul lungomare ed a collaborare con la Resistenza nel nascente Gruppo Sbarchi. Renzo [Stienca] Rossi di Bordighera [n.d.r.: subentrato nel comando della missione presso gli alleati a Stefano Leo Carabalona, rimasto gravemente ferito in un agguato a febbraio 1945 proprio in Vallecrosia] organizzò un idoneo servizio per effettuare sbarchi di materiale e uomini da piccoli natanti provenienti dalla vicina Francia liberata. Venne il momento della prima operazione e bisognava concordarne i particolari con i bersaglieri… L’Operazione Sbarchi ebbe inizio… RenatoPlanciaDorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
Il Gruppo Sbarchi Vallecrosia aveva frattanto predisposto una barca. Renzo Rossi con Lotti avevano preavvisato i bersaglieri della necessità di effettuare l’imbarco quanto prima possibile.
La collaborazione dei bersaglieri fu determinante per tutte le operazioni del Gruppo Sbarchi. Il sergente Bertelli comandava un gruppo di bersaglieri a Collasgarba – sopra Nervia di Ventimiglia – e aveva manifestato la volontà di aderire alla Resistenza. Fu avvicinato dai fratelli Biancheri, detti Lilò, per stabilire le modalità della diserzione, quando il plotone fu distaccato alla difesa costiera giusto sulla costa di Vallecrosia in prossimità del bunker alla foce del Verbone. I Lilò convinsero allora i bersaglieri a non disertare, ma ad operare dall’interno per consentire ed agevolare le nostre operazioni.
RenzoGianni/Rensu u LonguBiancheri, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
Il distaccamento di Bertelli venne in seguito inviato a presidiare il caposaldo in Collasgarba, collina in zona Nervia di Ventimiglia (IM). Per la costruzione colà di una trincea a difesa della postazione dotata di cannone anticarro vennero impiegati operai della Todt, tra i quali i fratelli Biancheri di Bordighera. Con i fratelli Biancheri il sergente Bertelli esternò cautamente i sentimenti di disapprovazione della condotta della guerra.
I fratelli Biancheri favorirono l’incontro di Bertelli con il dottore Salvatore Turi Salibra/Salvamar Marchesi, membro di rilievo della Resistenza, ispettore circondariale del CLN di Sanremo per la zona Bordighera-Ventimiglia, fratello del prof. Concetto Marchesi, quest’ultimo, come noto, un insigne latinista, a sua volta impegnato nella Resistenza a livello nazionale.
Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
Dopo quella avventura, Girò [Gireu, Giraud, Pietro Gerolamo Marcenaro] mi disse che occorreva mandare partigiani dagli alleati nella Francia liberata per stabilire rapporti e trasportare armi per i garibaldini. Come? Di notte, con un gozzo, remando da Vallecrosia a Monaco. I Lilò avevano “agganciato” i bersaglieri che erano passati dalla nostra parte. Fregammo una barca dal deposito sottostrada vicino alla Casa Valdese di Vallecrosia e la portammo al mare. Con molta circospezione e furtivamente mettemmo in acqua la barca che… affondò. In attesa di poter fare qualcosa, la ancorammo sul fondo riempiendola di pietre per non farla portar via dalla corrente.
AmpelioElioBregliano, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
[…] indicò [Elda Casaroli] successivamente al Cap. Borro i due fratelli Biancheri che percorrevano la strada in bicicletta, i quali poi furono fucilati per patriottismo, poco importando che essa fosse in rapporti di amicizia con costoro, come afferma, avendo i buoni rapporti determinato le confidenze e l’arresto e la denunzia […] Sentenza della Corte d’Assise Straordinaria (CAS) di Imperia contro Elda Casaroli del 7 settembre 1945, documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo
Il 18 marzo 1945 in un rastrellamento nazifascista vennero catturati a Dolceacqua (IM) 5 partigiani. Detto rastrellamento era stato provocato dal maresciallo repubblichino Luigi Salvagni per vendicare il fratello Federico Agostino, maresciallo della G.N.R. ucciso dai patrioti in quanto guida dei tedeschi nelle pregresse barbare aggressioni a Rocchetta Nervina, Soldano e Seborga.
L’operazione riguardò anche il comune di Bordighera. Veniva cercato in modo particolare Ettore Biancheri. Otto giovani vennero riconosciuti come partigiani: arrestati, furono torturati e fucilati il 21 marzo 1945 presso Forte San Paolo di Ventimiglia. Tra questi martiri, Paolo Biancheri (Paolo), nato a Bordighera, e i due fratelli BiancheriLilò, Bartolomeo ed Ettore, patrioti del Gruppo Sbarchi di Vallecrosia. Un documento d’epoca indirizzato al CLN di Bordighera, oggi conservato a Sanremo, ricorda che essi vennero fucilati insieme a Paolo Balbo (Pietro), Adolfo Piuri (Stella), Giuseppe Rosso (Pierino), Emilio Sasso (Puma) e Giuseppe Verrando (Mil).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 – 1999
Circa i fratelli BIANCHERI di Bordighera, catturati e poi fucilati, conosco i seguenti particolari. Per opera della 34^ divisione [tedesca] fu effettuato un rastrellamento nell’abitato di Bordighera ed anche dintorni. Terminato il rastrellamento, che aveva portato alla cattura di circa 200 persone, anche la SS, e naturalmente anch’io, si recò in quel luogo per controllare i documenti e per vedere se fra le persone arrestate ve ne erano di quelle a noi segnalate come partigiani o sospetti di attività contraria alla Germania. Oltre a noi delle SS era presente il capitano BORRO, capo dell’UPI [Ufficio politico e investigativo della Guardia nazionale repubblicana (fascista)] di Imperia ed un ufficiale delle B.N. [Brigate Nere repubblichine] del quale non ricordo il nome. Vi era poi il confidente DE MICHELI. I fermati erano stati messi nella galleria ferroviaria di S. Ampeglio [a Bordighera]. Delle 200 persone circa, fermate, tre che risultavano sospette furono accompagnate al carcere di villa OBER … Mentre si stava effettuando il controllo dei fermati, giunse sul posto un ufficiale della 34^ divisione, il quale disse di avere catturato in una casa poco distante due fratelli a nome BIANCHERI. Al sentire quel nome, il comandante dell’Orstkommandatur, che aveva in precedenza tenuto come ostaggio il padre dei BIANCHERI, affinché i figli scendessero dalla montagna, intervenne e disse che li voleva vedere. Il DE MICHELI [confidente e spia dei tedeschi], che era lì vicino, si offrì per andare col comandante della piazza. Dopo poco i due tornarono e dissero che realmente i due erano i fratelli BIANCHERI ambedue partigiani. Noi ritornammo a S.Remo e qualche giorno dopo da un ufficiale della 34^ div. seppi che i due Biancheri erano stati fucilati la sera della cattura. A parte il fatto già stabilito e cioé che egli accompagnò il comandante della piazza per il riconoscimento dei BIANCHERI non posso precisare se il DE MICHELI abbia in precedenza fornito indicazioni atte a portare alla cattura dei medesimi BIANCHERI e quale parte ne abbia avuto nella loro esecuzione.
Ernest Schifferegger, già SS ed interprete, in un verbale di reinterrogatorio confluito in un documento * del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense, antenata della CIA
* [Ernest Schifferegger era un italiano altoatesino che in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. Il rapporto dell'OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d'Assise Straordinaria di Sanremo]
… e si formano i primi nuclei della Resistenza…… uno di questi, costituito da giovani ferrovieri nella Stazione Ferroviaria col compito di assicurare collegamenti, verrà più tardi scoperto ed i suoi membri arrestati e inviati in un campo di concentramento, dal quale non faranno più ritorno. Eccone i nomi: Edoardo Ferrari, cantoniere [fucilato nella strage nazifascista del Turchino] – Olimpio Muratore, alunno – Giuseppe Palmero, manovale – Alessandro Rubini, capo stazione di I^ classe – Ernesto Lerzo, conduttore – Pietro Trucchi, conduttore – Eraldo Viale, operaio…
da MARTIRIO E RESISTENZA della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale, Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare – Edita dal Comune di Ventimiglia (IM), 10 aprile 1971 – Tipografia Penone di Ventimiglia (IM)
Questi patrioti facevano parte del Gruppo Giovine Italia. Il capitano Silvio Tomasi era anche un membro del C.L.N. di Bordighera (IM), del primo C.L.N. di Bordighera. Di questo Comitato vennero arrestati in quel periodo anche Ettore Renacci, anch’egli deceduto a Fossoli, e Tommaso Frontero, il quale ultimo invece sopravvisse alla terribile esperienza dei lager nazisti. Adriano Maini
Aveva compiuto da poco vent’anni, Giuseppe Palmero *, manovale alle Ferrovie di Ventimiglia (IM): era membro del gruppo “Giovine Italia”, che agiva alle dipendenze dell’omonima associazione clandestina repubblicana formata da molti ferrovieri di Ventimiglia, civili, militari e carabinieri – più di sessanta persone – che prendeva ordini dal capitano di fanteria Silvio Tomasi ** (anch’egli passato da Fossoli, deportato a Mauthausen e là deceduto).
L’organizzazione aveva lo scopo di ostacolare il traffico di materiale bellico sia in Francia sia In Italia, ritenendo imminente lo sbarco alleato.
Il gruppo doveva occupare militarmente la stazione ed un tratto della linea ferroviaria, per preservarle da sabotaggi delle truppe nemiche durante la prevista evacuazione.
Tra il 22 e il 23 maggio 1944 una ventina di affiliati furono arrestati per la delazione di due infiltrati.
Giuseppe Palmero fu arrestato a Bordighera, il 23 maggio 1944, portato a Oneglia assieme ai fratelli Remo ed Ettore Renacci, trasferito al carcere di Marassi (Genova) e poi a Fossoli (1).
[ Di quel manipolo di coraggiosi ferrovieri si salvò, invero, l’alunno d’ordine Filippo Airaldi. Riuscì dalle parti di Bolzano ad evadere e a lanciarsi dal carro merci che trasportava diversi detenuti in Germania. Aiutato da colleghi, 3 mesi dopo faceva rientro in provincia di Imperia. Arrestato ancora due volte, tornò ogni volta a combattere insieme ai partigiani in montagna. Adriano Maini ]
La sorella di Giuseppe Palmero, Elga, in data 27 febbraio 1996 scriveva al Sindaco di Carpi: Sig. Malavasi Io sono la sorella di Palmero Giuseppe, perché mia madre è mancata nel 1987 e si è portata questo dolore della perdita di un figlio di 20 anni. Mio Fratello era un manovale nelle Ferrovie dello Stato. Quando al mattino si recò sul lavoro a Ventimiglia non fece più ritorno a casa, mio Fratello era un Politico e fu portato a Oneglia nelle carceri. Io e mia madre quando ci hanno avvisati ci siamo recate sul posto, mi dissero che erano partiti, e diedero a mia madre i suoi effetti personali/ Dal campo concentramento di Fossoli abbiamo ricevuto delle lettere che ci portava una Signora, perché la sorella aveva il marito a Fossoli e così potevamo avere notizie, l’ultima lettera che abbiamo ricevuto ci informava che sarebbe tato mandato in una zona di lavoro e poi il silenzio. Nel 1945 mia madre fu avvisata che le salme erano già a Milano. Un mio cugino andò ed è stato facile identificarlo perché si era fatto un cuore con una pietra rossa con scritto (Palmero Giuseppe, Politico) 23.05.44 Oneglia Ventimiglia. Sono passati 50 anni sarà molto difficile trovare i responsabili ma penso che qualcuno ci sarà da qualche parte della terra. Saluti e auguri Palmero Elga
Probabilmente la signora che portava i messaggi era Carmelina Gatto, cognata di Ettore Renacci di Bordighera (IM).
La lapide nella Stazione di Genova Principe, dedicata ai ferrovieri patrioti della Liguria caduti per la Libertà. Giuseppe Palmero appare come sesto dal basso nella colonna di destra.
* Giuseppe Palmero, di anni 20, nato il 3 giugno 1924 a Ventimiglia e ivi residente, celibe.
Il numero di matricola a Fossoli, 1422, colloca il suo arrivo dopo il 6 giugno 1944.
Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 15, fu riconosciuto da due conoscenti e identificato da un cugino.
Il suo nome figura tra quelli dei ferrovieri caduti per la lotta di liberazione in due lapidi, rispettivamente nella stazione di Genova e in quella di Ventimiglia.
Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono e Metella Montanari
in
Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004
** Silvio Tomasi era nato a Trento il 23 giugno 1907. Frequentò il Corso Allievi Ufficiali di Complemento presso la Scuola del Corpo d’Armata di Verona, diventando sottotenente di complemento. Venne assegnato al 62º Reggimento il 4 ottobre 1928. Volontario nella guerra d’Abissinia, in Etiopia rimase ferito. Nel 1937 venne trasferito all’89º Reggimento di stanza a Ventimiglia (IM). Nel 1940 fu sul Fronte Occidentale: venne proposto per la Medaglia d’Argento al Valor Militare, ma la decorazione non gli fu assegnata perché Tomasi non era iscritto al Partito Nazionale Fascista. Venne quindi inviato sul Fronte Greco-Albanese, dove riportò un grave congelamento ai piedi. Il 5 luglio 1942 partì con l’89° Reggimento per il Fronte Russo: colpito da un nuovo congelamento, venne rimpatriato. Riprese servizio come aiutante maggiore del I° Battaglione con il grado di capitano. L’8 settembre 1943 si trovava a Monza, dove fu l’ultimo ufficiale a fuggire. Salvò la bandiera del Reggimento, custodita ora presso il Museo delle Bandiere a Roma. Nell’inverno 1943-1944 organizzò a Ventimiglia un gruppo di patrioti. Nel 1944 venne arrestato, torturato, consegnato alla Gestapo e deportato a Gusen-Mathausen, dove, arrivato il 7 agosto 1944, morì il 27 aprile 1945. Adriano Maini
(1) Più precisamente Giuseppe Palmero (come, del resto, Ettore Renacci) venne trucidato nel corso della strage del poligono di CibenoAdriano Maini
La strage nazista del 12 luglio 1944 compiuta al poligono di Cibeno presenta ancora molti aspetti oscuri e di difficile lettura. Le ricostruzioni di quell’evento concordano comunque sul fatto che alle vittime, tutti prigionieri politici internati al campo di Fossoli a Carpi (Mo), fu letta la sentenza di condanna a morte, motivata come rappresaglia per un attentato a Genova. Alle 4 del mattino del 12 luglio 1944, 71 prigionieri politici, selezionati la sera prima formalmente per partire per la Germania, furono fatti uscire dalla baracca in cui avevano alloggiato la notte. Renato Carenini fu escluso, Teresio Olivelli riuscì a nascondersi mentre un primo gruppo di 20 prigionieri venne condotto al poligono di tiro. Quando il secondo gruppo di 25 persone giunse al poligono, Mario Fasoli ed Eugenio Jemina si resero conto del pericolo e innescarono una ribellione durante la quale riuscirono a fuggire. I restanti ribelli furono uccisi sul posto dalla guardia russa del campo. Dopodiché i 24 componenti del terzo gruppo partirono dal campo ammanettati per essere fucilati al poligono dove i corpi venivano gettati insieme agli altri in una fossa comune scavata precedentemente da ebrei del campo. 67 furono i prigionieri politici coinvolti nella strage: Achille Andrea, Alagna Vincenzo, Arosio Enrico, Baletti Emilio, Balzarini Bruno, Barbera Giovanni, Bellino Vincenzo, Bertaccini Edo, Bertoni Giovanni, Biagini Primo, Bianchi Carlo, Bona Marcello, Brenna Ferdinando, Broglio Luigi Alberto, Caglio Francesco, Ten. Carioni Emanuele, Carlini Davide, Cavallari Brenno, Celada Ernesto, Ciceri Lino, Cocquio Alfonso Marco, Colombo Antonio, Colombo Bruno, Culin Roberto, Dal Pozzo Manfredo, Dall’Asta Ettore, De Grandi Carlo, Di Pietro Armando, Dolla Enzo, Col. Ferrighi Luigi, Frigerio Luigi, Fugazza Alberto Antonio, Gambacorti Passerini Antonio, Ghelfi Walter, Giovanelli Emanuele, Guarenti Davide, Ingeme Antonio, Kulczycki Sas Jerzj, Lacerra Felice, Lari Pietro, Levrino Michele, Liberti Bruno, Luraghi Luigi, Mancini Renato, Manzi Antonio, Col. Marini Gino, Marsilio Nilo, Martinelli Arturo, Mazzoli Armando, Messa Ernesto, Minonzio Franco, Molari Rino, Montini Gino, Mormino Pietro, Palmero Giuseppe, Col. Panceri Ubaldo, Pasut Arturo, Pompilio Cesare, Pozzoli Mario, Prina Carlo, Renacci Ettore, Gen. Robolotti Giuseppe, Tassinati Corrado, Col. Tirale Napoleone, Trebsé Milan, Vercesi Galileo, Vercesi Luigi. Enrica Cavina, Ettore Renacci, Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana
Elio Riello:”… i punti fissi del costituendo Comitato di Liberazione di Ventimiglia erano il Cap. Silvio Tomasi, presidente, ed Elio Riello, segretario… Il costituendo C.L.N. di Ventimiglia, tramite il Baletti Emilio, aveva rapporti con il C.L.N. di Torino e precisamente con l’avv. Martorelli Renato. Nel frattempo il Cap. Tomasi aveva preso contatto con il Gruppo della Giovane Italia, operante attivamente soprattutto nella Stazione di Ventimiglia…” don Nino Allaria Olivieri, Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999
Giuseppe Palmero: nato a Ventimiglia (IM) il 3 giugno 1924, residente a Ventimiglia, celibe, ferroviere, antifascista del gruppo “Giovine Italia”. Impegnato nei sabotaggi che impediscono il flusso del materiale bellico nelle reti di trasporto, viene arrestato a Bordighera il 23 maggio 1944 e finisce nel Campo di Fossoli dopo il 6 giugno 1944. Riceve la matricola 1422. Viene fucilato al Poligono di Tiro di Cibeno il 12 luglio 1944 ed è riconosciuto da due conoscenti e identificato dal cugino. Daniel Degli Esposti, Episodio del Poligono del Cibeno, Fossoli, Carpi, 12.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
Nella relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti di cui alla legge n. 107 del 2003, trasmessa alle Presidenze delle Camere il 9 febbraio 2006, la figura di Giuseppe Palmero viene ricordata nel seguente modo: Imputati: Ignoti militari tedeschi – Delitto previsto dagli art. 185, 2° comma, e 211 c.p.m.g. – Parte lesa: Palmero Giuseppe – ECCIDIO DI FOSSOLI ABBINATO AL FASCICOLI RG 2 – INVIATO ALL’AMBASCIATA DI GERMANIA Archiviato dal Gip della Procura della Repubblica presso il Tribunale Militare di La Spezia (p. 27 del doc. 86/0). Adriano Maini