L’eccidio di Grimaldi

La Riviera, mercoledì 26 agosto 1998 – pag. 25

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Ventimiglia (IM): Grimaldi Superiore

[…]
Elenco delle vittime decedute
Chiodin Angela, anni 37, civile
Chiodin Maria,
Lorenzi Alberto, anni 64, civile
Lorenzi Battistina, anni 62, civile
Pallanca Rosalba, anni 2, civile
Pallanca Vincenzo, anni 4, civile
Pastorino Giovanni, anni 80, civile
Pittaluga Rinaldo, anni 52, civile
Plank Antonia, anni 22, civile
Trovato Giovanna, anni 2, civile
Trovato Salvatore, anni 37, civile
[…] Fucilazione di tre gruppi familiari nell’abitato di Grimaldi superiore, precedentemente evacuato per ordine tedesco. La motivazione della strage è incerta, ma potrebbe essere legata al mancato rispetto dell’ordine di evacuazione.
Dagli articoli pubblicati sul giornale “La Stampa” del 04.07.1999 e dell’11.07.1999 risulta che detta strage è stata compiuta in seguito a una delazione ai tedeschi di Giuseppe Eusebi la cui moglie è stata licenziata a causa di un furto dai titolari dell’Albergo “Vittoria” (Lorenzi e Pallanca) […]
Sabrina Giribaldi, Episodio di Frazione Grimaldi “Albergo Vittoria”, Ventimiglia, 07.12.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

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grct3eg9Tutto era come sempre quel mattino a Grimaldi. Il mare non ansimava più delle altre volte e il cielo aveva il broncio solito di tutti gli inverni. Tutto intorno era pace. I mandarini in fiore con il loro profumo annunciavano, prossime, le feste di Natale.
Era il 7 dicembre 1944. Il giorno prima le autorità militari tedesche, di stanza a Ventimiglia, avevano emanato l’ordine di evacuazione. Poche anime erano rimaste in paese e quello stato di disagio accompagnava la paura di quell’ultima gente ancora ancorata alla propria terra, legata ai risparmi di tutta una vita.
Perché non fuggirono? A due passi li attendeva la terra di Francia.
L’attesa spasmodica, la paura e la speranza ebbero fine alle 8,30. Un crepitio di fucili lacerò il silenzio e l’aria tersa di quella piccola comunità. Davanti al muro esterno dell’Albergo Vittoria, una squadra di tedeschi li aveva ammucchiati come tante pecore, e li aveva massacrati. La barbarie aveva reciso senza pietà la vita innocente di Giovanna Trovato di due anni, di Rosalba di quattro, e del suo fratellino, Sergio Pallanca, di sei, e con loro uomini e donne: la mamma della piccola Giovanna, malgrado fosse incinta, e Alberto Lorenzi (detto Berto de Tacun) con la moglie Battistina, proprietari del piccolo albergo, e tutti gli altri e Rinaldo Pittaluga, che la sera precedente aveva deciso di rimanere con loro.
I nomi di tutte quelle povere vittime della guerra sono scolpiti, con i loro sogni, nel marmo che guarda, con gli occhi del martirio, la Chiesa dei Santissimi Angeli nella piazzetta di Grimaldi Superiore […]
Perché si è sempre parlato poco dell’eccidio di Grimaldi?
Alcuni sono motivi di natura locale ma, essenzialmente, sono le stesse ragioni che hanno impedito, per anni, di capire e scoprire i colpevoli di altrettanti massacri perpetrati durante la guerra nel nostro Paese.
Da ricordare, intanto, l’anno 1944 (cinquant’anni dopo!) perché fu in quei mesi che chi indagava sul caso Priebke, ebbe la ventura di scoprire il posto dove giacevano 695 fascicoli processuali, “dimenticati” da decine di anni. Tra quei fascicoli c’era anche una cartella celeste, con il n. 660 e con un titolo: “Ventimiglia (Imperia)”. Era dedicato all’eccidio di Grimaldi.
Di fronte a quella scoperta qualcuno, in alto, manifestò un certo stupore, ma si trattava di una squallida messa in scena.
Le gerarchie dello Stato, nonché gli alti gradi della Magistratura Militare, sapevano che nella seconda metà degli anni ’40 era successo di tutto e che sull’altare della cosiddetta “ragione di stato” erano state sacrificate le più elementari norme del diritto e commessi i più inqualificabili soprusi.
Ci riferiamo alla scoperta di quei 695 fascicoli, riguardanti i crimini nazifascisti, recuperati a Roma, in via degli Acquasparte, dove ha sede il Palazzo Cesi che ospita la Procura generale militare. Erano stati occultati in un armadio di legno che aveva le ante appoggiate alla parete. L’ingresso era difeso da un cancelletto di ferro, chiuso a chiave. Molti di quelle ignobili vicende, che avevano caratterizzato quel tragico periodo erano raccontate nei minimi dettagli: saccheggi, omicidi, stragi e i loro nomi, quelli dei carnefici e quelli dimenticati delle vittime. Il ritrovamento portò alla luce un grande registro con la sintesi di quella carneficina e l’elenco di 2274 procedimenti penali, tutti iscritti nel “Ruolo generale dei provvedimenti contro criminali di guerra tedeschi”.
Quegli scheletri dell’armadio erano lì a significare le esigenze della politica di Stato, 2274 nomi nascosti, non per la dabbenaggine di qualche appuntato, ma dietro ordini precisi. Bisognava evitare, in quel momento (un momento che durò lunghi anni), la celebrazione dei processi contro i criminali di guerra tedeschi.
Perché i più alti gradi della Magistratura Militare accettarono di abdicare al proprio dovere?
L’esclusione dal governo dei comunisti di Togliatti e dei socialisti di Nenni aveva, di fatto, dilatato e inasprito i contorni della “guerra fredda”, diventata ormai la strategia politica e militare della nazioni del blocco occidentale. Ad ogni costo (anche a costo di occultare 695 fascicoli) si doveva evitare di riproporre le condizioni per una “Norimberga italiana”.
L’imminente fondazione della Repubblica Federale di Germania suggeriva l’opportunità politica di soprassedere, di dimenticare.
Quando si trattò di estradare in Italia una trentina di ex ufficiali tedeschi, responsabili in prima persona di quel cruento massacro effettuato nell’isola di Cefalonia, nell’ottobre del 1943, arrivò puntuale il veto ministeriale. La celebrazione di quel processo avrebbe sicuramente determinato lo sdegno dell’opinione pubblica e la mobilitazione delle opposizioni di sinistra, frapponendo così seri ostacoli alla ricostituzione dell’esercito germanico che si apprestava a entrare nell’alleanza atlantica.
Il 14 gennaio 1960 il procuratore generale militare, Enrico Santacroce, decretava l’”archiviazione provvisoria” dei 695 fascicoli per crimini di guerra, con un provvedimento inaudito (l’ordinamento giuridico italiano infatti non lo prevede).
Se questi 695 fascicoli sono tornati a galla, dopo essere stati secretati per decine di anni, lo si deve alle indagini sul caso Priebke. Altri nomi di triste memoria, come quelli di Herbert Kappler e di Walter Reder, processati e condannati, non sono sufficienti per cancellare una vergogna che la “ragione di stato” non è in grado di assolvere.
Quando saltarono le ante di quel famoso armadio di legno di Palazzo Cesi la Procura Militare ebbe tra le mani anche il fascicolo di Grimaldi.
La Procura militare di Torino ebbe l’incarico di istruire il processo e quella è l’unica fonte attendibile per ricostruire una probabile storia che si porterà appresso, per sempre, le ombre del sospetto delle cose dette e smentite, e il veleno di antichi ricordi.
La scomparsa di tanti testimoni ha ulteriormente complicato le varie fasi della vicenda.
Il dispositivo della sentenza formulata dal Giudice Alessandro Benigni, nei confronti del maggiore Hans Geiger e del tenente Heinrich Goering, ultra ottantenni ormai, porta la data del 15 maggio 2000. L’esito appare sconcertante. I due imputati di “violenza con omicidio contro privati italiani” non sono stanti condannati per le seguenti ragioni: “non luogo a procedere perché gli elementi acquisiti dal P.M. risultano insufficienti a provare che gli stessi abbiano commesso il fatto”.
Un fascicolo riemerso cinquant’anni dopo l’accadimento dei fatti, non poteva che riproporsi logorato dal tempo e privo di ogni possibile immediatezza. Così le stesse testimonianze apparivano lontane e non concordi con le ultime risultanze.
Condizionato da questo stato di fatto il pubblico ministero, Paolo Scafi, inizia la sua indagine il 29 gennaio 1997. La pattuglia tedesca che irrompe nell’Albergo Vittoria è accompagnata da un certo Egidio Eugeni noto collaborazionista. I bambini e i grandi vengono fucilati e i loro corpi gettati in una fossa che viene ricoperta con terra, paglia e rifiuti. Le salme saranno poi riesumate per stabilire le cause della morte.
L’inchiesta scopre che “non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi” ma le testimonianze sono ancora troppo frammentarie e reticenti.
Un mese dopo la strage, nel gennaio del 1945, il titolare di una panetteria di via Cavour, in Ventimiglia, tale Giuseppe Viale, riferisce che, alla presenza anche di un certo Moro, titolare di un negozio di busti in Bordighera, un sergente tedesco aveva asserito di aver ucciso parecchi “banditi” (così erano definiti i partigiani) per ordine del loro comandante il maggiore Geiger, e tra quei “banditi” c’erano anche tre bambini e una donna incinta.
Entrando nei particolari aveva inoltre affermato che avevano ucciso un bambino molto bello e fu ascoltata un’altra teste, la signorina Antonietta De Re, che all’indomani della strage aveva parlato con un soldato tedesco di nome Karl, il quale, ubriaco, aveva confermato, piangendo, di aver ucciso “una bambina bionda che sembrava un angelo”, anche lui per ordine del maggiore Geiger e del tenente Goering.
Nel novembre del ’45 il fratello di una delle vittime, il dott. Alberto Pallanca presenta un esposto al Comando Alleato della Liguria con il quale, secondo le prove a sua conoscenza, l’Egidio Eugeni, noto nemico dei Lorenzi i proprietari del “Vittoria”, è da considerare lo stimolatore dell’eccidio. Si accenna anche a una presunta polizza assicurativa di 50 mila lire riscossa dai Lorenzi per la morte in guerra del loro figlio. Con la morte di Egidio Eugeni, avvenuta il 19 marzo del 1946, un mese dopo la condanna all’ergastolo della Corte d’Assise di Sanremo, sparisce per sempre l’imputato – testimone più importante di tutta la vicenda.
Quando il P.M. cerca di venire in possesso degli atti processuali, è trascorso mezzo secolo, sia la cancelleria del tribunale di Sanremo che quella del tribunale di Imperia “attestano di non avere alcuna notizia in merito”.
La testimone, la signorina De Re, che al momento del processo viveva a Beaulieu, appare ormai reticente e la sua ultima testimonianza non collima più con la prima: non è più un solo soldato che le ha confessato quel massacro, ma più militari tedeschi.
Non è facile tirare le fila perché non si riesce ad individuare il movente di quella strage così feroce e all’apparenza immotivata.
Chi di quel gruppo aveva garantito i contatti tra partigiani italiani e partigiani francesi? Qualcuno avanza l’ipotesi che sia il genero dei Lorenzi, Vincenzo Gino Pallanca, anche lui fucilato.
E se fosse vera questa ipotesi perché l’ordine di evacuazione?
E ancora, ed è un interrogativo destinato forse a rimanere senza una risposta, perché non se ne sono andati? Quale fu la vera ragione che inchiodò tutta quella gente a Grimaldi?
Le risultanze processuali prendono atto delle voci di un tesoro di banconote e di un sacco di marenghi.
L’Eugeni, il complice collaborazionista, si sarebbe servito di alcuni soldati tedeschi per portare a termine una rapina e non un’operazione militare.
Tra i moventi torna in ballo la somma incassata per la polizza assicurativa dal figlio dei Lorenzi, proprietari dell’albergo, tenente dell’Aeronautica, morto durante il bombardamento di Tobruk.
La Stampa, in una sua corrispondenza del 30 settembre 1998, chiama in causa, sia pure in via ipotetica, la Curia di Ventimiglia, a cui avrebbero affidato, in custodia “un baule pieno d’oro”. È una ipotesi suggerita da lontani parenti dei coniugi Lorenzi, di cui si conoscono anche i nomi.
Dopo i giorni della Liberazione trovò accoglienza l’ipotesi che i fascisti del posto per venire in possesso del malloppo avessero commissionato la rapina e il massacro.
Chi ha sparato davanti il “Vittoria”? Alcuni sostengono siano stati gli uomini di un battaglione di disciplina, composto da fior di delinquenti comuni, impiegati alla bisogna per le operazioni più sporche.
Non c’è altro. Ora il processo di Torino è rimbalzato al tribunale di Verona, ma l’incalzare del tempo non potrà aiutare chi cerca la verità.
La gente di Grimaldi, trucidata in quel lontano dicembre, rimarrà rassegnata con i suoi nomi e i suoi sogni scolpiti su quel marmo che guarda la Chiesa e il rumore del mare continuerà a coprire le voce di quelle lontane tragiche ore.
Nello Pacifico, Cos’è davvero successo a Grimaldi il 7 dicembre 1944? Quel marmo che guarda la Chiesa, La Gazzetta di Grimaldi, Anno 7°, n° 37, giugno 2005

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eg8[…] Il Tribunale Militare di Torino in data 15 maggio 2000, dopo un processo che vide alla sbarra il maggiore Hans Geiger (nato a Francoforte il 12 giugno 1906) e il tenente Heinrich Goering (nato a Betzdorf il 17 luglio 1923), rispettivamente comandanti del 253. Grenatier Regiment della 34 Infanterie division e della VI compagnia dello stesso reggimento, emise una sentenza di non luogo a procedere [n.d.r.: vedere infra] per i due ufficiali tedeschi. La sentenza riporta i seguenti fatti: «Nella mattinata del 7 dicembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi, accompagnata da un noto collaborazionista italiano, tale Egidio Eugeni, irrompeva nell’Hotel “Vittoria” situato sulla Rocca di Grimaldi e, dopo averli radunati all’esterno dell’albergo, uccideva dodici civili: cinque donne, quattro uomini e tre bambini, espressamente indicati nel capo di imputazione. I corpi furono gettati in una fossa e coperti con terra, paglia e rifiuti. Nel giugno 1945 le salme furono riesumate e gli esami necroscopici rivelarono la causa della uccisione confermando che essa era avvenuta tramite fucilazione. Divenne opinione generale l’attribuzione della responsabilità della strage a soldati tedeschi in quanto, in quella fredda mattinata di dicembre, non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi, sentire da lontano il rumore degli spari, e, successivamente, vedere la pattuglia tedesca lasciare il villaggio. Cominciarono anche a circolare voci sulle singole responsabilità. Nel gennaio 1945, al Caffè Ligure di Bordighera, un Sergente tedesco in compagnia di altri suoi camerati, raccontò al Sig. Giuseppe Viale, titolare della panetteria di via Cavour in Ventimiglia all’epoca sfollato a Bordighera, e a un certo non meglio identificato, Sig. Moro, titolare di un negozio di busti sito in Bordighera, via Vittorio Emanuele, di avere ucciso parecchi “banditi” – così erano definiti i partigiani dai soldati tedeschi – per ordine del loro comandante, il Maggiore Geiger, tra cui vecchi, donne e bambini. Raccontò in particolare l’uccisione di un bambino bello molto biondo, che nessuno aveva il coraggio di trucidare, ma che fu anch’egli assassinato su reiterato ordine di Geiger (Relazione di Pallanca fogl. 422-423 fasc. PM). Il 10/7/1945 fu sentita la Sign.na Antonietta De Re la quale espose di avere incontrato l’8 dicembre 1944 un soldato tedesco di nome Karl, il quale, dopo avere bevuto molto, era scoppiato in lacrime descrivendole i fatti di Grimaldi e confessando di avere ucciso «una bambina bionda che sembrava un angelo… per ordine del Maggiore Geiger e del Comandante la sua compagnia Tenente Goering» (copia della dichiarazione De Re fogl. 424 fasc. PM); il soldato tedesco sarebbe poi stato rintracciato e fucilato dai suoi commilitoni senza sapere chi fosse stato (verb. DE RE 6/6/1998 fogl. 145). Il 25/11/1945 il Dott. Alberto Pallanca, fratello di Vincenzo Pallanca una delle vittime della strage, presentò un accurato esposto al Comando Alleato della Liguria (fogl. 420-423 fasc. PM), in cui ripercorreva le vicende di quei giorni dando ampio risalto alle testimonianze che aveva personalmente raccolto. Nell’esposto riferiva come le fonti tedesche indicassero in ragioni di spionaggio la causa della strage mentre egli personalmente riteneva assai più probabile che l’eccidio fosse stato stimolato da Egidio Eugeni, il quale era notorio nemico di Alberto Lorenzi, rimasto ucciso nella strage, il quale vantava una posizione economica assai invidiabile in quel fosco periodo, avendo riscosso una polizza assicurativa di £50.000 (e non come ha erroneamente sostenuto il P.M. nella sua requisitoria una indennità statuale pag.11 verb. 15/5/2000) per la morte del figlio caduto in combattimento, incassando la somma di £50.000 per la vendita di un terreno. Era inoltre proprietario di «Titoli, argenteria, preziosi».
Vincenzo Pallanca invece, racconta sempre il fratello «possedeva un buon ristorante a Grimaldi ed aveva ricavato da tale esecuzione un forte utile. Risulta inoltre che l’Eugeni e la sua famiglia composta dalla moglie e da quattro figlie, mentre a Grimaldi vivevano in miseria, da quando l’Eugeni incominciò a praticare i tedeschi e specialmente da dicembre 1944 iniziarono un tenore di vita elevato. La moglie si vantava con i vicini di quanto giornalmente acquistava al mercato nero… in quei tempi l’Eugeni ebbe a dire a certo Giacometti Dario: “ho fatto un colpo che ho guadagnato ottanta mila franchi, ma io vivo all’albergo, la mia famiglia spende molto e se non mi procuro presto un altro colpo, finisco presto i soldi”». Il Pallanca continua sottolineando come l’Eugeni fosse a Grimaldi il giorno dell’eccidio e, come ebbe a dire alla Prof.ssa Maddalena Orengo «”io ero a tre metri quando li hanno uccisi e con essi vi è pure il Pittoluga”» (altra vittima dell’eccidio). Alberto Pallanca riteneva quindi che la causa della morte del fratello e delle altre persone presenti all’Hotel Vittoria, fosse da ricercare non in presunte attività di spionaggio, ma in moventi «di lucro e saccheggio». Alla fine del conflitto Egidio Eugeni fu processato dalla Corte d’Assise di Sanremo, Sezione speciale la quale con sentenza 12/2/1946 lo condannò all’ergastolo. Un mese dopo l’Eugeni morì (19/3/1946)». Il tribunale non reputò la deposizione della signora De Re convincente e, a causa della morte degli altri due testimoni, Moro e Viale, decise il non luogo a procedere verso i due ufficiali tedeschi.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

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TRIBUNALE MILITARE DI TORINO
UFFICIO DEL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dott. Alessandro BENIGNI
alla udienza preliminare del 15/05/2000 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nei confronti di:
1) Hans GEIGER, nato il 12/06/1915 a Francoforte (D) e residente a BAD SODEN (D), Dachbergstr.30-32, già Maggiore dell’Esercito Tedesco, assente;
Difeso ed assistito dall’Avvocato d’ufficio, Lucia FRANZESE, foro di Torino, presente.
2) Heinrich GOERING, nato il 17/07/1923 a Betzdorf (D) e residente in Ludwigshafen (D), Wasgaristr. 38, già Tenente dell’Esercito Tedesco, assente;
Difeso e assistito dall’Avvocato di Fiducia GIORDANENGO, foro di Torino, presente.

IMPUTATI
dei reati di: “VIOLENZA CON OMICIDIO CONTRO PRIVATI ITALIANI” (artt. 13 e 185 comma 1 e 2 C.PM.P., artt. 575 e 577 nn.3 e 4, 61 n.4 C.P.) per aver cagionato, senza necessità o comunque senza giusto motivo, agendo con crudeltà ed efferatezza verso le persone e con premeditazione, rispettivamente quali Maggiore e Tenente delle Forze Armate tedesche, nemiche dello Stato Italiano, la morte di:
Chiodin Angela, anni 37, civile
Chiodin Maria, anni 18, civile
Lorenzi Alberto, anni 64, civile
Lorenzi Battistina, anni 62, civile
Pallanca Rosalba, anni 2, civile
Pallanca Vincenzo, anni 4, civile
Pastorino Giovanni, anni 80, civile
Pittaluga Rinaldo, anni 52, civile
Plank Antonia, anni 22, civile
Trovato Giovanna, anni 2, civile
Trovato Salvatore, anni 37, civile

nel piazzale antistante l’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del Comune di Ventimiglia (IM), ordinandone la fucilazione, avvenuta dalle ore 08.30 del 7.12.1944, durante lo stato di guerra fra l’Italia e la Germania.

MOTIVAZIONE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI

Il P.M. ha esercitato l’azione penale nei confronti di GEIGER Hans e GOERING Heinrich, per il reato militare di cui in epigrafe, con richiesta di rinvio a giudizio emessa in data 10/4/1999 (fogl. 516 fasc. P.M.). Con decreto del 20/10/1999, confermato in data 12/1/2000, il Presidente del Tribunale Militare di Torino conferma le funzioni di G.U.P. al Dott. Alessandro Benigni, unico magistrato non incompatibile con il procedimento. All’udienza preliminare del 9/2/2000 il G.U.P., ai sensi dell’art.421 bis c.p.p., indicava al P.M. di approfondire i Temi di indagine descritti nella relativa ordinanza (fogl. 120 fasc. G.U.P.). All’udienza preliminare del 15/5/2000 le parti proponevano le seguenti conclusioni:
P.M.: rinvio a giudizio di entrambi gli imputati;
Difesa Goering: sentenza di proscioglimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 192/195/425 c.p.p.;
Difesa Geiger: si associa alle conclusioni della difesa Goering.
Il G.U.P. ha emesso sentenza di non luogo a procedere ex art.428 c.p.p. per le ragioni che ora si espongono.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il fatto: la strage di Grimaldi, le prime testimonianze e la riapertura delle indagini nel 1997

Nella mattinata del 7 dicembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi, accompagnata da un noto collaborazionista italiano, tale Egidio Eugeni, irrompeva nell’Hotel “Vittoria” situato sulla Rocca di Grimaldi e, dopo averli radunati all’esterno dell’albergo, uccideva dodici civili: cinque donne, quattro uomini e tre bambini, espressamente indicati nel capo di imputazione. I corpi furono gettati in una fossa e coperti con terra, paglia e rifiuti. Nel giugno 1945 le salme furono riesumate e gli esami necroscopici rivelarono la causa della uccisione confermando che essa era avvenuta tramite fucilazione. Divenne opinione generale l’attribuzione della responsabilità della strage a soldati tedeschi in quanto, in quella fredda mattinata di dicembre, non poche persone ebbero modo di vedere la pattuglia tedesca salire sulla Rocca di Grimaldi, sentire da lontano il rumore degli spari, e, successivamente, vedere la pattuglia tedesca lasciare il villaggio. Cominciarono anche a circolare voci sulle singole responsabilità.
Nel gennaio 1945, al Caffè Ligure di Bordighera, un Sergente tedesco, in compagnia di altri suoi camerati, raccontò al Sig. Giuseppe Viale, titolare della panetteria di via Cavour in Ventimiglia, all’epoca sfollato a Bordighera, e a un certo non meglio identificato, Sig. Moro, titolare di un negozio di busti sito in Bordighera, via Vittorio Emanuele, di avere ucciso parecchi “banditi” (così erano definiti i partigiani dai soldati tedeschi) per ordine del loro comandante, il Maggiore Geiger, tra cui vecchi, donne e bambini. Raccontò in particolare l’uccisione di un bambino bello molto biondo, che nessuno aveva il coraggio di trucidare, ma che fu anch’egli assassinato su reiterato ordine di Geiger (Relazione di Pallanca fogl. 422-423 fasc. PM). Il 10/7/1945 fu sentita la Sign.na Antonietta De Re la quale espose di avere incontrato l’8 dicembre 1944 un soldato tedesco di nome Karl, il quale, dopo avere bevuto molto, era scoppiato in lacrime descrivendole i fatti di Grimaldi e confessando di avere ucciso «una bambina bionda che sembrava un angelo… per ordine del Maggiore Geiger e del Comandante la sua compagnia Tenente Goering» (copia della dichiarazione De Re fogl. 424 fasc. PM); il soldato tedesco sarebbe poi stato rintracciato e fucilato dai suoi commilitoni senza sapere chi fosse stato (verb. DE RE 6/6/1998 fogl. 145).
Il 25/11/1945 il Dott. Alberto Pallanca, fratello di Vincenzo Pallanca, una delle vittime della strage, presentò un accurato esposto al Comando Alleato della Liguria (fogl. 420-423 fasc. PM), in cui ripercorreva le vicende di quei giorni dando ampio risalto alle testimonianze che aveva personalmente raccolto. Nell’esposto riferiva come le fonti tedesche indicassero in ragioni di spionaggio la causa della strage mentre egli personalmente riteneva assai più probabile che l’eccidio fosse stato stimolato da Egidio Eugeni, il quale era notorio nemico di Alberto Lorenzi, rimasto ucciso nella strage, il quale vantava una posizione economica assai invidiabile in quel fosco periodo, avendo riscosso una polizza assicurativa di £50.000 (e non come ha erroneamente sostenuto il P.M. nella sua requisitoria una indennità statuale pag.11 verb. 15/5/2000) per la morte del figlio caduto in combattimento, incassando la somma di £50.000 per la vendita di un terreno. Era inoltre proprietario di «Titoli, argenteria, preziosi». Vincenzo Pallanca invece, racconta sempre il fratello «possedeva un buon ristorante a Grimaldi ed aveva ricavato da tale esecuzione un forte utile. Risulta inoltre che l’Eugeni e la sua famiglia composta dalla moglie e da quattro figlie, mentre a Grimaldi vivevano in miseria, da quando l’Eugeni incominciò a praticare i tedeschi e specialmente da dicembre 1944 iniziarono un tenore di vita elevato. La moglie si vantava con i vicini di quanto giornalmente acquistava al mercato nero… in quei tempi l’Eugeni ebbe a dire a certo Giacometti Dario: “ho fatto un colpo che ho guadagnato ottanta mila franchi, ma io vivo all’albergo, la mia famiglia spende molto e se non mi procuro presto un altro colpo, finisco presto i soldi”». Il Pallanca continua sottolineando come l’Eugeni fosse a Grimaldi il giorno dell’eccidio e, come ebbe a dire alla Prof.ssa Maddalena Orengo «”io ero a tre metri quando li hanno uccisi e con essi vi è pure il Pittaluga”» (altra vittima dell’eccidio). Alberto Pallanca riteneva quindi che la causa della morte del fratello e delle altre persone presenti all’Hotel Vittoria, fosse da ricercare non in presunte attività di spionaggio, ma in moventi «di lucro e saccheggio».
Alla fine del conflitto Egidio Eugeni fu processato dalla Corte d’Assise di Sanremo, Sezione speciale la quale con sentenza 12/2/1946 lo condannò all’ergastolo. Un mese dopo l’Eugeni morì (19/3/1946).
E’ facile immaginare l’importanza delle acquisizioni degli atti processuali al presente fascicolo al fine di rinvenire eventuali riscontri diretti o indiretti alla dichiarazione della De Re o all’esposto del Dott. Pallanca.
Il P.M. ha chiesto copia degli atti sia presso il Tribunale di Sanremo (fogl. 143) sia presso quello di Imperia (fogl. 314). Tale richiesta è stata reiterata dal P.M. su espressa richiesta del G.U.P. ex art. 421 bis c.p.p. ma con esito negativo in quanto sia la cancelleria del Tribunale di Sanremo, sia quella del Tribunale di Imperia attestano di non avere alcuna notizia in merito (verb. ind. prel. 15/5/2000).
Il fascicolo rimane a giacere per circa cinquanta anni per le note vicende legate a fattori di politica internazionale e accuratamente descritte nella delibera del C.M.M. del 23/3/1999. Si tratta, purtroppo, di una delle tante pagine tristi della Magistratura italiana che più di una volta si è fatta coinvolgere da interessi e priorità ben diverse dalla Amministrazione della Giustizia e dalla applicazione del diritto.
Il fascicolo giunge alla Procura Militare di Torino dove dopo varie vicende, viene affidato al Dott. Paolo Scafi che procede alla iscrizione in data 29/1/1997.
2.La valutazione che il G.U.P. deve compiere nella udienza preliminare ai sensi dell’art. 425 c.p.p.

La prima questione che questo Giudice deve esaminare, ed è preliminare ad ogni successiva valutazione, riguarda la possibilità per il Giudice dell’udienza preliminare di emettere una sentenza di non luogo a procedere anche quando un principio di prova della responsabilità penale sembra esistere, ma non in misura tale da potere supportare una pronuncia di condanna in sede dibattimentale. Su questo specifico punto la Procura ha vivamente sostenuto come il metodo di giudizio nella udienza preliminare debba essere diverso da quello che il giudice deve assumere al termine del dibattimento. Le difese invece hanno sostenuto che la L. 479/1999 (c.d. Legge Carotti), introducendo il III comma dell’Art. 425 c.p.p., abbia voluto imporre al Giudice di disporre il rinvio a giudizio solo quando vi siano gli elementi sufficienti per una condanna dibattimentale.
La risoluzione di questo problema presuppone una necessaria analisi della natura e della funzione dell’udienza preliminare. Dottrina e giurisprudenza inizialmente hanno ritenuto, unitariamente, come lo scopo di tale udienza consistesse nella precisione di un «controllo giurisdizionale volto a delibare il fondamento dell’accusa» (così espressamente, la Relazione al progetto preliminare pag. 228). La decisione del G.U.P. non avrebbe natura sostanziale, ma solo processuale, dovendo analizzare non la responsabilità dell’imputato, ma solo l’accertamento del corretto esercizio della azione penale. Tale affermazione trovava un suo fondamento postumo nella lettera dell’Art. 425 c.p.p., che imponeva al G.U.P. di emettere sentenza solo quando «risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso».
Ora, prevedere che il G.U.P. prosciolga solo quando è evidente che il fatto non sussiste, oppure che l’imputato non lo ha commesso, equivale a dire che il G.U.P. deve prosciogliere solo quando il P.M. aveva evidentemente (oppure, se vogliamo utilizzare un sinonimo, macroscopicamente) sbagliato nel chiedere il rinvio a giudizio. Dal momento che quest’ultimo fenomeno, per la fortuna dei cittadini e della Giustizia in generale, non avviene così sovente, si aveva una percentuale elevatissima di rinvii a giudizio in quanto, se anche solo nel fascicolo del P.M. era presente un solo indizio, non era più evidente la prova dell’estraneità dell’imputato. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza N. 82/1992 aveva sancito l’intrinseca razionalità del sistema affermando che «diverse sono infatti la struttura e la funzione dell’udienza preliminare rispetto a quelle che caratterizzano la fase del dibattimento… Ciò spiega la ragione per la quale il Legislatore delegante ha ritenuto di limitare ai soli casi di “evidenza” le ipotesi in cui il giudice può apprezzare l’infondatezza dell’imputazione e pronunciare sentenza di non luogo a procedere con le formule in fatto, così precludendo una sorta di giudizio anticipato che minerebbe non poco quella mancata autonomia del dibattimento che lo stesso sistema accusatorio antologicamente postula». Questo fenomeno ha costituito l’inizio di una serie interminabile di facili polemiche sfocianti nel referendum, appena effettuatosi, sulla separazione delle carriere, fondata sul fatto che il G.U.P. «mandava sempre a giudizio» perché «appiattito sulle posizioni del P.M.» al punto che il Parlamento ha dovuto intervenire nel corso della discussione con la L. 105/1993 per abolire il requisito dell’evidenza della prova. La soppressione della parola «evidente» compiuta con il dichiarato intento di ampliare l’ambito delle valutazioni del giudice ha comportato, come accade sempre in Italia per ogni questione giuridica, alla formazione di due divergenti orientamenti interpretativi. Secondo una prima impostazione che ha trovato maggiore fortuna in dottrina (Dawan “Elementi probatori insufficienti: sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio?” in Dir. pen. e processo 1997, 177 ss e, più recentemente Anca Voce «”Udienza preliminare”» in Dig. Disc. pen., Torino, vol. XV, 1999, 74ss) e nella giurisprudenza di merito (App. Torino 15/11/1995 in Riv. It. Dir. Proc. pen. 1997, 288; App. Napoli 8/3/1998 in Arch. Nuova proc. pen. 1995, 466) che non in quella di legittimità (sul punto si rinvengono principalmente Cass. 13/3/1998 in Arch. Proc. pen. 1998, 627 e Cass. 18/11/1998 in Guida al Diritto 1999, 14, 83) l’abolizione del termine «evidente» comportava la necessità, da parte del G.U.P. di procedere ad un giudizio di merito pieno. Secondo l’orientamento presente in dottrina (soprattutto E.Fortuna/ S.Dragone/ E.Fassone/ R.Giustozzi/ A.Pignatelli “Manuale pratico del Nuovo processo penale” Padova 1995, 594-595 e A.Nappi “Guida al codice di procedura penale” Milano, 1996, 303) e dominante nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 19/6/1996 in Dir. pen. e processo 1997,174; Cass. 22/1/1997 in Arch. nuova proc. pen 1997, 507, Cass. 27/11/1995 in Arch. nuova proc. pen. 1996, 98 Cass. 5/2/1999) e soprattutto in quella costituzionale (Corte Cost. ord. 97/97; ord 367/97; ord 91/98 in Cass. pen. 1999,14) la L. 105/1993 non aveva comportato un cambiamento della natura della sentenza di non luogo a procedere che era rimasta processuale: di conseguenza il giudice poteva emettere sentenza solo in caso di presenza della prova positiva della innocenza dell’imputato o di mancanza della prova a carico; nell’ipotesi invece di insufficienza o contraddittorietà della prova il Giudice non potendo entrare nel merito della imputazione, doveva sottoporre la fattispecie concreta al vaglio dibattimentale.
In questa situazione si inserisce la nuova formulazione dell’Art. 425 c.p.p., come modificato dalla L. 479/1999, che prevede come «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio».
In sede di prima lettura di questa disposizione una Autorevole dottrina (mi riferisco a R.Bricchetti in AA.VV. “Il nuovo processo penale davanti al Giudice unico” Milano 2000, 142-144) ho ritenuto che la modifica dell’art. 425 c.p.p. non comporta il proscioglimento dell’imputato qualora gli elementi acquisiti risultino insufficienti e contraddittori. Il P.M. aderendo a questa tesi ha infatti affermato che «il metodo della udienza preliminare è diverso da quello del dibattimento».
Questo giudice ritiene, invece, che una corretta lettura dell’art. 425 c.p.p. comporti una diversa soluzione per le seguenti tre considerazioni:
a) l’evoluzione storica della disposizione citata;
b) il criterio generale costituito dall’art. 2 n.11 Legge Delega N.81/1987 ;
c) il confronto e la conseguente discrasia tra l’art. 425 c.p.p. e l’art.125 disp. att..
a) L’evoluzione della norma, dalla sua originaria formulazione a quella attuale, descritta nelle precedenti righe appare, in un giudizio complessivo, estremamente palese nel delineare una volontà legislativa tesa via via ad ampliare la competenza e i poteri del G.U.P. consentendogli la possibilità di compiere quel prezioso “filtro” che costituisce presupposto indispensabile per la scrematura dei fascicoli da inviare al dibattimento e la tenuta del sistema accusatorio che, come è noto a tutti, e come fu detto sin dall’entrata in vigore del codice Vassalli, richiede un numero di processi celebrati con le garanzie del pubblico dibattimento in misura non superiore al complessivo 10%.
In questa prospettiva non appare razionale ritenere che il Legislatore sia intervenuto modificando completamente la struttura della norma introducendo una fattispecie completamente inedita, il proscioglimento per insufficienza e contraddittorietà della causa, per lasciare intatto il quadro dei poteri del Giudice. Se il legislatore ha modificato la norma, evidentemente aveva la volontà di modificare la situazione preesistente e, sembra di capire a questo giudice, nel senso di inserire un filtro più spesso tra le indagini e il dibattimento che comprenda anche le ipotesi in cui il G.U.P. soggettivamente sia certo che non potranno formarsi nel corso del dibattimento le prove sufficienti per una decisione di condanna.
b) L’art. 2 N.11 L.81/1987 prevede espressamente che «si ha mancanza di prova anche quando essa è insufficiente o contraddittoria». Nella disposizione non vi è alcuna formulazione che possa fare ritenere come essa sia applicabile al solo dibattimento, dato che anche la pronuncia di non luogo a procedere può essere equiparata ad una sentenza di proscioglimento. Si è descritto come invece la giurisprudenza abbia nettamente distinto le due ipotesi ritenendo necessario il rinvio a giudizio nell’ipotesi di prove insufficienti o contraddittorie.
A questo punto non restava altra via per il Legislatore, che riaffermare espressamente la equivalenza intercorrente tra i concetti di “prova mancante” e “prova insufficiente”, situazione che sembra essere avvenuta con la modifica dell’art. 425 c.p.p..
Terzo dato, ma non ultimo in ordine di importanza, da prendere in considerazione è quello costituito dalla contraddittoria discrasia creatasi in passato, e che permarrebbe, in futuro, ove si accedesse alla soluzione della natura “confermativa” della attuale formulazione dell’art. 425 c.p.p., tra gli artt. 425 c.p.p. e 125 disp. att.
Come è noto, l’art. 125 disp. att. prevede che il P.M. debba richiedere l’archiviazione quando «gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio». Il G.I.P. provvede con decreto motivato.
La disciplina codicistica pertanto conteneva l’illogico paradosso per cui il G.I.P. poteva chiudere il procedimento con un provvedimento archiviativo ma, in presenza degli stessi elementi di prova, e cioè prova insufficiente per sostenere con successo l’accusa in dibattimento, era costretto a rinviare a giudizio l’imputato. Esaminando i lavori preparatori alle disposizioni di attuazione si rileva come il C.S.M., in sede di parere consultivo si era accorto dell’incongruenza del sistema criticandolo espressamente: «ne consegue che il giudice dovrebbe addirittura archiviare in presenza di una situazione probatoria più pesante di quella che nell’udienza preliminare giustifica il rinvio a giudizio dell’imputato: infatti, in sede di udienza preliminare, il giudice può non rinviare a giudizio l’imputato non già se ritiene che gli elementi a suo carico non sono sufficienti ai fini della condanna in sede dibattimentale ma solo se l’innocenza dell’imputato appare “evidente”». Il Governo, nelle sue osservazioni, aveva replicato, in maniera non chiarissima, affermando comunque la necessità di «scoraggiare la prassi del rinvio a giudizio nonostante l’insufficienza degli elementi a carico riscontrata nella applicazione del codice abrogato: una prassi palesemente in contrasto con i caratteri del sistema accusatorio, fra i quali va sicuramente compresa la “deflazione dibattimentale”».
Gli spiriti più avveduti già all’epoca si erano resi conto della necessità di collegare idealmente la regola di giudizio caratterizzante l’epilogo dell’archiviazione con quella di cui all’art. 425 c.p.p.. Ma poiché la giurisprudenza di legittimità è andata in senso opposto affermando che «soltanto il giudice del dibattimento… può prosciogliere l’imputato per carenza, insufficienza o contraddittorietà delle prove» il Legislatore sembra essere appositamente intervenuto, con l’indicazione del terzo comma, per sancire espressamente la possibilità, anche per il G.U.P., di prosciogliere l’imputato in presenza di prova insufficiente o contraddittoria.
Sulla base delle considerazioni sin qui esposte questo Giudice ritiene di dovere verificare attentamente se gli elementi contenuti nel fascicolo del P.M. siano tali da poter ritenere, con un giudizio prognostico, ma probabile, o almeno possibile, condanna in sede dibattimentale.

3. Credibilità della testimonianza De Re

Come è stato evidenziato nel capitolo della sentenza riguardante la descrizione dei fatti, il presente procedimento ruota intorno alla testimonianza di De Re Antonietta la quale ha detto di avere appreso dal soldato Karl, il giorno successivo alla strage, che essa era stata compiuta per ordine diretto degli imputati.
L’Avv. Giordanengo, sul punto, invoca l’applicazione dell’Art. 195 c.p.p. che al settimo comma prevede come «non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame». Il difensore richiama all’attenzione del giudice le sommarie informazioni rese dal giornalista Maurizio Vezzano che ha dichiarato come, nel corso di una conversazione telefonica la De Re avesse ammesso di avere ricevuto le confidenze di alcuni soldati tedeschi (e quindi non di uno solo) i quali le descrissero l’esecuzione avvenuta in Grimaldi da un compagnia di disciplina composta da soldati macchiatisi di reati. La donna era rimasta in contatto con alcuni di questi militari di cui non voleva assolutamente fornire i nominativi perché sapeva che essi volevano dimenticare quell’episodio (fogl. 159). Il giornalista aveva poi pubblicato tale rivelazione in un articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” del 30/9/1998 (fogl. 157). Inoltre in data 8/11/1999 (fogl. 168 fasc. G.U.P.) la De Re dichiarava che Goering era a capo della compagnia disciplinare e faceva parte delle SS «poiché sul colletto si vedevano le due SS», ed escludeva che egli potesse comandare la sesta compagnia dell’esercito tedesco. Queste ultime dichiarazioni peraltro contrastano con le risultanze della consulenza tecnica del Prof. Carlo Gentile, disposte su iniziativa della Procura, la quale ha argomentatamente escluso che Goering facesse parte delle SS e, anzi, aveva assunto il comando della VI Compagnia del Grenadier Regiment 253 della XXXIV Infanterie Division il 1/7/1944. Da queste discordanze, e soprattutto dal fatto che la De Re non abbia voluto in alcun modo contribuire alla identificazione degli altri soldati tedeschi con cui avrebbe parlato nel lontano 1945, il difensore di Goering ritiene di poter evincere l’inattendibilità del teste “de relato” ex Art. 195 c.p.p. in quanto non sarebbe intrinsecamente attendibile.
Correttamente, però, l’Avv. Giordanengo riconosce come l’art. 195 c.p.p., nella prevalente applicazione giurisprudenziale richiede una semplice indicazione in astratto del teste riferito (pag. 18 verb. ud. 15/5/2000), il problema, al riguardo, inerisce alla attendibilità intrinseca della potenziale teste.
Su questo profilo occorre valutare il lunghissimo tempo trascorso (55 anni!!) che depone sicuramente a favore della possibilità di avere ricordi nebulosi, confusi, contraddittori. Se le uniche dichiarazioni della De Re fossero quelle rese negli anni novanta, non ci sarebbe dubbio nel concordare con la difesa sulla inesistenza concreta di ogni elemento indiziante. Occorre però considerare come, in data 10/7/1945, in epoca assai prossima ai fatti, fosse stata molto più circostanziata sull’episodio, sicuramente perché assai più vivido era nella sua mente il ricordo di quel tragico episodio: appare quindi probabile che contraddizioni e lacune riscontrate nell’ultima audizione siano dovute a questo fattore. Come ha affermato giustamente il P.M., con cui si concorda sul punto, se costituisce prassi normale degli esami dibattimentali sentire testi che, magari a distanza di tre anni, affermano di ricordarsi “X”, ma se hanno dichiarato “Y” nelle indagini preliminari, evidentemente è vero “Y” e non “X”, non si può pretendere da una signora di 76 anni che abbia gli stessi ricordi e le stesse impressioni di 55 anni prima.
La dichiarazione della De Re, ai sensi dell’Art. 192 c.p.p., è quindi attendibile anche se, proprio a causa delle discordanze che sussistono effettivamente, può assumere solo la natura di indizio, richiedente quindi dei riscontri precisi e concordanti, e non di autonomo e sufficiente elemento di prova.

4. L’assenza di univoci riscontri oggettivi nel fascicolo processuale e nella Relazione del Prof. C.Gentile.

Questo giudice ha pervicacemente cercato dei riscontri documentali, o testimoniali, che potessero supportare le dichiarazioni della De Re. A tal fine il 9/2/2000 ha emesso un’ordinanza ex Art. 421 bis c.p.p. con cui invitava l’Ufficio inquirente a insistere in indagini che peraltro, erano già state intraprese.
Le ulteriori indagini compiute dalla Procura non hanno dato esiti positivi. Il P.M., a suo tempo aveva disposto una consulenza tecnica sulla documentazione presente negli archivi tedeschi, affidata al Prof. C. Gentile la cui indubbia competenza era risultata preziosa, se non forse indispensabile, nei processi Saevecke e Engel celebrati avanti al Tribunale Militare di Torino, e che si erano conclusi con due condanne all’ergastolo.
La Relazione, estremamente circostanziata e precisa, depositata in Cancelleria il 4/1/2000 ha aumentato i dubbi di questo giudice e dimostrato quanto segue:
a) il Tenente Goering era comandante della VI Compagnia all’epoca dei fatti (pag. 17 C.T.P.);
b) la VI Compagnia non si trovava in zona prossima a Grimaldi in data 7/12/1944 (pag. 19 C.T.P.);
c) non vi è nessuna prova diretta, nella documentazione esaminata dal Prof. Gentile che attesti la presenza degli uomini del Tenente Goering (pag. 19 C.T.P.);
d) nessun dato oggettivo lega la VI Compagnia alla strage (pag. 20 C.T.P.);
e) il Magg. Geiger era a capo del II Battaglione del Grenadier Regiment 253, unica unità tedesca nella zona di Ventimiglia del settembre 1944 alla primavera del 1945 (pag. 5-12 C.T.P.);
f) nella notte del 17/9/1944 il Battaglione Geiger aveva impartito un primo ordine di sgombero della popolazione di Grimaldi (pag. 12-13 C.T.P.);
g) non si può escludere che una qualsiasi azione militare repressiva eseguita in questo ambito possa essere avvenuta all’insaputa del Comandante (pag. 18 C.T.P.).
Il P.M. ha sottolineato le dichiarazioni rese dalla Signora Stela Luisa Lorenzi (fogl. 623 fasc. P.M.) la quale in data 4/8/1999 ha ricordato come nell’autunno del 1944, mentre lasciava insieme ai parenti e a prossimi congiunti il proprio ristorante, vide arrivare il Capitano Geiger il quale aveva sfondato un cancelletto in legno con un calcio dicendo «quanti banditi essere qua».
L’Avv. Giordanengo, invece, ha ricordato le dichiarazioni di Francesco MARCENARO che si trovava quella tragica notte nei pressi dell’Hotel Vittoria e aveva sentito gli spari dell’eccidio. Il Marcenaro ha consegnato alla Polizia Giudiziaria la Relazione sull’accaduto redatta dal Comandante Jonseph MANZONI responsabile della “Missione Alleata” per la zona di confine Italia – Francia il quale attribuisce la responsabilità della strage a una pattuglia tedesca delle SS inviata da due repubblichini. Questo dato escluderebbe la responsabilità degli imputati, nessuno dei quali apparteneva alle SS.

5. Conclusioni. Proscioglimento in quanto le prove raccolte sono tra loro insufficienti e contraddittorie e quindi non idonee ad ottenere una sentenza di condanna in sede dibattimentale.

L’insieme di queste circostanze, alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, non appare in grado di rinforzare, confermandola, la deposizione della De Re.
Viale e Moro essendo morti, non possono confermare se abbiano reso effettivamente le dichiarazioni attribuitegli, e in quali termini.
Il Sig. Alberto Pallanca, per le sue gravi condizioni di salute, non è più in grado di riferire eventuali particolari o circostanze aggiuntive a quelle già indicate nella sua analitica denuncia.
Si deve ricordare anche che, astrattamente, nessun dato legislativo espresso impedirebbe di utilizzare l’esposto di Pallanca come fonte di una testimonianza de “relato” di secondo grado utilizzando il combinato disposto degli artt. 195-191 c.p.p. e attribuendo quindi valenza probatoria alle dichiarazioni di Viale e Moro. Occorre però considerare che, a fronte di queste astratte possibilità, restano troppi elementi negativi.
In primo luogo la Relazione Gentile sembrerebbe smentire la presenza perlomeno di Goering nei luoghi del delitto, e quindi l’intrinseca attendibilità del racconto di Viale e Moro.
In secondo luogo la De Re parla di un ufficiale delle SS, identificandolo in Goering, e questa affermazione sembra trovare conferma nella deposizione di Marcenaro. Ma Goering non è mai entrato nelle SS: pertanto anche la dichiarazione della De Re, pur credibile, lascia adito al dubbio che abbia in buona fede confuso Goering con un altro ufficiale tedesco.
Infine il fatto che Geiger fosse nella zona di Grimaldi, come affermato dalla Signora Lorenzi, in sé non prova nulla, soprattutto se si considera che ancora oggi le indagini della Procura non hanno chiarito il movente dell’eccidio, come bene ha messo in luce il Prof. Gentile: una punizione per non aver ottemperato alle disposizioni di sgombero tedesche? Un’azione militare contro collaboratori delle formazioni partigiane? O un omicidio per uccidere i testimoni di un saccheggio ispirato dalla cupidigia di Egidio Eugeni? E in quest’ultima ipotesi come si potrebbe istituire una correlazione probatoria con il Comandante Geiger e con il Maggiore Geiger?
Bisogna alfine riconoscere che i vari elementi indiziari non risultano, ad avviso di questo giudice, avere la precisione e la concordanza richieste dall’art. 192 c.p.p..
Certo una seria e approfondita indagine alla fine del conflitto, con tutti i testimoni in vita e freschi di quei tragici ricordi, avrebbe condotto a ben diversi risultati. Ma le esigenze della guerra fredda combattuta tra i due «blocchi contrapposti» non lo ha consentito, come ha denunciato la eccellente e meritoria relazione del C.M.M.
Pertanto, le ragioni del diritto impongono una sentenza di non luogo a procedere per insufficienza degli elementi raccolti dal P.M. a costituire le prove necessarie per ottenere una condanna in sede di dibattimento.
PER QUESTI MOTIVI
visti gli artt. 424, 425 e 426 c.p.p.
DICHIARA
Non luogo a procedere nei confronti di GEIGER Hans e GOERING Heinrich, in ordine al reato ascrittogli di violenza con omicidio contro privati nemici perché gli elementi acquisiti dal P.M. risultano insufficienti a provare che gli stessi abbiano commesso il fatto.
Deposito in 30 giorni.
Così deciso in Torino il 15/05/2000.
IL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE
Dott. Alessandro BENIGNI

Tribunale Militare di Torino, ufficio del G.U.P., sentenza del 15 maggio 2000, sulla responsabilità di Goering e Geiger per la fucilazione il 7 dicembre 1944 davanti all’Albergo “Vittoria” in frazione Grimaldi del Comune di Ventimiglia (Fonte: http://www.diritto2000.it)

Sui partigiani trucidati ad Isolabona

Il cippo commemorativo dei partigiani trucidati dai nazisti il 2 marzo 1945 davanti al cimitero di Isolabona (IM)

Dopo un rastrellamento effettuato dai tedeschi nelle campagne di Buggio [Frazione di Pigna (IM)], probabilmente per iniziare a prepararsi una via di fuga nel caso dello sfondamento della linea del fronte – che passava sul Grammondo e sulle vette dell’Authion – vennero catturati otto giovani. Le modalità del loro arresto sono alquanto controverse. Alcuni abitanti del paese riferirono che i tedeschi si recarono a colpo sicuro in un fienile dove un gruppo di questi si era nascosto in un rifugio ben celato sotto numerose balle di fieno. Questa sicurezza mostrata dai tedeschi fa pensare a una probabile delazione. Gli otto prigionieri furono trasferiti a Isolabona con i polsi legati con il fil di ferro dietro la schiena. Dopo un interrogatorio, che immaginiamo assai cruento, furono fucilati presso il muro esterno del camposanto del paese.
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall’Autore, 2016

Trascorso il terribile inverno 1944-1945, mentre si rinforzano nuovamente i distaccamenti garibaldini con l’afflusso di reclute e con il ritorno nelle formazioni di coloro che, meno atti, avevano trascorso il crudo periodo invernale nel fondovalle, anche il nemico riprende le operazioni per  salvaguardare le vie di comunicazione, per esso vitali, ripetutamente interrotte dalle formazioni partigiane. E sovente, come una belva ferita che negli ultimi istanti della sua esistenza si scatena con ferocia, è ancora il suo unico modo di combattere. Alcuni garibaldini della V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”della II^ Divisione “Felice Cascione”], catturati in precedenza, più numerosi nelle zone di Pigna (IM) e di Buggio [Frazione di Pigna (IM)], vengono raggruppati dal nemico, 34 I.D. Grenadier-Regiment 253, a Isolabona (IM) e il 2 marzo 1945 fucilati presso il cimitero per rappresaglia in risposta alle sconfitte subite.

Aimo Domenico

Massa Vito

Pallanca Antonio

Pastor Attilio

Sciutto Umberto

Vivaldi Benedetto

Immagini desunte dal lavoro citato di Giorgio Caudano

Cadono così, coraggiosamente, gettando disprezzo in faccia al nemico: Domenico Aimo, Giulio Grassi, Vito Massa, Antonio Pallanca, Attilio Pastor, Umberto Sciutto, Primolino Verrando e Benedetto Vivaldi. Infine Giovanni Guglielmi, di Torri, Frazione  di Ventimiglia (IM), muore all’ospedale lo stesso giorno. Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005

Caddero: ALBERIGO COSTANTINO Giuseppe Casanova Lerrone SV 1/2/13 + Sanremo fucilato 2/3/45
D’ONGHIA FRANCESCO Franz Noci BA 01/2/23 + Sanremo fucilato 2/3/45
AIMO DOMENICO Ventimiglia 13/6/1927 + Isolabona fucilato 2/3/45
GRASSI GIULIO Milano 29/7/1925 + Isolabona fucilato 2/3/45
MASSA VITO Ripacandida (PZ) 24/12/1923 + Isolabona fucilato 2/3/45
PALLANCA ANTONIO Airole (Collabassa) 1/9/1922 + Isolabona fucilato 2/3/45
PASTOR ATTILIO Pigna (Buggio) 2/12/1927 + Isolabona fucilato 2/3/45
SCIUTTO UMBERTO Cairo Mont.tte (SV) 30/6/1924 + Isolabona fucilato 2/3/45
VERRANDO PRIMOLINO Pigna (Buggio) 18/11/1924 + Isolabona fucilato 2/3/45
VIVALDI BENEDETTO Taggia 24/12/1923 + Isolabona fucilato 2/3/45
Giorgio Caudano, Op. cit.

n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  

Potrebbe essere ancora vivo l’ex tenente Josef Fellermeier, comandante del plotone di genieri tedeschi del 253° Reggimento granatieri inquadrato nella 34a Divisione, responsabile dell’eccidio di otto ostaggi partigiani fucilati a Isolabona il 4 marzo 1945. È bastata un’ora, al professor Carlo Gentile, originario di Dolcedo e con casa a San Lazzaro Reale, docente di Storia contemporanea all’Università di Colonia, per trovare dati che consolidano le ricerche fatte dallo storico di Isolabona Paolo Veziano. Fellermeier è della classe 1918: in teoria potrebbe essere in vita. È stato Veziano a incaponirsi sull’identità di chi diede l’ordine di uccidere gli ostaggi poi vantandosene con i commilitoni. I soldati tedeschi, gli stessi probabilmente che compirono la strage di Grimaldi e altri assassinii di partigiani a Forte San Paolo a Ventimiglia e a Latte [Frazione di Ventimiglia] nel periodo che precedette la ritirata delle truppe germaniche dall’Italia, erano di stanza proprio a Isolabona. Si parla di circa 1700 uomini nelle cui file c’erano anche appartenenti alla Marina e componenti delle milizie fasciste. Veziano ha desunto il nome di Fellermeier compulsando i resoconti degli interrogatori a cui i partigiani avevano sottoposto i prigionieri tedeschi.
Maurizio Vezzaro, Potrebbe vivere in Baviera l’ex “aguzzino” Fellermeier. Le ricerche del professor Gentile confermano la pista seguita da Veziano. Il responsabile dell’eccidio di Isolabona dopo la guerra tornò in patria, La Stampa, 28 Aprile 2017

È stato scoperto – e comunicato per la prima volta oggi in occasione delle celebrazioni del 25 aprile – l’ufficiale della Gestapo che il 4 marzo del 1945 ordinò la fucilazione di otto “garibaldini”, a Isolabona, piccolo centro storico dell’entroterra di Ventimiglia (Imperia). È stato lo storico Paolo Veziano, membro del direttivo scientifico dell’Istituto storico della Resistenza a effettuare la scoperta, grazie all’analisi dei verbali di interrogatorio dell’epoca a carico dei tedeschi catturati dai partigiani. “Aspetto di raccogliere dell’altra documentazione dall’archivio militare di Friburgo – ha annunciato Veziano – dopodiché trasmetterò tutti gli atti alla Procura militare di La Spezia, competente per questo genere di reati”. Secondo quanto ricostruito da Veziano fu il caporal maggiore del genio tedesco Gerard Kunat, catturato dai partigiani, a indicare in un uomo: “alto, magro e con un occhio di cristallo”, l’ufficiale nazista, poi identificato nel tenente Feller, che ordinò la fucilazione. Nello stesso documento si legge pure la richiesta di trasferire il gerarca a Isolabona, affinché venga fucilato nello stesso punto in cui si trovavano ancora le macchie di sangue dei “garibaldini” ammazzati. Fucilazione che tuttavia non avvenne mai, così come ancora oggi non si sa che fine abbia fatto il tenente Feller.
CRONACA, L’annuncio dello storico Paolo Veziano: fu il tenente Feller. 25 Aprile, scoperto l’ufficiale nazista che ordinò le fucilazioni a Isolabona, Primocanale.it, mercoledì 26 aprile 2017

Dalle nebbie del passato affiorano, come spaventosi spettri, nuovi brandelli di verità sull’identità di Josef Fellermeier, l’ufficiale nazista presunto responsabile delle torture e dell’uccisione inflitte a otto ostaggi partigiani in quel di Isolabona, nel lontano ma mai dimenticato 4 marzo 1945. Dalle ricerche partite dagli spunti storici dello studioso locale Paolo Veziano che è andato scandagliare gli archivi, trovando documenti riportanti l’esito di interrogatori di soldati tedeschi prigionieri, e approfondite dal professor Carlo Gentile, originario di Dolcedo e docente di storia contemporanea dell’Università di Colonia, la figura di Josef Fellermeier comincia a delinearsi in tutti i suoi freddi, brutali contorni […] Stiamo parlando di un sottotenente derivante dai ranghi dei sottufficiali che prima lavorava come funzionario nel Reichsarbeitsdienst (Servizio del lavoro: un’organizzazione interna al partito nazionalsocialista). «Ulteriore conferma dell’identità – scrive il professor Gentile – è il fatto che Fellermeier, nell’estate del 1942, fu ferito e perdette l’occhio sinistro». E in effetti, nel resoconto degli interrogatori condotti dai partigiani, i soldati tedeschi riferiscono tutti il particolare dell’occhio mancante. Difficile poter dire se la Procura militare di Verona oggi competente, a distanza di così tanto tempo e con sì labili elementi (non sono sufficienti quelli già a disposizione), possa decidere di aprire un fascicolo penale. Veziano e Gentile gli spunti li hanno forniti. Si vedrà. Per quanto riguarda l’estremo Ponente, l’unità maggiormente responsabile di eccidi di resistenti e civili fu il «Grenadier-regiment 253 comandato dal maggiore Geiger. Un elenco di persone trucidate dai tedeschi nell’area di Ventimiglia contempla, oltre alle 12 vittime della strage di Grimaldi, i nomi di 41 persone assassinate nel circondario nel periodo in cui la famigerata squadra era di stanza a Ventimiglia. Il 21 marzo 1945, al forte San Paolo a Ventimiglia furono passati per le armi otto ragazzi tra i 16 e i 24 anni, in parte collaboratori delle formazioni partigiane, rastrellati a Bordighera e Dolceacqua. Giudicati da una corte marziale presieduta dallo stesso Geiger, prima di essere giustiziati furono picchiati dal maresciallo Rudolf Przibilla, un altro dei volenterosi carnefici di Hitler.
Maurizio Vezzaro, Eccidio di Isolabona, nuovi particolari sul “volenteroso” carnefice di Hitler. Proseguono le ricerche del professor Carlo Gentile e dello storico locale Paolo Veziano sui fatti accaduti nel marzo del 1945, La Stampa, 19 Maggio 2017

[n.d.r.: tra i lavori di Paolo Veziano: La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 – 8 ottobre 1944), a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Paolo Veziano, Ombre al confine. L’espatrio clandestino degli Ebrei dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, ed. Fusta, 2014; Paolo Veziano, Ombre di confine: l’emigrazione clandestina degli ebrei stranieri dalla Riviera dei fiori verso la Costa azzurra, 1938-1940, Alzani, 2001; Paolo Veziano, Sanremo. Una nuova comunità ebraica nell’Italia fascista 1937-1945, Diabasis, 2007; Paolo Veziano, San Remo. Una piccola comunità ebraica nella Riviera dei Fiori degli anni Trenta, in “La Rassegna mensile di Israel, volume LXIX n. 1, gennaio-aprile 2003”; Saggi sull’ebraismo italiano del Novecento in onore di Luisella Mortara Ottolenghi, Catalogo della Mostra Angelo Donati. Un ebreo modenese tra Italia e Francia, a cura di Paolo Veziano, 2004]

Fucilazione di tre gruppi familiari nell’abitato di Grimaldi superiore, precedentemente evacuato per ordine tedesco. La motivazione della strage è incerta, ma potrebbe essere legata al mancato rispetto dell’ordine di evacuazione del paese. Il Tribunale Militare di Torino in data 15 maggio 2000, dopo un processo che vide alla sbarra il maggiore Hans Geiger (nato a Francoforte il 12 giugno 1906) e il tenente Heinrich Goering (nato a Betzdorf il 17 luglio 1923), rispettivamente comandanti del 253. Grenatier Regiment della 34 Infanterie division e della VI compagnia dello stesso reggimento, emise una sentenza di non luogo a procedere per i due ufficiali tedeschi […]
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall’Autore, 2020

La Resistenza a Castelvittorio (IM): cenni

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[…]La Val Nervia aveva capisaldi nazifascisti a Dolceacqua (IM) ed a Pigna (IM) in ben munite caserme. Da tali caserme i nemici facevano puntate sui monti sovrastanti per impedire la formazione di bande partigiane. … A Castelvittorio (IM) nella primavera appena iniziata del 1944 si organizzava una banda autonoma di oppositori ai tedeschi. Erano, per lo più, giovani della zona. Anche a Buggio [Frazione di Pigna (IM)] si tentò una organizzazione, poi un poco infiacchita e ripresa quando si congiunse con un’altra banda a Carmo Langan [nel comune di Castelvittorio (IM)]…
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
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Gli uomini del distaccamento di Vittò e di Erven (5° distaccamento) nelle ore pomeridiane del… [10 giugno 1944], si recano a Castel Vittorio, e si intrattengono nel paese, cantando inni partigiani. Restano fino a tarda sera. Quando partono, i fascisti che sono a Pigna, incominciano a sparare. I partigiani, mentre si allontanano, sentono gli spari… A Passo Muratone vi erano cinque o sei guardie di finanza della repubblica di Salò. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923]. I partigiani, in tutto, erano circa una ventina, fra cui: Serpe [Isidoro Faraldi, in seguito comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“], Guido di Cetta, Marconi [Gino Asplanato] di Castel Vittorio, e i giovinetti Géna e Spezia (o «Scarzéna») [Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927]. L’azione era difficile per la posizione della caserma, che aveva alle spalle il monte e davanti lo strapiombo. A compiere l’attacco fu Assalto, insieme con Géna e Spezia…   
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
 

[…] Eravamo verso la fine di agosto del 1944. Il Comandante Vitò aveva previsto nel consiglio di stato maggiore ogni possibilità di attacco. La sera prima dell’attacco stabilito, una numerosa colonna di tedeschi arrivò a Pigna. Il comando partigiano allora si radunò a Monte Vetta [nel comune di Castelvittorio (IM)] per studiare la nuova situazione. Intanto, nella stessa notte dell’arrivo dei tedeschi, Fuoco con alcuni suoi uomini, il suo gruppo volante di distruttori, con Pagasempre [anche Ruffini, Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo capo di Stato Maggiore della V^ Brigata e con uomini decisi di Castelvittorio, erano andati verso Dolceacqua per minare un ponte e tagliare la ritirata ai tedeschi. Ma le sorprese sono sempre in agguato. Lo avevano trovato presidiato. Si dovettero ritirare e mentre ritornavano verso Pigna, camminando a mezza costa per essere nascosti, si accorsero che i nazifascisti abbandonavano Pigna. I troppi attacchi avevano loro consigliato il ripiegamento su lsolabona e Dolceacqua. Tra gli attacchi che indusssero  i tedeschi ad andarsene, vi furono continui disturbi degli uomini del distaccamento di Castelvittorio (IM), guidato da Fuoco [Marco Dino Rossi].   don Ermando Micheletto, Op. cit.

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[…] A Langan i partigiani presero le mie generalità e mi diedero Rodi quale nome di battaglia. Nei giorni successivi, Bruno Luppi * costituì un distaccamento [il V° dell’allora IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, formata il 20 giugno 1944 e diventata il 7 luglio 1944 II^ Divisione “Felice Cascione”] di una trentina di uomini con base in un bosco vicino alla frazione Vignai, nel comune di Baiardo: il gruppo aveva lo scopo di isolare la postazione tedesca sul monte Ceppo, che impediva il transito da Baiardo a Langan. Io entrai a far parte del distaccamento in qualità di portaordini e il 26 giugno 1944 ricevetti il battesimo del fuoco. […]  già alla fine di luglio formammo un nuovo distaccamento agli ordini del comandante Mosconi [Basilio Moscone] e tornammo nei boschi intorno a Castel Vittorio. In settembre partimmo poi per Cima di Marta, con l’incarico di stare di vedetta per controllare che non arrivassero tedeschi dalla Val Roia. Là rimasi fino al rastrellamento dell’8 ottobre, quando Langan fu di nuovo occupata e noi dovemmo ritirarci a Piaggia (CN), poi alle falde del Mongioie, in Piemonte. […]  Stefano Rodi Millo [conosciuto soprattutto come Mario] in Marco Cassioli, Ai confini occidentali della Liguria. Castel Vittorio dal medioevo alla Resistenza, Comune di Castel Vittorio, Grafiche Amadeo, Chiusanico (IM), 2006

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[…] Poi l’8 ottobre 1944 i nazifascisti fecero un grosso rastrellamento in tutta la provincia di Imperia, così le formazioni partigiane che operavano nella zona dovettero ritirarsi fino in Piemonte, ai piedi del Mongioie. Il 22 novembre 1944 i comandanti ci dissero di tornare a casa per trascorrere l’inverno al sicuro, in attesa di riprendere la lotta in primavera. Italo [Italo Rebaudo, nato a Castelvittorio nel 1924, “Falce“] ed io rientrammo quindi a Castelvittorio, passando i mesi di dicembre, gennaio e febbraio nascosti in una tana, in regione Viameglio.[…] Giacomo Romolo Rebaudo in Marco Cassioli, Op. cit.
 
Uno dei fatti più orrendi, solo secondo a quello di Torre Paponi, accade il 3 dicembre 1944 nell’alta Val Nervia, quando duecento uomini combattenti tedeschi, bersaglieri  repubblichini e brigatisti neri, provenienti da Dolceacqua (IM) raggiungono il paese di Castelvittorio (IM) per rastrellare la zona.  Dal giorno che un reparto tedesco si era insidiato nell’abitato (8 ottobre 1944) la popolazione, benchè costretta a subire continue violenze, aveva fatto capire da quali sentimenti era animata. […] Appunto il 3 dicembre si presenta l’occasione per la rappresaglia. All’alba, iniziato il rastrellamento a monte Gordale, dove i tedeschi sapevano esservi partigiani alloggiati e riforniti di viveri dalla popolazione di Castelvittorio, si accende una sparatoria durante la quale un sott’ufficiale nemico rimane ferito.
La reazione è immediata e si abbatte spietata ed inesorabile sui contadini.[…] cinque minuti dopo giunge l’ordine di fucilare i diciannove catturati: dieci in un luogo e nove in un altro.
Prima dell’esecuzione, a tutti viene promessa salva la vita se avessero svelato l’ubicazione del rifugio partigiano, dal quale erano partite le fucilate, ma nessuno parla.

[…]  Emilio Allavena [Tramvai] e Giovanni Orengo (Tumelin) emergono ancora di più da questo eccidio senza pari in Val Nervia. La lezione che il nemico vuole impartire al paese non è ancora finita: ai due suddetti, accusati di aver rifornito i garibaldini, viene riservata la fucilazione da eseguirsi sulla pubblica piazza del paese. […]  Francesco Biga, “Storia della Resistenza imperiese”, Vol. III, Da agosto a dicembre 1944,  ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977

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<  7 gennaio 1945 – Dal comando del I° Battaglione “Mario Bini” [in quel momento era ancora comandante del Battaglione “Danko” Giovanni Gatti] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” al comando della V^ Brigata [comandante “Fragola Doria” Armando Izzo] – Relazione militare: a Pigna si trovavano 80 soldati nemici, mentre a Buggio [Frazione di Pigna (IM)], Castelvittorio (IM), Ormea (CN), Garessio (IM), Testa d’Alpe e Passo Muratone [Località di Pigna (IM)] erano stanziate alcune batterie nemiche…
<   18 febbraio 1945 – Dalla Sezione SIM del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 3, al comando della V^ Brigata – Comunicava che il giorno prima, 17 febbraio, i partigiani di “Serpe” [Isidoro Faraldi] e di “Olmo” [Giobatta Moraldo] avevano attaccato a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)] una pattuglia nemica composta da 8 tedeschi e 3 fascisti, tutti catturati, altresì ottenendo come bottino 1 Mayerling, 1 Breda, 1 Sten, alcune bombe a mano e diverse munizioni                                                                                                                
 
<   22 marzo 1945 – Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 352, alla Sezione SIM della II^ Divisione – Comunicava che… a Carmo Langan [Castelvittorio (IM)] si trovavano 70 tedeschi…                                                                                                                                              <  23 marzo 1945 – Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”, prot. n° 353, al comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione “Felice Cascione” – Comunicava che Castelvittorio, dove passavano saltuariamente tedeschi da Pigna e da Baiardo, non era in quel momento presidiata da truppe nemiche… che tra Castelvittorio e Pigna erano stati fermati 100 uomini che il nemico stava per inviare sulla “frontiera italo-francese per eseguire lavori di fortificazioni militari”; che questi uomini dopo una settimana sarebbero stati sostituiti…                        
<   10 aprile 1945 – Dal comando della IV^ Brigata “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione” al Comando Operativo della I^ Zona Liguria – Comunicava … che l’8 aprile 70 SS tedesche avevano “effettuato una puntata ad Arzene-Costa di Carpasio-Carpasio, uccidendo 3 borghesi prima di fare ritorno a Castelvittorio passando per S. Bernardo di Conio”.
<   17 aprile 1945 – Dal comando del I° Distaccamento “Riccardo ‘Cardù’ Vitali” [comandante “Sergio” Guido Lanteri] del I° Battaglione “Mario Bini” [comandante “Figaro” Vincenzo Orengo] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” al comando della V^ Brigata – Comunicava che quella mattina una squadra al comando di “Tritolo” [Pier Luigi Daniele] aveva attaccato il presidio nemico di Carmo Langan sottolineando che, dopo aver piazzato il mortaio e avere dislocata la squadra in posizione avanzata, venivano fatti esplodere 5 colpi che avevano spinto i soldati del presidio ad uscire allo scoperto, dove venivano bersagliati con i mitragliatori, ma che non si sapeva come e quanti nemici erano stati colpiti perché alcuni colpi di cannone avevano indotto i garibaldini a ritirarsi.

< 23 aprile 1945 – Dal comando del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” [comandato da Basilio Mosconi “Moscone”] al comando della V^ Brigata – Comunicava che nella nottata precedente una pattuglia del V° Distaccamento si era portata come da ordini ricevuti a Pigna dove aveva minato la strada di Langan: il tratto minato era 2 km. a nord del Palazzo del Maggiore [in effetti nel comune di Castelvittorio]                                                                      documenti Isrecim  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999

Tucin [Mario Alberti], Giuan Grigiun [Giovanni Orengo], l’Acidu [Giuseppe Verrando] furono tutti membri del C.L.N. di Castelvittorio e nel dopoguerra composero la giunta comunale del paese quando mio padre era sindaco. Con loro c’era anche Giulio Rebaudo… Stefano Rodi Millo in Marco Cassioli, Op. cit.
 
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[ Ed agli abitanti di Castelvittorio presi dal vortice del periodo tragico della Resistenza hanno dedicato pagine indimenticabili, cui si farà riferimento con prossimi articoli, sia Bruno Erven/Herven Luppi *, in Bruno Luppi, Saltapasti, La Pietra, Milano, 1979 ed in altre testimonianze riprese da altri autori, che Italo Calvino, non soltanto in Mario Mascia, L’Epopea dell’Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975, ma anche in altri suoi scritti  ]
 
* Bruno Luppi. Nato a Novi di Modena l’8 maggio 1916. Figlio di un antifascista, fin da ragazzo prese parte alla lotta clandestina contro il regime fascista e, nel 1935, venne arrestato e incarcerato a Modena.  Trasferitosi a Taggia (IM), si inserì nell’organizzazione comunista clandestina di Sanremo (IM). L’8 settembre 1943 era ufficiale dell’esercito quando venne catturato dai tedeschi. Riuscì però a fuggire a Roma dove partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo. Tornato nuovamente in Liguria, fu tra gli organizzatori della lotta armata ed entrò a far parte del C.L.N. di Sanremo.
Per incarico della Federazione Comunista di Imperia il 20 giugno 1944 organizzò, con altri dirigenti del partito, la prima formazione regolare partigiana del ponente ligure, la IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”,  con sede nel bosco di Rezzo (IM), la quale diventò a luglio 1944 la II^ Divisione “Felice Cascione”.  Il 27 giugno 1944 da comandante di Distaccamento venne gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe tra Baiardo (IM) e Badalucco (IM). Per mesi riuscì avventurosamente, ancorché costretto alla macchia pur nelle sue tragiche condizioni di salute, a sottrarsi alla cattura da parte del nemico. In seguito, appena guarito, assunse la carica di vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria. da Vittorio Detassis su Isrecim