In questo primo periodo Lina si muove tra Sanremo e Bordighera

Bordighera (IM): uno scorcio di Località Arziglia

Questa è la storia di Emanuela Lina Meiffret, partigiana e letterata sanremese, è il racconto della vita di una donna coraggiosa, dal forte impegno civile, dagli ideali profondi e radicati, rimasta troppo a lungo nell’ombra. Dopo essere stata una presenza politica attiva nella lotta di liberazione dal nazifascismo a Sanremo nei mesi antecedenti e successivi all’8 settembre del 1943, viene arrestata nel febbraio del ’44 e poi deportata in Germania, vivendo la tragedia dei campi di concentramento. Attraverso gli articoli sui giornali della Resistenza sanremese, i preziosi documenti dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, i libri sulla Resistenza, le memorie di antiche amicizie, gli Archivi privati, abbiamo cercato di raccontare – con coinvolgimento e continua sorpresa – la complessità della figura umana di Lina. Che è personalità poliedrica, con studi in Svizzera e alla Sorbona, poliglotta, poeta e traduttrice, amica di personalità di spicco del Ponente ligure (e non solo!), tra Sanremo e Bordighera, come Italo Calvino, Guido Hess Seborga, Renato Brunati, Beppe Porcheddu e tanti altri. Ora sappiamo che dietro la riservatezza della partigiana Lina Meiffret si celano, accanto alle vicende drammatiche del Novecento, uno spessore culturale, una miniera di relazioni ed intrecci culturali che fanno di questa storia un’esperienza unica che abbiamo sentito la necessità di condividere e rendere nota. In questo libro, oltre ad essere riportate le testimonianze storiche e giornalistiche insieme alle immagini di documenti originali, vengono pubblicate le opere per la gran parte inedite (poesie, lettere, racconti, traduzioni) di Lina Meiffret. Attraverso questo prezioso lavoro di ricerca e svelamento, vogliamo rendere omaggio soprattutto ad una donna che ha saputo essere protagonista e partecipe delle cose del mondo e della Storia e che riemerge oggi più attuale che mai, sottile interprete dell’umanità e della personalità di quegli uomini e quelle donne con cui ha condiviso valori ed ideali.
[…] Le vicende che riguardano da vicino la Meiffret hanno inizio ben prima dell’8 settembre 1943. Verosimilmente Lina, che studia a Parigi alla Sorbonne, nei mesi immediatamente precedenti all’invasione tedesca della Francia, è costretta a lasciare la Francia e a tornare a Sanremo dove entra in contatto con vari gruppi facenti parte del movimento antifascista locale, il quale operava nella zona sia attraverso la sezione del P.C.I., sia nella più assoluta
clandestinità in diversi gruppi e sottogruppi più o meno organizzati, legati dal vincolo di un ideale politico comune, dal desiderio di riconquistare la libertà e opporsi agli oppressori, già dalla fine degli anni Trenta <13. In questo primo periodo Lina si muove tra Sanremo e Bordighera <14, dove del resto già era presente un gruppo di letterati e artisti antifascisti, sorto autonomamente intorno al 1939 (e poi confluito dopo la guerra nel partito socialista), che faceva capo a Guido Hess Seborga, il quale raccolse inizialmente intorno a sé, oltre a Lina, i suoi giovani amici Renato Brunati e Beppe Porcheddu, che qui si trasferì proprio nel 1939. Si legge nel Documento Porcheddu: «[…] La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati e da me in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo subito anche da interessi intellettuali e artistici. […]». Questo gruppo era in contatto con degli amici di Torino che condividevano gli stessi ideali, tra cui spiccano i nomi, che ricorrono più volte nella corrispondenza intercorsa tra Lina e Guido, di Giorgio Diena, Umberto Mastroianni, Vincenzo Ciaffi, Carlo Muffo, Oscar Navarro e altri, coadiuvati da Alba Galleano, anch’ella di Bordighera che poi sposerà Hess nel ’39. Gli esponenti di questo gruppo torinese, che svolse durante il Fascismo soprattutto attività di propaganda e di collegamento tra le due regioni, diffondendo i libri «proibiti», confluirono poi, dopo l’8 settembre, nelle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà e Matteotti <15.
Sono documentati in questi anni precedenti l’Armistizio anche alcuni soggiorni di Lina nelle amate Val Gardena e Val Badia. Un caffè di Rapallo, sulla costa ligure di Levante, in quegli anni era il punto di incontro di molti intellettuali, fra cui Hess, Lina stessa, Pound (il poeta e scrittore statunitense che si trasferì proprio in questa località dove risiedette quasi stabilmente dal 1925 al 1945 e di cui Lina tradusse i suoi Cantos) e il futuro comandante partigiano Giorgio Buridan, che farà poi parte del gruppo degli intellettuali di Torino, con cui Lina ebbe un grande rapporto di amicizia, testimoniato principalmente dalle poesie a lei dedicate, oltre che da una fitta corrispondenza e da numerose traduzioni a lei affidate <16.
Lina, da marxista convinta, è iscritta alla sezione del P.C.I. di Sanremo dove primeggia la Sezione Giovanile, ricca di elementi coraggiosi e dinamici, tra cui vengono reclutati coloro che partiranno per la guerra di Spagna, per il
cosiddetto «Soccorso Rosso», come Renato Brunati. Inoltre, partecipa attivamente alla lotta antifascista, attività consistente principalmente, nel periodo che va dalla caduta del regime all’Armistizio, nel convogliare la gioventù del circondario entro quelle formazioni partigiane che cominciano a costituirsi sulle colline e sui monti alle spalle di Sanremo. Qui, a Baiardo Lina ha una proprietà che mette a disposizione della banda e che rappresenterà il quartier generale in altura; sulla costa, invece, il luogo di ritrovo e smistamento è rappresentato dalla villa Llo di Mare che Porcheddu aveva affittato ad Arziglia (Bordighera), lungo la via Aurelia; Renato ha invece una casa alla Madonna
della Ruota, sempre a Bordighera.
Si ipotizza in un documento pubblicato chiamato per comodità “Pratica Meiffret” (una sorta di relazione sull’attività della Meiffret redatta in data 11/3/1946, la cui attendibilità di alcuni contenuti è comunque discutibile), che Lina avesse dei contatti con ufficiali del servizio francese e che per questo si recasse spesso in Francia, mentre probabilmente stava svolgendo un’attività di organizzazione del fronte della Resistenza spagnola, come viene in effetti
confermato in una lettera del 9 maggio del 1946 di Giorgio Buridan, in cui compaiono del resto altri nomi presenti sul documento. Vi si legge: «[…] Cara amica, dammi tue notizie, su di morale…non vagheggiare a idealistici spagnolismi e lavora invece […]»
Certamente Lina si recò più volte in Francia per motivi culturali: lo stesso Hess le procurò un documento, datato 8 febbraio 1946, dell’Unione culturale di Torino; sicuramente conosceva ed era in contatto con Vualch (nel documento
del ’46) o Walch (nella lettera di Buridan) di Nizza, probabilmente un editore, che aveva ricevuto da Buridan il suo diario partigiano di cui non aveva, ancora nel maggio del 1946, dato un riscontro all’autore. È certa, invece, la sua amicizia con Philippe Garigue <17, altro nome presente nel documento, come risulta evidente da un racconto che lui le avrebbe affidato di tradurre, conservato tra le sue carte, dal titolo “Antonio”; è altresì certo il rapporto di
collaborazione per scopi di lavoro tra Lina e Garigue, come dimostrerebbe il documento dal titolo evocativo “Appunti per Lina”, una sorta di memorandum-progetto, scritto da Guido Hess, in cui si prospetta la possibilità di «chiedere al cap. Garigue se conosce bene l’alleato da cui dipende il permesso per nuovi giornali. In caso positivo, chiedere a Garigue di farmi un biglietto di presentazione. Se Garigue deve tornare a Torino, dagli il mio indirizzo, o scrivermi per dirmi dove posso andare per rintracciarlo». (Senza data, ma con firma «Guido Hess»).
Anche Bruna De Marchi, citata nel documento, con cui Lina si sarebbe presentata al CLN di Bordighera, è una sua amica: si tratta della signora presso la quale la Meiffret risiedeva a Villa Monteverde, prova ne sia una busta di lettera, inviata da Roma dal futuro marito di Lina, Mario Scudieri, nel 1947.
Renato Brunati
Renato Brunati <18, figlio di Giuseppe Brunati, un ufficiale fascista, e di Margherita Burki, nasce a Venezia l’8 febbraio del 1903, ma, dopo essersi spostato in varie città italiane e estere, sceglie come residenza la cittadina di
Bordighera nel Ponente ligure, in cui, come già detto, si raccolgono alla fine degli anni Trenta alcuni intellettuali antifascisti. Ross così lo descrive: «[…] He was a generous, warm-hearted man. An intellectual with a love of literature and poetry. In his present political role he jokingly likened himself to Byron. […]» Letterato, filosofo e poeta, Lina affermava che Renato era stato uno scrittore molto fecondo. Di lui è riuscita a conservare alcune poesie inedite che, rappresentando probabilmente gli unici documenti letterari che ci rimangono di questo eroe della Resistenza, acquistano un valore ancora maggiore tra le testimonianze scritte della lotta partigiana nel Ponente ligure.
«E pure morì sotto il martirio nazista l’animatore di una delle prime bande a Baiardo: Brunati, il partigiano poeta». Così lo ricorda infatti Italo Calvino nel suo “Ricordo dei partigiani vivi e morti”. Appartenente alla II Divisione Felice Cascione, V Brigata Nuvoloni di Imperia, propagandista e organizzatore delle bande armate bordigotte collegate a Sanremo e, dopo l’8 settembre, elemento di spicco della banda che opera a Baiardo con Lina Meiffret. Renato viene arrestato due volte e sempre con Lina <19: la prima poco dopo l’8 settembre 1943, per propaganda antifascista, ma viene quasi subito rilasciato <20; il secondo arresto, definitivo, ha luogo a Sanremo, allorché Brunati viene fermato e trovato in possesso di volantini e documenti compromettenti <21. Di questi fatti ci parla M. Ross, nel suo libro: il primo arresto avviene per possesso e diffusione di materiale sovversivo verosimilmente nel dicembre 1943, con rilascio subito dopo le festività natalizie per mancanza di prove. Il secondo arresto, definitivo, avviene dopo qualche giorno, il 6 gennaio 1944, come risulta del resto dal documento ANPI, a Sanremo, allorché Brunati viene fermato e trovato in possesso di volantini e documenti compromettenti <22, ma Ross è il solo a parlare del doppio arresto dei due compagni in questa data. Per quanto affermato da altri studiosi, si veda Gandolfo, Sanremo in guerra cit., p. 138.20: la prima poco dopo l’8 settembre 1943, per propaganda antifascista, ma viene quasi subito rilasciato.
Durante la guerra Brunati era stato ufficiale nella GAF (Guardia alla frontiera) a Mentone. Come già accennato, aveva quindi fatto parte, come volontario, del Soccorso Rosso, esperienza che lo aveva condotto a militare nella Brigata Internazionale in Spagna. A Bordighera, dove ha una casa alla Madonna della Ruota, Renato fa parte di una ristretta cerchia di intellettuali, tra i quali, oltre a Lina e al pittore e illustratore Beppe Porcheddu, va ricordato il suo grande amico Guido Hess Seborga. Guido avrà un lungo rapporto di amicizia con questo giovane eroe che si interromperà con la sua tragica fucilazione al Turchino. Hess gli resterà fedele nell’affetto: una eco di quanto la morte di Renato abbia profondamente segnato gli animi di tutti coloro che lo avevano conosciuto in quegli anni resistenziali si può concretamente leggere negli scritti che molti di loro gli rivolgeranno. A Brunati Hess dedica il suo primo romanzo “L’uomo di Camporosso”, uscito nel 1948, e lo ricorda nel suo secondo romanzo sulla Resistenza del Ponente ligure pubblicato nel 1949 e intitolato “Il figlio di Caino”, in cui il protagonista, capo ammirato e indiscusso di un gruppo di partigiani riunitisi in una banda che si nasconde sul Monte Nero, tra Sanremo e Bordighera, porta il nome decisamente evocativo di Renato Bruni.
[NOTE]
13 Cfr. Gandolfo, Sanremo in guerra cit., pp. 129 ss.
14 Nel 1941 è sicuramente a Bordighera, come dimostra un suo appunto su di un foglio di quaderno (Archivio Giacometti Loiacono); nel luglio del 1943 è sempre a Bordighera, come si deduce dalla lettera indirizzata ad Hess con firma congiunta di Renato (Brunati) e Lina (Archivio Laura Hess); nella «pratica Meiffret», con data 11/3/1946, si legge «residente a Bordighera».
15 R. Zangrandi, op. cit.
16 Su Giorgio Buridan è uscito un volume curato da Maria Silvia Caffari, Fatti e persone nella mia vita, Nerosubianco ed. 2021, in cui il rapporto con Lina viene limitato solo alla sua attività di «traduttrice… una francese che frequentai per un certo periodo e insieme discutemmo sulla difficilissima traduzione dei Cantos», pp. 75-76.
17 Il capitano Philippe Garigue fu scelto nel 1945 dagli Alleati per condurre le trattative di pace con i francesi di De Gaulle che entrarono a Ventimiglia rivendicando piena libertà di azione nei confronti dell’Italia con la quale si consideravano ancora in stato di guerra (la Francia non aveva firmato l’Armistizio dell’8 settembre). Grazie alla mediazione di Garigue i francesi evacuarono Ventimiglia l’11 luglio del 1945. Al capitano Garigue per queste sue azioni fu conferita la cittadinanza onoraria di Ventimiglia. Si veda R. Villa, La difficile missione del cap. Garigue, nella Ventimiglia del 1945, occupata dai francesi, da La Voce Intemelia, anno XLIV, n. 10. Ottobre 1989.
18 Per la bibliografia su Brunati si veda: http://www.bordighera.net (articolo di V. Moschetti del 24 febbraio 2014 con riferimento al saggio di P. Revelli, La seconda guerra mondiale nell’estremo Ponente ligure); Strato, La Resistenza in provincia di Imperia cit., pp. 241, 247 e nota 16, 302 e nota 45; L’epopea dell’esercito scalzo cit., pp. 43-44, 47-48; http://www.straginazifasciste.it (Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia), s.v. Passo del Turchino; Mela, Aspettando aprile cit., pp. 35-36, in cui lo si definisce «studioso di problemi filosofici, specialmente riguardanti l’educazione del fanciullo»); Gandolfo, Sanremo in guerra cit., pp. 137 ss.. Su Renato si legga inoltre il ricordo commosso ed appassionato che di questi scrive G.B. Calvini in L’epopea dell’esercito scalzo cit., pp. 47-48; in Biga-Iebole, Storia della Resistenza imperiese cit. pp. 192 ss. Renato viene definito a ragione come «la figura più ardimentosa e romantica della lotta partigiana nella zona di Sanremo». Per una sua descrizione fisica e caratteriale, cfr. Ross, From Liguria with Love cit., pp. 157 ss., il quale definisce Lina e Renato «both idealists and dreamers»; F. Mocci (con il contributo di D. Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani ed., Pinerolo (TO), 2019, (Documento Porcheddu).
19 Si veda in Ross, From Liguria with Love cit., pp. 163-64 e ss., il racconto del doppio arresto di Lina e Renato: il primo, come si può desumere dal testo, avviene per possesso e diffusione di materiale sovversivo verosimilmente nel dicembre 1943, con rilascio subito dopo le festività natalizie (altrove si legge il 22 dicembre); il secondo dopo qualche giorno, se si deve credere alla data del 6 gennaio 1944 riportata nel documento dell’ANPI. Ross è comunque il solo a parlare del doppio arresto dei due compagni. Per quanto affermato da altri studiosi, si veda Gandolfo, Sanremo in guerra cit., p. 138.
20 Cfr. Strato, La Resistenza in provincia di Imperia cit., p. 247 fa riferimento ad un arresto subito dopo l’8 settembre 1943: con tutta probabilità si tratta del fermo di cui parla Ross, avvenuto tra fine novembre e dicembre, quando Renato si trovava nella sua casa di Bordighera con Lina (mentre nascondeva i due inglesi) di cui parla Ross, cfr. nota precedente.
21 Cfr. Mela, Aspettando aprile cit. p. 36. In Gandolfo, Sanremo in guerra cit., p. 138 si riferisce invece che Renato era in missione a Sanremo; similare il racconto di Ross, From Liguria with Love cit., p. 168 che, però, parla di questioni urgenti che sia Lina sia Renato avevano da sbrigare a Sanremo.
22 Cfr. Mela, Aspettando aprile cit. p. 36. In Gandolfo, Sanremo in guerra cit., p. 138 si riferisce invece che Renato era in missione a Sanremo; similare il racconto di Ross, From Liguria with Love cit., p. 168 che, però, parla di questioni urgenti che sia Lina sia Renato avevano da sbrigare a Sanremo.
Daniela Cassini Sarah Clarke, Lina. Partigiana e letterata, amica del giovane Calvino. Lettere, poesie e scritti inediti di Lina Meiffret, Isrecim, Fusta editore, 2022

Un colonna di soldati tedeschi si spiegava a ventaglio sul terreno impervio, salendo con precauzione verso Pigna

Pigna (IM)

“Fragola-Doria” (Armando Izzo) racconta:
Verso la fine d’agosto [1944], in concomitanza con l’avanzata degli eserciti alleati sbarcati in Provenza, la V Brigata Garibaldina, forte ormai di oltre 950 uomini, pronti a tutto osare pur di vibrare al nemico un colpo decisivo, iniziò un’azione convergente sulla fortezza di Pigna, tenuta da un centinaio di militi repubblicani e centro delle difese nazifasciste nella nostra zona di montagna.
La brigata era posta sotto il comando di Ivano (Vittò – Vittorio Guglielmo) magnifico conduttore di uomini che all’ammirevole potenza di concezione militare, accoppiava un ardore infaticabile nell’azione e, spesso, una temerità che dava i brividi. E Vittò sapeva di poter contare sui suoi uomini fino all’ultimo, chè i garibaldini, spronati dal suo mirabile esempio e dall’esempio degli altri capi, primi fra i primi in ogni azione rischiosa, anelavano ad una sola cosa: il combattimento.
Il piano d’attacco, genialmente concepito ed attuato, si svolse durante tutta l’ultima settimana del mese con un susseguirsi ininterrotto di azioni audaci compiute da piccoli nuclei di arditi, da squadre, da distaccamenti o da più distaccamenti insieme. Era una nobile, ardimentosa gara che infiammava gli animi dei nostri e non dava un attimo di tregua al nemico. Ed il nemico, impotente a resisterci, presentendo la sua disfatta, sfogava la sua ira bestiale ed impotente contro le inermi popolazioni: Rocchetta Nervina, Castelvittorio, Gerbonte, Triora, Molini di Triora, Badalucco, piccole pacifiche frazioni, casolari e baite furono così devastati o completamente distrutti. Ma i nostri non piegavano: si stringevano i denti e si andava avanti. In quei giorni eroici primeggiarono fra tutti i distaccamenti di Gino (Gino Napolitano), Leo (Stefano Carabalona) da Rocchetta Nervina e Moscone [n.d.r.: Basilio Mosconi, comandante di un Distaccamento, in seguito comandante del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”].
Alla fine il nemico rinunciò a difendere le sue posizioni di Pigna: evacuò il paese e si ritirò su posizioni più arretrate (Isolabona – Dolceacqua), abbandonando nella sua fuga precipitosa armi e munizioni che furono recuperate dai nostri e che andarono ad arricchire l’esiguo armamento di cui la brigata era provvista.
Occupammo Pigna, vi stabilimmo il nostro comando, nominammo un’amministrazione provvisoria e si provvide a munire la difesa della zona sia per poter riprendere i nostri attacchi verso la costa ed in direzione del fronte francese che si andava spostando verso est, sia per far fronte ad eventuali contrattacchi nemici.
Infatti il I distaccamento prese posizione su Passo Muratone alla destra dello schieramento per impedire puntate provenienti da Saorge (Francia) – Margherìa dei Boschi; il V distaccamento, al comando di Leo, occupò la stessa Pigna, posta al centro dello schieramento, distaccando una squadra di venti uomini a Gola di Gouta a guardia della strada da Monte Olivastro-Altomaro; infine il IX distaccamento, insieme alla banda locale di Castelvittorio, si dispose a difesa sulla linea Monte Vetta – Monte Moro – Rio Bunda. Il cardine di tutto lo schieramento era quindi costituito da Pigna, tenuta da Leo che aveva il comando della Val Nervia.
Continuiamo le nostre puntate durante tutto il mese di settembre, ma la sperata avanzata alleata si era ormai esaurita ed il fronte al confine italo-francese sembrava essersi stabilizzato. Sintomi di un ritorno offensivo tedesco non mancavano e il nostro SIM riceveva continuamente segnalazioni di spostamenti nemici intesi a preparare un vasto movimento contro di noi. A fine settembre i presidi tedeschi di Isolabona e di Dolceacqua furono notevolmente rafforzati. Vittò, allo scopo di prevenire il nemico che sentivamo avrebbe presto scatenato un attacco in forze contro le nostre posizioni per tentare di ricacciarci verso l’alta montagna e di disperderci, studiò un piano di operazioni che avrebbe dovuto sorprendere il tedesco nella fase preparatoria e ne avrebbe minacciato tutto lo schieramento sul fronte francese. Venne dato ordine di rafforzare la zona. Doria venne inviato a Pigna con la squadra di mortai da 81 e da 45, comandata da Leo il mortaista, in modo che il centro della nostra linea formasse un baluardo formidabile e desse la possibilità alle ali di agire senza la preoccupazione di essere tagliati in due tronconi. Rinforzata così la difesa di Pigna iniziammo le nostre azioni offensive condotte contro la media e bassa Valle del Nervia e contro la Valle del Roia; che, con la grande rotabile che l’attraversa, rappresentava l’unica via di rifornimento per le truppe edesche attestate nel versante della valle stessa. Il 26 settembre Doria, appoggiato da Leo con una squadra di fucilieri ed il mortaio da 45, sviluppò una azione di disturbo su Isolabona. Il mortaio si condusse egregiamente; non meno di 25 bombe caddero sull’edificio occupato dal nemico, che però non osò uscire ed invano fu atteso dai nostri fino a sera. Il 27 Doria con 6 garibaldini ed un mitragliatore si portò sulla strada fra Isolabona e Dolceacqua avendo gli informatori segnalato un prossimo arrivo di rinforzi nemici. Il gruppo prese posizione fra gli alberi in località Cartiera. Due garibaldini col mitragliatore furono collocati in modo da poter battere d’infilata un rettilineo lungo circa 300 metri. Altri due uomini vennero posti in vedetta e lo stesso Doria con gli ultimi due, armati di mitra, scesero a pochi metri dalla strada, quasi a metà del rettilineo, in modo che chiunque avesse tentato di passare sarebbe stato bloccato di fronte dal mitragliatore e rafficato di fianco. Alle 18 le vedette segnalavano la presenza del nemico. Si sente, in distanza, il rombo delle macchine ansimanti sulla dura salita. Poi alla svolta in fondo al rettilineo appare un autocarro tedesco. Il mitraglìatore entra immediatamente in azione spazzando la strada, ma la macchina continua la sua marcia velocissima e passa davanti al gruppo imboscato presso la Cartiera. Doria punta alla cabina del conducente ed apre il fuoco col mitra: l’avversario, continuando a procedere, risponde con armi leggere: poi la macchina, accostando a monte, s’arresta bruscamente. Doria coi suoi due uomini si lancia all’attacco facendo uso delle bombe a mano. Gli scoppi assordanti degli ordigni di morte coprono il rombo di un secondo camion che sbuca sulla strada, la imbocca come un bolide e comincia a spazzarla con raffiche furiose. I nostri si arrestano, si stendono tra i rovi e continuano il fuoco in attesa che il mitragliatore, come d’accordo, blocchi col suo tiro l’automezzo nemico. Ma l’arma tace. Un terzo camion irrompe. Intorno ai nostri cade una pioggia di ferro e di fuoco, tagliando l’erba, stroncando i rami, forando i tronchi degli alberi: ogni ulteriore possibilità di continuare l’azione diventa impossibile: essi ripiegano, si ricongiungono alle vedette ed ai serventi della mitragliatrice, inceppatasi al culmine dell’azione, e per sentieri aspri ed impervi, senza che il nemico osi inseguirli, rientrano alla base.
Questo non è che uno dei tanti episodi della guerriglia feroce ed eroica che costituivano il nostro piano d’attacco, il quale e per la particolare conformazione del terreno montagnoso e per l’esiguità dei nostri mezzi, doveva venire condotto con un complesso di azioni isolate, improvvise ed ardite, apparentemente slegate, ma tutte dirette ad un unico scopo: non dar tregua al nemico, sorprenderlo ovunque, dargli la sensazione di aver di fronte forze numerose ed agguerrite, infliggergli continue perdite, bloccarlo nei suoi rifugi e, infine, avvilupparlo da tutte le parti, premerlo e ricacciarlo.
A Pigna, nel frattempo, era giunta una missione composta di numerosi ufficiali alleati accompagnati da un corrispondente di guerra canadese. La missione dopo aver studiata la nostra zona, avrebbe dovuto proseguire per la Francia passando attraverso le maglie delle linee tedesche fra Grammondo e Sospel. In vista della difficoltà dell’operazione il comando della brigata stimò opportuno sospendere momentaneamente le azioni allo scopo di non tenere la zona in continuo allarme ed evitare in tal modo una possibile sorpresa da parte tedesca sul gruppo degli ospiti.
La forzata inazione venne sfruttata per rafforzare le nostre linee ed il comandante Ivano affidò a Doria il compito di cooperare con Leo ad un nuovo piano di attacco nel quale avrebbe concorso la nostra artiglieria.
Già da tempo avevamo in nostre mani i quattro pezzi da 75/25 del forte dell’Abegliotto da noi occupato. Poiché dal forte stesso erano stati asportati i bossoli, i cannelli e le cariche, si dispose affinché il materiale mancante fosse prelevato dal forte di Monte Lega, pure in nostro possesso. Inoltre si iniziò il lavoro per il recupero di 2 cannoni da 75-27 piazzati a Monte Lega che avrebbero dovuto essere trasportati a Carmo Langan, sede del Comando di Brigata.
In verità già prima di allora la nostra brigata aveva usato con successo cannoni asportati dalle fortezze di confine. Fin dal giugno dal forte dei Balconi di Marta si erano ricuperati 4 pezzi da 75/25, due dei quali erano stati messi in postazione a Carmo Langan e 2 a Triora per battere le posizioni tedesche di Monte Ceppo. Un altro cannone era stato catturato al forte di Monte Lega dal Vice Comandante Fuoco [Marco Dino Rossi] verso la metà di agosto. Il nostro piano era quello di smantellare col fuoco dei nostri pezzi le batterie nemiche dislocate nei dintorni della stazione ferroviaria di Bevera (Bassa Valle del Roia) scaricandovi tutti i 400 proiettili a nostra disposizione, attaccare il nemico con un distaccamento scelto all’imbrunire e, approfittando del caos che ne sarebbe seguito, premerlo verso il mare e, eventualmente, attestarsi a Ventimiglia attendendo l’entrata in azione delle truppe alleate schierate sul confine. Si stavano ultimando i preparativi per l’attacco finale quando, nel pomeriggio del 4 ottobre, il nemico partendo dalla sua base di Isolabona, iniziò una forte puntata su Pigna con forze poderose: le nostre armi automatiche pesanti, spiegate a difesa della cittadina, entrarono immediatamente in azione. Il nemico continuò ad insistere nell’assalto mandando all’attacco uno scaglione dopo l’altro. Si pone in posizione il nostro mortaio da 81 e, alla fine, dopo alcune ore di lotta accanita i tedeschi ripiegarono trascinandosi dietro numerosi feriti. La battaglia tanto attesa si iniziava così sotto i migliori auspici.
Il 5 ottobre, verso il crepuscolo, il rombo delle artiglierie svegliava gli echi delle vallate. Il nemico, resosi conto dell’impossibilità di ricacciare i nostri in un attacco frontale, iniziava il bombardamento delle nostre posizioni. Il martellamento di Pigna durò, quasi ininterrotto, dalle 17 del 5 alle 13 del 6 ottobre: due batterie tedesche da 105/17, piazzate ad Isolabona, vomitarono, sulla zona da noi tenuta, oltre 500 proiettili, mentre un violento temporale imperversava battendo la campagna con una pioggia torrenziale e spazzandola con terribili raffiche di vento. All’imbrunire del cinque ottobre la nuvolaglia densa fu spazzata via e la luna sorse ad illuminare i nostri monti con la sua chiara e fredda luce. Un attacco improvviso non era improbabile. Vennero ispezionate le posizioni al centro dello schieramento: gli uomini erano tutti al loro posto di combattimento, stanchi, affamati, inzuppati di pioggia, ma decisi a lottare fino all’ultimo perchè il nemico non passasse.
Verso le le 2 del 6 ottobre il fuoco nemico cessò improvvisamente. Poi, all’alba, il bombardamento riprese più violento. Alle 13 le batterie tacquero nuovamente, i nostri sentivano giungere il momento dell’azione finale: le vedette ai loro posti scrutavano le strade, i boschi, le forre. Gli uomini inchiodati alle loro armi, calmi e decisi, attendevano.
Giungevano le staffette: il nemico avanzava in forze: una sua colonna, oltrepassato il ponte di Rio Bunda, si spiegava a ventaglio sul terreno impervio, salendo con precauzione verso Pigna.
Ben presto dai posti di osservazione le pattuglia nemiche di punta apparvero.
[…] Il tedesco, sorpreso dalla subitaneità della nostra controazione, risponde con un fuoco potente, ma disordinato e poco efficace. Il duello si fa serrato, poi il nemico sotto l’implacabile mitraglia ripiega in fretta gettando il mortaio nelle turbinose acque del torrente, gonfiato dalla pioggia, ed abbandonando sul terreno 8 casse di munizioni, che furono catturate.
La battaglia era per quel giorno cessata: ma noi sapevamo che la tregua sarebbe stata di breve durata.
Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. Alis, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, pp. 185-189

Dopo l’arrivo di ulteriori forze nemiche dalla Francia, i garibaldini si sganciarono verso Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)] e Cima Marta.
Fino al 18 ottobre si protrasse il rastrellamento, che costrinse gli uomini della I^ e della V^ Brigata a riparare in Piemonte.
I partigiani riuscirono, non senza subire pesanti perdite, a sganciarsi attraverso il Passo del Bocchin d’Aseo, oltrepassando il Mongioie, trasferendosi a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN), in Piemonte.
Pigna (IM) venne così persa dai partigiani. I tedeschi procedettero all’ormai consueto e tristo rito di incendiare e razziare.
I tedeschi, ritenendo fondata l’ipotesi di un imminente sfondamento anglo-americano sulla frontiera italo-francese, intrapresero anche la costruzione di una seconda linea difensiva, per realizzare la quale fu reclutata parte della popolazione, che malvolentieri assolse a questo onere, al punto che “i tedeschi decisero di inviare 300 persone a Verona con l’intento di internarli in Germania”.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

I tedeschi vogliono dimostrare che hanno batterie ovunque

Trinità, Frazione di Camporosso (IM)

Ai Brunetti [Frazione di Camporosso (IM)] mio zio Virginio si era costruito una radio con la quale ascoltavamo i comunicati e che ci forniva le ultime notizie. Fu così che il 10 giugno 1940 sentimmo il discorso del Duce e la dichiarazione di guerra alla Francia.
Io vivevo a Trinità [Frazione di Camporosso (IM)] e alcuni abitanti, che erano passati per Ventimiglia, comunicarono che era venuto l’ordine di sfollare. Così, abbandonato il villaggio, ci radunammo tutti sotto il Mercato dei Fiori a Ventimiglia, da dove incolonnati ci imbarcarono su un treno. Per fortuna l’esercito francese non sparò su Ventimiglia: lo avesse fatto in quei giorni sarebbe stato un massacro.
Una ventina di giorni dopo, firmato l’armistizio con la Francia, ritornammo tutti a casa. In paese la vita riprese più o meno normalmente anche dalla fine del ’43 quando ebbero luogo i primi bombardamenti, per noi cambiò poco, al massimo si sentivano fischiare i proiettili che dalle postazioni oltre il Grammondo passavano sulle nostre teste per colpire la vallata del Nervia o la costa [n.d.r.: ma questo avveniva dopo la stabilizzazione – ai primi di settembre 1944 – più o meno sulla vecchia frontiera delle truppe alleate, che avevano appena liberato anche il sud-est della Francia].
L’inverno è particolarmente freddo tanto che è scesa la neve, cosa abbastanza insolita dalle nostre parti. All’alba il villaggio viene svegliato: militari della SS del comando di Varase bussano a tutte le porte e radunano gli abitanti, quasi tutti anziani e donne sulla piazzetta del paese. Con ferocia e forse per creare tensione e paura uccidono tutti i gatti ed i cani che incontrano.
Usano come interprete una giovane donna di Varase: e da lei sappiamo che ci considerano collaboratori dei “banditi”, e che dobbiamo evacuare il villaggio. A tutti gli uomini chiedono la professione, poi fanno una scelta e divisi dagli altri che verranno sfollati in Piemonte, finiamo io, un certo Luciano di professione barbiere, Biancavilla, sarto, ed altre 12 persone destinate alla raccolta delle olive particolarmente abbondanti in quell’anno. A me danno l’incarico di realizzare delle scarpe utilizzando le pelli provenienti dalla caserma Gallardi e ritrovate ad Airole, dopo lo sfollamento del paese, murate nelle cantine di alcune case.
Non avendo le forme per realizzare quanto richiesto, chiedo di recarmi a Dolceacqua dove sapevo avere magazzino un vecchio calzolaio che sicuramente poteva fornirmi le forme. Per raggiungere Dolceacqua dovevo passare da Tramontina: la via del mare era troppo pericolosa con le navi che incrociavano al largo e che ogni tanto colpivano la costa con qualche bordata.
Purtroppo faccio il viaggio a vuoto: il vecchio calzolaio rifiuta di prestarmi le forme e sono costretto a dirlo all’ufficiale tedesco l’indomani. Mi convocano dal Comandante che mi ordina di ritornare a Dolceacqua perché sicuramente il calzolaio aveva cambiato idea… E fu proprio così, era bastata una telefonata.
Facevo quasi esclusivamente scarpe da donna che venivano poi spedite in Germania alle mogli degli ufficiali. La mia paga consisteva in 5 o 6 sigarette al giorno ed un po’ di pane di segala. Per mia fortuna acquistarsi scarpe nuove era impensabile a quei tempi, tutti cercavano di tenersi quelle che avevano e così, nel tempo libero, eseguivo parecchie riparazioni.
Il mio servizio durò circa 7 mesi e qualche volta mi utilizzarono anche per altri lavori, come quando mi mandarono con altri nel fiume Roia di fronte alla Centrale di Porra dove ci fecero tagliare alcuni pali del telegrafo e, riutilizzando le ruote di alcuni carri, costruimmo dei finti cannoni che coprimmo parzialmente con rami e fronde. Nel pomeriggio apparve sulle nostre teste la cicogna, il solito aereo spia che immediatamente comunicò la nostra posizione alle batterie di Mont Agel, che aprirono il fuoco e ci costrinsero alla fuga.
Più o meno nello stesso periodo una famiglia di Porra, il cui capofamiglia era soprannominato “Checheo”, chiede a mia madre se può utilizzare una nostra vecchia casetta di campagna che si trovava sulla collina proprio sopra Porra in zona Mauné. Pensavano che trasfendosi lassù, lontano dalle strade di traffico con qualche animale avrebbero potuto vivere indisturbati fino alla fine (e si sperava fosse presto) della guerra. Sulle prime sembrava una buona idea, ma pochi giorni dopo un amico mi avverte che nella zona Mauné erano esplose alcune salve di cannone che avevano colpito la mia casa. Mi reco sul posto: la casa era stata colpita in pieno, tutto intorno, liberi, conigli e galline vagavano senza meta, dei “Checheo” nessuna traccia: li trovo dopo un po’ in un buco tutti impauriti. Il fumo che usciva dalla casa era stato visto ed aveva insospettito gli alleati che, prese le misure, avevano cannoneggiato la casa. Era andata bene che in quel momento erano tutti fuori per i campi a raccogliere un po’ di verdura.
Battista Leggerini, Un calzolaio di guerra. Disavventure e spaventi in Val Roia, in Renzo Villa e Danilo Gnech (a cura di), Ventimiglia 1940-1945: ricordi di guerra (con la collaborazione di Danilo Mariani e Franco Miseria), Comune, Studio fotografico Mariani, Dopolavoro ferroviario, Ventimiglia, 1995, pp. 61,62

L’autorità militare Germanica, per le necessità contingenti, ha ordinato lo sgombero delle popolazioni dalla vallata di Ventimiglia, che sono state avviate nei centri di sfollamento a cura delle Federazioni dei Fasci Repubblicani.
Nei giorni scorsi, mezzi navali cannoneggiavano Imperia, Ventimiglia, Bordighera, Vallecrosia, causando danni di una certa entità a case di abitazione private, facendo qualche vittima.
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia, Relazione mensile sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia (mese di settembre 1944), Imperia, 1 ottobre 1944, Documento in Archivio Centrale di Stato

19 novembre 1944
Anche oggi, calma. Stanotte i tedeschi giravano con un cannone piazzato sopra un camion sparando da tutti i lati della città [di Ventimiglia]. Vogliono dimostrare che hanno batterie ovunque.
20 novembre 1944
[…] Per la città, stasera, prendevano uomini, donne e ragazze; i tedeschi ubriachi impaurivano tutti. Cerrcano pure le bestie e chissà se, anche questa volta, riusciremo a salvare la nostra muletta. Corre pure voce che incendino le case, si dice che a Grimaldi, Mortola e Canun l’abbiano già fatto […]
21 novembre 1944
[…] I tedeschi hanno fatto sfollare San Pancrazio, Serro, Torri e Calvo. Corre voce che ci faranno andar via pure da Ventimiglia […]
22 novembre 1944
Ieri sera Pippo e “Turetu” sono stati presi dai tedeschi, ma sono riusciti a svignarsela. Già ieri l’altro Pippo era stato acciuffato, ma per sua fortuna il tedesco che l’aveva preso era ubriaco.
Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988

A San Michele si può dire che ogni casa è inabitabile

Dintorni di Olivetta San Michele (IM)

Dopo l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, ad Olivetta San Michele era rimasto solo un gruppo di carabinieri, mentre i restanti militari del Regio Esercito avevano cercato in ogni modo di sfuggire alla cattura da parte dei soldati germanici. Data l’importanza del collegamento viario con il Piemonte, la Val Roia conosce sin da subito l’attenta vigilanza dell’occupante tedesco, che tuttavia per mesi non si traduce in un presidio militare stabile e consistente nei centri della bassa valle. La situazione si fa ben più critica quando, con lo sbarco alleato in Provenza nell’agosto 1944, i tedeschi in ritirata stabiliscono una linea di difesa sulla dorsale delle Alpi Marittime, facendo della Val Roia un’immediata retrovia del fronte. E’ allora che il nemico occupa in forze il comune per trasformarlo, al pari di Airole, in un caposaldo del fronte, per cui ivi rimarrà fino alla Liberazione, spargendovi il terrore con rastrellamenti e saccheggi. Per la gente della bassa Val Roia inizia così un tragico calvario. Come le popolazioni di Airole, Collabassa e Piena (quest’ultima a quel tempo frazione di Olivetta, ora invece francese), anche gli abitanti di Olivetta sono fatti sgomberare dai tedeschi ed avviati verso Tenda ed ancora più a nord, in gran numero fino a Torino, con treni o con atri mezzi, senza viveri, esposti alle intemperie; molte persone sono ammalate; i più sofferenti sono i bambini. La poca gente che riesce a rimanere in paese è sempre sotto la minaccia della frusta tedesca.
Come ad Airole, anche qui, data l’estrema drammaticità della situazione, non si costituì mai un CLN, ma taluni antifascisti – tra cui, per indicarne uno, Bruno Muratorio <679 – si mossero comunque, riuscendo col tempo a collegarsi con i partigiani della V Brigata “Luigi Nuvoloni”, che operava tra la Valle Argentina e la frontiera. Degli abitanti del Comune, sono stati riconosciuti partigiani combattenti i cittadini: Agostino Cotta (Michele), deceduto il 20 luglio 1945 a Verrino Olivetta; Pietro Gavini (Barin), fucilato il 12 agosto 1944 a Sospel; e Dante Limon (Spezia). Appartenevano alle Brigate IV e V della II Divisione d’assalto Garibaldi “F. Cascione”. <680
Durante l’occupazione di Olivetta San Michele i tedeschi fucilarono i civili Carlo Gastaldi, Oreste Gastaldi e Costantino Ricci. <681
Una nota d’ambiente del periodo di occupazione tedesca a Olivetta è delineata alle pagine 61-62 del volume “Ricordi di guerra”. <682
Pesantissimi i danni inflitti agli abitanti del piccolo comune, se solo si pensa che a causa di incursioni aeree alleate risultarono distrutti 180 fabbricati, mentre altri 38 finirono devastati a seguito di operazioni nazifasciste. <683 Un problema non di poco conto, tra i molti e assillanti di allora, per la nuova amministrazione democratica in carica negli anni 1945-1946, sindaco Giulio Iperti e assessori Armando Limon, Luigi Rey, Lorenzo Trucchi e Umberto Trucchi. <684
Per avere un quadro vivido della situazione creatasi a Olivetta per effetto dell’occupazione tedesca, ci rifacciamo a quanto scritto mesi dopo la Liberazione da Don Ermenegildo Moro: “Il paese è gravemente colpito dalla guerra: vi sono moltissime case di abitazione inservibili. A San Michele si può dire che ogni casa è inabitabile, perché tutte bruciate e distrutte eccezion fatta della stazione e della casa comunale. La popolazione è indigente di ogni cosa, perché tutto è stato asportato oppure incendiato e distrutto sul posto. Sarà un problema grave provvedere gli indumenti e la biancheria per fronteggiare l’inverno. Di questo nulla è rimasto e se un po’ è stato ritrovato è inservibile ed in pessimo stato. Un altro problema grave è quello del latte per i bambini. Nessuna mucca e pochissime capre, assolutamente insufficienti alla bisogna. Occorrerebbe ottenere una dotazione di latte condensato. Le condizioni sopra descritte sono ancora aggravate dal fatto che non è ancora possibile il transito, per la rottura dei ponti, e questo dopo più di tre mesi dalla cessazione delle ostilità. Nessuno provvede e questo inverno sarà terribile per vettovagliarci e per ripararci dalle intemperie…”. <685
[NOTE]
679 Bruno Muratorio riuscì a fuggire dal campo di concentramento tedesco di Monza il 2 febbraio 1945 e, dopo varie peripezie, si rifugiò a Torino fino alla Liberazione con tanti suoi conterranei (ISRECIM, Archivio, Sezione II, cartella L 75).
680 ISRECIM, Archivio, Sezione II, cartella R2.
681 ISRECIM, Archivio, Sezione II, cartella 111; lettera del sindaco di Olivetta datata 12 gennaio 1981.
682 Ricordi di Guerra (Ventimiglia 1940-1945), s.l. [s.t. Pinerolo], Comune di Ventimiglia e Dopolavoro Ferroviario, 1995.
683 ISRECIM, Archivio, Sezione II, cartella 111; lettera del sindaco di Olivetta datata 21 settembre 1945. Vedasi pure ISRECIM, Archivio, Sezione II, cartella L 37.
684 Ibidem, lettera datata 24 marzo 1998.
685 Don Nino Allaria Olivieri, “I testimoni raccontano”, cit., pag 59 e sgg. Il lavoro continua con il capitolo ‘Piena e Libri'”, dove si evidenzia la tristezza della popolazione locale costretta ad assumere la cittadinanza francese.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria)vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016, pp. 230-231

[3 settembre 1944]
[…] “Nettu” [Ernesto Corradi], che fino a quel momento si era mantenuto nascosto, esce allo scoperto con il corpo proteso in avanti, guarda ancora per un istante il viadotto sospeso nel vuoto sul Roia, poi, deciso, parte correndo e, in pochi secondi, raggiunge l’altra sponda; per alcuni istanti rimaniamo indecisi, ma, mentre sulla strada persiste ancora il silenzio, anche noi partiamo saltando di corsa sulle traversine dei binari e riusciamo tutti a raggiungere il nostro capobanda.
Un tratto di galleria che copre quella strada percorsa dal nemico facilita il nostro passaggio, infatti proprio mentre ci troviamo sulla sua sommità, sotto di noi transita un’autoambulanza scortata da un camion tedesco.
Ci allontaniamo in fretta per raggiungere la cima di una collina, intanto sulla strada il traffico degli automezzi militari continua inarrestabile.
Superato il grande ostacolo del Roia, ci dirigiamo verso il paese di Collabassa [Frazione di Airole IM)]; sul sentiero, fra alberi di pino, incontriamo un giovane di Olivetta San Michele e lo convinciamo a seguirci; il suo nome di battaglia sarà “Pineta”, proprio a ricordo del luogo in cui l’abbiamo incontrato.
[…] “Pineta”, già combattente nei battaglioni d’assalto a Tobruch, aveva sofferto la guerra e il suo unico desiderio era di vederla finita.
I rimanenti sei, di cui io facevo parte, erano tutti ragazzi sotto i vent’anni, nati e cresciuti in epoca fascista; non avevano mai conosciuto la vera libertà.
[…] Riprendendo la descrizione delle nostre avventure, dopo aver varcato la frontiera cui accennavo prima, scendiamo lentamente con cautela verso Castellar, un piccolo paese sopra Mentone […]
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall’Arroscia alla Provenza. Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, IsrecIm, ed. Cav. A. Dominici, Oneglia Imperia, 1982

Si è qui sopra riprodotto un minimo stralcio delle avventure occorse ad un gruppo di partigiani che, debitamente autorizzati dai comandi garibaldini imperiesi, cercavano di unirsi alle forze alleate, a quella data ormai giunte alla frontiera italo-francese.
Arrivati oltre confine Lavagna ed i suoi compagni, compresi quelli trovati cammin facendo, vennero arruolati nella FSSF, First Special Service Force (chiamata anche The Devil’s Brigade, The Black Devils, The Black Devils’ Brigade, Freddie’s Freighters), reparto d’elite statunitense-canadese di commando, impiegato anche nella Operazione Dragoon nel sud della Francia, tuttavia sciolto nel dicembre 1944; a questa data, per non farsi internare, questi garibaldini furono costretti ad immatricolarsi nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese.
Adriano Maini

La stazione ferroviaria di San Michele, Frazione di Olivetta San Michele (IM)

Estate-autunno 1944 – Sfollamento a San Michele. Altri ricordi ferroviari
Dopo il primo bombardamento notturno e dopo due o tre notti passate nella galleria-rifugio di via San Secondo, si pensa di sfollare, anche perché l’alloggio è stato un po’ danneggiato. La scelta di molti ventimigliesi cade su Airole e San Michele, per via della facile comunicazione ferroviaria con Ventimiglia, dove la vita e il lavoro continuano.
[…] Trovata sistemazione a San Michele, vi portiamo, sempre col treno, un po’ di masserizie (letti, materassi, vestiario, oggetti di cucina). Si spera sempre che gli alleati “facciano presto”, specialmente dopo lo sbarco in Provenza
dell’agosto. Ma proprio quest’ultima operazione sarà la generatrice delle più gravi vicende.
Il trenino per un po’ di tempo fa il suo bravo dovere tra Ventimiglia e Piena, poi sposta il suo capolinea ventimigliese in zona Peglia (non ricordo più se per interruzione del ponte sul Roia o per non esporlo a mitragliamenti in stazione).
Una sera (ancora chiaro), quasi in arrivo a Bevera, sentiamo e vediamo volteggiare sopra di noi un paio di “caccia”. Il treno si ferma, tutti giù di corsa verso il paese, a ripararci quanto possibile. Non succede nulla, quei piloti hanno avuto coscienza. Si riparte a notte fatta. Pochi giorni dopo il servizio ferroviario cessa di funzionare.
A Ventimiglia la situazione si aggrava. Bombardamenti, mitragliamenti, incursioni fulminee. Mancato il treno, si utilizza qualsiasi mezzo, biciclette, carri a trazione animale, perfino un carrello del Servizio Lavori (cioè uno di quei carrelli, non a motore, che circolano sui binari per la manutenzione), naturalmente usato una sola volta in discesa, ché spingerlo in salita sarebbe stato impossibile; infine si va anche a piedi.
Un mattino, transitando da Airole (meglio, sotto Airole, sulla statale), trovo un carro, trainato da un mulo, carico di giovani dell’esercito della R.S.I., che dalla loro caserma (il fabbricato mi pare ci sia ancora) si apprestano a scendere verso Ventimiglia. Tra essi alcuni amici che avevano fatto quella scelta. Mi invitano a salire ed io accetto di buon grado anche se, cammin facendo, “stringo” un po’ all’idea di trovarmi in mezzo a un agguato di partigiani.
Come si intuisce, è ormai impossibile percorrere tutti i giorni il tragitto San Michele-Ventimiglia. Però bisogna andare perché si rischia di essere considerati assenti ingiustificati dal lavoro. Allora ci si ferma qualche notte a Ventimiglia, poi si va su e si ridiscende e così via […]
Renato Pastorino, “Flashes” di guerra 1940-1945 in Renzo Villa e Danilo Gnech (a cura di), Ventimiglia 1940-1945: ricordi di guerra (con la collaborazione di Danilo Mariani e Franco Miseria), Comune, Studio fotografico Mariani, Dopolavoro ferroviario, Ventimiglia, 1995

La  N. 1 Special Force, la sezione italiana del SOE, organizzò l’invio di una missione, comandata dal capitano Robert C. Bentley

Vallecrosia (IM): una vista delle spiagge sino al confine con Bordighera

Nel settembre del 1944 le missioni del SOE sul campo erano complessivamente 17, di cui 9 britanniche: Flap […] ed 8 italiane Flare, Decolage, Beinstone, Pluma, Winchester, Ant [?], Canopy, e Beacon. Si tratta comunque di una partizione artificiosa perché derivava dalla nazionalità del comandante. Gli inglesi optarono per questa presenza mista perché la presenza di soli italiani era considerata potenzialmente destabilizzante. L’americano Office of Strategic Service invece utilizzava molti ufficiali italiani, che agivano in maniera scoordinata rispetto alle missioni britanniche, duplicando i contatti ed inasprendo la latente rivalità con il SOE. Si caricava di difficoltà notevoli in virtù della loro scarsa professionalità, eccessiva apprensione in merito alle difficoltà, o a causa della loro politicizzazione.
Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia, QF, 2007, n° 3  

Il rapporto del Ten. Col. Robert Peter McMullen, redatto il 23 maggio 1945, comandante della missione “Clover” (M.11) per la Liguria e la parte occidentale dell’Emilia, ci informa di come una missione dedicata alla Liguria di Ponente fosse stata pianificata nel settembre 1944, subito dopo l’operazione “Dragoon” […] A tal fine, la  N. 1 Special Force, la sezione italiana del SOE, organizzò l’invio di una missione, comandata dal capitano Robert C. Bentley, denominata “Saki”, che dal confine francese si sarebbe portata nella provincia di Imperia. Bentley avrebbe studiato la possibilità di approvvigionamenti alle forze partigiane via mare, e avrebbe cercato di collegarsi con la missione “Flap” che era già operativa nel Piemonte meridionale e al confine con la  provincia di Savona. Dopo una ulteriore missione, denominata “Clarion”, comandata dal maggiore Duncan Lorne Campbell, sarebbe stata paracadutata per svolgere compiti di collegamento nella zona montagnosa a sud delle Langhe, egli avrebbe preso il comando del personale britannico nelle province di Imperia e Savona. […] Questo è quanto scrive McMullen, ma andando a ritroso, leggendo le istruzioni operative (Operation Instruction) redatte il 24 settembre 1944 dal commander RNVR Gerald Alfred Holdsworth, comandante della N. 1 Special Force per la missione del maggiore Campbell, denominata “Clarion”, troviamo che le cose andarono in modo diverso. Inizialmente la missione doveva essere paracadutata nella zona di Cuneo dove sarebbe stata contattata dal maggiore Temple della missione “Flap”, e successivamente avrebbe preso contatto con la 2° Divisione Ligure a nord di Imperia. La missione Flap era in contatto con le formazioni autonome del Maggiore Enrico Martini “Mauri” dell’Esercito di Liberazione  Nazionale. Ma siccome nelle intenzioni dei garibaldini imperiesi, dopo la ritirata delle forze nemiche, c’era l’occupazione delle città della Liguria occidentale da Albenga al confine francese, i compiti della missione erano militari (misure antistorch, cioè la protezione degli impianti, del  personale, delle infrastrutture dalle possibili distruzioni dei tedeschi) e politiche, cioè l’organizzazione successiva delle autorità amministrative, dei partigiani, il mantenimento dell’ordine pubblico in attesa dell’arrivo delle truppe alleate e dell’AMG. Le istruzioni operative descrivono dettagliatamente gli scopi, i metodi, la consistenza delle forze nemiche e dei partigiani, la presenza di altre missioni alleate, la politica da adottare con i partigiani, i mezzi finanziari di cui la missione avrebbe disposto, i collegamenti con la base. Il vice comandante sarebbe stato il capitano Bentley, ma la missione Clarion non iniziò come previsto. Nelle istruzioni operative della missione “Saki” del capitano Bentley, redatte un mese dopo, il 30 ottobre 1944, troviamo che la sua missione sarebbe arrivata via mare, avrebbe raggiunto le formazioni garibaldine della Divisione “Cascione” sulle montagne imperiesi e solo dopo il suo insediamento sarebbe stata paracadutata la missione Clarion del maggiore Campbell. Al suo arrivo Bentley avrebbe lasciato il comando della missione a Campbell. Ma anche la missione Saki  non ebbe luogo secondo quanto pianificato  per le cattive condizioni climatiche. La missione Clarion venne paracadutata l’8 dicembre 1944: era composta dal maggiore Campbell, dal capitano Irving Bell, dal tenente Clark e da due operatori radio. Questa informazione ci è fornita dal rapporto del capitano Cosa, comandante della 3^ Divisione Alpina (autonomi), redatto il 7 aprile 1945. Il lancio aveva avuto luogo dopo che i tedeschi avevano già occupato Villanova Mondovì e già si sapeva che si stavano preparando per operazioni di rastrellamento su larga scala. “Io avevo già avvertito il Ten. Clark di questo fatto e avevo energicamente insistito sul fatto che il lancio non doveva essere effettuato. Al più presto cercai un luogo sicuro con la sua missione in pianura, dove l’avrei accompagnato con una  buona scorta, al fine di evitare l’incerto destino di venire rastrellati. Invece egli desiderava ritirarsi più in alto sulle montagne, per non correre il rischio di attraversare le linee nemiche (eravamo ormai circondati). Dopo alcuni giorni molto duri in montagna la missione è scesa per riposarsi a Frabosa, ma è stata sorpresa dai tedeschi, quasi tutti sono stati catturati. Solo il capitano Irving Bell fu salvato.[…]” […] La missione via mare di Bentley riuscì ad infiltrarsi nella notte del 6-7 gennaio 1945, dopo otto tentativi di sbarco, sulla spiaggia nei pressi di Bordighera [n.d.r.: in effetti la squadra di Bentley sbarcò più a ponente, tra Camporosso e Vallecrosia] […]  Antonio Martino, La missione alleata “Indelible” nella II^ Zona Operativa savonese, pubblicato su Storia e Memoria, rivista dell’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Genova, 2011-1

[…] l’arrivo del maggiore Temple rappresentava qualcosa di più: era arrivato tra noi un ambasciatore e un addetto militare del governo inglese e degli Alleati, era il riconoscimento ufficiale e tangibile della legittimità della nostra lotta; con lui diventavamo cobelligeranti. L.B. Testori, La missione Temple nelle Langhe, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 159 – Nell’agosto ’44 erano attive ben 4 missioni italiane, con 13 agenti italiani; 9 missioni britanniche con 16 agenti britannici; 13 italiani in missioni britanniche. In Piemonte, le comandava il maggiore “Temple”, missione “Flap”. Cfr. M. BERRETTINI, op. cit., p. 38. “Temple” (Neville Darewsky), classe 1914, ufficiale dell’esercito inglese, morì il 15 novembre 1944 in un incidente a Marsaglia (CN). Era stato paracadutato tra le formazioni di Mauri il 6-7 agosto 1944. Ebbe importanti incontri con il Cmrp; a lui si deve l’idea della costruzione dell’aeroporto di Vesime (AT); qui giunsero Stevens e Ballard, gli ufficiali dello Soe che lo sostituirono.
Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, in “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

Il 20 ottobre 1944 “Curto”, Nino Siccardi, con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
[…] Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell’VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l’incontro tra il comandante [della II^ Divisione Garibaldi “Felice Cascione” della I^ Zona Operativa Liguria] Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski): “Curto” chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale “Curto” rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio-30 Aprile 1945) – Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

[…] Il 27 settembre 1944 lasciarono il quartier generale della FLAP vicino a PREA le seguenti persone:
Capitano LEES In comando
MORTON Corrispondente di Guerra
Capitano LONG Artista di Guerra
Tre aviatori dell’U.S.A. Air Force. Quattro ex prigionieri di guerra (britannici), e due delegati italiani. E le guide italiane accompagnate da NINO, uno dei luogotenenti del Capitano COSA.
La squadra seguì il percorso segnato sulla mappa allegata.
Dopo dieci ore di marcia da PREA a MONGIOIE (2.630 metri), la squadra giunse al quartier generale della divisione Garibaldi (LIGURIA) a PIAGGIA (N.B. La prima neve stava cadendo sulle montagne durante la nostra traversata ed i Partigiani ci fecero notare che da quel momento in poi la traversata di questo passo sarebbe stata estremamente difficile in inverno). La squadra dormì al quartier generale della divisione e proseguì la mattina seguente attraverso Monte COLLARDENTE fino a COLLA LANGAN, una marcia di sette ore. Qui è situato il quartier generale della 5^ Brigata Garibaldi: da qui la squadra viaggiò su di un autocarro fino a PIGNA.
A PIGNA il Capitano LEES decise di dividere la squadra e ripartì la mattina seguente coi due delegati italiani ed un ex prigioniero di guerra, Fred DOBSON. Il Capitano LEES mi tenne informato con annotazioni sui suoi movimenti nei tre giorni successivi e raccomandò che a causa della sua assenza fino al momento in cui avrebbe scritto di trovare un percorso attraverso le linee via FANGHETTO ed OLIVETTA, avrei dovuto prendere la guida italiana del Capitano COSA, NINO, e provare un percorso più settentrionale, conosciuto da questa guida e che avrebbe comportato la traversata delle ALPI MARITTIME nelle vicinanze di TENDA.
Durante il periodo di attesa a PIGNA il comandante dei Partigiani della zona noto come LEO [Stefano Carabalona] ci parlò della possibilità di passare in FRANCIA in barca da VENTIMIGLIA e suggerì di inviare uno dei suoi uomini sulla costa per fare delle indagini. Io informai gli altri dei due percorsi (via Tenda con NINO, la possibilità del percorso in BARCA). Alcuni prigionieri di guerra preferirono il percorso via TENDA che sembrava il più definito e fu perciò deciso di dividere ancora la squadra. La mattina seguente quattro prigionieri di guerra partirono con NINO sulla strada per TENDA.
I seguenti uomini rimasero a PIGNA per attendere notizie della barca: il Corrispondente di Guerra Paul MORTON, il Sergente, Artigliere dell’aria, Bob LAROUCHE dell’U.S. Air Force, l’ex prigioniero di guerra William Mc Clelland, delle Guardie Scozzesi, ed io. Dopo ulteriori due giorni di attesa la guida ritornò con la notizia che una barca stava aspettando a VENTIMIGLIA […]
capitano G. K. Long, Relazione su Piemonte e Liguria, documento britannico in Archivio “Kew” di Londra, ricerca di Giuseppe Mac Fiorucci, autore di Gruppo Sbarchi Vallecrosia, IsrecIm, 2007

Fu inviato il capitano Robert Bentley. Doveva arrivare già alla fine del ’44, ma le precoci nevicate sui passi alpini ne ritardarono l’arrivo.
Il Gruppo Sbarchi al completo si incaricò di accompagnare l’ufficiale inglese e il suo telegrafista ai Negi e consegnarlo ai garibaldini di Curto e di Gino Napolitano. Il tragitto fino ai Negi non fu agevole; la radiotrasmittente era nascosta in un carretto con ceste di fiori condotto da Eraldo Fullone, Aldo Lotti e Achille (“Andrea” Lamberti), che precedevano Elio Bregliano che accompagnava i due inglesi. Vennero fermati da un tedesco. Achille passò senza problemi, e Aldo Lotti usò tutta la sua loquacità per distogliere le guardie e consentire a Bentley e Mac Dougall di passare. Superato l’ostacolo del tedesco, il capitano con il più smagliante dei sorrisi fece notare a Elio che, se fossero stati catturati, loro, sotto il pastrano borghese fornitogli dai partigiani, indossavano la regolare divisa inglese e quindi avrebbero potuto invocare il rispetto della Convenzione di Ginevra e essere considerati prigionieri di guerra, mentre lui sarebbe stato fucilato sul posto. Fuori paese, lungo il sentiero della collina che portava a Negi, uno dei due inglesi accese una sigaretta, inglese naturalmente. Elio sconsolato si fermò apostrofando gli inglesi in modo brusco ricordando che al momento dello sbarco per poco annegavano, che non contenti giravano con la divisa inglese, e da ultimo tanto per complicarsi ancor più la vita, fumavano tabacco Virginia, il cui profumo si sentiva da Perinaldo a Seborga. Se qualche tedesco fosse stato nei paraggi non avrebbe faticato ad individuarli. L’inglese spense la sigaretta e chiese scusa. Tutto andò nel migliore dei modi. Con lo sbarco del capitano Bentley si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di “Leo” Carabalona, del quale faceva parte Giulio “Caronte” Pedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate.
Gli sbarchi si susseguirono con invio di anni e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio.
Renato Plancia Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, < Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2007

Al pari di tutte le altre attività del SOE, anche per l’invio di missioni di collegamento era necessaria una notevole preparazione organizzativa, che risentiva della scarsa disponibilità di mezzi della Special Force, trovando ostacoli per la pianificazione e l’esecuzione, e che costringeva a scegliere le priorità.
Mireno Berrettini, Op. cit.

Il gruppetto, che aveva scelto l’espatrio “via mare”, si attivò affidandosi ai due robusti rematori citati

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Alture che sovrastano Ventimiglia (IM) e che furono attraversate dal “quartetto” – cit. infra – di Morton

Il rientro tra le linee alleate di una parte della Missione britannica Flap avvenne, come è noto, facendo una tappa decisiva a Pigna (IM), tra i partigiani della V^ Brigata “Nuvoloni” impegnati nella difesa dell’appena costituita Libera Repubblica. Alla Missione si era aggregati partigiani della provincia di Cuneo, che speravano di riuscire a raggiungere – come in effetti avvenne – Roma per conferire con esponenti del governo Bonomi, piloti ed avieri alleati che erano riusciti a sottrarsi alle ricerche dei nazifascisti, guide ed accompagnatori. L’articolo che segue riassume gli eventi citati da un punto di vista particolare.
Adriano Maini

Da almeno un mesetto la nostra squadra, vale a dire quella di Nino Micheletti, prestava servizio al posto di blocco avanzato operante sulla strada provinciale a valle di Frabosa Sottana.
Verso il 24/25 settembre 1944, Micheletti venne convocato dai Dirigenti Divisionali (Cosa e Giocosa), per urgenti, indifferibili motivi.
Quando fu di ritorno nel Distaccamento, mi descrisse, un po’ eccitato, l’accaduto. […] Da questa indifferibile esigenza, nasce l’iniziativa di rivolgersi al neonato governo del Sud, di concerto con il Comitato Regionale di Liberazione Piemontese, e l’appoggio del grande amico, Maggiore Temple, per segnalare le principali carenze che mettevano in grave pericolo non solamente i soggetti combattenti ma, altresì, tutti i civili della zona.
Per fronteggiare tale seria contingenza, si rendeva pertanto necessario contattare tempestivamente e senza indugi, il nuovo governo centrale, presieduto da Ivanoe Bonomi, da poco insediato a Brindisi [in verità a Roma].
Il Comando divisionale, forse rassicurato dalla notizia che la squadra di Micheletti si era procurato tutto l’armamento rastrellando periodicamente l’area monregalese e quella tendasca, non esitò ad affidare a Micheletti e compagni il gravoso incarico di scortare i due messaggeri, Bessone e Astengo, oltralpe, per consentir loro di accedere all’aeroporto di Nizza, da pochi giorni liberata dagli alleati anglo-americani, e di lì raggiungere la meta prefissata. In realtà, i quattro partigiani della scorta, Micheletti, Mondino, A. Clerico e Maccalli, ignoravano totalmente le caratteristiche di quella zona alpina che avrebbero dovuto affrontare.
Ed eravamo pure all’oscuro del recente potenziamento delle guarnigioni “repubblichine” disseminate sull’intera riviera di ponente, rientrate dalla Germania dopo un teutonico rigoroso addestramento. […] Nel frattempo, prima della partenza, dietro insistenza degli stessi interessati, al nostro gruppetto vennero aggiunti una decina di militari alleati desiderosi di rientrare nei rispettivi organismi e due civili, un giornalista canadese (Morton) e l’italiano radiotelegrafista (Biagio), che se non sbaglio, potrebbe chiamarsi Secondo Balestri, emiliano di origine.
Elenco, non tutti, i nomi che ancora ricordo: Capitano Lees, rigido Ufficiale effettivo inglese che coordinava il comportamenti dei suoi sottoposti, Capitano di complemento sud africano Long, disegnatore, esperto nel campo della fotografia, Caporale scozzese Mac Clelland, soggetto estroverso e coraggioso, Larousse Sergente americano di etnia francese, Jan Smith di asserita dubbiosa origine rhodesiana, Pat, forse inglese, ed altri tre o quattro militari, dei quali ricordo la fisionomia, ma non il cognome e la provenienza.
Partimmo da Rastello, piccolo borgo della Valle Ellero, il giorno 27 settembre 1944. A motivo delle precarie condizioni di salute del prof. Bessone, fummo accompagnati dal giovane medico monregalese Serafino Travaglio sino alla Frazione Piaggia di Briga Marittima, ove pernottammo. […] dopo un secondo faticoso giorno di marcia, arrivammo, sfiniti, a Pigna, ubertoso Comune medioevale dell’alta Valle Nervia. […] Ci mise in contatto con due Comandanti garibaldini che non finivano di ringraziarci per la generosa accoglienza e l’aiuto prestato alle formazioni garibaldine, in rotta a seguito dei consueti impietosi rastrellamenti.
Ci assicurarono che nel giro di una mezza giornata ci avrebbero fatto conoscere le fidate persone idonee a risolvere i problemi che ci angustiavano.
Siamo rimasti increduli sino all’arrivo dei protagonisti..
Convenimmo di dividere in piccolo gruppetti gli uomini da espatriare. Così si sarebbe reso meno visibile e pericoloso il movimento di uomini nella vicinanza della frontiera. Un gruppetto si sarebbe avventurato sui sentieri montani ben conosciuti dai partigiani locali. L’altro, invece, via mare, su di un barcone condotto da due muscolosi rematori figli di partigiani.
Alcuni “alleati” ai quali avevamo riferito la situazione in atto, si dimostrarono un po’ esitanti, forse paurosi e scelsero di ritornare con noi tre partigiani del monregalese, confidando nella imminente fine della Guerra.
Non furono profeti…. Due di essi caddero nel corso del tristissimo rastrellamento di fine 1944.
Tenendo presente l’urgenza degli adempimenti affidati ai due emissari, decidemmo, sempre d’intesa con i nostri inaspettati generosi amici, di includere nel primo gruppo il prof. Bessone,  l’Avv. Astengo, il Capitano inglese Lees ed il radiotelegrafista Biagio.
Costoro, il 2 ottobre [1944] si avviarono verso i sentieri montani, accompagnati da due esperti locali e, come si seppe poi, raggiunsero dopo molte fortunose peripezie il luogo stabilito.
La spedizione del secondo “quartetto” (cap. Long, giornalista Morton, militare scozzese Mac Clelland, sergente Larouche) si rivelò molto più complicata e rischiosa, nonostante i costanti, generosi aiuti dei garibaldini locali.
Infatti, i tedeschi da diversi giorni insediati nel fondo Valle, probabilmente avvertiti da qualche spia, iniziarono un intenso, fitto bombardamento sulla zona di Pigna, seguiti da un ampio rastrellamento che compromise il “piano” concordato , già pronto per essere attuato, via mare.
Ci furono due-tre giorni di combattimenti, ai quali partecipammo anche noi della Val Corsaglia. Gli assalitori, come già una quindicina di giorni prima, vennero respinti.
Trascorse poche ore e ritornata un po’ di quiete, il gruppetto che aveva scelto l’espatrio “via mare”, si attivò affidandosi ai due robusti rematori citati. Dopo dannosi imprevisti salirono su uno sgangherato barcone e riuscirono a raggiungere Montecarlo. Non ricordo più il giorno della loro partenza (forse il 6-7-8- ottobre) ed ignoro i gravi rischi sofferti ed i contrattempi superati in quella delicata circostanza. Su di un volume redatto qualche decennio dopo dal giornalista Morton, ho trovato alcune verità e molta fantasia, descritta secondo schemi romanzeschi.
Dopo l’attenuarsi degli attacchi nazisti, ma ancora prima di conoscerne con assoluta certezza la fine, i Comandanti locali, Curto [Nino Siccardi, comandante della II^ Divisione “Cascione”, in seguito responsabile del Comando della I^ Zona Operativa Liguria] e Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della V^ Brigata “Nuvoloni”, ma destinato a subentrare al Curto nel comando della Divisione], ci consigliarono fraternamente, per non mettere in gioco la nostra esistenza, di abbandonare la Valle e ritornare nella nostra Divisione monregalese.
Nel ringraziarci per la collaborazione prestata, espressero gratitudine e riconoscenza al Capitano Piero Cosa ed alla Valle Corsaglia per il grande aiuto concesso alle loro Formazioni in un momento tragico e disperato.
Decidemmo di rientrare. Insieme a noi c’erano 4/5 superstiti alleati che avevano rifiutato di tentare il passaggio della frontiera italo-francese.
Luigi Mondino, L’avventura della squadra Micheletti. Scelti 4 della Val Corsaglia per la missione “Inside”, supplemento al numero 1 dell’aprile 2010 de “L’ELMETTO”, Cuneo

In Valle Pesio i primi gruppi confluirono rapidamente nella banda comandata da Piero Cosa che, sul piano militare, si impegnò in frequenti azioni di sabotaggio, soprattutto lungo le vie di comunicazione tra Piemonte e Liguria che rendevano la valle di forte interesse strategico. Tedeschi e fascisti risposero a queste azioni con ripetuti rastrellamenti e sanguinose rappresaglie che, tra gli effetti, ebbero però anche quello di accrescere i giovani che salirono in montagna e si affiancarono alla banda. Già alla fine del febbraio 1944 agiva in tutta la provincia una efficiente rete di informazioni, denominata “servizio X”.
Tra il marzo e l’aprile 1944, però, un ampio rastrellamento tedesco che coinvolse le valli Corsaglia, Ellero e Pesio – e che culminò in quella che viene ricordata la “battaglia di Pasqua” – mise a dura prova la capacità militare della brigata. Nel luglio 1944 parte delle forze partigiane della valle guidate da Piero Cosa costituirono la 1ª Divisione Alpina che, successivamente, assunse il nome di 3ª divisione Alpi e, nel febbraio 1943, quello definitivo di Gruppo Divisioni Autonome “R”. Durante l’estate il movimento partigiano si accrebbe in tutte le valli; in Valle Pesio, oltre alla presenza di varie missioni alleate si intensificò il coordinamento tra formazioni di diverso orientamento politico. Nel dicembre 1944, però, un nuovo rastrellamento nazista accerchiò tutte le valli del monregalese occupate dalla 3ª e 4ª Divisione Alpi, disperdendo gli uomini e costringendo le formazioni ad una lenta riorganizzazione che solo nel marzo successivo consentì loro di riprendere l’attività militare. Nell’aprile 1945, tuttavia, le formazioni partigiane liberarono tutti i centri del Cuneese e vi insediarono l’autorità del Cln prima dell’arrivo degli Alleati.
Redazione, I sentieri della memoria, Chiusa Pesio Museo della Resistenza

I partigiani responsabili degli sbarchi dovevano segnalare alle ore 23.15

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Vallecrosia (IM): Monumento ai Partigiani del Mare

A settembre 1944 insieme a Renzo Rossi partecipai all’incontro con Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo]. Ci accompagnò Confino, maresciallo dei Carabinieri che aveva aderito alla Resistenza. Vitò investì formalmente Renzo Rossi del compito di organizzare, per la nostra zona, il S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] e la S.A.P.: io fui nominato suo agente e collaboratore….
Renzo “Gianni” Biancheri, “Rensu u Longu“, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007

Rosina (Luciano Mannini) racconta: “Il servizio di informazioni militari, esplicato dalla missione «Leo» in Italia con i comandi alleati, ebbe inizio alla fine del settembre 1944, con l’arrivo nella zona della V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”] di ufficiali americani ed inglesi giunti attraverso i passi montani dal Piemonte, ove erano stati paracadutati. Il capitano Leo [Stefano Carabalona], attestato allora a Pigna, comandante del distaccamento che li ospitava e che provvide in seguito a farli condurre – parte attraverso i valichi alpini e parte via mare – in Francia, stabilì col capo della missione alleata [Missione Flap] i primi accordi che dovevano condurre alla formazione di un gruppo specializzato che collegasse, per mezzo di una rete segreta, la nostra zona a quella occupata dagli alleati e fungesse da centro di raccoglimento e di smistamento di notizie militari e politiche interessanti la lotta”.
Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

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Vallecrosia (IM): uno scorcio della zona (tra il Torrione, la ferrovia, la spiaggia e il confine con Bordighera) che verso la fine della guerra era stata minata dai tedeschi

A dicembre 1944 alla S.A.P. di Vallecrosia si aggregarono alcuni partigiani scesi dalla montagna…
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

La missione Leo [n.d.r.: dal nome di battaglia del responsabile, il comandante Stefano Carabalona] alla quale appartenevano Rosina [Luciano Mannini], Lolli [Giuseppe Longo], Giulio [Corsaro/Caronte] Pedretti, ed alcuni altri giovani che si erano temprati nelle lotte di montagna, si portò a Nizza nel [nella notte tra il 10 e l’11] dicembre 1944, dopo due mesi di utile lavoro preparatorio, per mezzo della leggendaria imbarcazione guidata dall’infaticabile «Caronte» Giulio Pedretti e da Pascalin [Pasquale Pirata Corradi, di Ventimiglia (IM), come Pedretti]. A Nizza, Leo si incontra con i responsabili dei servizi speciali alleati e prepara il piano definitivo di lavoro, che comportava, fra l’altro, l’uso di apparecchi radio trasmittenti, per i quali la missione aveva già predisposto gli operatori. Nel gennaio 1945 la missione rientra in Italia, dove il terreno era già stato preparato in anticipo. Si organizza e comincia a funzionare in pieno…
Mario Mascia, Op. cit.

Con lo sbarco [n.d.r.: notte tra il 6 ed il 7 gennaio 1945] del capitano Bentley si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di “Leo” Carabalona, del quale faceva parte Giulio Corsaro Pedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate. Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. […]
Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. Tra queste operazioni vi fu la tragica “Operazione Leo”, a seguito della “Operazione Gino”, di cui non conosco i particolari, ma che mise a repentaglio tutta la nostra organizzazione.
RenatoPlanciaDorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

In parallelo agli aviolanci alleati, ma con maggiore assiduità, avevano luogo sbarchi di materiale bellico nella zona di Vallecrosia-Bordighera. I volontari che si occuparono di tali trasporti appartenevano al gruppo di “Leo”, Stefano Carabalona, che fungeva da tramite tra i garibaldini e la missione alleata in Francia. Giulio Pedretti, “Corsaro”, fu il partigiano che più di ogni altro si impegnò in tali operazioni, al punto che alla fine della guerra aveva effettuato 27 traversate per recapitare armi e uomini attraverso il tratto di mare prospicente la zona di confine italo-francese.     Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945), Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 – 1999

14 febbraio 1945 – Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione “Silvio Bonfante” – Comunicava che erano imminenti alcuni sbarchi di materiali da parte degli alleati sulle coste controllate dalla II^ Divisione “Felice Cascione” e precisava i criteri di distribuzione dei medesimi. da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

26 febbraio 1945 – Dal comando generale delle Brigate Garibaldi, aderente al CLNAI, prot. n° 541, a tutti i comandi regionali – Segnalava la linea da seguire nei riguardi delle missioni alleate allegando altresì un documento del CLN del Piemonte (prot. n° 215): “… è necessario essere ospitali e collaborare con essi [gli alleati]; tuttavia, si deve mantenere la dignità nazionale, poiché si è verificato che qualche Comando partigiano, pur di aggraziarsi la simpatia degli alleati, abbia messo questi al corrente di beghine interne o abbia accettato, in cambio di avio-lanci, la sudditanza sul piano organizzativo-operativo, contravvenendo, in tal modo, agli ordini del Comando Generale ed elevando a comandanti coloro che sono alleati. Tutto ciò non contribuisce a dare agli alleati l’idea di un movimento partigiano solido ed unitario”.
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

… Rossi [Renzo Stienca Rossi] si accreditò [8 o 9 marzo 1945] presso l’OSS a Nizza. In seguito fece 4 viaggi [recando armi, documenti, uomini di collegamento, materiale vario] via mare dalla Francia [alla costa di Vallecrosia]. Tornò definitivamente in Italia la notte del 27 aprile 1945, sbarcando a Sanremo… Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II, Paperback, 2013

4 aprile 1945 – Dal Quartiere Generale rappresentante dell’Alto Comando Alleato [capitano Robert Bentley] al commissario Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”] – Veniva conferito incarico al commissario in indirizzo di avvisare i responsabili della ricezione degli sbarchi di iniziare le segnalazioni alle ore 23.15 del giorno 4 stesso per i 5 giorni successivi, mentre dal giorno 10 al giorno 12  dovevano iniziare alle ore 24.  L’intervallo tra una segnalazione e l’altra doveva essere di 5 minuti.  Si richiedevano chiarimenti sulla lettera del 29 marzo con la quale era stato comunicato che i tedeschi erano a conoscenza del punto di sbarco.

11 aprile 1945 – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione  – Veniva comunicato l’imminente sbarco di Bartali [Giovanni Bortoluzzi, già a capo a settembre 1943 di una prima banda di partigiani in Località Vadino di Albenga (IM), poi dirigente sapista in quella zona, capo missione della Divisione “Silvio Bonfante” presso gli Alleati, vicecapo della Missione Alleata nella I^ Zona nei giorni della Liberazione] e veniva ordinato di tenere a disposizione dello scrivente comando eventuale materiale arrivato nel frattempo via mare.

13 aprile 1945 – Dal  C.L.N. di Sanremo, prot. n° 581, al S.I.M. della V^ Brigata – Informava anche sul fatto che le armi, arrivate via mare, erano ancora a Bordighera da dove poi si sarebbe provveduto alla distribuzione.

13 aprile 1945 – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria a Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”] – Si sollecitava maggiore attenzione nell’individuare per tempo e nell’avvertire di movimenti del nemico rispetto alla tematica sbarchi, in quanto il motoscafo di Renzo [Renzo Stienca Rossi], ricevuta una segnalazione sospetta dalla costa, era appena tornato indietro.

18 aprile 1945 – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione – Veniva criticato il fatto che non era ancora pervenuto l’elenco del materiale arrivato con gli sbarchi.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

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Vallecrosia (IM): una vista verso Bordighera dalla spiaggia di Rattaconigli

Il ritorno lo effettuammo con la scorta di una vedetta francese, che accompagnò il motoscafo di Pedretti. Vi furono momenti di apprensione perché da bordo della vedetta si udì distintamente il rombo del motore di un motoscafo tedesco; i nemici non si accorsero della nostra presenza e passarono oltre. Trasbordammo sul motoscafo e sul canotto gli uomini e il materiale delle missioni “Bartali” [Giovanni Bortoluzzi] e “Serpente”, composte da agenti addestrati al sabotaggio. Nelle operazioni di trasbordo alcuni caddero in mare e recuperarli nel buio non fu cosa facile, dovendosi osservare il silenzio assoluto. Attendemmo i segnali convenuti da riva. Anche quella volta nessun segnale. Gli ordini erano di annullare tutto, ma Girò accompagnò ugualmente a terra tutta la comitiva, mentre io tornai a bordo della vedetta, perché nel buio pesto riuscì ad individuare il tratto di spiaggia dinanzi a casa sua. Le difese di quel tratto di costa erano così composte: un bunker alla foce del torrente Borghetto [n.d.r.: che sfocia in Bordighera, Piani di Borghetto], uno nei pressi della foce del Verbone [Vallecrosia], un altro quasi alla foce del Nervia [tra Ventimiglia e Camporosso].
Tra il bunker del Borghetto e quello del Verbone , era tutto un campo di mine, eccetto, giusto alla metà tra i due bunker, un passaggio largo meno di un metro, dalla battigia fino al rio Rattaconigli. Sbarcarono a Rattaconigli e superarono il campo minato attraverso quel sentiero. Quella sera dal bunker di Vallecrosia fino alla foce del Nervia era tutto un pullulare di tedeschi e fascisti. Ci aspettavano. La fortuna fu dalla nostra.
Renzo Biancheri in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

… aveva riallacciato i collegamenti con la Francia

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Vallecrosia (IM): una spiaggia vicina al luogo di sbarco del capitano Bentley ed all’abitazione (zona Casette di Camporosso Mare) della famiglia di Alberto Nino Guglielmi

Inoltre l’inverno giunse in anticipo sulle montagne e i collegamenti con gli alleati, che avvenivano attraverso i sentieri alpini, erano resi impossibili. Si ipotizzò anche di tentare con i sommergibili, ma non ci fu nessun serio risultato. Si poteva tentare soltanto via mare. Il 20 dicembre 1944 doveva sbarcare il capitano Robert Bentley, ma fu tutto rinviato per il mare in tempesta. Dapprima arrivarono due collaboratori del capitano […]
Renato Dorgia in Giuseppe Mac FiorucciGruppo Sbarchi VallecrosiaIstituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2007

Io sono partito per la Francia il 10 dicembre 1944; giunto colà presi contatto con il Comando Americano di Nizza con il quale già ero in relazione da circa due mesi.
Stefano “Leo” Carabalona in una lettera a Enzo Siccardi (Curto), comandante della I^ Zona Operativa Liguria, acclusa al dispaccio prot. n° 2 del CLN di Bordighera del 26 febbraio 1945, documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II -, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Fui inquadrato in un distaccamento partigiano che si avvicinò alla provincia di Imperia. Qui fui assegnato alla IV^ Brigata “Elsio Guarrini” della II^ Divisione Garibaldi “Felice Cascione” […] Da questa situazione nacque l’idea, nel comando della “Felice Cascione”, di una nostra missione, che dovesse portarsi in Francia presso i Comandi Alleati per sollecitare l’invio di divise, viveri, armi e munizioni. E per combinare azioni militari congiunte contro le forze nazifasciste nella nostra zona. Così nacque la Missione Kahnemann, con la supervisione del comandante “U Curtu” [Nino Curto Siccardi]. Fra i componenti [la missione Kahnemann] furono assunti fra gli altri (non li ricordo tutti) Alberto Guglielmi “Nino” e Luciano Mannini “Rosina”. Io, perché ufficiale dell’esercito, a conoscenza delle lingue francese e inglese, studiate a scuola e poi coltivate privatamente. Nino e Luciano perché conoscevano la zona a menadito, soprattutto i camminamenti tra le mine sulla spiaggia. Fu incluso nella missione anche certo Jean Gérard, francese… Non l’avessimo mai fatto, come dirò dopo!!! […] La gendarmeria di Monaco, informata dello scopo della nostra missione, si mise subito in contatto con quella di Nizza […] nelle prime ore del mattino successivo stavamo già nella sede della gendarmeria di Nizza […] Quasi subito fu prelevato Kanhemann, capo della nostra missione e portatore di tutti i documenti referenziali attestanti la nostra identità politica.  
Domenico Mimmo Donesi in Giuseppe Mac Fiorucci,  Gruppo Sbarchi VallecrosiaIstituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2007

Raggiunti gli alleati, Mimmo (Domenico Dònesi) e Nino (Alberto Guglielmi) furono ingaggiati dai servizi inglesi, sottoposti ad un breve addestramento e preparati alla missione di invio dell’ufficiale di collegamento presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria, il capitano Robert Bentley, del SOE   britannico. Dopo Natale Nino fu inviato a preparare lo sbarco di Bentley.
appunti inediti di Giuseppe Mac Fiorucci, per Op. cit.

Ripassai in Francia e studiai un piano per entrare in Italia via mare… i vostri uomini di Bordighera e Vallecrosia, Leo [Stefano Carabalona], Renzo Rossi, Rosina [Luciano Mannini], Caronte [detto anche Corsaro, Giulio Pedretti], Renzo Biancheri hanno seguito la stessa via numerose volte. Ad ogni modo presi contatto con Leo, che era appunto appena sbarcato in Francia in quel tempo, e poi con Kahnemann (Nuccia), il quale era pure passato [n.d.r.: partendo con il suo gruppo da una spiaggia di Vallecrosia la notte del 14 dicembre 1944] a Nizza e mi posi immediatamente al lavoro. Tonino [Antonio Capacchioni], Mimmo [Domenico Dònesi] e Nino [Alberto Guglielmi] mi furono di grande ausilio durante la fase preparatoria. Le difficoltà di una traversata erano grandissime… decidemmo di inviare Nino perché preparasse il terreno…
capitano Robert Bentley in Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

La notte della Epifania [del 1945] riapparve mio fratello Nino con Mimmo (Domenico Dònesi) e un ufficiale inglese [n.d.r.: il capitano Robert Bentley] bagnato fradicio. Era evidentemente appena sbarcato. Sistemarono delle casse in cantina poi si incamminarono di nuovo […] Emilia Guglielmi, sorella di Alberto “Nino” Guglielmi, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi VallecrosiaIstituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2007

La stazione trasmittente sotto il controllo del capitano Robert Bentley aveva riallacciato i collegamenti con la Francia. Venne pertanto stabilito dal comando operativo di zona un primo attacco combinato fra le nostre forze e l’aviazione nemica contro un caposaldo avversario, quale esperimento. Venne fissata la segnalazione da Radio Londra per la coordinazione dell’attacco: “la neve cade sui monti”, stabilito il luogo, Baiardo, il giorno 17 marzo [1945], e l’ora, le 7 del mattino.  […] I nostri partirono dalla base di Ciabaudo: circa 120 uomini al comando di Gino Napolitano (Gino), Lorenzo Musso (Sumi)  [commissario politico del Comando Operativo della I^ Zona Liguria] ed il capitano Robert Bentley (Roberta) che avrebbero presenziato all’azione. Alle 4 del mattino la marcia veloce e silenziosa ebbe inizio. I nostri erano discretamente armati, grazie specialmente ai rifornimenti giunti nelle ultime settimane in montagna via mare.  Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

Altra modalità di invio da parte degli Alleati fu via mare grazie soprattutto, come già detto, all’organizzazione della SAP di Vallecrosia i cui uomini si esercitarono all’uopo in terra francese sotto la supervisione degli stessi comandi alleati. Anche in questo caso i tedeschi avevano provveduto a organizzare un meticoloso pattugliamento della zona costiera che venne pure disseminata di mine <146. Ciononostante, furono organizzate diverse missioni in direzione della Francia: anche in questo caso, il prezioso carico era costituito da armi e generi di conforto che venivano sbarcati e quindi distribuiti tra le varie divisioni partigiane <147.
[NOTE]
146 Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005, p. 257
147 Ibid., pp. 257,258
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell’estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012

4 gennaio 1945 – Dal comando [comandante “Danko”, Giovanni Gatti] del I° Battaglione “Mario Bini” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 32, al comando della V^ Brigata – Relazione militare:”… da Sanremo (IM) erano partiti 2 Mas, con a bordo uomini della X^ Flottiglia disertori dalle file repubblichine, che sembravano diretti alla costa francese…

11 febbraio 1945 – Dal CLN di Sanremo prot. n° 276 S.I.M. alla Sezione S.I.M. della V^ Brigata [“Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”] Z.O. [Zona Operativa]; p.c. all’Ispettorato Militare I^ Zona Operativa Liguria e alla Delegazione di zona militare Imperia – Oggetto: informazioni sui risultati dei bombardamenti alleati. Vi preghiamo di comunicare al cap. Roberto [capitano Robert Bentley del SOE britannico, incaricato della missione alleata presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] i risultati degli ultimi bombardamenti aereo-navali alleati nella zona di nostra competenza: … BORDIGHERA: martedì 6 febbraio = bombardamento aereo: le bombe sono cadute nei pressi del municipio uccidendo tre persone. Nessun obiettivo militare colpito. mercoledì 7 febbraio = bombardamento aereo = le bombe sono cadute a circa 8 metri dall’ospedale = 1 persona uccisa = obiettivo militare più vicino: radio goniometro a circa 400 metri di distanza. Con riserva di ulteriori comunicazioni. Fraterni saluti. C.L.N. = SANREMO il responsabile del SIM (Mimosa) [Emilio Mascia]

9 marzo 1945 – Dalla Sezione SIM del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 12, al comando della V^ Brigata – Segnalava che … Dolceacqua (IM) era presidiata da circa 500 tedeschi dotati di 400 cavalli; che a Cima Marta e sul Monte Gray si trovava una compagnia di tedeschi; che … ogni giorno da Briga Marittima salivano pattuglie fino a Sanson, Breil [Breil-sur-Roya] e Saorge; che a San Dalmazzo di Tenda continuava il “martellamento” da parte degli aerei alleati, che in un’occasione avevano centrato la stazione ferroviaria.

13 aprile 1945 – Da “Giglio” [G.B. Vento] alla Sezione SIM della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” – Comunicava che il tratto di fronte tra Ventimiglia e Limone Piemonte era stato “oggetto di una vivace attività di artiglieria“…

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II –, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 – 1999

Il 20 maggio 1944 un agricoltore di Camporosso notava la discesa di un paracadute

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Camporosso (IM): uno scorcio delle zone a monte del paese

Verso le ore 18 del 20 andante, in regione collinosa nei pressi di Camporosso, un agricoltore del luogo, notava la discesa di un piccolo pallone di gomma colore marrone, attaccato ad un paracadute di tela bianca.
Individuato il posto della caduta, rinveniva, impigliato su di una pianta di olivo, il pallone predetto, constatando che a questo era attaccato un piccolo apparecchio costituente parte di radio trasmittente, contenuto in una scatola di celluloide trasparente di circa 17 centimetri di lunghezza, dieci di larghezza e cinque di spessore. La scatola porta impresso su una targhetta di alluminio il numero 37955 e la sigla R.S.7.H.
I militi del Distaccamento di Ventimiglia provvedevano per le indagini del caso e per il ritiro del materiale.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia – Maderno, 22 maggio 1944. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma

Ermanno Durante, ex-Questore d’Imperia, torturatore di partigiani nel Campo di Fossoli
Daniel Degli Esposti, Episodio del Poligono del Cibeno, Fossoli, Carpi, 12.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

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Camporosso in una fotografia d’epoca. Fonte: moreschiphoto.it

I libri più noti sulla Resistenza Imperiese non menzionano il sopra citato episodio del paracadute.  Si possono in proposito solo azzardare delle ipotesi. Quella più rischiosa contempla la presenza nella zona del ponente ligure al confine con la Francia di una missione segreta alleata non ricordata nei testi e nelle fonti locali. Oppure che, quale errore degli addetti all’operazione o a causa dei venti (in tal caso, facile la combinazione dei due aspetti), materiale, destinato ai maquisard delle Alpi Marittime, dirottato più a levante. Infine, una fattispecie di incuria (ben grave, data la distanza della destinazione) tecnica o umana a bordo di un aereo in volo per effettuare un lancio ai partigiani autonomi del Basso Piemonte, gli unici in quel periodo ad essere direttamente aiutati dagli angloamericani.
Adriano Maini

… La presenza reale dei partigiani alla Goletta [località di Triora (IM)] era una voce che era giunta anche a me, che ero a Camporosso (IM). Io ero stato a Triora come viceparroco negli anni 1936-37, dove ero anche Rettore di Cetta e di Creppo. Conoscevo bene la gente e conoscevo i parenti di Vitò… Mi presentai a Langan [nel comune di Castelvittorio (IM)] a Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo] il 13 giugno [1944], festa di Sant’Antonio, e gli presentai la mia cartolina precetto. Mi guardò meravigliato. Nella sua mente un fatto del genere non lo aveva previsto… don Ermando Micheletto *La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero  Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

* … Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell’assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

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La zona (detta Braie) a valle del centro urbano di Camporosso

A Camporosso (IM) era nato il partigiano Alberto “Nino Guglielmi” e a Camporosso, Camporosso Mare per la precisione, si sviluppa tra la fine del 1944 e gennaio 1945 la parte più significativa delle sue missioni di contatto e di collaborazione con gli alleati. Come raccontato in Missione Bentley… in Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Comune di Vallecrosia (IM), Provincia di Imperia, Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007, di Giuseppe Mac Fiorucci.  Adriano Maini

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Uno scorcio della zona (la Tribù cit. infra) a mare di Camporosso

La mia famiglia abitava ai piani di Camporosso, a poca distanza dal mare, nel piccolo gruppo di case che noi chiamavamo “Tribù”. Mio padre era pescatore e, come tutti i pescatori abitanti in riva al mare, era anche contrabbandiere.  Prima dello scoppio della guerra eravamo arrivati alla casa dei nonni alla “Tribù” da Beausoleil, dove i miei vivevano da emigrati negli anni ’30. Del  1935 mio padre si arruolò volontario per la guerra di Etiopia. Nella sua attività di contrabbandiere credo che diverse volte trasportò oltre frontiera anche degli ebrei allora perseguitati e in fuga verso altri paesi. Una volta lo sentii parlare con la mamma di “brava gente che scappava”. Forse nacque così il suo antifascismo. […] Mio fratello Nino accompagnava già nostro padre nei viaggi in Francia per contrabbando, quando venne arruolato, ironia della sorte, nella Guardia Confinaria e inviato proprio a Beausoleil.  Spesse volte, anche senza permesso, ritornava a casa in bicicletta per brevi visite.
L’8 settembre 1943 lo colse a Beausoleil.  […]  mio fratello dovette fuggire di nuovo. […]  Credo a settembre del 1944, Nino una notte portò a casa, a Vallecrosia Alta, una radio e la nascose nell’armadio a muro nell’ultima stanza.  […]
Aumentarono le nostre visite alla casa sulla costa. Accompagnavo mio padre con in braccio mio fratellino Bruno per rendere più facile il passaggio al posto di blocco all’altezza della caserma Bevilacqua [di Vallecrosia]. Sorpassavamo di lato la sbarra e i tedeschi e i fascisti di guardia ci salutavano dalla guardiola. A volte trascinavamo il carretto con sopra le ceste dei fiori. A Vallecrosia Alta coltivavamo un piccola piantagione di garofani. Spesse volte tra i garofani mio padre nascondeva casse che nottetempo erano sbarcate sulla costa. […] Sono certa che sbarcarono o si imbarcarono anche altri soldati alleati. In particolare ricordo che prima di Natale del 1944 una notte riapparve Nino accompagnato da un uomo alto, biondo come uno svedese e con due baffoni. Erano appena sbarcati dalla barca, perché i pantaloni erano bagnati, e avevano anche diverse casse che nascosero in cantina e che vennero recuperate nei giorni successivi dagli amici di Nino: Achille [Achille “Andrea” Lamberti], Lotti e altri. Ancora a notte partirono per Negi. La notte della Epifania riapparve mio fratello Nino con “Mimmo(Domenico Dònesi) e un ufficiale inglese [n.d.r.: il capitano Robert Bentley, ufficiale britannico di collegamento degli alleati con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] bagnato fradicio. Era evidentemente appena sbarcato. Sistemarono delle casse in cantina poi si incamminarono di nuovo. Emilia Guglielmi, sorella di “Nino”,  in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

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Una vista su Camporosso da Via Olandesi (cit. infra) nel punto più vicino a Seborrino

Persone nate a Camporosso, trucidate nella strage nazifascista del Turchino del 19 maggio 1944: Gio Battista Ferrero (Camporosso, 3/9/1924), appartenenza: non accertata; Pietro Gibelli (Camporosso, 4/5/1924), appartenenza: non accertata; Rinaldo Sozo (Camporosso, 15/10/1922), appartenenza: non accertata. Il medico Giacomo Gibelli fu addetto di sanità  della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”. Partigiani nati a Camporosso: Alborno, Libero, nato il 15/07/1906; Fullone, Eraldo, nato il 24/11/1924; Garini, Francesco, nato il 01/04/1922; Ghirri, Benvenuto, nato il 18/12/1917; Giansoldati, Alfonso, nato il 14/01/1926; Gibelli, Giacomo, nato il 17/07/1908; Giordano, Nello, nato il 23/12/1922; Guglielmi, Alberto, nato il 06/12/1922; Licasale, Giulio, nato il 09/05/1925; Marenco, Domenico, nato il 10/06/1907; Pelli, Giuseppe, nato il 18/10/1921; Raimondo, Pietro, nato il 08/01/1902; Richieri, Pio, nato il 24/05/1924; Rolando, Bertino Celeste, nato il 12/06/1922; Rondelli, Brigida, nata il 16/01/1905; Rondelli, Clelia, nata il 27/08/1907; Rondelli, Romano, nato il 24/10/1897; Salamito, Francesco, nato il 03/10/1926. Sergio Marcenaro, giovane staffetta (classe 1931) del Gruppo Sbarchi Vallecrosia, racconta che Romano Rondelli era uno dei suoi contatti operativi: lo incontrava in una casa di compagna di Rondelli, sita lungo la strada militare (oggi Via degli Olandesi) che porta in Località San Giacomo e che prosegue verso la Frazione Ciaixe. Marcenaro aveva rapporti clandestini anche con Angelo Calcagno, sempre di Camporosso: lo raggiungeva nella sua abitazione poco lontana dalla Via Aurelia, in sponda sinistra del torrente Nervia. Secondo Giovanni Strato, Op. cit., anche Pietro Trucchi, di Sebastiano, era nato a Camporosso, precisamente il 14 ottobre 1912 . Trucchi era un conduttore, del nucleo dei ferrovieri antifascisti della stazione di Ventimiglia aderente al gruppo Giovine Italia, in contatto con il capitano Silvio Tomasi, martire della furia nazista, ed in collegamento con altri patrioti della zona. Trucchi fu arrestato al pari di un’altra ventina di antifascisti tra il 22 ed il 23 maggio 1944 e morì a Mauthausen il 2 marzo 1945.  Adriano Maini

2 aprile 1945 – Dalla V^ Brigata, Sezione SIM (Servizio Informazioni Militari), prot. n° 370, al Comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione “Felice Cascione” – Venivano trasmesse notizie riferite da un non meglio specificato interprete di Bordighera. Truppe tedesche e fasciste in allarme di 2° grado. Circa 1000 tedeschi avevano lasciato il fronte di Ventimiglia, dove tuttavia permaneva una divisione. Tutti i comandi tedeschi erano in procinto di essere trasferiti a Vallebona e a Borghetto [Borghetto San Nicolò, Frazione di Bordighera]. Il nemico aveva minato le strade di San Biagio della Cima, di Soldano, di Camporosso, di Dolceacqua… 12 marzo 1945 – Dal CLN di Sanremo, prot. n° 424, a “R.C.B.” [l’ufficiale di collegamento degli alleati con i partigiani della I^ Zona, il britannico capitano Robert Bentley] – Comunicava che… sul Monte Fortuna, sopra Camporosso, risultavano collocati 9 pezzi di artiglieria; che nella zona tra Ventimiglia e Bordighera i tedeschi continuavano nell’opera di mobilitazione della popolazione civile per la costruzione di trinceramenti. da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

I figli di Loi sono ora al Comando Militare Americano di Mentone

Mentone

9 gennaio 1945 – XIII
Efisio Loi: Via Ferruccio, 8 S.Remo è un ex-maresciallo capo di Finanza, il quale dopo l’8 settembre non ha fatto giuramento al DUCE. Ha due figli: Pietro (1924) e Paolo (1926) che sono ora al Comando Militare Americano di Mentone.
Efisio Loi, maresciallo, ha detto giorni or sono a Otto Antellini: “Salutami mio cugino che è Commissario alla Dogana Internazionale in Isvizzera, a Chiasso. Digli che i miei due figli sono a Mentone, al Comando Americano. Per il momento sono disoccupato, ma attendo gli avvenimenti (intendendo dire… ‘gli inglesi’)”.
Informazione Otto Ant.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan – Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

Mio fratello Piero [nome di battaglia Pierino] da oltre due mesi era in territorio francese. Con Gianni (Katiuscia) [n.d.r.: Giovanni Leuzzi, commissario di un Distaccamento garibaldino], mio compagno a Pigna e a Testa d’Alpe, decidemmo di attraversare il fronte con una barca; trovai subito Bric e Brac [Amilcare Allegretti], pescatore; la barca c’era, non era sua, ma la vendette come fosse stata di sua proprietà; pagai con quanto mi rimaneva. A sera nel magazzino, con la barca, trovammo dieci giovani nascosti che volevano fuggire e chiesero di portarli con noi: ricordo fra questi il caro amico Giacomo Amalberti (Giacurè); non dicemmo di no. Andammo in casa della famiglia di Pascalin [Pasquale Corradi, Pirata]. Incontrai il cap. Gino [Punzi], tipo di poche parole, forse un napoletano; portava con sé una borsa nera rigonfia che mai abbandonava. Anche i miei genitori giunsero con le loro poche cose. Improvvisamente giunse Scipio da Mentone e appresi che viveva alla Villa Citroniers con mio fratello e Pascalin […]
Paolo Pollastro Loi, testimonianza raccolta da Don Nino Allaria Olivieri in Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999, ripubblicata in Quando fischiava il vento. Episodi di vita civile e partigiana nella Zona Intemelia, Alzani Editore – La Voce Intemelia – A.N.P.I. Sezione di Ventimiglia (IM), 2015

Al Petit Rocher predisponemmo tutto sulla banchina per stivare il carico sul motoscafo che ci avrebbe riportato a Vallecrosia. Dovemmo anche imbarcare due agenti di Ventimiglia (Paolo Loi ed un altro che non ricordo), che avevano seguito un corso per sabotatori imparando a maneggiare l’esplosivo al plastico. Per fare posto ai due sabotatori, lasciammo a terra i viveri e il vestiario, imbarcando solo le armi e i medicinali, contro la volontà degli ufficiali inglesi. […] Arrivati al largo di Vallecrosia nessun segnale ma Girò [n.d.r.: Gireu/Giraud, Pietro Gerolamo Marcenaro] mise ugualmente in acqua i due canotti e disse che per maggior sicurezza saremmo approdati nel tratto di spiaggia davanti alla sua abitazione [nd.r.: la zona della foce del piccolo rio Rattaconigli al confine con Bordighera]. Era meno sorvegliato dai fascisti perché… minato. Come maggior sicurezza non era male! Ma Girò conosceva il posizionamento delle mine.
Renato “Plancia” Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Comune di Vallecrosia (IM), Provincia di Imperia, Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007

Alle 6 di sera partimmo per ROCCHETTA [Rocchetta Nervina (IM)] dove giungemmo dopo quattro ore di marcia. Ripartimmo di nuovo a mezzanotte con la guida PIERINO LOI che ci diresse attraverso la parte principale delle postazioni armate tedesche raggiungendo la periferia di VENTIMIGLIA dopo sei ore di marcia. Qui rimanemmo in un piccolo riparo dietro alla casa dei genitori della guida… Noi avevamo viaggiato da PIGNA in vestiti civili e siccome stava piovendo dalle 6 di sera quando dovemmo attraversare la città, potemmo indossare dei sacchi sulla testa nel modo in cui lo facevano i contadini, il che si aggiunse al nostro travestimento. Camminammo 2-3 chilometri lungo la strada principale che costeggia il fiume ROIA ed attraversammo il ponte nella città vecchia passando oltre le sentinelle tedesche senza sollevare il minimo sospetto ed andando alla casa del pescatore sulla spiaggia. Qui rimanemmo dalle 7 di sera fino a mezzanotte… A mezzanotte portammo la barca (lunga approssimativamente 14 piedi con quattro remi) per una strada e giù attraverso la spiaggia di ciottoli – l’unica area non minata – fino al mare. I pescatori ci portarono vogando, senza ulteriori incidenti, in 3 ore e mezza a Monte Carlo (MONACO) dove sbarcammo [n.d.r.: alle prime ore del mattino del 9 ottobre 1944, nella versione lasciata da Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II: Clandestine Sea Operations in the Western Mediterranean, North Africa and the Adriatic, 1940-1944, Paperback, 2013] e ci arrendemmo alla guarnigione F.F.I. La mattina seguente guidammo fino a Nizza e facemmo rapporto al Maggiore H. GUNN delle Forze Speciali … A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana circa la squadra dei quattro prigionieri di guerra che ci avevano lasciato per TENDA. Fino a quel momento non era arrivata nessuna loro notizia attraverso le pattuglie americane in quell’area… I pescatori erano in grado di fornire informazioni preziose alla Sezione di Interpretazione Fotografica del quartier generale americano sulla Forza Tedesca, posizioni delle armi, campi minati, ecc. a VENTIMIGLIA. (Mr. Paul Morton ha i nomi e i documenti di questi due uomini che darà senza dubbio alla Rappresentativa delle Forze Speciali n. 1 con P.W.B. a Roma). Questi uomini furono poi consegnati dal Maggiore GUNN al Capitano Jones, Esercito Americano a Nizza… PIERINO LOI, la guida procurata da LEO, mise su un’operazione straordinaria e non perse nemmeno una volta la pista durante le sei difficili ore di marcia da ROCCHETTA a VENTIMIGLIA… I pescatori sono sicuri che questo percorso (Ventimiglia – Monaco o Mentone) potrebbe essere usato con successo in entrambi i sensi. Essi affermano che si potrebbero evacuare da VENTIMIGLIA fino a venti persone alla volta se fosse disponibile un’imbarcazione più grande. Ciò vedemmo ed annotammo, e si può attestare che i pescatori condussero a termine il loro piano di evacuazione senza alcuna deviazione…
capitano G. K. Long (membro della Missione Flap), Relazione generale sul Piemonte e la Liguria, 1944 (senza indicazione di giorno e mese), documento britannico desegretato, copia di Giuseppe Mac Fiorucci

Loi [Pierino Loi] resta in territorio francese, opererà tra Carnoles e Mentone in qualità di addetto a radio libera; ritornerà [a Ventimiglia] saltuariamente via Grammondo, Grimaldi e la Mortola; la sua missione è di trasmettere notizie militari, di portare in salvo altri perseguitati e, poiché i suoi genitori erano in pericolo, attendeva di portarli oltre confine. … sarà ancora il Loi che potrà, tramite conoscenze in Nizza iscrivere in forza al comando americano dell’OSS il gruppo [Pedretti, Corradi ed altri] operante alla Marina di San Giuseppe [di Ventimiglia]… fece il suo inizio la Missione Corsaro…
don Nino Allaria Olivieri, Ventimiglia partigiana… op. cit.

Nell’ambito dell’O.S.S. veniva così costituita la Missione Corsaro, che assumeva il compito del collegamento tra il Comando alleato e i Comandi partigiani operanti nella zona Ventimiglia… Accettando l’incarico di capo dell’Ufficio Operazioni della Missione in zona nemica, tramite Corsaro [Giulio Pedretti], Leo [Stefano Carabalona] poteva inviare da Pigna al comando alleato le informazioni necessarie…
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005

[…] avevano luogo sbarchi di materiale bellico nella zona di Vallecrosia-Bordighera. I volontari che si occuparono di tali trasporti appartenevano al gruppo di Leo (Stefano Carabalona), che fungeva da tramite tra i garibaldini e la missione alleata in Francia. Giulio Pedretti fu il partigiano che più di ogni altro si impegnò in tali operazioni, al punto che alla fine della guerra aveva effettuato 27 traversate per recapitare armi e uomini attraverso il tratto di mare prospicente la zona di confine italo-francese.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945), Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998/1999