Ventimiglia nel primo anno della Resistenza

WBC (46)
Ventimiglia (IM): la stazione ferroviaria

Il 25 Luglio del 1943 vengono tolte da un gruppo antifascista le insegne dalla sede del Fascio di Ventimiglia…
Dopo l’8 settembre 1943 le forze armate di stanza a Ventimiglia si sciolgono e le Caserme vengono abbandonate. Ne approfittano i nuclei della Resistenza per sabotare le armi pesanti ed asportare le armi leggere con relative munizioni portandole in montagna per armare distaccamenti partigiani in formazione, che si raccoglieran­no più tardi nella V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”].
Tutta la città è permeata dallo spirito di rivolta, che si diffonde anche fra i ragazzi delle Scuole dove, per iniziativa di uno scolaro, Rino Poli [Rino, che in seguito fece parte della V^ Brigata], la raccolta dei fondi «Pro Mitra» lanciata dalla Repubblica di Salò viene boicottata.
… e si formano i primi nuclei della Resistenza…
Redazione, Martirio e Resistenza della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale. Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare, Comune di Ventimiglia (IM), 1971

Nella stazione di Ventimiglia agisce un gruppo cospirativo di ferrovieri antifascisti. Il gruppo è scoperto nella primavera del 1944, molti patrioti vengono arrestati e alcuni sono deportati nei campi di concentramento od uccisi […]  Essi sono: Ferrari Edoardo, cantoniere, ucciso al Turchino nell’eccidio del 19 maggio ’44; Muratore Olimpio di Pasquale, alunno ferroviere, nato a Ventimiglia il 9-12-22 e deceduto a Mauthausen il 2-9-44; Palmero Giuseppe, manovale, deceduto a Fòssoli; Rubini Alessandro di Carlo, capostazione di I^ classe, nato a Novara nel 1891 e deceduto a Mauthausen il 17-12-44; Lerzo Ernesto di Giuseppe, conduttore, nato a Genova il 15-11-1913 e deceduto a Mauthausen il 15-3-45; Pietro Trucchi di Sebastiano, conduttore, nato a Camporosso (provincia di Imperia) il 14-10-1912 e deceduto a Mauthausen il 2-3-45; Viale Eraldo di Nicola, operaio, nato a Ventimiglia nel 1911 e deceduto a Mauthausen il 4-3-45. Da un promemoria riguardante Rubini Alessandro, fornito, come le notizie sopra trascritte, da Poli Rino tramite Biga, si estrae quanto segue:«Rubini Alessandro, nato a Novara il 4-11-1891, nel 1944 era capo­ stazione di l^ classe nella stazione FF.SS. di Ventimiglia. Fu arrestato il 23-5-44 per attività politica antifascista e quale appartenente al Comitato clandestino di Liberazione. Rimase nelle carceri di Imperia dal 23-5-44 al 28-5-44.Quindi fu detenuto a Genova (carceri di Marassi) dal 29-5-44 all’8-6-44.Successivamente fu a Fòssoli di Carpi, dall’S-6-44 al 21-6-44. Da ultimo fu a Mauthausen, fino alla data del suo decesso (17-12-44)». Dalla stessa relazione nella quale il Poli espone i fatti di Ventimiglia si deduce che nella primavera del 1944 in frazione Ville [di Ventimiglia (IM)] si era formato un gruppo di patrioti, fra i quali vi era il Poli Rino. Una giovane donna, sfollata e abitante in frazione Ville con la famiglia, portò ai patrioti due pistole mitragliatrici: trasportò i pezzi smontati e le munizioni in diverse volte, avvicinandosi come se cercasse erba per le bestie. I gruppi di giovani alla macchia, formatisi in quel tempo nella zona, erano parecchi. Su per giù nella medesima epoca (primavera-estate del ’44) giunse nella zona del Grammondo un distaccamento partigiano, al quale si aggregò subito il gruppo di cui faceva parte il Poli. Il distaccamento, al quale il Poli accenna, è quello di Ernesto Corradi (Nettu o Nettù), sorto dalla suddivisione di quello (3° distaccamento) di Ivan [Giacomo Sibilla, comandante di una delle prime bande partigiane dell’imperiese, già comandante del Distaccamento Inafferrabile, poi comandante della II^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Nino Berio” della VI^ Divisione “Silvio Bonfante”]…Il distaccamento di Nettu era partito da Case Agnesi o Prati Piani, località vicina a Costa di Carpasio e a Colle d’Oggia…Col gruppo di Poli Rino aveva collaborato fin dagli inizi la baronessa Maria Galleani. Del gruppo al Grammondo, che era comandato da Nettu, faceva parte anche Osvaldo Lorenzi, di Imperia. Il distaccamento del Grammondo verrà assalito più tardi dai tedeschi, in data 9 agosto 1944. Diciassette partigiani verranno catturati e cioé: il Lorenzi, altri dodici Italiani e quattro Francesi. Portati a Sospel, qui i partigiani verranno torturati ed uccisi, in data 12 agosto ’44. Osvaldo Lorenzi, fu Secondo e di Muratore Maria Caterina, nato il 13-9-1918 in Porto Maurizio, e appartenente all’Azione Cattolica imperiese, all’8 settembre ’43 era a Napoli, al comando di un gruppo di militari, come sergente di fanteria (aveva iniziato, ma non terminato, per motivi vari, il corso allievi ufficiali). Avvenuto lo sbandamento delle forze armate, il Lorenzi ritorna ad Imperia in data 22 settembre ’43. Si reca presso Ventimiglia, nel villaggio di Calvo, presso il suo padrino, essendo la sua famiglia oriunda di quella città. Da un gruppo di parti giani che sono in quella zona viene invitato ad andare con loro, e accetta, sebbene avesse preferenza per la zona di Imperia, dove risiedeva la sua famiglia. Ai partigiani si aggrega intorno all’inizio dell’estate. Il 9 agosto ’44 Osvaldo Lorenzi, con alcuni altri giovani, si trova negli alloggiamenti sul Monte Grammondo, intento alla preparazione del pranzo. All’arrivo improvviso dei tedeschi, le vedette non fanno in tempo ad avvertire; riescono a stento a mettersi in salvo. I partigiani, che sono nella baracca dell’accampamento, vengono sorpresi e catturati: poco prima della cattura, uno di essi chiede al Lorenzi di coprirlo col fieno, sebbene si pensi che la baracca verrà incendiata; il Lorenzi lo nasconde; la baracca, come si temeva, viene data alle fiamme; ciò nonostante il partigiano farà in tempo a mettersi in salvo. Gli altri, fra cui il Lorenzi, mentre cercano di fuggire, capitano fra i tedeschi, e sono catturati vicino agli alloggiamenti, nel bosco dell’Alborea, che è parte del bosco di Sospel, sul pendio del Grammondo rivolto verso la Francia. A Sospel i tedeschi suonano i tamburi, per coprire i gemiti e gli urli dei partigiani torturati. Dopo le torture, i partigiani, che ormai non riescono a reggersi, sono uccisi, mediante fucilazione. Vengono tutti seppelliti in una fossa comune, senza che la popolazione li possa avvicinare; il Sindaco riesce a stento a mettere una bottiglia, col nome, al collo di qualcheduno, a lui noto (Notizie da Jolanda Lorenzi, sorella di Osvaldo, da Lavagna Giorgio e da altre fonti varie).
Giovanni Strato, Storia della Resistenza imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

… uno di questi, costituito da giovani ferrovieri nella Stazione Ferroviaria col compito di assicurare collegamenti, verrà più tardi scoperto ed i suoi membri arrestati e inviati in un campo di concentramento, dal quale non faranno più ritorno.
Eccone i nomi:  Edoardo Ferrari, cantoniere – Giuseppe Palmero, manovale – Alessandro Rubini, capo stazione di I^ classe – Ernesto Lerzo, conduttore – Pietro Trucchi, conduttore – Eraldo Viale, operaio…
Redazione, Martirio e Resistenza della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale. Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare, Comune di Ventimiglia (IM), 1971

Elio Riello: “… i punti fissi del costituendo Comitato di Liberazione di Ventimiglia erano il Cap. Silvio Tomasi, presidente, ed Elio Riello, segretario… Il costituendo C.L.N. di Ventimiglia, tramite il Baletti Emilio, aveva rapporti con il C.L.N. di Torino e precisamente con l’avv. Martorelli Renato. Nel frattempo il Cap. Tomasi aveva preso contatto con il Gruppo della Giovane Italia, operante attivamente soprattutto nella Stazione di Ventimiglia, i cui esponenti principali erano Muratore Olimpio e Rubini Alessandro. La Giovane Italia inoltre aveva fatto e continuava a fare azioni di proselitismo e cercava collegamenti con altri Gruppi che erano in azione, specie nella zona di Bordighera… Biancheri Antonio non era Capo del C.L.N. di Ventimiglia, ma uno degli esponenti maggiori della Resistenza a Bordighera… Tomasi Silvio era il capo del  C.L.N. di Ventimiglia...
don Nino Allaria Olivieri, Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999
5) il 26-7-1944 una squadra in perlustrazione al Passo del Porco attacca una pattuglia nemica uccidendo due tedeschi e cattu­rando quattro polacchi, due muli e diverse armi;
6) a seguito di queste ed altre minori azioni, la sede del distaccamento veniva individuata dal Comando Tedesco e il Comando Partigiano decideva allora di spostarla oltre confine, sul pendio ovest del Grammondo in località Alborea
[o Albarea] del Comune francese di Sospel, accogliendo anche nella formazione un gruppo di partigiani francesi. Il Comando Tedesco scopriva però ben presto anche la nuova sede e decideva di compiere una grande operazione di rastrellamento con circa 1.500 uomini di stanza in Italia e in Francia, armati di mortai e artiglieria da montagna. Il distaccamento venne così circondato e attaccato e dopo una lunga e strenua resistenza – durante la quale venivano uccisi e feriti diversi tedeschi e cadevano tre partigiani, Quadretti, Armando [Cobra] Ferraro e Sauro [Bob] Dardano  – riusciva in parte a sganciarsi e a mettersi in salvo attraverso un terreno impervio, mentre i restanti 15, asserragliati in una casa rustica ,opponevano una disperata resistenza fino all’esaurimento delle munizioni.
   Catturati dai tedeschi, vengono imprigionati a Sospel, selvaggiamente torturati, massacrati…

I superstiti, diversi dei quali feriti [tra i quali] Lippolis [Pietro Morgan Lippolis], curato dai Fratelli Maristi), passano a far parte di altre unità partigiane…
Redazione, Martirio e Resistenza della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale. Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare, Comune di Ventimiglia (IM),  1971
Nettù [Ernesto Corradi] teneva accampata la sua banda quasi al confine, sul Grammondo. Ma quella volta, quando arrivarono i tedeschi a tradimento, lui non c’era coi suoi uomini, perché forse aveva sconfinato in Francia a rifornirsi di sale, o va a sapere. Chissà comunque com’è andata quella volta, ma tanto adesso fa lo stesso a saperlo, come no. Cosa te ne fai adesso di saperlo, se ormai non c’è rimasto più nessuno di quelli che c’erano quella volta, quando i tedeschi arrivarono subito sul posto saltandoci addosso come fanno i lupi sulla preda? Dicono che a portarli precisi sul posto a tradimento, sarà stato il berlinese che gli era scappato prima d’in banda: effettivamente sul posto ci arrivarono precisi, come ci può arrivare soltanto della gente pratica dei passi. Il fatto sta che quella volta gli uomini di Nettù, presi alla sprovvista, non fecero più in tempo a niente; così li presero a tradimento; quando sentirono gli spari, i tedeschi erano già tutti concentrati proprio lì di fronte, con le armi spianate. Dardano il caposquadra, uscì dal baraccamento dov’erano a dormire con lo straccio bianco in mano per la resa; ma ormai era troppo tardi e non ci riuscì; lo crivellarono all’istante nell’aria grigia e continuarono a venire avanti precisi, sparando sempre più forte. Osvaldo Lorenzi cercò ancora di coprire un ferito sotto il fieno con disperazione nel tentativo inutile, e così li presero tutti e due; bruciarono subito ogni cosa alla loro maniera tedesca, rastrellando ben bene tutto intorno, che non gli scappò proprio niente, né di uomini né di bestiame.                                                                                                                                                 Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 89
Ernesto Corradi (Nettù) [o U Nettu o Nettu] con la sua banda [VI° Distaccamento Grammondo] si era stanziato sul Monte Grammondo [tra Ventimiglia (IM) e la Francia], dal quale controllava le valli del Roia e del Bevera. Per tutto il mese di luglio 1944 Nettù aveva condotto azioni di guerriglia contro il nemico. Il suo gruppo aveva danneggiato gravemente la ferrovia Ventimiglia-Cuneo, facendo brillare molti ponti, e la linea telefonica. Data la vicinanza, i rapporti tra i garibaldini ed i partigiani francesi furono spesso di cooperazione: un esempio ne è l’azione contro l’Hotel du Golf di Sospel, alla quale per desiderio dei transalpini presero parte anche patrioti italiani. Il rastrellamento del 9 agosto 1944 colse i partigiani di sorpresa, anche per via dell’assenza di “Nettù” e di circa 15 uomini della banda …  Venne subito stroncato da una raffica di mitragliatrice Sauro [Bob] Dardano [nato a Ventimiglia il 6 aprile 1923], che era uscito alzando una bandiera bianca … 
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
Così, alla fine fecero il conto che in tutto di partigiani ne presero diciassette vivi, compresi quattro maquisards un po’ più sotto, rastrellando anche l’Albarea dal versante francese. Il traffico della spedizione quella volta durò poco tempo, perché erano venuti pratici dei posti senza sbagliare e con tutto l’occorrente necessario; conoscevano le strade i sentieri i passaggi difficili e perfino le abitudini degli uomini accampati lì, sul confine. Anch’essi perciò, si meravigliarono quella volta: non gli era mai successo di averlo fatto in quel modo, proprio così alla svelta, il repulisti totale della zona. Metti però, che se l’ordine te lo danno quelli del comando, c’è sul serio il perché, anche se è difficile convincersene; ma metti pure che ce l’hai l’ordine preciso, e che di lì non si scappa, perché è giusto. Il fatto è questo: che non si può fare diversamente, altrimenti lo sai eccome cosa succede. Succede che col pericolo a quel modo, non si può più vivere né di giorno né di notte; non si può più vivere col terrore sempre dentro, che ti arrivino addosso da un momento all’altro, sapendo i posti precisi; però, tu non lo sai come faranno. E va bene; ma non l’ammazzi lo stesso un prigioniero così, a sangue freddo, soltanto per la temanza della spia. Tu non l’ammazzi mondo schifo, soltanto perché tedesco berlinese e basta. E invece lui sì; proprio da carogna bastardo e traditore, ce li riporta subito puntuali, con tutta l’attrezzatura, sul posto che lui conosce; lo senti che andando grida heil Hitler javol; e gli insegna proprio bene le strade e perfino i passaggi nascosti per fare più presto, e tutte le usanze che aveva imparato. Prima, mangiando insieme il loro pane da buon compagno coi patrioti, aveva imparato brutto bastardo i posti i nomi le armi i nascondigli, e tutto quello che bisognava o non bisognava fare per fare il partigiano. Aveva imparato a poco a poco osservandoli ben bene; e aveva capito anche come si fa con le sentinelle, per arrivarci addosso a tradimento. Come si fa voglio dire quando, se ci arrivi a tradimento dietro le spalle, non servono più a niente lì, a fare la guardia, saltandoci addosso all’improvviso. Con le sentinelle ormai inutili colpite alla schiena a tradimento, si fa allo stesso modo come a caccia di cinghiali, coi battitori. Portati dai cani, i battitori vanno avanti per primi e li stanano di colpo, mentre alla posta comodi e bene in posa col fucile, ce ne vogliono tanti di cacciatori. Ciascuno alla posta ci si mette bene, da starci comodo, sempre lì fermo col fucile puntato. Gli animali li chiudono nella trappola con le zanne ormai inservibili, per ammazzarli prima quelli  che sbattono di più. Da quelle parti sul confine, oltre al berlinese, c’erano in banda due polacchi esperti alla mitraglia; sempre ubbidienti che era un piacere guardarli come stavano attenti, senza distrarsi. Erano sempre pronti a sparare in qualunque modo, quando glielo dicevano; anche nel pericolo in pronta presa, come se niente fosse la va come la va. Questi due polacchi, perciò, non fecero come il berlinese carogna; ma la mitraglia la puntarono subito per il verso giusto eccome, facendola funzionare alla disperata. Spararono poco però, perché dopo le prime raffiche precise, non ce la fecero più a resistere in nessun modo, quando i tedeschi gli arrivarono addosso da tutte le parti, prima a colpi di mortaio e poi coi maierling. Erano due polacchi e basta, va a sapere; nessuno anche dopo ne seppe di più, nonostante ne parlassero ancora nelle bande; ma basta, finirono così; erano soltanto due polacchi qualunque, disertori antinazisti che vollero ribellarsi; va bene? A tutti i costi vollero fare i partigiani, ma non fecero manco in tempo a farsi scrivere negli elenchi dei ribelli. Per farsi capire, quando salirono in montagna per farsi prendere in banda, intonarono forte un canto partigiano che avevano imparato da quelle parti. Poi, in banda, col da fare che c’era, li chiamarono soltanto i polacchi, e non ci pensarono a scrivergli nome e cognome. Al Grammondo, dopo quel rastrellamento del porco giuda tutto al coperto e sul pulito come capita capita dalla parte italiana e dalla parte francese, di loro non ci rimase più niente; nemmeno più uno straccio per sapere chi fossero poveri ragazzi, e come si chiamassero. Mano d’opera in costrizione come usavano loro con la prepotenza, i tedeschi vollero subito dopo dai civili francesi, senza minimamente discutere, una fossa lunga e profonda bastante per diciassette. La vollero di queste misure, per buttarceli tutti dentro alla rinfusa, nel Vallone di Sospel; poi decretarono coi megafoni immediatamente il coprifuoco. Stavolta, il coprifuoco lo vollero assoluto, perché la gente non vedesse e non sentisse proprio niente di quello che facevano nel paese; ma le urla di tortura, la gente le sentì lo stesso dentro il vallone nell’aria fredda, su su fin nei larici verso l’Albarea, da una parte e dall’altra. Le sentì più forte del rullo dei tamburi, che fecero i tedeschi per coprire quelle urla, quando si misero a picchiare più forte ancora più forte e sempre più forte con le mazze; per fare più rumore da rintronarne la vallata; finché la finirono coi tamburi quando al turno della conta, l’un dopo l’altro, i diciassette patrioti caddero inerti nella fossa. Alla fine, i civili francesi precettati in costrizione, seppellirono insieme i tredici partigiani italiani e i quattro maquisards francesi affiancati; ma prima cercarono di distinguerli con dei segni nella fossa comune, senza che i tedeschi se ne accorgessero. Difatti prima, quando glielo avevano chiesto come segno di pietà, avevano detto di no: che assolutamente non lo concedevano di segnarli per nome, guai a distinguerli; bastante farli sparire in sepoltura, essendo morti tutti allo stesso modo fuori legge; achtung banditen e fuori dai piedi.
Osvaldo Contestabile, Op. cit., pp. 89, 90, 91

Dalla mia posizione sento raffiche di mitra nella zona di “Albarea”

La cerimonia di commemorazione dei partigiani martiri dell’Albarea a Sospel nell’agosto del 2011
La zona a sud del Grammondo
Il Grammondo visto da Ventimiglia (IM)

Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e ancora fino al 1943, nel periodo primavera-estate era facile per chi percorreva la val Bevera notare sulle pendici del Grammondo, verso sera numerosi fuochi accesi. Erano i bivacchi di gruppi di contadini che si recavano ad accudire i loro campi e rimanevano lassù a pernottare anche per alcune settimane.
Nella primavera del 1944 avevo 14 anni e per sbarcare il lunario facevo la stagione sulle pendici del Grammondo in località “Brunei”. Dormivo al primo piano di una vecchia abitazione in pietra e tornavo a casa per rifornirmi di viveri una volta alla settimana.
Una mattina presto vengo svegliato da quattro uomini armati fino ai denti che mi invitano a seguirli. Mi conducono al loro Quartier Generale nelle caserme abbandonate del Grammondo dove il loro comandante [n.d.r. Ernesto “Nettu” Corradi, sulla cui figura vedere infra], dopo avermi interrogato a lungo mi fa capire che, siccome ormai conosco il loro rifugio o mi considerano prigioniero o devo arruolarmi con loro. È così che quasi senza volerlo, divento partigiano. I primi tempi mi utilizzano per i lavori più umili poi dopo alcuni giorni mi mandano una notte di guardia alla postazione di mitragliatrice sul monte Cimone. Durante il giorno rimaneva un solo partigiano di guardia, alla notte sei. Il mio incarico diventa quello del rifornimemo d’acqua. Ogni mattina mi recavo con una mula alla sorgente in “Gerri” e riempivo alcuni bidoni di acqua.
Nelle caserme erano ospitati una cinquantina di partigiani. Ogni tanto un gruppo partiva in missione. Ero con loro da una ventina di giorni e stavo meritandomi la loro fiducia tanto che mi avevano dotato di un fucile mitragliatore. Una sera il comandante, con un gruppo di fidati, esce in missione e durante la notte parecchie granate cadono sul Grammondo. I partigiani si dividono in gruppi e si sparpagliano sul territorio. Stava albeggiando e mi reco come al solito a fare rifornimento d’acqua quando sento dei rumori. Mi allontano dalla fonte e mi nascondo tra i cespugli in vigile attesa. E’ un gruppo numeroso di tedeschi che avanza verso il rifugio dei partigiani. Dalla mia posizione sento raffiche di mitra nella zona di “Albarea” dove evidentemente i partigiani oppongono resistenza. Poco dopo ne vedo passare uno trascinato prigioniero. Decido di fuggire verso Castellar. Lungo il percorso incontro un partigiano di nome “Pineta”, un ex ufficiale degli alpini e continuo con lui la fuga. Da Castellar salgono altri tedeschi accompagnati da cani. Non sappiamo cosa fare, poi decidiamo di calarci tra le rocce e raggiungere poco sotto un anfratto sulla parete. Utilizzando le cinghie dei fucili come corde prima scendo io e poi aiuto “Pineta” trattenendolo per i piedi. Rimaniamo nel buco, nascosti per quarantotto ore, poi proseguiamo sempre per boschi verso le alture di Nizza dove incontriamo un gruppo di partigiani francesi e rimaniamo con loro fino all’arrivo degli americani.
Non posso rientrare in Italia né tantomeno avvisare mia madre per cui decido di seguire le truppe alleate e con loro alla fine della guerra entro in Torino. Qui incontro il sig. Beltrame un mio compaesano sfollato e padre di quella che diventerà mia moglie.
Finita la guerra dicono a mia madre che un Lorenzi è stato ucciso, fucilato, a Sospel con altri partigiani. Desolata ordina così una messa di suffragio. Fortunatamente in quei giorni il sig. Beltrame torna in paese e racconta a mia madre di avermi incontrato qualche giorno prima a Torino.
Il partigiano “Pineta”, con il quale ho passato gli ultimi mesi di guerra, morirà su una mina pochi giorni dopo il rientro a casa…
Francesco Lorenzi, Avventura partigiana sul Monte Grammondo in Renzo Villa e Danilo Gnech (a cura di), Ventimiglia 1940-1945: ricordi di guerra (con la collaborazione di Danilo Mariani e Franco Miseria), Comune, Studio fotografico Mariani, Dopolavoro ferroviario, Ventimiglia, 1995

La zona sottostante, ad oriente, a Monte Cimone

Verso metà giugno Ernesto Corradi (Nettù) <1 si porta con la sua banda in località Cimone sui pendii del monte Grammondo (m. 1378 s.l.m.). e più precisamente, presso la frazione di Villatella. Il luogo è molto vicino alla frontiera francese ed il raggio d’azione è costituito dalle valli Roja e Bevera, fra Olivetta San Michele, Airole e Ponte San Luigi.
A «Nettù» si aggrega il gruppo di patrioti ventimigliesi organizzato da Rino Poli che nella primavera si era stabilito in frazione Ville; sul finire del giugno 1944 la formazione conta circa sessanta elementi ed inizia ad effettuare numerose azioni di guerriglia che si protraggono anche nel successivo mese di luglio. A seguito di tali episodi la sede garibaldina è individuata ed il Comando tedesco progetta di eliminarla.
Il Comando partigiano, venuto a conoscenza della minaccia nemica, decide il trasferimento del 7° distaccamento. La zona prescelta è costituita dalla foresta dell’Albarea, sottostante a Fontana Fredda (Fuon Freia) ed ubicata sul Grammondo. Nel sito vi sono casoni e varie grotte, tra le quali una vastissima denominata «Pertus du Gorilla». Il luogo non dista molto da Sospel e Castillon sul versante francese e da Olivetta San Michele su quello italiano.
All’inizio del mese di agosto la Resistenza è particolarmente viva e provoca gravi danni alla macchina bellica tedesca. Gli atti di sabotaggio sono numerosi: la ferrovia Ventimiglia-Cuneo è gravemente danneggiata; saltano in aria le linee telefoniche e molti ponti; le colonne ed i presidi militari nazisti sono continuamente attaccati. I partigiani hanno ricevuto l’ordine di prendere ovunque l’iniziativa, soprattutto nelle località sulla frontiera italo-francese sottostante alle Alpi Marittime. Sicché l’impegno è grande anche se, probabilmente, non tutti i combattenti comprendono l’enorme importanza della loro lotta, inquadrata in un vasto piano bellico: infatti, la zona riveste grande importanza perché l’efficienza o meno delle poche vie di comunicazione può rappresentare la salvezza o la perdita delle truppe tedesche ivi operanti, nell’eventualità di uno sbarco alleato sulla Costa Azzurra <2.
Anche i maquis sferrano attacchi al nemico in continuità. Per dimostrare la loro efficienza avevano occupato il villaggio di Peillon e vi si erano trattenuti per ventiquattro ore; quindi, si erano ritirati per risparmiare alla popolazione la furia devastatrice dei cannoni tedeschi piazzati nell’ex forte francese del monte Agel <3.
I rapporti di collaborazione tra patrioti francesi e italiani diventano sempre più stretti, tanto che i maquisards promettono armi ai garibaldini se i lanci aerei saranno effettuati prima a loro che alla V Brigata «L. Nuvoloni» <4.
Il giorno 8 agosto, esponenti della Resistenza nizzarda raggiungono i partigiani del 7° distaccamento e chiedono la loro partecipazione ad un’azione all’Hotel du Golf, presso Maurand. Nella notte parte degli uomini del gruppo «Nettù» attraversa a guado il torrente Bevera. L’azione è felicemente effettuata.
Come si vede lo spirito di collaborazione è sempre più stretto. Italiani e Francesi insieme per la comune lotta della libertà e, quando i Tedeschi sferreranno il loro attacco all’Albarea, li troveranno accomunati nella difesa ed anche nella morte.
Subito dopo il trasferimento di sede della formazione «Nettù» erano stati catturati tre doganieri tedeschi, uno dei quali berlinese, nazista convinto ed arrogante nei confronti degli Italiani. Gli altri due, di nazionalità polacca, avevano chiesto di essere incorporati nel distaccamento, professandosi antinazisti ed intonando l’Internazionale per provare la loro fede. Il nazista era stato condannato a morte; ma i giovani incaricati dell’esecuzione, mossi a compassione ed ignari della inesorabile legge della guerriglia e delle sue esigenze, avevano liberato segretamente il prigioniero, il quale, raggiunto il suo Comando di Sospel, aveva fornito tutte le informazioni sui garibaldini e sull’ubicazione delle loro posizioni. Sarà quindi di guida nel rastrellamento progettato e già preparato che provocherà tristi e dolorose giornate per la nostra Resistenza.
L’operazione è definita in tutti i particolari dal Comando tedesco. Il 9 agosto 1944 le colonne naziste partono da varie località della Francia e dell’Italia: da Olivetta San Michele, Torri, Villatella, Castellar, Plateau Saint Germain, Sealza, Sospel, Breil, Menton, Cabbé, Roquebrune. Sono affiancate da forti contingenti della milizia confinaria ed appoggiate dal fuoco dei mortai e deicannoni. Si calcola che le forze nazifasciste partecipanti all’azione ammontino a circa 1600 uomini.
Al momento dell’attacco una pattuglia di partigiani si trova sulla strada militare Mortola-Grammondo; un’altra è di vedetta nelle campagne di Villatella ed elementi di banda locale sono nei pressi di Olivetta San Michele e Sospel.
Questi ultimi vengono catturati mentre tentano di avvisare i partigiani del distaccamento; gli altri riescono a mettersi in salvo, allontanandosi quando nella zona ritorna la calma.
Precedentemente, per stornare l’attenzione circa il progettato rastrellamento, i Tedeschi avevano provveduto ad affiggere dei manifesti per invitare la popolazione a tenersi lontana dalle campagne a causa delle esercitazioni di tiro dell’artiglieria someggiata.
Le sopracitate colonne tedesche verso le 17 riescono ad accerchiare il 7° distaccamento già disorientato per la momentanea assenza del comandante «Nettù» e di quindici uomini, precedentemente allontanatisi per le ragioni che diremo.
Con i garibaldini combattono alcuni Francesi delle formazioni denominate «Chasseurs des Alpes». Il violento attacco è contenuto per oltre un’ora ed i partigiani, asserragliatisi nel casone presso Fontana Fredda, si difendono con accanimento e coraggio.
Degna di elogio è una meravigliosa figura di combattente: il caposquadra Sauro Dardano (Bob) <5. Egli, incurante delle intense raffiche delle armi nemiche, tenta varie volle di uscire dal casone per porsi in salvo con i compagni. Vista vana ogni resistenza, i partigiani decidono il da farsi. Pensano che per i principi della Convenzione di Ginevra i prigionieri debbano essere rispettati e Dardano, allo scopo di guadagnare tempo, strappa una camicia facendone una bandiera bianca; l’innalza attraverso un buco del soffitto in segno di resa, mentre i Tedeschi continuano a sparare. Approfittando di un momento di tregua, Dardano esce per parlamentare con la bandiera bianca alzata, ma appena fuori è stroncato da una raffica di mitragliatrice. Mentre cade, grida ancora: «Salvatevi ragazzi, viva l’Italia!».
Più avanti, ancor meglio, vedremo come i Tedeschi rispetteranno la Convenzione di Ginevra!
Dopo la morte commovente ed eroica del giovane Dardano, Domenico Ferraro si fa nascondere dal suo compagno Osvaldo Lorenzi sotto al fieno anunucchiato in un angolo. I Tedeschi entrano, catturano i partigiani, li legano e li conducono fuori. Quindi incendiano il casone.
Ferraro si tira fuori dal fieno e da una finestra ha tempo di vedere i nazisti che si allontanano portandosi appresso i prigioneri. In un partigiano ferito, che procede appoggiandosi ad un Tedesco, gli pare di riconoscere Dardano. Evidentemente si sbaglia, poiché il valoroso caposquadra giace steso al suolo <6.
Poco prima della morte di Dardano era caduto Giovanni Vesco (Tobruk) <7, in un tentativo di fuga dal retro del casone.
Le salme di Dardano e Vesco saranno in seguito recuperate da Aldo Dardano in collaborazione con l’abate Aprosio, e quindi portate a Ventimiglia <8.
Il garibaldino Bruno Pizzol, gravemente ferito, viene ricoverato presso l’Ospedale Santo Spirito di Ventimiglia dove cesserà di vivere dopo due giorni <9.
Giuseppe Orengo, ferito nel corso del combattimento, e Nandino Gandolfi riescono a fuggire. Il 2 di settembre partiranno in barca da Latte per tentare di raggiungere la costa oltre Ponte San Luigi, ma di entrambi non si avranno più notizie <10.
Nell’infausto giorno sono fatti prigionieri diciassette patrioti. Di essi parleremo più avanti <11 dopo aver narrato altri avvenimenti connessi alla battaglia descritta. Tre Tedeschi uccisi ed una quarantina di feriti rappresentano le perdite naziste.
Le vicende del Comandante Ernesto Corradi (Nettù)
Poco prima dell’attacco nemico «Nettù», con alcuni uomini, si era recato al colle di Castillon per comprare due quintali di sale, cartine per sigarette e per prendere in consegna quattro muli, provenienti da Sospel, sottratti alla requisizione dei Tedeschi.
Secondo quanto riferito dalla staffetta «Rovi» sia gli animali che la merce sarebbero stati destinati al Comando della V Brigata poiché nella zona Triora-Carmo Langan, come del resto in tutte le nostre zone, il sale era scarso.
«Nettù» aveva chiesto dei volontari disposti ad effettuare il viaggio perché nei garibaldini pesava ancora la fatica sostenuta la notte precedente per la missione presso l’Hotel du Golf.
Era partito per il versante francese un gruppo composto da una quindicina di uomini. Si contava di impiegare due o tre ore per il viaggio di andata e ritorno. Caricato il sale sui muli, i partigiani si preparano al ritorno quando una staffetta francese li informa che da Sospel sono partiti due camion tedeschi diretti al Grammondo.
Si sentono, infatti, i primi colpi delle armi automatiche ed i garibaldini si affrettano verso l’accampamento dell’Albarea; ben presto devono abbandonare la via più breve, costituita dalla mulattiera, poiché passa allo scoperto ed è esposta all’incombente pericolo dei tiri nemici. Sono costretti a camminare in terreni coltivati a vigneto ed a frutteto; poi, malgrado i contadini li esortino a fermarsi per il grave rischio cui vanno incontro, si avventurano in una zona scogliosa e scoperta e pervengono alla «Graia» <12 dell’Albarea. La sparatoria è intensa ma «Nettù» riesce a raggiungere la cresta del monte, procede oltre la «Graia», e si mette a chiamare. Non ode alcuna risposta, perciò pensa che i garibaldini, avvertiti, abbiano abbandonato l’accampamento e si siano messi in salvo prima dell’arrivo dei nazifascisti, per cui dà l’ordine di ritirarsi. Poiché è fatto segno da una raffica si ferma ed ordina agli uomini, rimasti
indietro a breve distanza, di buttarsi a terra.
Una colonna tedesca scende da passo Carei mentre altre avanzano da varie direzioni. Sparano con mitragliatrici piazzate nei forti francesi e con machinen-pistole, provocando uno scenario infernale.
I partigiani cercano di raggiungere il «Pertus du Gorilla» ma un fuoco nutrito li investe nuovamente, impedendo loro di proseguire. Poi sentono altre raffiche, ma non sono rivolte contro di loro e non ne comprendono la ragione. (In seguito si saprà che erano quelle dei mitragliatori azionati dai due polacchi che, come precedentemente ricordato, avevano aderito al movimento partigiano).
«Allora con i miei uomini – scrive «Nettù» – mi ritirai (in una situazione difficile) verso i valloni di Esu e di Cordillon; riuscii ad attraversarli ed a salire verso il Plateau de Segrand da dove guadagnai l’accampamento dei maquis…» Da fonte francese si verrà poi a conoscenza che i Tedeschi, per effettuare il rastrellamento e trasportare munizioni e viveri al Grammondo, avevano requisito i muli a Sospel, Morlì, Castellar e Saint Agnès .
Le colonne naziste erano guidate dai doganieri tedeschi di stanza presso Castellar, buoni conoscitori dei luoghi circostanti al Grammondo, oltre che da quel nazista berlinese che, come detto, era stato fatto prigioniero e successivamente rilasciato da quei giovani partigiani, i quali pagano ora di persona la loro imprevidente generosità. La storia di Cascione tragicamente si ripete.
«Nettù» e compagni sono impossibilitati a riprendere subito il viaggio di ritorno. Tentano varie volte, ma sono costretti a rimanere presso i compagni francesi per la stretta vigilanza nemica lungo la strada Sospel­ Castellar-Menton.
Finalmente, per vie traverse, riescono a passare dietro l’Escuvion ed a sbucare presso le sorgenti del Carei. Sopra la sorgente vi è una distesa erbosa che sale alla frontiera sino al passo Cuori. Sotto c’è un folto bosco di pini. Il silenzio che regna nel luogo, ed alcuni muli che fuggono al loro arrivo, rendono tutti fiduciosi. Ma ad un tratto, dai cespugli di lentischio, spuntano i Tedeschi che intimano la resa. «Nettù» urla agli uomini di guadagnare il bosco vicino. Poi si inginocchia ed apre il fuoco con lo sten mentre un partigiano spara un caricatore di moschetto: tre o quattro nemici sono colpiti. Mentre gli altri rimangono sorpresi «Nettù» introduce nello sten un secondo caricatore e grida al partigiano rimasto con lui di mettersi al sicuro: ma l’arma s’inceppa ed anche Corradi deve scappare, inseguito da due Tedeschi che gli sparano contro. Anche stavolta egli è salvo poiché, come è scritto nella sua relazione: «… il diavolo scartava le pallottole da me; sempre facevano più baccano che danno…».
Constatata l’impossibilità di transitare da Passo Cuori, «Nettù» si dirige con i suoi uomini verso Passo Vacca. Fra i due passi vi è una zona di alte rocce, luogo pochissimo conosciuto e sulle carte topografiche dichiarato intransitabile (o “infrancisabile” come riferisce Corradi).
Poco dopo incontrano uomini della Resistenza francese che si prendono cura di un garibaldino rimasto ferito ad unacoscia ed avvertono che tutti i passi sono presidiati dal nemico.
In quel momento «Nettù» si ricorda di un segreto confidatogli da un contadino della zona in riconoscenza di servizi resigli: nella roccia vi è un canalone appena praticabile. Rintracciato detto percorso, il gruppo può raggiungere la vetta e tentare il ritorno a Villatella. Gli uomini sono nuovamente avvistati, di conseguenza «Nettù» ordina ai suoi di seguirlo; quindi si butta giù per una «Graia». Tutti cominciano a scendere lentamente, poi la velocità aumenta per forza di inerzia e giungono in fondo di corsa.
I Tedeschi sparano ancora, ma stavolta i partigiani si mettono definitivamente in salvo fuggendo nel bosco. Nella notte raggiungono una casa amica. Ci sono soltanto due donne che offrono pane e pomodori. Poi, ripartono. Prosegue ancora la relazione citata: «… Finalmente riuscii a passare ed arrivare all’accampamento che trovai devastato […]. Ripiegai quindi con i miei uomini nel vallone di Castellar, attraversando la frontiera tra i passi Vacca e Corna…».
Nel corso del vasto rastrellamento è stata fatta prigioniera anche la figlia del Corradi, mentre si recava a trovare il padre in montagna.
Precedentemente sono stati ricordati quei due polacchi che sparavano contro i Tedeschi nel momento in cui «Nettù», con i suoi compagni, era non distante dal «Pertus du Gorilla».
In quel momento i partigiani non si erano resi conto della provenienza di quelle raffiche non dirette su di loro. Soltanto a calma ritornata, alcuni giorni dopo l’impari scontro, si scopre la dolorosa realtà: il fuoco dei mitragliatori era quello dei polacchi.
Ora li rivedono là, su quel praticello presso quel fienile, morti al sole senza sepoltura, con i bossoli delle pallottole sparpagliati intorno. Il loro fuoco non è certamente stato inefficace perché lungo buon tratto della mulattiera numerose sono le tracce del sangue tedesco. I due generosi non si erano arresi, ma rabbiosamente avevano lottato.
Combattendo con i partigiani italiani hanno combattuto anche per il loro popolo e per tutti gli altri popoli minacciati ed oppressi dal nazismo. Il prezzo da loro pagato è stato altissimo, e la loro morte passa, purtroppo, inosservata. Non sono ricordati. Sono sconosciuti, morti lontano, molto lontano dalla loro terra e dai loro cari; hanno riposato in un angolo, sull’orlo di un bosco; ora, forse, di essi non resteranno più neppure le ossa.
È altresì doveroso segnalare che l’esito doloroso del rastrellamento, la gravissima perdita di venti garibaldini, le sofferenze patite, lo sbandamento avvenuto nelle fila partigiane è stato principalmente originato, per citare un giudizio di «Nettù» espresso nella sua relazione: «… dall’inesperienza di pochi giovani che avevano lasciato libero il nazista…».
Probabilmente, malgrado le informazioni assunte, il nemico non avrebbe potuto rintracciare i rifugi dei partigiani nelle grotte sparpagliate nel bosco dell’Albarea.
Ma non si sa se tale affermazione sia da condividere pienamente o se vi siano state altre cause a generare la più grande perdita di vite umane subita in un solo episodio della nostra Resistenza nel mese di agosto del 1944.
Il distaccamento è smembrato e molti superstiti passeranno in territorio francese dove saranno assistiti dalle popolazioni locali.
[NOTE]
1 Ernesto Corradi (Nettù) di Bartolomeo e di Angela Pastorelli, nato a Torrazza (ora Imperia) il 20 ottobre 1894, in montagna dal 10 maggio 1944, dichiarazione integrativa n. 4748. Abbraccia giovanissimo la causa dell’antifascismo e viene varie volte ammonito dal federale perché sospettato. Svolge vita cospirativa a Torino presso la Fiat Mirafiori. Verso la fine del 1943 torna a Torrazza, mantenendo però contatti con Torino. Durante il terzo viaggio nella capitale subalpina, Corradi viene arrestato nottetempo e, dopo 48 giorni di carcere, è deferito al Tribunale Speciale dal quale è condannato alla libertà vigilata, avendo simulato nel periodo di detenzione atteggiamenti di alienato mentale.
Iniziata la lotta armata raduna ventidue giovani tra Piani di Imperia e Torrazza. Dal Comando garibaldino riceve l’ordine di spostarsi sul confine francese e «Nettù» si avvia con una parte di uomini, poiché gli altri preferiscono combattere presso il proprio paese. Il gruppo raggiunge il monte Faudo, dove esisteva un nascondiglio di armi e munizioni. Poi, per Villatalla e Carpasio, attraverso varie vallate, giunge nella zona di frontiera. Prende contatto con i partigiani francesi e in cambio dell’aiuto dato ai maquisards in occasione di un lancio aereo alleato, viene in possesso di esplosivo per sabotaggi.
2 Lo sbarco avverrà poi in Provenza il 15 agosto.
3 Vedasi il giornale Corriere della Riviera del 12 agosto 1964.
4 Dalla relazione del Comando della V Brigata datata 11 agosto 1944, inviata al Comando della II Divisione «F. Cascione»
5 Sauro Dardano (Bob) l’8 settembre 1943 è presso la base militare di La Spezia in qualità di puntatore cannoniere. All’annuncio dell’armistizio si incammina verso Ventimiglia per rientrare in famiglia, ma a pochi chilometri dalla meta è catturato dai nazisti; essendo privo dei documenti di riconoscimento è incolonnato per essere deportato in Germania. Dardano tenta la fuga, ma è ripreso, ridotto all’impotenza e percosso con il calcio del fucile. Alla stazione di Recco, mentre i Tedeschi si apprestano ad internare i prigionieri nei vagoni piombati diretti ai «lager» germanici, suona l’allarme per un’improvvisa incursione aerea degli Alleati. Nella confusione che si crea Sauro riesce a dileguarsi ed a raggiungere la sua famiglia dopo una marcia di quindici giorni, attraverso strade e sentieri di campagna e di montagna. Poi, si avvia alle formazioni partigiane che si stanno creando nell’entroterra ventimigliese ed organizza una banda in frazione Torri di Ventimiglia: successivamente si trasferisce sul monte Grammondo. Per circa un anno «Bob» offre il suo contributo alla causa della libertà, dimostrando grande generosità e lealtà verso i compagni, per i quali prepara anche degli scritti da leggere periodicamente nel distaccamento. Grazie al suo coraggio ed alla buona conoscenza dei luoghi in cui opera riesce sempre a respingere i numerosi attacchi nemici. Giovane di grande entusiasmo, è di esempio ai compagni anche in quelle iniziative che, apparentemente estranee alla lotta armata, tendono a cementare la fraternità fra i partigiani (da documentazione di archivio presso l’ANPI di Imperia e da una testimonianza scritta dello zio Aldo Dardano).
6 Testimonianza di Aldo Dardano.
7 Relazione di Ernesto Corradi (Nettù) del 22 agosto 1944 – prot. N° 47/0, inviata al Comando della V Brigata.
8 Testimonianza di Rino Poli e di Aldo Dardano.
9 Vedasi fascicolo personale presso ANPI di Imperia.
10 G. Strato nel 1° volume della presente opera a pag. 244 scrive che Orengo Giuseppe fuggì e non diede più notizie. Aldo Dardano, in una testimonianza successiva, riferisce che Orengo è stato catturato, trasportato a Nizza ed ucciso in località Scarena.
11 I partigiani catturati saranno fucilati a Sospel (vedasi il capitolo seguente).
12 «Graia» significa frana pietrosa. Queste pietraie sono assai numerose nelle Alpi Marittime.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) – Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

[n.d.r.: i partigiani catturati dopo essere stati sottoposti ad orrende torture per due giorni e tre notti, furono condotti nel capannone Gianotti, nei pressi della stazione ferroviaria di Sospel e vennero trucidati a raffiche di mitra. Era il 12 agosto 1944. Caddero i francesi Adolphe Faldella, Alphonse Rostagni, Mario Tironi, Jean Tolosano e caddero gli italiani del Distaccamento “Grammondo” della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” Michele Fontana Badino, Antonio Antua Bazzocco, Bruno Spartaco Bellon, Oreste Fortunato Fanti, Sergio Bufalo Franceschi, Pietro Barin Gavini, Bruno Bruno La Rosa, Osvaldo Osvaldo Lorenzi, Luigi Dante Martini, Bruno Montana Pistone ed il bergamasco Mario Mario Roncelli ]

Villatella, Frazione di Ventimiglia (IM) ed uno scorcio del Grammondo

25/8/44 […] Siamo di fronte uno all’altro, ci guardiamo meravigliati, poi scoppiamo dal ridere; mi racconta [Ernesto “Nettu” Corradi] che è reduce da un imponente rastrellamento subìto sulle pendici del monte Grammondo. Ora cerca il Comando di divisione per fare il suo rapporto. Mi propone di seguirlo, dicendomi che sarebbe sceso a Torrazza [Frazione di Imperia] e ritornato, poi, in Francia. Il desiderio di rivedere i miei genitori era immenso e l’idea di avvicinarmi agli alleati mi allettava molto. Illuso di poter entrare a Porto Maurizio sopra un carro armato americano, accetto la proposta e decido di seguirlo. Convinto dall’entusiasmo del mio compagno, abbandonavo la vita partigiana nelle montagne imperiesi, mentre una nuova spericolata avventura mi avrebbe condotto oltre confine, dove pensavo di arruolarmi in un esercito regolare per combattere, con maggiori probabilità di riuscita, quel nemico da cui non volevo più fuggire e che volevo vincere. Saluto i compagni, dispiaciuti per la mia decisione, che rimangono là in attesa di quelle armi che non arriveranno mai, e mi avvio con “Nettu” verso il Comando di divisione. Terminato il suo rapporto sulla sconfitta subìta sul monte Grammondo, “Nettu” ottiene da “Giulio”, commissario di divisione [Libero Remo Briganti], il permesso di partire per la Francia, ed io con lui.
29/8/44 – Con una lunga camminata, prima di sera raggiungiamo Triora […]
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall’Arroscia alla Provenza. Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim, ed. Cav. A. Dominici, Oneglia Imperia, 1982

[ n.d.r. sulla controversa figura di Ernesto Corradi si possono leggere alcuni significativi passi in “La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 – 8 ottobre 1944)” (a cura di) Paolo Veziano (con il contributo di) Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020 ]

Con un nuovo documento al quale allegava le testimonianze di alcuni garibaldini “Nettu” era determinato a smontare pietra per pietra il castello accusatorio costruito da “Dritto”.
“Fu provato che non abbandonai i miei garibaldini, che presi parte al combattimento di Albarea nel quale fui solo a sparare contro i tedeschi, uccidendo fra l’altro un ufficiale a Passo Cuori. Che non riparai in Francia perché tutta la compagnia vi era, Albarea trovandosi in Francia. Che venni con scorta a fare rapporto ai comandi di brigata e di divisione. Che ricevetti da Vittò Ivano [n.d.r.: Giuseppe Vittorio Guglielmo, all’epoca comandante della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”, poco tempo dopo della II^ Divisione “Felice Cascione”] ordine scritto di ritornare sul Grammondo e Albarea ed eseguii quell’ordine, fui tagliato fuori dalla spinta tedesca e rimasi colà per forza come tanti altri. Che non avevo ingenti somme, e che il poco che avevo mi fu sequestrato, poi rubato dall’avventuriero Giacomo Alberti [n.d.r.: il partigiano “Dritto” che aveva mosso accuse molto pesanti a Corradi]”.
L’Associazione Nazionale Partigiani (ANPI) affidò ad Arnolfo Ravetti, “Paga”, il delicato incarico di dirimere l’incandescente controversia. Dopo aver letto gli atti, l’arbitro si convinse che le accuse reciproche fossero esagerate e che queste nascessero dall’inimicizia derivata dalle loro datate e burrascose relazioni.
Inappuntabile pare invece il suo giudizio sulle gravi responsabilità del comandante del distaccamento del Grammondo
“Si comportò in modo leggero con soprusi ed arbitri sia contro la popolazione che contro i Garibaldini, che a me personalmente dissero di vivere sotto il suo terrore: senonché a tale epoca non potei prendere provvedimenti. La sua incompetenza di avventuriero risultò chiara nella strage del suo distaccamento che sorpreso verso il 9 di agosto dai tedeschi perdette 18 uomini su 24”.
“Paga”, repetita iuvant, inseparabile compagno di “Fragola”, conferma che “Nettu” fu chiamato a Carmo Langan da “Ivano” e che questi lo inviò a “Curto” [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante all’epoca della II^ Divisione “Felice Cascione”, in seguito della I^ Zona Operativa Liguria] al quale spettava la decisione finale sui provvedimenti da adottare.
Tornò dopo alcuni giorni affermando trionfante di aver avuto un lungo colloquio in seguito al quale “Curto” lo aveva assolto e gli aveva ordinato di tornare sul Grammondo.
Solo a partenza avvenuta si seppe che “Nettu” non si era mai presentato all’incontro.
Giunto a destinazione, reclutò altri uomini e il 20 settembre passava alle dipendenze delle Forze armate francesi come gruppo autonomo della V brigata “L. Nuvoloni”. Il suo comportamento, e una nuova serie di arbitri, furono oggetto di feroci critiche da parte degli alleati d’oltralpe.
Meno intransigente, ma non completamente assolutorio, il giudizio che “Paga” espresse su “Dritto”: «Inviato in Francia in missione, non ne fece più ritorno che alla Liberazione sebbene più volte richiesto per mezzo di staffette, ma saltuariamente giunsero notizie su di lui che fecero comprendere come male si fosse apposto il Comando della brigata inviandolo in Francia».
In sostanza – concludeva Ravetti – l’aiuto prezioso offerto dalla permanenza di Alberti e Corradi in Francia alle formazioni partigiane non sarebbe mancato se con il loro comportamento si fossero guadagnati la fiducia della Missione alleata che considerava, invece, tutti i garibaldini italiani alla stregua «del campione che aveva sottomano».
Paolo Veziano, Giustizia partigiana in La libera Repubblica di Pigna op. cit.

[ n.d.r.: in effetti a settembre 1944, come lasciò scritto Lavagna (vedasi op. cit. supra) Corradi ed il suo gruppo erano stati arruolati nella FSSF, First Special Service Force (chiamata anche The Devil’s Brigade, The Black Devils, The Black Devils’ Brigade, Freddie’s Freighters), reparto d’elite statunitense-canadese di commando, impiegato anche nella Operazione Dragoon nel sud della Francia, tuttavia sciolto nel dicembre 1944; a questa data, per non farsi internare, questi partigiani italiani furono costretti ad immatricolarsi nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese, nel quale prestarono servizio sino alla fine della guerra ]