Calvino ricordava che alla battaglia di Baiardo era incaricato di fare il portamunizioni

Baiardo (IM)

Italo Calvino ha atteso tanto tempo prima di descrivere l’unica battaglia alla quale ha partecipato di persona. Cosa rimane di un battaglia 30 anni dopo? I ricordi di quei lontani avvenimenti sono confusi. Sto cercando di riportare alla superficie una giornata, una mattina, un’ora tra il buio e la luce all’aprirsi di quella giornata. Da anni “non ho più smosso questi ricordi, rintanati come” anguille nelle pozze della memoria. Adesso che, passati trent’anni, ho finalmente deciso di tirare a riva le reti dei ricordi e “vedere cosa c’è dentro […]” <62 Di quel giorno in cui, assieme ai suoi compagni, il giovane Calvino si avvia verso il paese di Baiardo <63, che deve essere strappato ai fascisti, rimangono pochi ricordi. Non si può dimenticare né il dolore ai piedi chiusi nei pesanti scarponi né il sollievo provato quando, per non farsi sentire dai nemici, viene dato l’ordine di procedere scalzi. Non si può dimenticare il sollievo provato quella notte senza luna e senza stelle, quando, dal buio sono spuntati i partigiani degli altri distaccamenti per partecipare alla liberazione di quella cittadina che, magari, nel contesto della guerra mondiale non aveva una gran importanza, ma che rimaneva così importante per loro.
[NOTE]
62 Italo Calvino, La strada di San Giovanni, p. 49.
63 Un comune italiano appartenente alla provincia di Imperia in Liguria.
Marie Šimková, La rappresentazione della guerra nelle opere di Italo Calvino, Tesi di laurea, Università della Boemia meridionale di České Budějovice, 2015

Calvino aveva partecipato personalmente alla lotta armata durante la guerra civile e pur avendo scritto molto sulla guerra partigiana non si era mai raffigurato apertamente nei panni del combattente come accade invece in questo racconto. Il fatto che Calvino scegliesse di pubblicare questo testo autobiografico, in un forma incompiuta di cui non era pienamente soddisfatto, sul più diffuso quotidiano italiano, in occasione della celebrazione della festa civile che ha fondato la Repubblica italiana, sta ad indicare che egli gli attribuiva un grande valore civile ed etico. Il “Ricordo di una battaglia” evoca la battaglia di Baiardo (un paese a nord di San Remo) che si svolse il 17 marzo 1945 [n.d.r.: la maggior parte delle fonti indicano, invece, nel 10 marzo 1945 la data di questa battaglia partigiana di Baiardo]. Calvino militava allora col nome di battaglia di “Santiago” in una divisione garibaldina. In questo racconto Calvino si rende conto di non poter più possedere la pienezza del passato: esso appare come un granello depositato nella “sabbia mentale” e seppellito da miliardi di altri granelli. L’immagine puntiforme e pulviscolare, impalpabile e leggera della sabbia costituisce per Calvino l’emblema del mondo visto nella scrittura, una rete fittissima dei segni alfabetici che si susseguono sulla pagina come granelli di sabbia. Calvino vuole ricordare quella battaglia, da tanto tempo la sua memoria non si spingeva a quegli eventi, ma in tutto questo tempo egli pensava che quei ricordi in qualsiasi momento sarebbero stati a sua disposizione. Ora che è giunto il momento di fare emergere il passato nel momento presente Calvino si rende conto di non poter più possedere la pienezza del passato: esso appare come un granello depositato nella «sabbia mentale» e seppellito da miliardi di altri granelli.
[…] Nel “Ricordo di una battaglia” ritorna, dunque, la riflessione etica sulla scrittura, cioè sulla rete fittissima deì segni alfabetici che si susseguono sulla pagina come granelli di sabbia. La memoria si indirizza ad un mattino particolare e al risveglio di un distaccamento partigiano che si mette in marcia per un bosco al comando di Olmo, per andare a combattere. Il ruolo di Calvino è quello del «portamunizioni». La colonna di partigiani è diretta verso un paese delle Prealpi marittime tenuto dai bersaglieri repubblichini. Calvino non vuole raccontare la «storia» di quella giornata secondo la logica ricostruttiva del dopo. Ecco allora che questo racconto si presenta come un vero e proprio esercizio di memoria in cui l’accento cade sul presente della scrittura, considerata come il luogo effettivo di formazione della soggettività che, come accade anche negli altri scritti autobiografici di Calvino, rimane una presenza precaria, esposta alla crisi nel momento stesso in cui intende cogliere nel vivo l’esperienza del suo farsi: “Molte cose dovrei ancora aggiungere per spiegare com’era questa guerra in quel luogo e in quei mesi, ma anziché risvegliare i ricordi tornerei a ricoprirli con la crosta sedimentata dei discorsi di dopo, che mettono in ordine e spiegano tutto secondo la logica della storia passata, mentre adesso ciò che voglio riportare alla luce è il momento in cui abbiamo piegato per un sentiero…” […]
Massimo Lollini, Italo Calvino e l’esperienza della guerra civile in (a cura di) Herman van der Heiden e Tina Montone, Sessant’anni dopo. L’ombra della seconda guerra mondiale sulla letteratura del dopoguerra, Atti della Giornata di Studi tenuta il 5-4-2005 alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bologna, CLUEB

Molte cose dovrei ancora aggiungere per spiegare com’era quella guerra in quel luogo e in quei mesi, ma anziché risvegliare i ricordi tornerei a ricoprirli con la crosta sedimentata dei discorsi di dopo, che mettono in ordine e spiegano tutto secondo la logica della storia passata, mentre adesso ciò che voglio riportare alla luce è il momento in cui abbiamo piegato per un sentiero che gira giù in basso intorno al paese, in fila indiana per un bosco rado e rossiccio, ed è venuto l’ordine: “Toglietevi le scarpe dai piedi e legatevele al collo, guai se sentono il rumore dei passi, guai se in paese cominciano i cani a abbaiare; passata la voce e avanti in silenzio”. […]
Quello che vorrei sapere è perché la rete bucata della memoria trattiene certe cose e non altre: questi ordini che non sono mai stati eseguiti li ricordo punto per punto, ma ora vorrei ricordarmi le facce e i nomi dei miei compagni di squadra, le voci, le frasi in dialetto, e come abbiamo fatto coi fili, a tagliarli senza tenaglie. […]
Continuo a scrutare nel fondovalle della memoria. E la mia paura di adesso è che appena si profila un ricordo subito prenda una luce sbagliata, di maniera, sentimentale come sempre la guerra e la giovinezza, diventi un pezzo di racconto con lo stile di allora, che non può dirci come erano davvero le cose ma solo come credevamo di vederle e di dirle. Non so se sto distruggendo il passato o salvandolo, il passato nascosto in quel paese assediato. […]
Ecco che se provo a descrivere la battaglia come io non l’ho vista, la memoria che si è attardata finora dietro le ombre incerte prende la rincorsa e si slancia: vedo la colonna di quelli che s’aprono la strada verso la piazza, mentre dai vicoli a scale salgono quelli che hanno aggirato il paese. […]
Tutto quello che ho scritto fin qui mi serve a capire che di quella mattina non ricordo più quasi niente, e ancora più pagine mi resterebbero da scrivere per dire la sera, la notte. […]».
Italo Calvino, Ricordo di una battaglia, Corriere della Sera, 25 aprile 1974

Con la prima luce del giorno i partigiani, nel confrontarsi con i loro compagni, si rendono conto di costituire tutti quanti un’armata di straccioni, malvestiti, male armati, affamati e sporchi, eppure l’esser stati capaci di sopravvivere per tutto l’inverno sotto quelle condizioni così estreme per loro è già una vittoria importante. Se si è stati in grado di arrivare fin lì ancora con la voglia di battersi, si potrà anche essere in grado di cacciare da Baiardo i bersaglieri di Graziani, ben vestiti, bene armati, ben nutriti.
La battaglia per Baiardo serve a risolvere la questione tra i due gruppi di giovani: quelli che hanno scelto la strada della montagna, per non continuare la guerra al fianco di chi l’ha scatenata, portando morte e distruzione in tutta Europa, ma anche per non finire nei campi di lavoro tedeschi o ammazzati, e quelli che hanno fatto la scelta opposta, per rispettare il giuramento di fedeltà al Duce e sfuggire alla fame e ai disagi, visto che l’esercito garantiva una vita molto più comoda.
La battaglia comincia, ma lo scrittore, che ha avuto l’ordine di appostarsi con la sua squadra fuori dal paese per tagliare i fili del telefono e per sbarrare una possibile via di fuga al nemico, non vedrà niente per colpa degli alberi. Quando la vista non serve a nulla è l’udito che fornisce una chiave di lettura degli avvenimenti: il silenzio profondo che precede l’attacco viene rotto all’improvviso da spari, esplosioni, raffiche di mitra, che cessano piano piano per essere poi sostituiti da un canto di gioia: i vincitori cantano. I partigiani si avvicinano a Baiardo certi che i loro compagni abbiano liberato il paese, ma si sta cantando Giovinezza: hanno vinto i fascisti e non si può fare altro che scappare precipitosamente.
“In quella giornata, che avrebbe potuto essere gioiosa, tutto è andato storto ai partigiani. Nessuno di loro ha visto abbastanza per racconatare cosa è successo”. In mancanza di testimoni tocca allo scrittore ricostruire gli avvenimenti, non solo attraverso la fantasia ma anche basandosi sulla conoscenza di quegli amici accanto ai quali ha vissuto per mesi e dei quali ha imparato ad apprezzare il coraggio, “la decisione e la capacità di mettersi in gioco anche quando il gioco può costare la vita. Hanno provato a battersi i suoi amici: Gino è entrato in paese sparando, Tritolo ha gettato le sue bombe contro i bersaglieri e Cardù [n.d.r.: Riccardo Vitali], di fronte all’assoluta disparità di forze in campo, ha protetto con il suo corpo la ritirata dei suoi amici, restando colpito a morte. Cardù col segreto della sua forza nel sorriso spavaldo e tranquillo.” Cardù è morto. Bisognava far passare, o almeno elaborare, il lutto per l’amico ucciso, e ci voleva tempo. Tanto tempo, e forse i trent’anni sono bastati appena a recuperare la memoria di quella giornata particolare e mettersi a scrivere.
Marie Šimková, op. cit.

Salvatore Marchesi e Beppe Porcheddu nella Resistenza

La zona Arziglia di Bordighera (IM) dove sorge la Villa Llo di Mare (nell’immagine, nascosta dagli alberi), abitata a suo tempo da Giuseppe Porcheddu

[…]
Il fratello e la famiglia di Concetto Marchesi nella Resistenza fra Bordighera e Apricale
Durante l’espatrio in Svizzera, come ricorda Luciano Canfora, Concetto Marchesi scrisse «sarebbe provvidenziale l’invio di missioni con apparecchi radiotrasmittenti. Se il Comando inglese vorrà preannunziare il campo o i campi del Piemonte e della Liguria sui quali intende paracadutare tali missioni, sarà mia cura darne immediato avviso al Comando delle Brigate Garibaldi» 1. Per la Liguria, il collegamento di Concetto era proprio il fratello Salvatore, impegnato nella Resistenza del Ponente ligure.
Salvatore era nato a Catania il 15 ottobre 1876, da Gaetano Marchesi e Strano Concetta. Morì a Roma il 28 gennaio 1965 (Il fratello più giovane, Concetto, era nato sempre a Catania il 1° febbraio 1878, morì il 12 febbraio 1957 a Roma).
Capitano di complemento nella guerra ’15-’18, svolse per decenni l’attività di commercio e di rappresentanza di prodotti chimici e medicinali. Stabilitosi in Liguria, Salvatore Marchesi, sempre in contatto in modo molto riservato e prudente, tramite la rete informativa della Resistenza, con il fratello Concetto eclissatosi in Svizzera, si propose anche di aiutare la moglie Ada e la figlia Lidia. Un dettaglio: Salvatore Marchesi Salvamar utilizzava per i messaggi e le relazioni, per gli atti e le comunicazioni, sempre una macchina da scrivere che gli venne data da Renato Dorgia Plancia nella località di Negi, in piena area delle operazioni della V brigata L. Nuvoloni fino al 25 aprile 2.
Salvatore riuscì, a gennaio ’45, a far ospitare, in incognito, Ada e Lidia dall’amico Beppe Porcheddu, nella villa Llo di via Arziglia di Bordighera.
[…] Porcheddu, con Renato Brunati, Renzo Rossi e Lina Meiffret, si era legato al gruppo torinese di Guido Hess Seborga, Ada Gobetti, Piero Bargis, Giorgio Diena, Vincenzo Ciaffi, Domenico Zuccaro, Raffaele Vallone, Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Carlo Musso.
Beppe Porcheddu sparì da Bordighera e non diede più tracce dal 27 dicembre 1947. A Roma si stava realizzando una sua mostra retrospettiva di dipinti e disegni, curata dall’amico Piero Giacometti. Lasciò una lettera indirizzata alla sorella Ambrogia, con una frase enigmatica: «la vita è un continuo tradimento. I più bei sogni…restano sogno. Chissà quando ci rivedremo» 5.
Sulla scomparsa misteriosa di Porcheddu, da alcuni attribuita ad una delusione d’amore e da altri attribuita ad una scelta religiosa e mistica, è intervenuto anche Italo Calvino in una lettera inviata ad Antonio Faeti, scrittore e saggista, accademico di letteratura per l’infanzia:
Parigi, 8 gennaio 1973.
Caro Faeti, Anche avrei da dirti di Beppe Porcheddu che conobbi perché stava a Bordighera e soprattutto conosco molti che l’hanno conosciuto bene e ancora continuano a parlare della sua misteriosa sparizione. Era un uomo molto fine signorile ed elegante e colto, professava un misticismo cristiano e comunista e frequentava ambienti antifascisti prima durante e dopo la Resistenza, fino a quando scomparve senza che i suoi familiari riuscissero a sapere più niente e l’unica spiegazione che si può dare è una crisi religiosa di tipo buddistico che sia arrivata fino ad una totale perdita di sé.
Abbi tutti i miei auguri per il 1973.
tuo Italo Calvino
6.
Il soggiorno di Ada e Lidia Marchesi presso la villa di Porcheddu durò fino al 24 gennaio 1945. Alcune segnalazioni e allarmi giunti dalla rete informativa consigliarono di mutare nascondiglio. La presenza contemporanea e clandestina, nella villa di Porcheddu a Bordighera nel gennaio 1945, dei due ufficiali inglesi Michael Ross e George Bell e della moglie Ada e la figlia Lidia di Concetto Marchesi è pienamente riscontrata anche nel recente libro di Michael Ross, The British Partisan, pubblicato da Pen & Sword, London 2019. Il nuovo libro è la riedizione aggiornata della prima pubblicazione del volume Michael Ross, From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy, Minerva Press, London 1997. Nel volume del 2019, David Ross, nipote di Michael, apporta alcune integrazioni, grafici e foto.
Ancora, David Ross sta curando un saggio biografico su Beppe Porcheddu che verrà editato a breve. Si propongono alcuni passi del volume del 2019 (pagine 172 e 173) nella versione inglese e, a seguire, in una libera traduzione in italiano:
[…] This was wonderful news and a tremendous boost to morale. A landing in the English Channel area had been expected but, perhaps optimistically, we had argued that a beachhead established at the same time on the Riviera would assist any front in western Europe as well as helping to revive the stalemate on the southern Italian front. So we could not help feeling some disappointment that no- thing seemed to be happening in the Mediterranean area. Anyway, things were now on the move, and we all took heart.
Come se i Porcheddu non avessero già abbastanza problemi, altri gravami stavano per abbattersi sulla famiglia. Una mattina, come dal nulla, due donne apparvero sulla soglia di casa alla ricerca di un breve periodo di rifugio. Erano la moglie e la figlia di Concetto Marchesi, Rettore dell’Università di Padova e vecchio amico di famiglia. Per lungo tempo era stato apertamente critico nei confronti del fascismo, e adesso le autorità lo stavano perseguendo. Lui era sparito; sua moglie e la figlia pensavano fosse saggio fare altrettanto. Beppe e Rita le accolsero senza esitazioni. Adesso avevamo un problema serio. Se qualcuno estraneo, non importa chi, lo avesse saputo, la nostra sicurezza sarebbe stata compromessa e saremmo dovuti scappare. D’altro canto, cercare di evitare ogni contatto con i nuovi venuti, che avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto e, come noi, non si sarebbero mai avventurati fuori, sarebbe stato molto difficile. Ma Beppe insistette che la situazione era gestibile. Quindi niente fu detto alle due donne circa la nostra presenza, e loro si accomodarono nel salotto al piano di sotto, che fu disposto a loro uso esclusivo anche per dormire.
[…]
Michael Ross (mancato nel 2012 a Bath in Inghilterra) era capitano del Welch Regiment, mentre Cecil George Bell era tenente della Highland Light Infantry. Ross sposerà poi a ottobre 1946 la figlia Giovanna (deceduta nel 2019) di Porcheddu, mentre l’altra figlia gemella Amalia Ninilla (oggi vivente) sposerà, nello stesso giorno, un ufficiale inglese impegnato dopo la Liberazione in Liguria, il cap. Philippe Garigue.
Fu proprio Garigue, di antica e risalente origine francese, a guidare una missione alleata delicatissima, con incarico di comporre il contrasto vivace fra alcune componenti resistenziali propense all’annessione alla Francia e altre invece risolutamente avverse all’operazione. Salvatore Marchesi e molti ex partigiani attorno al rinato CLN di Ventimiglia contrastarono ogni ipotesi di annessione alla Francia o di creazione di una zona franca. Salvatore Marchesi e molti ex resistenti si impegnarono affinché la costa ligure di Ponente, nel tratto prossimo al confine, restasse italiana 7.
Garigue, nato a Manchester nel 1917 e laureato in scienze politiche, sbarcò in Sicilia e partecipò alla Campagna d’Italia come ufficiale; garantì consistenti aiuti alle popolazioni locali, in poche settimane intervenne sulle infrastrutture ed abitazioni distrutte dai bombardamenti, si meritò la stima degli abitanti. L’annessione venne scongiurata. Garigue mancò poi nel 2008.
[…]
Il manoscritto di Beppe Porcheddu, pittore, artista e antifascista
Merita particolare attenzione biografica e storica il manoscritto di Beppe Porcheddu, giacente presso l’ISRECIM di Imperia, costituito da cinque pagine scritte in modo molto fitto, con correzioni ed aggiunte, sottolineature e cancellazioni. Il testo costituisce un’importante ricostruzione di fatti, di ruoli, di avvenimenti vissuti direttamente da Porcheddu. Viene ricostruita l’attività antifascista, menzionati i rischi corsi nell’ospitare partigiani, gli inglesi Ross e Bell, la moglie e la figlia di Concetto Marchesi. La narrazione cita località e date; vi sono alcune inesattezze, ma emerge una capacità di sintesi ed essenzialità senza alcuna retorica. La versione a noi giunta è certamente una bozza di una ipotetica versione più definitiva, non pervenuta. Non si può cogliere quando e dove Porcheddu scrisse il testo. Il manoscritto non è stato mai preso in considerazione prima d’ora da storici e studiosi sul periodo resistenziale ligure. Solo nel 2019 è stato incluso, in parte, nel saggio di Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo 2019. Il manoscritto,
confrontato con altri brevi scritti e firme di Porcheddu in possesso del nipote David Ross (figlio di Giovanna Porcheddu), è stato considerato da David come autentico e attribuibile senza alcun dubbio a Beppe Porcheddu 8. Pur non essendovi la sottoscrizione di pugno di Porcheddu, il contenuto e i riferimenti di luoghi e tempo, i dettagli delle vicende sono tutti elementi congruenti rispetto alla sua attribuzione.
Ecco il contenuto del manoscritto, dopo una non agevole interpretazione della scrittura:
La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati e da me, in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo subito anche da interessi intellettuali ed artistici.
[…] I 2 ufficiali inglesi si chiamano: Michael Ross e George Bell.
Altro aiuto avemmo nell’occultamento dei 2 inglesi dal compagno Luigi Negro 18, autista della villa Hermann alla Madonna della Ruota. Egli ospitò una notte i 2 alleati nella detta villa, nonostante la permanenza di scolte tedesche nelle adiacenze e la possibilità di sorprese da parte del padrone e dei suoi accoliti.
Il rapporto di Concetto Marchesi con il fratello e la famiglia in Liguria
Concetto Marchesi ebbe sempre un rapporto intenso, preoccupato per la moglie Ada e la figlia Lidia, specie nella fase più impegnata dell’espatrio in Svizzera e poi nella Resistenza. Non solo. Pure con il fratello Salvatore, mantenne sempre una condivisione di pensiero e di sentimenti
[…]
Salvatore Marchesi scrive al comandante Nino Siccardi Curto
Significativa questa lettera custodita nell’archivio dell’ISRECIM di Imperia.
È una lettera scritta da Salvatore Marchesi Salvamar al suo comandante Nino Siccardi Curto, il 10 aprile 1948. Salvatore morirà poi il 28 gennaio 1965 a Roma. È una lettera semplice, essenziale, di vera amicizia, ricca di tensione etica ed ideale. Salvatore ricorda la stagione della Resistenza in montagna, con l’amico e comandante Curto.
[…]
Salvatore Marchesi Salvamar nella Resistenza ligure
Come recita la scheda biografica e di smobilizzazione, giacente presso l’Archivio del Comando della II Divisione d’Assalto Garibaldi Liguria “F. Cascione”, Salvatore iniziò l’attività partigiana dal 15 giugno 1944 e la sviluppò fino alla Liberazione 24.
Salvatore Marchesi prese parte attiva alla creazione del CLN a Sanremo e a Bordighera; partecipò e sostenne da subito l’originale creazione del Gruppo Sbarchi, sorto nell’ambito della SAP di Vallecrosia.
Furono proprio gli antifascisti di Vallecrosia che, dopo aver consolidato, senza qualche difficoltà iniziale, il rapporto con le missioni angloamericane sbarcate in Francia, ritennero essenziale avviare una fattiva sinergia di attacco alle truppe nazifasciste.
Tutti ricordavano bene, ad esempio, l’insuccesso che avvenne il 22 febbraio 1944, fra Riva Santo Stefano ed Arma di Taggia, quando la missione italiana Zucca (missione d’intelligence e di collegamento fra Resistenza ed Alleati), mentre tentava un raccordo con un sottomarino alleato per ricevere e inviare armi e vario materiale
[…] A Vallecrosia, nei pressi di Ventimiglia, nei mesi da settembre 1944 a gennaio 1945, la SAP locale avviò contatti diretti e sostenne la missione del dott. Kanhemann Nuccia, quella del capitano Robert Bentley (Bob)[…] 27.
[…] la missione Flap, un gruppo composto dal capitano Geoffrey Long (sudafricano di Pretoria), dal capitano Paul Morton (canadese di Toronto e corrispondente di guerra), dall’ufficiale scozzese W. Mac Lelland di Lanark e dall’ufficiale americano Maurice R. Larouche di Detroit. Il gruppo di agenti inglesi ed americani proveniva dalla missione Flap, paracadutata ed insediata nel Basso Piemonte, indirizzata dai comandi alleati per infiltrazione in provincia di Imperia.
[…] La SAP di Vallecrosia era operativa ed efficace, dotata di militanti convinti e ramificati fra la popolazione, in gran parte antifascista storica. Qui nacque l’idea di creare una sezione specializzata negli imbarchi e sbarchi via mare. Il gruppo era comandato dal garibaldino Renzo Rossi Stienca di Bordighera e dal commissario Gerolamo Marcenaro Girò di Vallecrosia.
1 L. CANFORA, Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano, Laterza, Bari-Roma 2019, p. 678.
2 Si veda FRANCESCO BIGA, nel IV Storia della Resistenza Imperiese (I zona Liguria). La Resistenza in provincia di Imperia dal primo gennaio 1945 alla Liberazione, ISRECIM, Grafiche Amedeo, Imperia 2005, p. 374.
5 Per la scomparsa di Porcheddu, non ancora pienamente ricostruita, si veda l’articolo di LEONARDO BIZZARO, apparso su «Repubblica» del 20 ottobre 2007 con il titolo Porcheddu, la matita che sparì a Natale. Si veda pure il servizio del TG3 Liguria, trasmesso in RAI il 27 febbraio 2013, proprio sulla figura di Beppe Porcheddu, con intervista alle figlie Giovanna e Amalia, al prof. Pompeo Vagliani presidente del MUSLI di Torino, nel servizio di Michaela Bellenzier.
6 Si veda https://antoniofaeti.wordpress.com, curato da Accademia Drosselmeier/Scuola per librai e giocattolai / Centro studi letteratura per ragazzi, Bologna.
7 BIGA, IV Storia della Resistenza Imperiese (I zona Liguria) cit., pp. 374-375.
8 L’attribuzione del manoscritto a Beppe Porcheddu è stata confermata all’autore dal nipote David Ross nel novembre 2020.
18 Si tratta di antifascista di Bordighera
24 Si veda la scheda da Archivio ISRECIM, Sezione II, cartella T234, fascicolo: Marchesi Salvatore. Il partigiano Salvatore Marchesi aveva tre nomi di battaglia: Salvamar, dott. Turi Sabba e dott. Turi Salibra. Si veda inoltre la scheda n. 9603 di Salvatore Marchesi, giacente presso l’Archivio Centrale dello Stato, nel fondo Ricompart, Roma.
27 Sulla figura del capitano inglese paracadutista Robert Bentley e del suo rapporto diretto con Curto e i partigiani liguri si veda D. STAFFORD, La Resistenza segreta. Le missioni del SOE in Italia 1943-1945, Mursia, Milano 2013, pp. 369- 370; M. MASCIA, L’epopea dell’esercito scalzo, Alis, Sanremo 1946, p. 213.

Sergio Favretto, Il fratello e la famiglia di Concetto Marchesi nella Resistenza, Quaderni di storia, Anno XLVII, numero 93 / gennaio-giugno 2021, Edizioni Dedalo, pp. 152-171

La Resistenza a Castelvittorio (IM): cenni

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[…]La Val Nervia aveva capisaldi nazifascisti a Dolceacqua (IM) ed a Pigna (IM) in ben munite caserme. Da tali caserme i nemici facevano puntate sui monti sovrastanti per impedire la formazione di bande partigiane. … A Castelvittorio (IM) nella primavera appena iniziata del 1944 si organizzava una banda autonoma di oppositori ai tedeschi. Erano, per lo più, giovani della zona. Anche a Buggio [Frazione di Pigna (IM)] si tentò una organizzazione, poi un poco infiacchita e ripresa quando si congiunse con un’altra banda a Carmo Langan [nel comune di Castelvittorio (IM)]…
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
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Gli uomini del distaccamento di Vittò e di Erven (5° distaccamento) nelle ore pomeridiane del… [10 giugno 1944], si recano a Castel Vittorio, e si intrattengono nel paese, cantando inni partigiani. Restano fino a tarda sera. Quando partono, i fascisti che sono a Pigna, incominciano a sparare. I partigiani, mentre si allontanano, sentono gli spari… A Passo Muratone vi erano cinque o sei guardie di finanza della repubblica di Salò. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923]. I partigiani, in tutto, erano circa una ventina, fra cui: Serpe [Isidoro Faraldi, in seguito comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“], Guido di Cetta, Marconi [Gino Asplanato] di Castel Vittorio, e i giovinetti Géna e Spezia (o «Scarzéna») [Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927]. L’azione era difficile per la posizione della caserma, che aveva alle spalle il monte e davanti lo strapiombo. A compiere l’attacco fu Assalto, insieme con Géna e Spezia…   
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
 

[…] Eravamo verso la fine di agosto del 1944. Il Comandante Vitò aveva previsto nel consiglio di stato maggiore ogni possibilità di attacco. La sera prima dell’attacco stabilito, una numerosa colonna di tedeschi arrivò a Pigna. Il comando partigiano allora si radunò a Monte Vetta [nel comune di Castelvittorio (IM)] per studiare la nuova situazione. Intanto, nella stessa notte dell’arrivo dei tedeschi, Fuoco con alcuni suoi uomini, il suo gruppo volante di distruttori, con Pagasempre [anche Ruffini, Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo capo di Stato Maggiore della V^ Brigata e con uomini decisi di Castelvittorio, erano andati verso Dolceacqua per minare un ponte e tagliare la ritirata ai tedeschi. Ma le sorprese sono sempre in agguato. Lo avevano trovato presidiato. Si dovettero ritirare e mentre ritornavano verso Pigna, camminando a mezza costa per essere nascosti, si accorsero che i nazifascisti abbandonavano Pigna. I troppi attacchi avevano loro consigliato il ripiegamento su lsolabona e Dolceacqua. Tra gli attacchi che indusssero  i tedeschi ad andarsene, vi furono continui disturbi degli uomini del distaccamento di Castelvittorio (IM), guidato da Fuoco [Marco Dino Rossi].   don Ermando Micheletto, Op. cit.

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[…] A Langan i partigiani presero le mie generalità e mi diedero Rodi quale nome di battaglia. Nei giorni successivi, Bruno Luppi * costituì un distaccamento [il V° dell’allora IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, formata il 20 giugno 1944 e diventata il 7 luglio 1944 II^ Divisione “Felice Cascione”] di una trentina di uomini con base in un bosco vicino alla frazione Vignai, nel comune di Baiardo: il gruppo aveva lo scopo di isolare la postazione tedesca sul monte Ceppo, che impediva il transito da Baiardo a Langan. Io entrai a far parte del distaccamento in qualità di portaordini e il 26 giugno 1944 ricevetti il battesimo del fuoco. […]  già alla fine di luglio formammo un nuovo distaccamento agli ordini del comandante Mosconi [Basilio Moscone] e tornammo nei boschi intorno a Castel Vittorio. In settembre partimmo poi per Cima di Marta, con l’incarico di stare di vedetta per controllare che non arrivassero tedeschi dalla Val Roia. Là rimasi fino al rastrellamento dell’8 ottobre, quando Langan fu di nuovo occupata e noi dovemmo ritirarci a Piaggia (CN), poi alle falde del Mongioie, in Piemonte. […]  Stefano Rodi Millo [conosciuto soprattutto come Mario] in Marco Cassioli, Ai confini occidentali della Liguria. Castel Vittorio dal medioevo alla Resistenza, Comune di Castel Vittorio, Grafiche Amadeo, Chiusanico (IM), 2006

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[…] Poi l’8 ottobre 1944 i nazifascisti fecero un grosso rastrellamento in tutta la provincia di Imperia, così le formazioni partigiane che operavano nella zona dovettero ritirarsi fino in Piemonte, ai piedi del Mongioie. Il 22 novembre 1944 i comandanti ci dissero di tornare a casa per trascorrere l’inverno al sicuro, in attesa di riprendere la lotta in primavera. Italo [Italo Rebaudo, nato a Castelvittorio nel 1924, “Falce“] ed io rientrammo quindi a Castelvittorio, passando i mesi di dicembre, gennaio e febbraio nascosti in una tana, in regione Viameglio.[…] Giacomo Romolo Rebaudo in Marco Cassioli, Op. cit.
 
Uno dei fatti più orrendi, solo secondo a quello di Torre Paponi, accade il 3 dicembre 1944 nell’alta Val Nervia, quando duecento uomini combattenti tedeschi, bersaglieri  repubblichini e brigatisti neri, provenienti da Dolceacqua (IM) raggiungono il paese di Castelvittorio (IM) per rastrellare la zona.  Dal giorno che un reparto tedesco si era insidiato nell’abitato (8 ottobre 1944) la popolazione, benchè costretta a subire continue violenze, aveva fatto capire da quali sentimenti era animata. […] Appunto il 3 dicembre si presenta l’occasione per la rappresaglia. All’alba, iniziato il rastrellamento a monte Gordale, dove i tedeschi sapevano esservi partigiani alloggiati e riforniti di viveri dalla popolazione di Castelvittorio, si accende una sparatoria durante la quale un sott’ufficiale nemico rimane ferito.
La reazione è immediata e si abbatte spietata ed inesorabile sui contadini.[…] cinque minuti dopo giunge l’ordine di fucilare i diciannove catturati: dieci in un luogo e nove in un altro.
Prima dell’esecuzione, a tutti viene promessa salva la vita se avessero svelato l’ubicazione del rifugio partigiano, dal quale erano partite le fucilate, ma nessuno parla.

[…]  Emilio Allavena [Tramvai] e Giovanni Orengo (Tumelin) emergono ancora di più da questo eccidio senza pari in Val Nervia. La lezione che il nemico vuole impartire al paese non è ancora finita: ai due suddetti, accusati di aver rifornito i garibaldini, viene riservata la fucilazione da eseguirsi sulla pubblica piazza del paese. […]  Francesco Biga, “Storia della Resistenza imperiese”, Vol. III, Da agosto a dicembre 1944,  ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977

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<  7 gennaio 1945 – Dal comando del I° Battaglione “Mario Bini” [in quel momento era ancora comandante del Battaglione “Danko” Giovanni Gatti] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” al comando della V^ Brigata [comandante “Fragola Doria” Armando Izzo] – Relazione militare: a Pigna si trovavano 80 soldati nemici, mentre a Buggio [Frazione di Pigna (IM)], Castelvittorio (IM), Ormea (CN), Garessio (IM), Testa d’Alpe e Passo Muratone [Località di Pigna (IM)] erano stanziate alcune batterie nemiche…
<   18 febbraio 1945 – Dalla Sezione SIM del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 3, al comando della V^ Brigata – Comunicava che il giorno prima, 17 febbraio, i partigiani di “Serpe” [Isidoro Faraldi] e di “Olmo” [Giobatta Moraldo] avevano attaccato a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)] una pattuglia nemica composta da 8 tedeschi e 3 fascisti, tutti catturati, altresì ottenendo come bottino 1 Mayerling, 1 Breda, 1 Sten, alcune bombe a mano e diverse munizioni                                                                                                                
 
<   22 marzo 1945 – Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 352, alla Sezione SIM della II^ Divisione – Comunicava che… a Carmo Langan [Castelvittorio (IM)] si trovavano 70 tedeschi…                                                                                                                                              <  23 marzo 1945 – Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”, prot. n° 353, al comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione “Felice Cascione” – Comunicava che Castelvittorio, dove passavano saltuariamente tedeschi da Pigna e da Baiardo, non era in quel momento presidiata da truppe nemiche… che tra Castelvittorio e Pigna erano stati fermati 100 uomini che il nemico stava per inviare sulla “frontiera italo-francese per eseguire lavori di fortificazioni militari”; che questi uomini dopo una settimana sarebbero stati sostituiti…                        
<   10 aprile 1945 – Dal comando della IV^ Brigata “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione” al Comando Operativo della I^ Zona Liguria – Comunicava … che l’8 aprile 70 SS tedesche avevano “effettuato una puntata ad Arzene-Costa di Carpasio-Carpasio, uccidendo 3 borghesi prima di fare ritorno a Castelvittorio passando per S. Bernardo di Conio”.
<   17 aprile 1945 – Dal comando del I° Distaccamento “Riccardo ‘Cardù’ Vitali” [comandante “Sergio” Guido Lanteri] del I° Battaglione “Mario Bini” [comandante “Figaro” Vincenzo Orengo] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” al comando della V^ Brigata – Comunicava che quella mattina una squadra al comando di “Tritolo” [Pier Luigi Daniele] aveva attaccato il presidio nemico di Carmo Langan sottolineando che, dopo aver piazzato il mortaio e avere dislocata la squadra in posizione avanzata, venivano fatti esplodere 5 colpi che avevano spinto i soldati del presidio ad uscire allo scoperto, dove venivano bersagliati con i mitragliatori, ma che non si sapeva come e quanti nemici erano stati colpiti perché alcuni colpi di cannone avevano indotto i garibaldini a ritirarsi.

< 23 aprile 1945 – Dal comando del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” [comandato da Basilio Mosconi “Moscone”] al comando della V^ Brigata – Comunicava che nella nottata precedente una pattuglia del V° Distaccamento si era portata come da ordini ricevuti a Pigna dove aveva minato la strada di Langan: il tratto minato era 2 km. a nord del Palazzo del Maggiore [in effetti nel comune di Castelvittorio]                                                                      documenti Isrecim  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999

Tucin [Mario Alberti], Giuan Grigiun [Giovanni Orengo], l’Acidu [Giuseppe Verrando] furono tutti membri del C.L.N. di Castelvittorio e nel dopoguerra composero la giunta comunale del paese quando mio padre era sindaco. Con loro c’era anche Giulio Rebaudo… Stefano Rodi Millo in Marco Cassioli, Op. cit.
 
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[ Ed agli abitanti di Castelvittorio presi dal vortice del periodo tragico della Resistenza hanno dedicato pagine indimenticabili, cui si farà riferimento con prossimi articoli, sia Bruno Erven/Herven Luppi *, in Bruno Luppi, Saltapasti, La Pietra, Milano, 1979 ed in altre testimonianze riprese da altri autori, che Italo Calvino, non soltanto in Mario Mascia, L’Epopea dell’Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975, ma anche in altri suoi scritti  ]
 
* Bruno Luppi. Nato a Novi di Modena l’8 maggio 1916. Figlio di un antifascista, fin da ragazzo prese parte alla lotta clandestina contro il regime fascista e, nel 1935, venne arrestato e incarcerato a Modena.  Trasferitosi a Taggia (IM), si inserì nell’organizzazione comunista clandestina di Sanremo (IM). L’8 settembre 1943 era ufficiale dell’esercito quando venne catturato dai tedeschi. Riuscì però a fuggire a Roma dove partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo. Tornato nuovamente in Liguria, fu tra gli organizzatori della lotta armata ed entrò a far parte del C.L.N. di Sanremo.
Per incarico della Federazione Comunista di Imperia il 20 giugno 1944 organizzò, con altri dirigenti del partito, la prima formazione regolare partigiana del ponente ligure, la IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”,  con sede nel bosco di Rezzo (IM), la quale diventò a luglio 1944 la II^ Divisione “Felice Cascione”.  Il 27 giugno 1944 da comandante di Distaccamento venne gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe tra Baiardo (IM) e Badalucco (IM). Per mesi riuscì avventurosamente, ancorché costretto alla macchia pur nelle sue tragiche condizioni di salute, a sottrarsi alla cattura da parte del nemico. In seguito, appena guarito, assunse la carica di vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria. da Vittorio Detassis su Isrecim

Tra quei giovani credo ci fosse anche Italo Calvino

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Uno scorcio di case Cristai-Peverei, in Negi, Frazione di Perinaldo (IM)

Trascorso il plenilunio, la notte del 14 [dicembre 1944] partiva con un’altra barca anche il partigiano dott. Kahneman (Nuccia) con la pianta di tutte le postazioni tedesche del primo schieramento costiero e le coordinate delle principali fortificazioni, ricevute a Coldirodi [Frazione di Sanremo (IM)] da un incaricato della Divisione Felice Cascione. Su interessamento del comando della I^ Brigata Silvano Belgrano [ n.d.r.: che faceva ancora parte della II^ Divisione “Felice Cascione”, ma asarebbe passata dopo pochi giorni a far parte della neo costituita Divisione “Silvio Bonfante” ], rientravano dal Piemonte nella prima decade di novembre e, con l’aiuto di Corsaro [Giulio Pedretti], dopo qualche giorno seguivano Nuccia verso la Francia anche due soldati R.T. americani, fuggiti ai tedeschi in Alta Italia, con il compito di sollecitare presso il Comando alleato l’invio di apparecchi radio ricetrasmittenti. Il tenente Antonio Capacchioni del gruppo Kanhemann veniva incaricato di preparare, in collaborazione con la S.A.P. di Vallecrosia, l’arrivo presso la Divisione Felice Cascione del capo della Missione alleata, il capitano inglese Robert Bentley. L’insieme degli uomini addetti al raggruppamento sbarchi e imbarchi, forniti quasi tutti dalla S.A.P. di Vallecrosia, comandati dal garibaldino Renzo Rossi di Bordighera e dal commissario Gerolamo Marcenaro di Vallecrosia, tra gli altri comprendeva i garibaldini Achille Andrea Lamberti [comandante del distaccamento S.A.P. di Vallecrosia], Vittorio Lotti [in effetti Aldo Levis Lotti, commissario del distaccamento S.A.P. di Vallecrosia], Renato Plancia Dorgia, Ezio Amalberti, Vincenzo Biamonti, Irene Anselmi, Eraldo [Mura] Fullone… Salvatore Marchesi [Turi Salibra Salvamar], Angelo Mariani [Athos], Luciano Mannini (Rosina), Renzo Biancheri [dai compagni di lotta ricordato sempre nelle testimonianze da loro rese come Rensu u Longu, mentre il nome di battaglia era Gianni], fino a raggiungere una forza di una ventina di uomini che funzionavano a pieno ritmo.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005

Le prime voci di antifascismo a Vallecrosia si ebbero nel 1940/41 da parte di Achille [Achille Lamberti, “Andrea”], di Francesco “Cè” Garini, di “Girò” [n.d.r.: o “Gireu”, Pietro Gerolamo Marcenaro], di Aldo Lotti e di altri.
Un antifascismo molto riservato, anche perché le ritorsioni erano molto dure, come nel caso di Alipio Amalberti, zio materno di Girò, che per aver gridato in un bar di Vallecrosia “Viva la Francia” venne dapprima schedato e successivamente costantemente perseguitato, fino a essere fucilato per ritorsione dopo essere stato preso come ostaggio.
Renato Plancia Dorgia  in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2017
 
[  n.d.r.: Sergio Sergio Marcenaro, all’epoca quattordicenne staffetta partigiana, nonché fratello del già citato Girò, precisa che lo zio materno Alipio per quella frase, riportata qui sopra da Dorgia, era stato condannato a cinque anni di confino. Ne fece poco più di tre, perché avendo dato prova pratica nel luogo di isolamento di essere un valido agricoltore del ponente ligure, il graduato fascista, che gli aveva già concesso la possibilità di lavorare, aveva altresì intercesso a quel punto per una riduzione della sua pena. Ma il suo nome era rimasto segnato e, a seguito di varie traversie, schematicamente indicate qui di seguito, venne trucidato a Badalucco (IM) il 5 giugno 1944  ]
[ n.d.r.: Pietro Gerolamo Marcenaro risultava latitante già nel verbale della Questura (fascista) di Imperia del 15 giugno 1944, riferito alle indagini ed agli arresti effettuati verso la fine di maggio nella zona di Ventimiglia e di Bordighera a danno del costituendo CLN di Ventimiglia, del già esistente CLN di Bordighera, del gruppo antifascista “Giovane Italia” e di altri patrioti collegati, un documento edito in don Nino Allaria Olivieri, Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999, pp. 9, 24 ]
[ n.d.r.:  Alipio Amalberti, nato a Soldano l’11 febbraio 1901, già nelle giornate che seguirono l’8 settembre metteva in piedi un’organizzazione per finanziare ed armare i gruppi che si stavano formando in montagna a Baiardo (IM) insieme a Renato Brunati di Bordighera, fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino e Lina Meiffret, proprietaria di una villa poco fuori Baiardo, punto di riferimento e talora rifugio di quella piccola banda, che, catturata insieme al fidanzato Brunati, venne deportata in un campo di concentramento in Germania, da cui tornò fortemente provata, ma salva. Arrestato il 24 maggio 1944 a Vallecrosia e tenuto come ostaggio, in quanto segnalato più volte come sovversivo, Alipio Amalberti venne fucilato a Badalucco il 5 giugno 1944 come ritorsione ad un’azione del distaccamento di “Artù”,  Arturo Secondo, compiuta il 31 maggio ]

Sono nato nel 1925 e nel 1943 ero uno studente, che frequentava con profitto il liceo classico di Sanremo, sempre promosso e anche un po’ imbevuto di fanatismo fascista, specialmente dopo la guerra di Spagna. A causa della propaganda di allora parteggiavo per i franchisti.

Ero renitente alla leva, ma non c’era ancora una resistenza organizzata. Per evitare di farmi catturare, mio padre mi nascose da parenti di mia madre a Isola del Cantone, in provincia di Genova. Venni dichiarato disertore e fui condannato a morte con sentenza del tribunale di Sanremo in data 28 febbraio 1944. Per i disertori la pena comminata dalla Repubblica Sociale di Salò era, infatti, la fucilazione immediata.
La mia permanenza a Isola del Cantone era dunque pericolosa per me e per i miei parenti.
Approfittando del bando che sospendeva la fucilazione per i disertori che si fossero presentati spontaneamente all’arruolamento, mio padre mi venne a prendere e col treno ritornai con lui fino ad Arma di Taggia [Taggia (IM)], poi da Arma a Vallecrosia in bicicletta, fortunatamente senza essere mai fermati. Nel frattempo Girò, Achille Lamberti ed altri avevano organizzato un principio di Resistenza.
Attraverso mio padre, presi contatto con loro e assieme ci demmo alla macchia.
Achille Lamberti, Cè Garini, Girò Marcenaro, Aldo Lotti, Nello Moro e io partimmo per il punto di raduno a Langan.
Poco pratici, percorremmo il tragitto più lungo e impervio dove Girò dimostrò tutta la sua volontà: per una malformazione camminava con difficoltà e meno agevolmente di noi, ma non si arrese.
In località San Martino di Soldano (IM) ci unimmo ad un gruppo di studenti di Sanremo che il C.L.N. aveva indirizzato verso noi per raggiungere Langan [Località di Castelvittorio (IM)]. Tra quei giovani credo ci fosse anche Italo Calvino [ n.d.r.: di lì a breve tra i redattori del giornale “Il Garibaldino”, stampato a Realdo, Frazione di Triora (IM), di cui furono creatori ed animatori Fragola Doria ([Armando Izzo) e Silla, Ferdinando Peitavino, di Isolabona (IM), quest’ultimo in seguito, da fine gennaio 1945, vice commissario politico della II^ Divisione “Felice Cascione”]. Non ne sono sicuro, ma dalle fotografie dello scrittore viste nel dopoguerra sono certo di aver riconosciuto un compagno con i quali trascorsi a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)] i miei primi giorni da partigiano.
Quando giungemmo sopra Castelvittorio (IM), ci venne incontro un partigiano, un militare unitosi alla resistenza dopo l’8 settembre 1943, tale Iezzoni “Argo” [n.d.r.: Altorino Iezzoni, nato ad Atri (TE), il 26/04/1914, già caporale del Regio Esercito, commissario di Distaccamento della neoformata (il 20 giugno) IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”], che ci accompagnò fino a Langan, dove c’era il “quartier generale” e dove si concentravano tutti i neo-partigiani.
Salutandoci, il partigiano Iezzoni ci disse che l’indomani probabilmente sarebbero sbarcati gli alleati.  Sarebbe stato, invece, il giorno della da noi famosa “notte dei bengala” del 21 giugno del 1944, quando tutti credevano e speravano nello sbarco degli alleati e invece ci fu solo un grande bombardamento. Otto giorni dopo [il 27 giugno 1944] “Argo” moriva in un’operazione a Baiardo (IM).
Fu il primo schiaffo che ricevetti dalla realtà della mia guerra di partigiano.
Fummo segnati su un grosso registro e arruolati al comando di Vittò [anche Vitò e Ivano, nomi di battaglia di Vittorio Giuseppe Guglielmo, dal 7 luglio 1944 comandante della V^ Brigata d’assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, dal 19 dicembre 1944  comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”].
Girò mi attribuì il “nome di battaglia” di “Riccardo”, da Riccardo Cuor di Leone. In realtà non mi sono mai sentito tale.
Restammo a Langan un paio di giorni e depositammo le armi che ci eravamo procurati a Vallecrosia, tanto avevamo possibilità di averne altre, recuperandole tra quelle nelle caserme abbandonate o gettate dai soldati dell’armata italiana in rotta dal fronte francese dopo l’8 settembre.  […] Le merci sbarcate venivano nascoste e successivamente trasportate a Negi e consegnate ai garibaldini di “Curto” e Gino Napolitano. Sovente ero incaricato del trasporto a Negi. Tra gli altri carichi ricordo una macchina da scrivere. Era pesante, pesava quanto un mortaio; ricordo che, nella fatica, dovetti sforzarmi non poco per convincermi che per vincere la guerra fosse necessaria anche una macchina da scrivere e superare la tentazione di buttarla in una scarpata.
Chi dirigeva tutte le operazioni era Renzo Rossi “Rensu u Curtu” per distinguerlo da Renzo Biancheri “U Longu”. Il comando alleato aveva deciso già nel settembre ’44 di inviare presso le formazioni partigiane ufficiali-istruttori e di collegamento. […] Con lo sbarco [6 gennaio 1945] del capitano Bentley [n.d.r.: ufficiale del SOE britannico, incaricato del Comando Alleato presso il comando partigiano della I^ Zona Liguria] si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di “Leo” Carabalona, del quale faceva parte Giulio Corsaro Pedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate. Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. […] L’organizzazione dell’Operazione Sbarchi non fu cosa semplice. Bisognò innanzitutto trovare natanti idonei a raggiungere la costa francese per le necessità di trasporto dall’Italia alla Francia; in senso inverso provvedevano gli alleati con potenti motoscafi pilotati da Pedretti […]

Renato Plancia Dorgia  in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. Cit.

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Una vista su Camporosso (Mare), Vallecrosia e Bordighera

4 aprile 1945 – Dal Quartiere Generale rappresentante dell’Alto Comando Alleato al commissario Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”] – Veniva conferito incarico al commissario in indirizzo di avvisare i responsabili della ricezione degli sbarchi di iniziare le segnalazioni alle ore 23.15 del giorno 4 stesso per i 5 giorni successivi, mentre dal giorno 10 al giorno 12  dovevano iniziare alle ore 24.  L’intervallo tra una segnalazione e l’altra doveva essere di 5 minuti.  Si richiedevano chiarimenti sulla lettera del 29 marzo con la quale era stato comunicato che i tedeschi erano a conoscenza del punto di sbarco.

7 aprile 1945Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria a Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“] – Venivano chiesti, dietro protesta del capitano Roberta [Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento], chiarimenti circa la distribuzione di armi arrivate in tre differenti sbarchi, circostanze sulle quali non erano state fatte le dovute relazioni.

9 aprile 1945 – Dal comando della V^ Brigata  al Comando della I^ Zona Operativa Liguria – Riferiva che “… sono giunti 2 garibaldini dalla Francia che hanno colà seguito un periodo di istruzione e che hanno preannunciato un prossimo arrivo di materiale bellico...”

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio / 30 Aprile 1945), Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico 1998/1999
La base alleata in Francia era a Saint Jean Cap Ferrat, nella baia di Villafranca, nella villa Le Petit Rocher.
Da Vallecrosia si partiva, naturalmente di notte, e si raggiungeva il porto di Montecarlo, facilmente individuabile perché l’unico illuminato.
All’ingresso del porto una vedetta intimava l’alt e accompagnava il natante all’approdo sotto stretta sorveglianza.
Qui l’equipaggio forniva alle sentinelle alleate del porto di Monaco solo un numero di telefono o di codice e il nome dell’ufficiale dell’Intelligence Service. […] Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata.
Fummo accolti dal capitano Lamb, che ci condusse a Le Petit Rocher. Ci diede qualche istruzione, tra le quali ricordo che, alla mia richiesta di una qualche sorta di documento, ci disse che a eventuali controlli dovevamo solo rispondere che eravamo maltesi e di riferire il suo nome, capitano Lamb con il numero di riconoscimento.
Mettendo mano al portafoglio, Lamb cominciò a distribuire una banconota da 500 franchi. La sua intenzione era di consegnarne una per ognuno di noi, ma Renzo Rossi, intascata la prima banconota ringraziò dicendo che 500 franchi bastavano per tutti.
Il capitano, sorpreso, ci fissò negli occhi uno per uno e domandò:
“Ma voi siete proprio Italiani?”.
Scoppiò poi a ridere, ma, per un attimo, vidi nel suo sguardo il sospetto che fossimo sabotatori. […] Nei giorni successivi ci portarono nei pressi dell’aeroporto di Nizza.
In un capannone erano accatastate una quantità notevole di mitragliatrici italiane Breda nuove e imballate. Evidentemente preda di guerra dell’avanzata alleata su Nizza nell’agosto del 1944.
Ma perché non le avevano fornite a noi già l’anno prima?
Prelevammo armi, viveri, vestiario e materiale sanitario.
Al Petit Rocher predisponemmo tutto sulla banchina per stivare il carico sul motoscafo che ci avrebbe riportato a Vallecrosia.
Dovemmo imbarcare anche due agenti di Ventimiglia (Paolo Loi e un altro che non ricordo, che avevano seguito un corso di sabotatori imparando a maneggiare l’esplosivo al plastico).
Per far posto ai due sabotatori, lasciammo a terra i viveri e il vestiario imbarcando solo le armi e i medicinali, contro la volontà degli ufficiali inglesi.
Ricevemmo la direttiva di annullare lo sbarco se non avessimo avvistato da terra il segnale di riconoscimento.
Arrivati al largo di Vallecrosia, nessun segnale, ma Girò mise ugualmente in acqua i due canotti e disse che, per maggior sicurezza, saremmo approdati nel tratto di spiaggia davanti alla sua abitazione.
Era meno sorvegliato dai fascisti perché … minato.
Come “maggior sicurezza” non era male!
Ma Girò conosceva il posizionamento delle mine. Il canotto con i due sabotatori approdò sulla spiaggia più verso Bordighera, forse non si fidavano a seguirei o volevano mantenersi una probabilità di fuga in caso fossimo stati accolti dai nazifascisti.
Solo più tardi ci vennero incontro camminando sulla battigia per paura delle mine. Per un attimo tememmo si trattasse di una pattuglia nemica.
Con estrema cautela Girò ci guidò nel sentiero minato fino a casa sua.
Portammo le armi a Negi come le altre volte, rifornendo le brigate Garibaldine.

Renato Plancia Dorgia  in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

 

Un amico dei partigiani di Bordighera, non ricordo chi fosse, mise a disposizione gratuitamente due bare, una per mio fratello [Alberto Nino Guglielmi, del Gruppo Sbarchi] e l’altra per Alipio Amalberti, trucidato a Badalucco. Insieme a Ezio Amalberti, andammo [fine aprile-inizio maggio 1945] a Baiardo passando da Apricale. […] L’indomani mattina ritornò Ezio con la bara di Alipio. Ritornammo a Vallecrosia scendendo da Ceriana con quel triste carico. Al nostro passaggio la gente si segnava commossa. Il ponte danneggiato lungo la strada era stato reso parzialmente agibile con assi di fortuna. Alcuni uomini impietositi si levarono il cappello e ci aiutarono nel difficile passaggio del ponte. Arrivammo a Vallecrosia in serata ma ci aspettavano in tanti. Venne improvvisata una camera ardente nella sede del PCI. […] L’indomani i feretri furono portati in chiesa per la cerimonia religiosa (per evitare ulteriori problemi mio padre, prima di entrare, tolse le bandiere rosse che coprivano le bare) e quindi seppelliti nel cimitero di Vallecrosia alla presenza di tutti i partigiani e di tanta, tanta gente. […] testimonianza di Emilia Guglielmi in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.