[…] Era il 9 luglio 1944. Malgrado avessimo fatto saltare i ponti della strada che porta a Perinaldo, dal campanile della chiesa che usavamo come posto di osservazione, percepimmo la pressione dei nazifascisti. Scorgemmo bruciare Langan [località di Castelvittorio (IM)] e i tedeschi avventurarsi ogni giorno di più sulla strada di Massabò [località di Perinaldo (IM)].
Ci ritirammo dal paese e qui devo ricordare un episodio che mi provocò non pochi dubbi. Ho già detto che eravamo arrivati a più di 40 partigiani, ma quando decidemmo di ritornare nei boschi e abbandonare il “lusso” dell’albergo” … ritornammo a essere 6 o 7. Ci ritirammo dapprima ai Negi [località di Perinaldo (IM)] e poi, spostandoci in continuazione, ritornammo a Vallecrosia (IM) dando vita alla resistenza cittadina.
Un giorno, comuni cittadini ci accusarono di compiere rapine e saccheggi in casa della gente di Vallecrosia Alta e San Biagio della Cima (IM). “I partigiani rubano nelle case!”.
Ci informammo e venimmo a sapere che in realtà un gruppo di uomini di Vallecrosia Alta comandati da un sanremese, certo Tullio, saccheggiava e rapinava, specialmente cibarie. Per evitare di essere mal considerati dalla popolazione per fatti ai quali eravamo completamente estranei, prendemmo contatto con questo Tullio che ci propose una “azione congiunta”. La vittima era il grossista di salumi di Vallecrosia che aveva qualche magazzino lungo la via provinciale. In casa di Tullio, sfollato a Vallecrosia Alta, consumammo una lauta cena, per quei tempi assolutamente inusuale, in compagnia del suo vice, un tale del paese che portava sempre una picozza nella cinta dei pantaloni. Tullio chiese a FrancescoCè Garini di poter comandare l’operazione. Cé acconsentì. Al termine ci recammo a Soldano e trattammo con mulattieri locali una ventina di muli predisposti con i “garosci”[bigonce]. Evitando la strada provinciale, raggiungemmo il pianoro sulla riva sinistra del torrente Verbone, di fronte al cimitero di Vallecrosia. Parcheggiata la carovana dei muli, con una mossa improvvisa Cè Garini disarmò Tullio della rivoltella con un laconico “Se permetti adesso comando di nuovo io!”, mentre io sfilai la picozza dalla cinta dell’altro. Intimammo il “mani in alto!” a tutta la squadra. I nostri disarmarono la banda, che venne rispedita a casa con la minaccia che, se avessero ripetuto simili “azioni”, li avremmo passati per le armi; trattenemmo Tullio e il suo vice e ne disponemmo il trasferimento al comando di Langan per essere giudicati. Senza dubbio sarebbero stati passati per le anni, però i nazifascisti attaccarono la postazione e i garibaldini preferirono liberarsi a calci nel sedere di questi due manigoldi, per non essere intralciati nella difesa delle posizioni.
Renato Dorgia, “Plancia”, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia < Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007
Racconta Sergio Marcenaro, all’epoca giovane (classe 1931) staffetta partigiana della SAP di Vallecrosia e fratello di Pietro Girò Gerolamo, che in zona imperversava nel periodo indicato da Dorgia anche un bandito, forse subito non riconosciuto come tale dai comandi partigiani; e che in un’occasione suo fratello si liberò delle pessime intenzioni di quel figuro, nel quale si era imbattuto quando era solo e disarmato, con l’abile stratagemma di simulare con una mano la presenza di una pistola in una tasca dei pantaloni. Adriano Maini
Un tratto della strada che unisce Castelvittorio (IM) a Baiardo
Nella primavera del ’44 mio cugino Giacomo Rebaudo, che era venuto in contatto con i partigiani, mi disse che dovevamo entrare nella milizia per spiare i fascisti di Ventimiglia, così andammo ad arruolarci. Un mese più tardi, tuttavia, per non dover partecipare ai rastrellamenti, decidemmo di scappare. Dalla costa, attraverso Seborga e Perinaldo, arrivammo a piedi a Castel Vittorio, poi salimmo a Langan per raggiungere i partigiani di Vittò.
[…] Verso la metà di agosto, insieme ad altri uomini del mio distaccamento, andai al cimitero di Baiardo per recuperare il comandante Luppi [Bruno Erven Luppi] che era uscito dall’ospedale di Sanremo. Lo portammo in una campagna lì vicino e lo affidammo ad una famiglia del posto perché lo nascondesse. Dopo quell’azione, Marco [Candido Queirolo] giudicò più opportuno spostare l’accampamento: così, se i tedeschi fossero venuti a cercare il ferito, non ci avrebbero trovato. Mentre attraversavamo Baiardo per dirigerci verso il monte Bignone, Marco disse a me e ad un altro ragazzo di andare al forno e di aspettare che si cuocesse il pane, poi di raggiungere il resto del distaccamento. Mentre stavamo aspettando il pane, arrivò in Baiardo una squadra di tedeschi, così corremmo ad avvisare gli altri. Il comandante decise allora di tornare indietro con alcuni uomini per tendere un’imboscata ai nemici. Rientrati a Baiardo, però, furono i tedeschi a sorprenderci: due dei nostri vennero uccisi e altri due feriti. Io ed un altro prendemmo Marco, che era stato colpito ad una gamba ed alla schiena, e lo portammo in un casone vicino al paese, ma durante la notte morì. Italo Rebaudo in Marco Cassioli, Ai confini occidentali della Liguria. Castel Vittorio dal medioevo alla Resistenza, Comune di Castel Vittorio, Grafiche Amadeo, Chiusanico (IM), 2006
[ n.d.r.: Erven era stato portato a Sanremo da Triora; infatti, come scrisse Carlo Rubaudo (in Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992) Erven, ferito nella battaglia di Sella Carpe, era stato prima trasportato e medicato a Fontana Vecchia; poi a Castelvittorio, presso Caterina e Giovanni Orengo, è visitato dal prof. Moro che stima urgente un’operazione. Con un viaggio di nove ore in barella, il ferito raggiunge l’ospedaletto di Triora, dove gli è praticata finalmente l’antitetanica. […] Dopo il ricovero e l’antitetanica, il dott. Giuseppe Bottari e il dott. Ferrero praticano al ferito l’ipodermoclisi. Ma siamo al 2 di luglio, l’inizio di uno dei più vasti e feroci rastrellamenti nazifascisti nella nostra provincia. Epicentro: Valle Nervia e Valle Argentina. I pochi feriti gravi dell’ospedaletto di Triora, fra cui Erven, sono portati in barella nel bosco del monte Trono… Erven anni dopo scriverà: “Nel primo mattino del 2 luglio 1944 i tedeschi in rastrellamento cominciarono a bombardarecon cannoni l’ospedale di Triora. Fu un fuggi, fuggi: in breve rimanemmo nell’ospedale solo cinque feriti gravi, il dottor Ferrero, il dottor Bottari, la Suora superiora dell’Ospedale e l’infermiere partigiano Battista. Il frastuono sempre più vicino delle armi tedesche, e le voci dei rastrellatori che già si udivano dal fondo valle dove Molini di Triora già era data alle fiamme…”. ]
Nello stesso istante, gli parve udire le voci di Vendetta e Picun, i due partigiani che, nello «stagiu», custodivano il ferito [Bruno ErvenLuppi]. Decise allora di uscire. Aveva appena messo piede fuori del casone, che gli comparve davanti, simile a un fantasma, una figura umana.
Prima che la paura lo agghiacciasse, ce la fece a raffigurare nella statura non alta dell’individuo, nei capelli folti e incolti, nella barba a due pizzi, nello sguardo vivo e penetrante sotto le sopracciglia nere e la fronte bassa, la sagoma del Tin. Convinto che il Tin fosse venuto per il «furto del latte», già era per dirgli che «sì il latte glielo aveva rubato… ma per non lasciar morire la cagnetta di fame e di esaurimento dopo un parto di cinque cuccioli; e perché era sicuro che se glielo avesse chiesto, sia lui che la sua vecchia, per tirchieria, avrebbero rifiutato, e…». Non terminò di pensare queste cose che il Tin, spalancando le braccia e col tono smorzato della sua voce di mago, diceva: «Come! voi dormite e non v’accorgete che il teutonico avanza! Sale da Castelvittorio, scende dal Ceppo e già accampa in Valéia e a Baiardo. Ma voi restate a poltrire; e, per giunta, con un ribelle ferito! Incoscienti, siete…».
«Come fate a sapere queste cose» gli chiese Chechin «quando noi, che abbiamo le vedette in giro, nulla sappiamo?».
«Figlio del Zorzu, come sempre non credi al Tin; anche se hai fatto il soldato… ragazzaccio eri e ragazzaccio rimani… che tiravi sassi al mio osservatorio! Chi me lo ha detto? Il Tin non ha bisogno di informatori! Il Tin legge nel firmamento: l’incrocio delle Termali con la Quintana, e la Moretta e la Zoppa, brillando di luce rossa, che è sangue e fuoco, preannunciano morte, incendi e distruzione in queste terre per mano del teutonico. Il Tin è venuto ad avvisare; e non per voi, incoscienti, ma per quel ferito … Del resto poi, fate quel che vi pare: ma ti ricordo che “chi non crede alle stelle e fa di sua testa, paga di sua pelle”». Detto ciò, con un saltello, voltò le spalle a Chechin e prese giù per il ripido vallone.
Era scesa nel fondo delle valli e nei boschi più intensa l’oscurità, dopo che la luna era calata dietro la vetta del Ceppo; ma, già all’estremo orizzonte, molto al di là del lungo promontorio su cui si stendevano le grigie case di Baiardo, il cielo schiariva nei primi albori del giorno. Chechin, scomparso l’astronomo e mago nella boscaglia del vallone, scese allo «stagiu». Chiamò Picun e Vendetta e riferì l’avvertimento del Tin.
«E dài ascolto al matto!» esclamò Picun. In quel mentre un bagliore di fuoco parve incendiare la terra sotto il passo per Castelvittorio e un boato echeggiò, con potente frastuono per tutta la distesa delle valli e dei monti. I tre stavano ancora con gli occhi fissi verso il passo, quando videro, sempre nella stessa direzione, sfrecciare al di sopra dei castagni e dei pini una lingua di fuoco che andò a esplodere verso le stelle producendo una gran pioggia di luci le quali, cadendo, illuminarono a giorno tutta la vallata.
«Ha ragione il Tin» disse Vendetta sogguardando Picun. «Quel razzo conferma che i rastrellatori han già preso posizione; e noi ce li vedremo piombare addosso da ogni parte da un momento all’altro».
Tacque, interrotto dalla Lilla che dal fienile s’era messa ad abbaiare così forte da svegliare Giuà e i due partigiani, i quali, imprecando, s’erano affacciati alla porta del fienile. Vendetta gli ordinò di raggiungere subito il loro distaccamento; poi, con Picun e Chechin, si occupò del ferito.
Rimediarono una specie di barella, vi legarono sopra il ferito, quindi, afferratala ai due capi, lui e Picun, lasciato Giuà u’ Zorzu a far sparire le tracce della loro presenza nel casone e seguiti da Chechin con un carico di coperte, presero verso il fondo del vallone.
Fu difficile scendere per il sentiero stretto, ripido, ostacolato da sterpi, e raggiungere il greto del ritano; ma più arduo fu risalire per oltre una quarantina di metri il ritano per sassi scivolosi, massi da scavalcare, strapiombi, strettoie di rocce e di rovi, erbacce che intricavano le gambe o nascondevano buche e dislivelli. Tuttavia, i tre, pure a costo di strappi ai muscoli, di storte e di graffi, riuscirono ad arrivare al «rifugio». Si trattava di una tana, o spelonca naturale scavata nella roccia, a livello del greto del ritano, con una profondità di circa tre metri, una larghezza informe di due e un’altezza che, da un metro e mezzo all’ingresso, scendeva nel fondo a una ventina di centimetri.
[…] Il bombardamento di mortai si prolungò fin verso mezzogiorno; poi, da sotto il Poggio di Mezzan, scoppiarono raffiche di mitragliatrici. Ogni tanto il vento leggero portava urla di voci rauche, feroci, incomprensibili.
Nella tana nessuno fiatava. Col silenzio ognuno aveva l’impressione di tenere lontano il nemico. Solo durante una pausa del frastuono, Vendetta bisbigliò: «Qui vi possono arrivare solo se li guida una spia». Assentirono Chechin e Picun; il ferito sussurrò un «già>.
Stavano così, raccolti, sempre muti e col batticuore, quando Vendetta, con un gesto allarmante li richiamò all’ascolto. Gli era parso di udire un rumore di passi e di rami secchi calpestati da sotto il ritano. Ascoltarono gli altri tre e impallidirono. Si udiva rumore e tutti e tre pensarono ai tedeschi lì guidati da una spia. Se non fossero però stati sconvolti da questa preoccupazione, avrebbero potuto distinguere nel rumore i passi di una sola persona. E comparve infatti davanti alla spelonca una sola persona: era Marì, la quindicenne sorella di Chechin. Bruno Luppi, Saltapasti, La Pietra, Milano, 1979, ristampa del 2021 a cura di Francesco Brilla, Sezione ANPI Silvio Bonfante “Cion”, Montegrande, pp. 11-14
Pigna (IM) è sempre stata una preoccupazione dei partigiani.
Nella caserma vi era un caposaldo dei repubblichini ed era indispensabile cacciarli per rendere più sicure ai partigiani la strada, la vallata, la zona. A tal fine, gli attacchi furono molti. Abbiamo letto l’azione di Fuoco [Marco Dino Rossi], di Pagasempre [anche Ruffini, Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo capo di Stato Maggiore della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“], di [Stefano “Leo”] Carabalona, [comandante di un Distaccamento della V^ Brigata, poco tempo dopo comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato di Nizza], che non davano tregua per continui attacchi. Ne avverranno altri e li narrerò. don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
La sera del 9 giugno 1944 al distaccamento di Vittò [anche Vitò o Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed Erven [Bruno Luppi] (5° distaccamento) arriva Libero Briganti, o «Giulio», a dare ordine di tenersi pronti per espugnare Badalucco e attaccare Pigna [(IM)]. L’attacco è disposto dal Comando unitario dei distaccamenti e gruppi garibaldini, cioè dal Comando della Brigata che è in via di costituzione (IX Brigata) [IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione“]. All’attacco devono partecipare i distaccamenti 3° (Ivan) [Giacomo Sibilla, poi comandante del Distaccamento Inafferrabile, dopo ancora comandante della II^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Nino Berio” della VI^ Divisione “Silvio Bonfante”], 4° (Tento), 5° (Vittò), 6° (Mirko) [Angelo Setti], più il gruppo di Artù [Arturo Secondo]. Il combattimento dovrebbe avere inizio alle ore 12 del 10 giugno … Gli uomini del distaccamento di Vittò e di Erven (5° distaccamento) nelle ore pomeridiane del… [10 giugno 1944], si recano a Castel Vittorio, e si intrattengono nel paese, cantando inni partigiani. Restano fino a tarda sera. Quando partono, i fascisti che sono a Pigna, incominciano a sparare. I partigiani, mentre si allontanano, sentono gli spari… A Passo Muratone, situato fra Pigna e Saorge, a monte di rio Muratone, vi erano cinque o sei guardie di finanza della repubblica di Salò… una pattuglia del distaccamento di Vittò e di Erven va al Passo Muratone. Sulla base delle citate indicazioni, l’azione avviene in data 11 giugno. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923]. I partigiani, in tutto, erano circa una ventina, fra cui Serpe [Isidoro Faraldi, in seguito comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“], Guido di Cetta, Marconi [Gino Asplanato] di Castel Vittorio, e i giovinetti Géna e Spezia (o «Scarzéna») [Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927]. L’azione era difficile per la posizione della caserma, che aveva alle spalle il monte e davanti lo strapiombo. A compiere l’attacco fu Assalto, insieme con Géna e Spezia… Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese(I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
Eravamo verso la fine di agosto del 1944. Il Comandante Vitò [Vittorio Giuseppe Guglielmo – detto anche “Ivano” o “Vittò “, in quel momento comandante della V^ Brigata, dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione] aveva previsto nel consiglio di stato maggiore ogni possibilità di attacco. La sera prima dell’attacco stabilito, una numerosa colonna di tedeschi arrivò a Pigna.
Il comando partigiano allora si radunò a Monte Vetta [nel comune di Castelvittorio (IM)] per studiare la nuova situazione. Intanto, nella stessa notte dell’arrivo dei tedeschi, Fuoco con alcuni suoi uomini, il suo gruppo volante di distruttori, con Pagasempre e con uomini decisi di Castelvittorio, erano andati verso Dolceacqua per minare un ponte e tagliare la ritirata ai tedeschi.
Ma le sorprese sono sempre in agguato.
Lo avevano trovato presidiato.
Si dovettero ritirare e mentre ritornavano verso Pigna, camminando a mezza costa per essere nascosti, si accorsero che i nazifascisti abbandonavano Pigna. I troppi attacchi avevano loro consigliato il ripiegamento su lsolabona e Dolceacqua.
Tra gli attacchi che indusssero i tedeschi ad andarsene, vi furono continui disturbi degli uomini del distaccamento di Castelvittorio (IM), guidato da Fuoco.
Armando “Fragola Doria” Izzo – Fonte: Wikipedia
Si aggiunsero in più quelli di Fragola Doria [Armando Izzo, capo di Stato Maggiore della V^ Brigata]. Ne voglio descrivere uno, da lui stesso narratomi:
… Con un gruppetto di uomini mi appostai sopra la strada, ben nascosto, per attendere alcuni automezzi militari fascisti che scendevano da Pigna. Poco discosto da me un mio uomo armato di fucile mitragliatore mi doveva essere di spalla. Doveva sparare contro i tedeschi e proteggermi. Quando giunsero i camion, io colpii la cabina del primo automezzo, mentre il mitragliatore che doveva proteggermi sparò una sola lunga raffica e poi aveva taciuto. Quando apparve il secondo automezzo, sperai che I’uomo che mi proteggeva sparasse. Invece non lo fece. Così dall’automezzo si iniziò a sparare contro di noi. Dovetti desistere. Strisciando salii verso il mio uomo per sapere il motivo del silenzio. Gli si era inceppato il mitragliatore e non riusciva a rimetterlo in azione. Purtroppo, spesso, alcuni nostri colpi di mano li dovevamo desistere per I’inesperienza dei nostri ragazzi. Protessi con la mia arma la nostra ritirata. I fascisti cessarono il fuoco ed accortisi del nostro ritiro pensarono bene di squagliarsela. Restarono uccisi l’autista del camion e feriti alcuni soldati. E forte di tante esperienze Fragola Doria, il futuro comandante della V^ Brigata, quando Vitò passò al comando della II^ Divisione “Garibaldi”, non cessava di dare esempio di audacia. La strada lsolabona-Pigna era tenuta in continua tensione di attacchi. Era troppo evidente che i partigiani volevano scacciare i tedeschi da Pigna. Il fatto che i nazifascisti insistessero per tenere la posizione era determinato da diverse considerazioni strategiche.
La prima era il fatto che gli alleati, sbarcati in Francia meridionale, erano avanzati sino alla frontiera italiana e vi si erano attestati nei fortini francesi di confine. ll fatto, poi comunicato da Radio Londra, aveva convinto i tedeschi ad abbandonare la zona, perché non si sentivano preparati ad affrontare I’attacco alleato. Ma quando si accorsero che gli alleati si erano attestati in attesa della primavera, era logico che tentassero di rioccupare Pigna lasciata ai partigiani, perché posizione adatta ad un accampamento invernale. Quando Fuoco avvisò i distaccamenti che Pigna era libera, si recarono tutti verso la caserma. Era in fiamme. ll fuoco fu provocato dai tedeschi in ritirata.
Probabilmente oltre alle ragioni su accennate, i tedeschi dovevano essere stati avvisati dell’imminente attacco partigiano.
Come dissi, si pentirono presto del loro ritiro ed iniziarono subito azioni di controffensiva. Troveranno un osso duro.
Certo che gli avvenimenti si erano sviluppati in modo imprevisto. Bisognava, con tempismo, rassodare la posizione e guardare bene in faccia la realtà […]. don Ermando Micheletto, Op. cit.
Il rastrellamento tedesco, terminato praticamente il 6 luglio 1944, che abbiamo precedentemente descritto con abbondanza di particolari, non aveva raggiunto alcun obiettivo dal lato militare. Pochi giorni dopo l’imponente attacco tutti i distaccamenti della V Brigata si erano ricostituiti e riassestati sulle loro posizioni, pronti nuovamente alla lotta. «Vittò» ed i suoi collaboratori, preso fiato, progettavano la conquista di Pigna, tenuta da circa un centinaio di nazifascisti accampati nella caserma Manfredi. Tale presidio ostacolava i movimenti delle formazioni garibaldine che controllavano larghe zone e paesi in tutte le vallate occidentali della provincia. D’altronde, tale centro rivestiva grande importanza anche per il Comando tedesco, il quale intendeva avere libero transito per le sue truppe in quelle zone di frontiera con la Francia.
I Tedeschi però sono indotti ad abbandonare la zona di Pigna non ritenendosi in grado di approntare sul luogo una linea difensiva consistente. I partigiani che, come visto in precedenza, già avevano progettato l’attacco a Pigna, si trovano il paese nelle mani.
Quando i Tedeschi vengono a conoscenza che la colonna angloamericana non mostra intenzione alcuna di proseguire l’avanzata verso il territorio italiano, si pentono dell’errore di valutazione commesso e tentano la riconquista di Pigna. Ma, ormai, ci sono i partigiani e si accorgono quanti uomini e mezzi e sforzi necessiteranno per fiaccare la resistenza di «un pugno di disperati», per usare l’espressione del capitano Morton precedentemente citata.
Da quel povero ed eroico paesello, trovato in fiamme da Marco Dino Rossi (Fuoco) dopo la fuga tedesca, si costruirà una forza di resistenza degna d’ogni memoria.
Corre il 29 agosto del 1944. Entrano in Pigna i distaccamenti garibaldini e si incontrano con la popolazione. Nasce, ancora una volta, il binomio indistruttibile, popolo e partigiani e, da esso, la «Libera Repubblica di Pigna».
Liberi amministratori, cariche pubbliche assegnate ai più degni rappresentanti del popolo, deliberazioni democratiche, giustizia sociale, contributo alla difesa di questa grande conquista.
È formata una giunta comunale di civili e di partigiani che, ogni giorno, si riunisce e prende le decisioni: ordine pubblico, controspionaggio, requisizione di viveri o materiale illecitamente asportato dai magazzini del disciolto esercito italiano. Il tutto è distribuito alle famiglie più indigenti del luogo.
Il comandante« Vittò», che dà le di posizioni generali, e Lorenzo Musso (Sumi), inviato dal «Curto» a Pigna, sono combattenti abili. Ma, nell’occasione, possiedono un pregio in più: l’esperienza comune della precedente lotta antifranchista consumata in Spagna […] Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) – Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, p. 373
… nella notte del 19 settembre 1944 i garibaldini della V^ Brigata si diressero verso Carmo Langan, andando ad occupare con i propri Distaccamenti le località di Monte Ceppo, Cima Marta, Sanson, Colle Melosa. Questa linea difensiva, che andava dalla Valle Argentina al Monte Saccarello, assunse il nome del comandante della V^ Brigata e, quindi, divenne nota come “Linea Vitò“… Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999
Il 26 settembre Doria [Armando Izzo, capo di Stato Maggiore della V^ Brigata], appoggiato da Leo il mortaista [Vittorio Curlo] con una squadra di fucilieri ed il mortaio da 45, sviluppò una azione di disturbo su Isolabona. Il mortaio si condusse egregiamente. Non meno di 25 bombe caddero sull’edificio occupato dal nemico, che però non osò uscire. A Pigna, nel frattempo, era giunta una missione [n.d.r.: la Missione Flap] composta da ufficiali alleati, accompagnati da un corrispondente di guerra canadese. La missione, studiata la zona, avrebbe dovuto proseguire per la Francia passando attraverso le maglie delle linee tedesche fra Gramondo e Sospel.
In vista della difficoltà dell’operazione, il comando della Brigata stimò opportuno sospendere momentaneamente le azioni, allo scopo di non tenere la zona in continuo allarme ed evitare in tal modo una possibile sorpresa da parte tedesca sul gruppo degli ospiti. La forzata inazione venne sfruttata per rafforzare le linee e Vitò affidò a Doria il compito di cooperare con Leo il mortaista ad un nuovo piano di attacco, nel quale avrebbe concorso l’artiglieria, quella recuperata in qualche modo dai partigiani in vari forti abbandonati di confine… Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia
[…] un’azione particolarmente fortunata, presso Bordighera, permette ai partigiani di impadronirsi di una notevole quantità di armi e munizioni. Pochi giorni prima avevano conquistato il controllo del valico del monte Vetta. Sono così in grado di sferrare una battaglia per Pigna, che […] passa sotto il diretto controllo delle formazioni garibaldine. … Il territorio che viene liberato è posto sul confine occidentale delle Alpi marittime, fra Imperia e Ventimiglia, al confine francese. Comprendeva il paese di Pigna, che ne fu la capitale, e poi Badalucco, Triora, Montalto, Carpasio, Molini di Triora e altri. In totale 22 comuni per circa 30.000 abitanti. Nella zona agivano le formazioni partigiane della II Divisione Garibaldi Cascione… Nella battaglia cadono molti partigiani e la V Brigata garibaldina si riduce a poco più di 200 uomini. Nel giro di un mese si arruolano 600 volontari, molti dei quali sono militi del battaglione San Marco che disertano la formazione fascista e si uniscono ai garibaldini, rivelandosi “ottimi combattenti partigiani”, come afferma la relazione del 5 di ottobre [1944] dell’ispettore della zona (Sul documento non c’è traccia del nome) < si tratta di Simon, detto anche Manes, Carlo Farini> … Ma sul piano politico l’azione di formazione dei CLN e delle Giunte comunali non è facile. “Molte sono le difficoltà… per l’arretratezza politica delle popolazioni rurali, l’inesistenza dei partiti organizzati”. In molti paesi si riescono a costituire comunque i CLN, ma mancano i collegamenti con il CLN provinciale di Imperia. Il comando garibaldino cerca di supplire elaborando in data 15 settembre una circolare di istruzioni “sulla organizzazione dei CLN, delle Giunte comunali e sulla funzione di questi organismi nel momento attuale della lotta contro i nazifascisti”. Nelle Giunte, afferma sbrigativamente il commissario della Divisione Garibaldi Cascione, “la maggioranza deve essere assicurata alle classi meno abbienti, che sono la maggioranza nel paese”. Un criterio che forse non risponde rigorosamente ai principi della democrazia formale parlamentare, ma che ha il vantaggio di ridurre la questione a termini immediatamente chiari. Conclude peraltro la relazione delle formazioni garibaldine: “Il movimento del CLN e delle Giunte incontra grande favore in mezzo alle popolazioni… Tuttavia in molte località persiste ancora uno spirito di passività lamentevole”. E’ il mondo chiuso dei piccoli contadini che istintivamente diffidano di ogni sollecitazione di ordine politico; ma vi contribuisce anche la propaganda anticomunista svolta dagli autonomi di Mauri. In queste condizioni, il funzionamento delle Giunte – laddove si riesce a costituirle – è estremamente problematico, e perfino delle questioni dell’approvvigionamento dei viveri si deve occupare direttamente il comando partigiano. Una relazione afferma infatti che “non esiste un vero e proprio territorio occupato, ma esiste invece un territorio controllato”, che lascia totalmente fuori la fascia costiera. La stessa relazione informa delle gravi difficoltà nei rapporti con la formazione autonoma del maggiore “Mauri”, che ha la sua base in Piemonte, ma si estende fino alla Liguria… Il 20 settembre i rappresentanti garibaldini vengono invitati in Piemonte per incontrare la missione inglese <la Missione Flap>, che si trova presso il comando Mauri. La relativa relazione del 5 ottobre riferisce che il maggiore inglese si è dimostrato molto interessato alla documentazione delle azioni svolte dalle formazioni Garibaldi e ha dovuto constatare che “contrariamente alle informazioni che aveva ricevuto fino allora, la nostra era una vera e propria organizzazione militare dipendente da Comandi di regione e di zona, efficiente e capace di condurre azioni di una certa importanza”. La missione inglese assiste anche al tentativo fatto dai tedeschi di rioccupare Pigna, e alla brillante azione con cui i garibaldini li rigettano. La propaganda spietatamente anticomunista del maggiore “Mauri” viene così totalmente neutralizzata… da 1944 – Le Repubbliche Partigiane
Nei primi giorni di ottobre del 1944 i tedeschi, puntando ad annientare la I^ Brigata e la V^ Brigata, profusero uno dei maggiori, per numero di uomini e vastità di azione, rastrellamenti nei territori dell’estremo ponente ligure, che prese il nome di “Pigna-Piaggia-Upega” dai nomi delle località interessate. L’attacco aveva come principale obiettivo Pigna (IM) […] I tedeschi provenivano in gran parte da Isolabona (IM). Erano fronteggiati dalle scarse armi pesanti a disposizione dei patrioti. Gli attaccanti intrapresero presto un intenso bombardamento. Dalle ore 17 del 5 alle ore 13 del 6 ottobre 1944 due batterie tedesche da 105/17, piazzate ad Isolabona, vomitarono nella zona oltre 500 proiettili… Nei due giorni successivi il bombardamento continuò… Rocco Fava, Op. cit.
Cattaneo Carlo “Carletto“, nato ad Alessandria il 10 aprile 1921. Il padre, macchinista ferroviere, socialista, partecipò attivamente agli scioperi del 1921 e, dopo la presa del potere da parte dei fascisti, venne radiato dalle Ferrovie perché rifiutò il giuramento di fedeltà al nuovo regime. In seguito a ciò la famiglia si trasferì a Ventimiglia (IM). Il 25 Luglio del 1943 Carlo Cattaneo era un militare, giunto da due giorni in Slovenia fra le truppe italiane di occupazione. L’8 Settembre 1943 il presidio di cui faceva parte si dileguò, abbandonato da chiunque avesse avuto un grado di comando. Rientrato avventurosamente in Italia assieme ad alcuni commilitoni, dismessa la divisa, riuscì a tornare a casa verso la fine del mese e trovò Ventimiglia bombardata. In ottobre con i bandi di arruolamento della R.S.I. si presentò ad Imperia per evitare l’arresto ma, rientrato a casa, salì subito in montagna a Carmo Langan [Località nel Comune di Castelvittorio (IM)], dove il Comandante Vitò [anche Vittò/Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo, già combattente nelle Brigate Internazionali a difesa della Repubblica Spagnola, organizzatore di uno dei primi distaccamenti partigiani in provincia di Imperia, poi comandante di un Distaccamento della IX^ Brigata “Felice Cascione”, dal 7 luglio 1944 comandante della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”, dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”] stava costituendo le prime formazioni partigiane dell’estremo ponente. In seguito assunse il comando del Distaccamento di Pigna-Buggio appartenente alla V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”. Il 2 Luglio del 1944 partecipò, al comando della formazione, alla battaglia di Castelvittorio (IM). Dopo lo sbandamento che ne seguì, il suo distaccamento non fu ricostituito. Entrò allora a far parte del Comando di Brigata. Fu uno dei protagonisti della battaglia partigiana per la Repubblica di Pigna. […] Giovanni Rebaudo [famiglia di Pigna (IM), poi residente a Ventimiglia dalla Liberazione sino alla morte], nato a Monaco Principato il 29 novembre 1921. Militò nella Resistenza in seguito ai bandi di arruolamento della R.S.I. del 24 giugno 1944. Come molti altri giovani preferì combattere per la libertà, anziché al servizio dell’occupante tedesco. Entrò a far parte del Distaccamento di Buggio [Frazione di Pigna (IM)] comandato da Carlo Cattaneo “Carletto“, di Ventimiglia, Distaccamento che operava nella zona di Carmo Langan [Comune di Castelvittorio (IM)]… Vittorio Detassis
Buggio, Frazione di Pigna (IM)
[…] Giovanni Rebaudo racconta: “Nel pomeriggio del 2 luglio [1944] arriva la notizia che una poderosa colonna tedesca sta salendo nella Val Nervia e sta già raggiungendo Pigna. I nazisti sono armati ed equipaggiati per intraprendere il rastrellamento di tutta la zona dell’alta valle, dove sono dislocati i partigiani. Immediatamente tutto il distaccamento al comando di ‘Carletto‘ si sposta velocemente verso Castelvittorio per proteggere il paese già attaccato dai Tedeschi, ma difeso strenuamente dai valorosi Castellussi mobilitati per difendere i propri beni; i giovani e i vecchi escono i fucili rimasti nascosti dall’8 settembre 1943. Si difendono bene questi coraggiosi contadini, impegnando il nemico con fuoco continuo per tutto il giorno. ‘Carletto‘ con i suoi uomini ha preso posizione fuori del paese a guardia della strada provinciale che sale sia a Castevittorio che a Buggio, impegnando il nemico fino a tarda sera, quando per l’oscurità cessa il fuoco e nel silenzio i Tedeschi arrivano da tutte le parti: scendono da monte Vetta, dalle campagne di Pigna ed accerchiano tutta la zona dove sono i partigiani, i quali, vista l’impossibilità di continuare la lotta, si ritirano; ma anche alle spalle c’è sentore di Tedeschi, perciò il Comandante dà l’ordine di ripiegare a piccoli gruppi e raggiungere posti più sicuri per lasciar passare la buriana. Prima dell’alba la gente di Castelvittorio cerca scampo nelle campagne per sfuggire alla rappresaglia e i nemici incominciano a saccheggiare spietatamente casa per casa per poi incendiare e dimostrare la loro prepotenza. Cadono nella loro rete alcuni contadini che vengono barbaramente uccisi, rei solo di aver taciuto per non dare i nomi di quelli che avevano sparato…“. Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) – Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992
Da qualche giorno gruppi di ribelli si sono portati oltre Buggio ed il bosco di “Bugliena”, incitando anche i giovani ad arruolarsi tra i partigiani. Risulta che un ex tenente, certo LOLLI [Giuseppe Longo], tiene il collegamento tra le bande suddette con quelle di Nava.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia – Maderno, 15 maggio 1945 – XXII. Documento “MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4” dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma
[…]La Val Nervia aveva capisaldi nazifascisti a Dolceacqua (IM) ed a Pigna (IM) in ben munite caserme. Da tali caserme i nemici facevano puntate sui monti sovrastanti per impedire la formazione di bande partigiane. … A Castelvittorio (IM) nella primavera appena iniziata del 1944 si organizzava una banda autonoma di oppositori ai tedeschi. Erano, per lo più, giovani della zona. Anche a Buggio [Frazione di Pigna (IM)] si tentò una organizzazione, poi un poco infiacchita e ripresa quando si congiunse con un’altra banda a Carmo Langan [nel comune di Castelvittorio (IM)]…
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
Gli uomini del distaccamento di Vittò e di Erven (5° distaccamento) nelle ore pomeridiane del… [10 giugno 1944], si recano a Castel Vittorio, e si intrattengono nel paese, cantando inni partigiani. Restano fino a tarda sera. Quando partono, i fascisti che sono a Pigna, incominciano a sparare. I partigiani, mentre si allontanano, sentono gli spari… A Passo Muratone vi erano cinque o sei guardie di finanza della repubblica di Salò. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923]. I partigiani, in tutto, erano circa una ventina, fra cui: Serpe [Isidoro Faraldi, in seguito comandante del IV° Distaccamento del II° battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“], Guido di Cetta, Marconi [Gino Asplanato] di Castel Vittorio, e i giovinetti Géna e Spezia (o «Scarzéna») [Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927]. L’azione era difficile per la posizione della caserma, che aveva alle spalle il monte e davanti lo strapiombo. A compiere l’attacco fu Assalto, insieme con Géna e Spezia…
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese(I^ zona Liguria) – Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
[…] Eravamo verso la fine di agosto del 1944. Il Comandante Vitò aveva previsto nel consiglio di stato maggiore ogni possibilità di attacco. La sera prima dell’attacco stabilito, una numerosa colonna di tedeschi arrivò a Pigna. Il comando partigiano allora si radunò a Monte Vetta [nel comune di Castelvittorio (IM)] per studiare la nuova situazione. Intanto, nella stessa notte dell’arrivo dei tedeschi, Fuoco con alcuni suoi uomini, il suo gruppo volante di distruttori, con Pagasempre [anche Ruffini, Arnolfo Ravetti, poco tempo dopo capo di Stato Maggiore della V^ Brigata e con uomini decisi di Castelvittorio, erano andati verso Dolceacqua per minare un ponte e tagliare la ritirata ai tedeschi. Ma le sorprese sono sempre in agguato. Lo avevano trovato presidiato. Si dovettero ritirare e mentre ritornavano verso Pigna, camminando a mezza costa per essere nascosti, si accorsero che i nazifascisti abbandonavano Pigna. I troppi attacchi avevano loro consigliato il ripiegamento su lsolabona e Dolceacqua. Tra gli attacchi che indusssero i tedeschi ad andarsene, vi furono continui disturbi degli uomini del distaccamento di Castelvittorio (IM), guidato da Fuoco [Marco Dino Rossi]. don Ermando Micheletto, Op. cit.
[…] A Langan i partigiani presero le mie generalità e mi diedero Rodi quale nome di battaglia. Nei giorni successivi, Bruno Luppi * costituì un distaccamento [il V° dell’allora IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, formata il 20 giugno 1944 e diventata il 7 luglio 1944 II^ Divisione “Felice Cascione”] di una trentina di uomini con base in un bosco vicino alla frazione Vignai, nel comune di Baiardo: il gruppo aveva lo scopo di isolare la postazione tedesca sul monte Ceppo, che impediva il transito da Baiardo a Langan. Io entrai a far parte del distaccamento in qualità di portaordini e il 26 giugno 1944 ricevetti il battesimo del fuoco. […] già alla fine di luglio formammo un nuovo distaccamento agli ordini del comandante Mosconi [Basilio Moscone] e tornammo nei boschi intorno a Castel Vittorio. In settembre partimmo poi per Cima di Marta, con l’incarico di stare di vedetta per controllare che non arrivassero tedeschi dalla Val Roia. Là rimasi fino al rastrellamento dell’8 ottobre, quando Langan fu di nuovo occupata e noi dovemmo ritirarci a Piaggia (CN), poi alle falde del Mongioie, in Piemonte. […] Stefano Rodi Millo [conosciuto soprattutto come Mario] in Marco Cassioli, Ai confini occidentali della Liguria. Castel Vittorio dal medioevo alla Resistenza, Comune di Castel Vittorio, Grafiche Amadeo, Chiusanico (IM), 2006
[…] Poi l’8 ottobre 1944 i nazifascisti fecero un grosso rastrellamento in tutta la provincia di Imperia, così le formazioni partigiane che operavano nella zona dovettero ritirarsi fino in Piemonte, ai piedi del Mongioie. Il 22 novembre 1944 i comandanti ci dissero di tornare a casa per trascorrere l’inverno al sicuro, in attesa di riprendere la lotta in primavera. Italo [Italo Rebaudo, nato a Castelvittorio nel 1924, “Falce“] ed io rientrammo quindi a Castelvittorio, passando i mesi di dicembre, gennaio e febbraio nascosti in una tana, in regione Viameglio.[…] Giacomo Romolo Rebaudo in Marco Cassioli, Op. cit.
Uno dei fatti più orrendi, solo secondo a quello di Torre Paponi, accade il 3 dicembre 1944 nell’alta Val Nervia, quando duecento uomini combattenti tedeschi, bersaglieri repubblichini e brigatisti neri, provenienti da Dolceacqua (IM) raggiungono il paese di Castelvittorio (IM) per rastrellare la zona. Dal giorno che un reparto tedesco si era insidiato nell’abitato (8 ottobre 1944) la popolazione, benchè costretta a subire continue violenze, aveva fatto capire da quali sentimenti era animata. […] Appunto il 3 dicembre si presenta l’occasione per la rappresaglia. All’alba, iniziato il rastrellamento a monte Gordale, dove i tedeschi sapevano esservi partigiani alloggiati e riforniti di viveri dalla popolazione di Castelvittorio, si accende una sparatoria durante la quale un sott’ufficiale nemico rimane ferito.
La reazione è immediata e si abbatte spietata ed inesorabile sui contadini.[…] cinque minuti dopo giunge l’ordine di fucilare i diciannove catturati: dieci in un luogo e nove in un altro.
Prima dell’esecuzione, a tutti viene promessa salva la vita se avessero svelato l’ubicazione del rifugio partigiano, dal quale erano partite le fucilate, ma nessuno parla.
[…] Emilio Allavena [Tramvai] e Giovanni Orengo (Tumelin) emergono ancora di più da questo eccidio senza pari in Val Nervia. La lezione che il nemico vuole impartire al paese non è ancora finita: ai due suddetti, accusati di aver rifornito i garibaldini, viene riservata la fucilazione da eseguirsi sulla pubblica piazza del paese. […] Francesco Biga, “Storia della Resistenza imperiese”, Vol. III, Da agosto a dicembre 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977
< 7 gennaio 1945 – Dal comando del I° Battaglione “Mario Bini” [in quel momento era ancora comandante del Battaglione “Danko” Giovanni Gatti] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” al comando della V^ Brigata [comandante “Fragola Doria” Armando Izzo] – Relazione militare: a Pigna si trovavano 80 soldati nemici, mentre a Buggio [Frazione di Pigna (IM)], Castelvittorio (IM), Ormea (CN), Garessio (IM), Testa d’Alpe e Passo Muratone [Località di Pigna (IM)] erano stanziate alcune batterie nemiche… < 18 febbraio 1945 – Dalla Sezione SIM del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 3, al comando della V^ Brigata – Comunicava che il giorno prima, 17 febbraio, i partigiani di “Serpe” [Isidoro Faraldi] e di “Olmo” [Giobatta Moraldo] avevano attaccato a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)] una pattuglia nemica composta da 8 tedeschi e 3 fascisti, tutti catturati, altresì ottenendo come bottino 1 Mayerling, 1 Breda, 1 Sten, alcune bombe a mano e diverse munizioni
< 22 marzo 1945 – Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata della II^ Divisione “Felice Cascione”, prot. n° 352, alla Sezione SIM della II^ Divisione – Comunicava che… a Carmo Langan [Castelvittorio (IM)] si trovavano 70 tedeschi… < 23 marzo 1945 – Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni”, prot. n° 353, al comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione “Felice Cascione” – Comunicava che Castelvittorio, dove passavano saltuariamente tedeschi da Pigna e da Baiardo, non era in quel momento presidiata da truppe nemiche… che tra Castelvittorio e Pigna erano stati fermati 100 uomini che il nemico stava per inviare sulla “frontiera italo-francese per eseguire lavori di fortificazioni militari”; che questi uomini dopo una settimana sarebbero stati sostituiti…
< 10 aprile 1945 – Dal comando della IV^ Brigata “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione” al Comando Operativo della I^ Zona Liguria – Comunicava … che l’8 aprile 70 SS tedesche avevano “effettuato una puntata ad Arzene-Costa di Carpasio-Carpasio, uccidendo 3 borghesi prima di fare ritorno a Castelvittorio passando per S. Bernardo di Conio”.
< 17 aprile 1945 – Dal comando del I° Distaccamento “Riccardo ‘Cardù’ Vitali” [comandante “Sergio” Guido Lanteri] del I° Battaglione “Mario Bini” [comandante “Figaro” Vincenzo Orengo] della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione” al comando della V^ Brigata – Comunicava che quella mattina una squadra al comando di “Tritolo” [Pier Luigi Daniele] aveva attaccato il presidio nemico di Carmo Langan sottolineando che, dopo aver piazzato il mortaio e avere dislocata la squadra in posizione avanzata, venivano fatti esplodere 5 colpi che avevano spinto i soldati del presidio ad uscire allo scoperto, dove venivano bersagliati con i mitragliatori, ma che non si sapeva come e quanti nemici erano stati colpiti perché alcuni colpi di cannone avevano indotto i garibaldini a ritirarsi.
< 23 aprile 1945 – Dal comando del II° Battaglione “Marco Dino Rossi” [comandato da Basilio Mosconi “Moscone”] al comando della V^ Brigata – Comunicava che nella nottata precedente una pattuglia del V° Distaccamento si era portata come da ordini ricevuti a Pigna dove aveva minato la strada di Langan: il tratto minato era 2 km. a nord del Palazzo del Maggiore [in effetti nel comune di Castelvittorio] documentiIsrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999
… Tucin [Mario Alberti], Giuan Grigiun [Giovanni Orengo], l’Acidu [Giuseppe Verrando] furono tutti membri del C.L.N. di Castelvittorio e nel dopoguerra composero la giunta comunale del paese quando mio padre era sindaco. Con loro c’era anche Giulio Rebaudo… Stefano Rodi Millo in Marco Cassioli, Op. cit.
[ Ed agli abitanti di Castelvittorio presi dal vortice del periodo tragico della Resistenza hanno dedicato pagine indimenticabili, cui si farà riferimento con prossimi articoli, sia Bruno Erven/Herven Luppi *, in Bruno Luppi, Saltapasti, La Pietra, Milano, 1979 ed in altre testimonianze riprese da altri autori, che Italo Calvino, non soltanto in Mario Mascia, L’Epopea dell’Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975, ma anche in altri suoi scritti ]
* Bruno Luppi. Nato a Novi di Modena l’8 maggio 1916. Figlio di un antifascista, fin da ragazzo prese parte alla lotta clandestina contro il regime fascista e, nel 1935, venne arrestato e incarcerato a Modena. Trasferitosi a Taggia (IM), si inserì nell’organizzazione comunista clandestina di Sanremo (IM). L’8 settembre 1943 era ufficiale dell’esercito quando venne catturato dai tedeschi. Riuscì però a fuggire a Roma dove partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo. Tornato nuovamente in Liguria, fu tra gli organizzatori della lotta armata ed entrò a far parte del C.L.N. di Sanremo. Per incarico della Federazione Comunista di Imperia il 20 giugno 1944 organizzò, con altri dirigenti del partito, la prima formazione regolare partigiana del ponente ligure, la IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, con sede nel bosco di Rezzo (IM), la quale diventò a luglio 1944 la II^ Divisione “Felice Cascione”. Il 27 giugno 1944 da comandante di Distaccamento venne gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe tra Baiardo (IM) e Badalucco (IM). Per mesi riuscì avventurosamente, ancorché costretto alla macchia pur nelle sue tragiche condizioni di salute, a sottrarsi alla cattura da parte del nemico. In seguito, appena guarito, assunse la carica di vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria. daVittorio Detassis su Isrecim
Uno scorcio di case Cristai-Peverei, in Negi, Frazione di Perinaldo (IM)
Trascorso il plenilunio, la notte del 14 [dicembre 1944] partiva con un’altra barca anche il partigiano dott. Kahneman (Nuccia) con la pianta di tutte le postazioni tedesche del primo schieramento costiero e le coordinate delle principali fortificazioni, ricevute a Coldirodi [Frazione di Sanremo (IM)] da un incaricato della Divisione Felice Cascione. Su interessamento del comando della I^ Brigata Silvano Belgrano [ n.d.r.: che faceva ancora parte della II^ Divisione “Felice Cascione”, ma asarebbe passata dopo pochi giorni a far parte della neo costituita Divisione “Silvio Bonfante” ], rientravano dal Piemonte nella prima decade di novembre e, con l’aiuto di Corsaro [Giulio Pedretti], dopo qualche giorno seguivano Nuccia verso la Francia anche due soldati R.T. americani, fuggiti ai tedeschi in Alta Italia, con il compito di sollecitare presso il Comando alleato l’invio di apparecchi radio ricetrasmittenti. Il tenente Antonio Capacchioni del gruppo Kanhemann veniva incaricato di preparare, in collaborazione con la S.A.P. di Vallecrosia, l’arrivo presso la Divisione Felice Cascione del capo della Missione alleata, il capitano inglese Robert Bentley. L’insieme degli uomini addetti al raggruppamento sbarchi e imbarchi, forniti quasi tutti dalla S.A.P. di Vallecrosia, comandati dal garibaldino Renzo Rossi di Bordighera e dal commissario Gerolamo Marcenaro di Vallecrosia, tra gli altri comprendeva i garibaldini Achille Andrea Lamberti [comandante del distaccamento S.A.P. di Vallecrosia], Vittorio Lotti [in effetti Aldo Levis Lotti, commissario del distaccamento S.A.P. di Vallecrosia], Renato Plancia Dorgia, Ezio Amalberti, Vincenzo Biamonti, Irene Anselmi, Eraldo [Mura] Fullone… Salvatore Marchesi [Turi Salibra Salvamar], Angelo Mariani [Athos], Luciano Mannini (Rosina), Renzo Biancheri [dai compagni di lotta ricordato sempre nelle testimonianze da loro rese come Rensu u Longu, mentre il nome di battaglia era Gianni], fino a raggiungere una forza di una ventina di uomini che funzionavano a pieno ritmo. Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2005
Le prime voci di antifascismo a Vallecrosia si ebbero nel 1940/41 da parte di Achille [Achille Lamberti, “Andrea”], di Francesco “Cè” Garini, di “Girò” [n.d.r.: o “Gireu”, Pietro Gerolamo Marcenaro], di Aldo Lotti e di altri.
Un antifascismo molto riservato, anche perché le ritorsioni erano molto dure, come nel caso di Alipio Amalberti, zio materno di Girò, che per aver gridato in un bar di Vallecrosia “Viva la Francia” venne dapprima schedato e successivamente costantemente perseguitato, fino a essere fucilato per ritorsione dopo essere stato preso come ostaggio. Renato “Plancia“ Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2017
[ n.d.r.: Sergio Sergio Marcenaro, all’epoca quattordicenne staffetta partigiana, nonché fratello del già citato Girò, precisa che lo zio materno Alipio per quella frase, riportata qui sopra da Dorgia, era stato condannato a cinque anni di confino. Ne fece poco più di tre, perché avendo dato prova pratica nel luogo di isolamento di essere un valido agricoltore del ponente ligure, il graduato fascista, che gli aveva già concesso la possibilità di lavorare, aveva altresì intercesso a quel punto per una riduzione della sua pena. Ma il suo nome era rimasto segnato e, a seguito di varie traversie, schematicamente indicate qui di seguito, venne trucidato a Badalucco (IM) il 5 giugno 1944 ]
[ n.d.r.: Pietro Gerolamo Marcenaro risultava latitante già nel verbale della Questura (fascista) di Imperia del 15 giugno 1944, riferito alle indagini ed agli arresti effettuati verso la fine di maggio nella zona di Ventimiglia e di Bordighera a danno del costituendo CLN di Ventimiglia, del già esistente CLN di Bordighera, del gruppo antifascista “Giovane Italia” e di altri patrioti collegati, un documento edito in don Nino Allaria Olivieri,Ventimiglia partigiana… in città, sui monti, nei lager 1943-1945, a cura del Comune di Ventimiglia, Tipolitografia Stalla, Albenga, 1999, pp. 9, 24 ]
[ n.d.r.: Alipio Amalberti, nato a Soldano l’11 febbraio 1901, già nelle giornate che seguirono l’8 settembre metteva in piedi un’organizzazione per finanziare ed armare i gruppi che si stavano formando in montagna a Baiardo (IM) insieme a Renato Brunati di Bordighera, fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino e Lina Meiffret, proprietaria di una villa poco fuori Baiardo, punto di riferimento e talora rifugio di quella piccola banda, che, catturata insieme al fidanzato Brunati, venne deportata in un campo di concentramento in Germania, da cui tornò fortemente provata, ma salva. Arrestato il 24 maggio 1944 a Vallecrosia e tenuto come ostaggio, in quanto segnalato più volte come sovversivo, Alipio Amalberti venne fucilato a Badalucco il 5 giugno 1944 come ritorsione ad un’azione del distaccamento di “Artù”, Arturo Secondo, compiuta il 31 maggio ]
Sono nato nel 1925 e nel 1943 ero uno studente, che frequentava con profitto il liceo classico di Sanremo, sempre promosso e anche un po’ imbevuto di fanatismo fascista, specialmente dopo la guerra di Spagna. A causa della propaganda di allora parteggiavo per i franchisti.
Ero renitente alla leva, ma non c’era ancora una resistenza organizzata. Per evitare di farmi catturare, mio padre mi nascose da parenti di mia madre a Isola del Cantone, in provincia di Genova. Venni dichiarato disertore e fui condannato a morte con sentenza del tribunale di Sanremo in data 28 febbraio 1944. Per i disertori la pena comminata dalla Repubblica Sociale di Salò era, infatti, la fucilazione immediata.
La mia permanenza a Isola del Cantone era dunque pericolosa per me e per i miei parenti.
Approfittando del bando che sospendeva la fucilazione per i disertori che si fossero presentati spontaneamente all’arruolamento, mio padre mi venne a prendere e col treno ritornai con lui fino ad Arma di Taggia [Taggia (IM)], poi da Arma a Vallecrosia in bicicletta, fortunatamente senza essere mai fermati. Nel frattempo Girò, Achille Lamberti ed altri avevano organizzato un principio di Resistenza.
Attraverso mio padre, presi contatto con loro e assieme ci demmo alla macchia.
Achille Lamberti, Cè Garini, Girò Marcenaro, Aldo Lotti, Nello Moro e io partimmo per il punto di raduno a Langan.
Poco pratici, percorremmo il tragitto più lungo e impervio dove Girò dimostrò tutta la sua volontà: per una malformazione camminava con difficoltà e meno agevolmente di noi, ma non si arrese.
In località San Martino di Soldano (IM) ci unimmo ad un gruppo di studenti di Sanremo che il C.L.N. aveva indirizzato verso noi per raggiungere Langan [Località di Castelvittorio (IM)]. Tra quei giovani credo ci fosse anche Italo Calvino[ n.d.r.: di lì a breve tra i redattori del giornale “Il Garibaldino”, stampato a Realdo, Frazione di Triora (IM), di cui furono creatori ed animatori Fragola Doria ([Armando Izzo) e Silla, Ferdinando Peitavino, di Isolabona (IM), quest’ultimo in seguito, da fine gennaio 1945, vice commissario politico della II^ Divisione “Felice Cascione”]. Non ne sono sicuro, ma dalle fotografie dello scrittore viste nel dopoguerra sono certo di aver riconosciuto un compagno con i quali trascorsi a Carmo Langan[località di Castelvittorio (IM)]i miei primi giorni da partigiano. Quando giungemmo sopra Castelvittorio (IM), ci venne incontro un partigiano, un militare unitosi alla resistenza dopo l’8 settembre 1943, tale Iezzoni “Argo”[n.d.r.: Altorino Iezzoni, nato ad Atri (TE), il 26/04/1914, già caporale del Regio Esercito, commissario di Distaccamento della neoformata (il 20 giugno) IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”], che ci accompagnò fino a Langan, dove c’era il “quartier generale” e dove si concentravano tutti i neo-partigiani.
Salutandoci, il partigiano Iezzoni ci disse che l’indomani probabilmente sarebbero sbarcati gli alleati. Sarebbe stato, invece, il giorno della da noi famosa “notte dei bengala” del 21 giugno del 1944, quando tutti credevano e speravano nello sbarco degli alleati e invece ci fu solo un grande bombardamento. Otto giorni dopo [il 27 giugno 1944] “Argo” moriva in un’operazione a Baiardo (IM).
Fu il primo schiaffo che ricevetti dalla realtà della mia guerra di partigiano.
Fummo segnati su un grosso registro e arruolati al comando di Vittò[anche Vitò e Ivano, nomi di battaglia di Vittorio Giuseppe Guglielmo, dal 7 luglio 1944 comandante della V^ Brigata d’assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, dal 19 dicembre 1944 comandante della II^ Divisione “Felice Cascione”].
Girò mi attribuì il “nome di battaglia” di “Riccardo”, da Riccardo Cuor di Leone. In realtà non mi sono mai sentito tale.
Restammo a Langan un paio di giorni e depositammo le armi che ci eravamo procurati a Vallecrosia, tanto avevamo possibilità di averne altre, recuperandole tra quelle nelle caserme abbandonate o gettate dai soldati dell’armata italiana in rotta dal fronte francese dopo l’8 settembre. […] Le merci sbarcate venivano nascoste e successivamente trasportate a Negi e consegnate ai garibaldini di “Curto” e Gino Napolitano. Sovente ero incaricato del trasporto a Negi. Tra gli altri carichi ricordo una macchina da scrivere. Era pesante, pesava quanto un mortaio; ricordo che, nella fatica, dovetti sforzarmi non poco per convincermi che per vincere la guerra fosse necessaria anche una macchina da scrivere e superare la tentazione di buttarla in una scarpata.
Chi dirigeva tutte le operazioni era Renzo Rossi “Rensu u Curtu” per distinguerlo da Renzo Biancheri “U Longu”. Il comando alleato aveva deciso già nel settembre ’44 di inviare presso le formazioni partigiane ufficiali-istruttori e di collegamento. […] Con lo sbarco [6 gennaio 1945] del capitano Bentley [n.d.r.: ufficiale del SOE britannico, incaricato del Comando Alleato presso il comando partigiano della I^ Zona Liguria] si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di “Leo” Carabalona, del quale faceva parte Giulio Corsaro Pedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate. Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. […] L’organizzazione dell’Operazione Sbarchi non fu cosa semplice. Bisognò innanzitutto trovare natanti idonei a raggiungere la costa francese per le necessità di trasporto dall’Italia alla Francia; in senso inverso provvedevano gli alleati con potenti motoscafi pilotati da Pedretti […]
Renato “Plancia“ Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. Cit.
Una vista su Camporosso (Mare), Vallecrosia e Bordighera
4 aprile 1945 – Dal Quartiere Generale rappresentante dell’Alto Comando Alleato al commissario Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”] – Veniva conferito incarico al commissario in indirizzo di avvisare i responsabili della ricezione degli sbarchi di iniziare le segnalazioni alle ore 23.15 del giorno 4 stesso per i 5 giorni successivi, mentre dal giorno 10 al giorno 12 dovevano iniziare alle ore 24. L’intervallo tra una segnalazione e l’altra doveva essere di 5 minuti. Si richiedevano chiarimenti sulla lettera del 29 marzo con la quale era stato comunicato che i tedeschi erano a conoscenza del punto di sbarco.
7 aprile 1945 – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria a Orsini [Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“] – Venivano chiesti, dietro protesta del capitano Roberta [Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento], chiarimenti circa la distribuzione di armi arrivate in tre differenti sbarchi, circostanze sulle quali non erano state fatte le dovute relazioni.
9 aprile 1945 – Dal comando della V^ Brigata al Comando della I^ Zona Operativa Liguria – Riferiva che “… sono giunti 2 garibaldini dalla Francia che hanno colà seguito un periodo di istruzione e che hanno preannunciato un prossimo arrivo di materiale bellico...”
da documentiIsrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio / 30 Aprile 1945), Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico 1998/1999
La base alleata in Francia era a Saint Jean Cap Ferrat, nella baia di Villafranca, nella villa Le Petit Rocher.
Da Vallecrosia si partiva, naturalmente di notte, e si raggiungeva il porto di Montecarlo, facilmente individuabile perché l’unico illuminato.
All’ingresso del porto una vedetta intimava l’alt e accompagnava il natante all’approdo sotto stretta sorveglianza.
Qui l’equipaggio forniva alle sentinelle alleate del porto di Monaco solo un numero di telefono o di codice e il nome dell’ufficiale dell’Intelligence Service. […] Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata.
Fummo accolti dal capitano Lamb, che ci condusse a Le Petit Rocher. Ci diede qualche istruzione, tra le quali ricordo che, alla mia richiesta di una qualche sorta di documento, ci disse che a eventuali controlli dovevamo solo rispondere che eravamo maltesi e di riferire il suo nome, capitano Lamb con il numero di riconoscimento.
Mettendo mano al portafoglio, Lamb cominciò a distribuire una banconota da 500 franchi. La sua intenzione era di consegnarne una per ognuno di noi, ma Renzo Rossi, intascata la prima banconota ringraziò dicendo che 500 franchi bastavano per tutti.
Il capitano, sorpreso, ci fissò negli occhi uno per uno e domandò:
“Ma voi siete proprio Italiani?”.
Scoppiò poi a ridere, ma, per un attimo, vidi nel suo sguardo il sospetto che fossimo sabotatori. […] Nei giorni successivi ci portarono nei pressi dell’aeroporto di Nizza.
In un capannone erano accatastate una quantità notevole di mitragliatrici italiane Breda nuove e imballate. Evidentemente preda di guerra dell’avanzata alleata su Nizza nell’agosto del 1944.
Ma perché non le avevano fornite a noi già l’anno prima?
Prelevammo armi, viveri, vestiario e materiale sanitario.
Al Petit Rocher predisponemmo tutto sulla banchina per stivare il carico sul motoscafo che ci avrebbe riportato a Vallecrosia.
Dovemmo imbarcare anche due agenti di Ventimiglia (Paolo Loi e un altro che non ricordo, che avevano seguito un corso di sabotatori imparando a maneggiare l’esplosivo al plastico).
Per far posto ai due sabotatori, lasciammo a terra i viveri e il vestiario imbarcando solo le armi e i medicinali, contro la volontà degli ufficiali inglesi.
Ricevemmo la direttiva di annullare lo sbarco se non avessimo avvistato da terra il segnale di riconoscimento.
Arrivati al largo di Vallecrosia, nessun segnale, ma Girò mise ugualmente in acqua i due canotti e disse che, per maggior sicurezza, saremmo approdati nel tratto di spiaggia davanti alla sua abitazione.
Era meno sorvegliato dai fascisti perché … minato.
Come “maggior sicurezza” non era male!
Ma Girò conosceva il posizionamento delle mine. Il canotto con i due sabotatori approdò sulla spiaggia più verso Bordighera, forse non si fidavano a seguirei o volevano mantenersi una probabilità di fuga in caso fossimo stati accolti dai nazifascisti.
Solo più tardi ci vennero incontro camminando sulla battigia per paura delle mine. Per un attimo tememmo si trattasse di una pattuglia nemica.
Con estrema cautela Girò ci guidò nel sentiero minato fino a casa sua.
Portammo le armi a Negi come le altre volte, rifornendo le brigate Garibaldine.
Renato “Plancia“ Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
Un amico dei partigiani di Bordighera, non ricordo chi fosse, mise a disposizione gratuitamente due bare, una per mio fratello [Alberto Nino Guglielmi, del Gruppo Sbarchi] e l’altra per Alipio Amalberti, trucidato a Badalucco. Insieme a Ezio Amalberti, andammo [fine aprile-inizio maggio 1945] a Baiardo passando da Apricale. […] L’indomani mattina ritornò Ezio con la bara di Alipio. Ritornammo a Vallecrosia scendendo da Ceriana con quel triste carico. Al nostro passaggio la gente si segnava commossa. Il ponte danneggiato lungo la strada era stato reso parzialmente agibile con assi di fortuna. Alcuni uomini impietositi si levarono il cappello e ci aiutarono nel difficile passaggio del ponte. Arrivammo a Vallecrosia in serata ma ci aspettavano in tanti. Venne improvvisata una camera ardente nella sede del PCI. […] L’indomani i feretri furono portati in chiesa per la cerimonia religiosa (per evitare ulteriori problemi mio padre, prima di entrare, tolse le bandiere rosse che coprivano le bare) e quindi seppelliti nel cimitero di Vallecrosia alla presenza di tutti i partigiani e di tanta, tanta gente. […] testimonianza di Emilia Guglielmi in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.