Bordighera (IM), Paese Alto: a destra le ex carceri
Il giorno 10 maggio 1943 mio figlio Nino venne preso in casa mentre ancora si trovava a cena insieme a noi e venne portato dai tedeschi e dai fascisti prima nel Castello Selvadolce [in Bordighera]; dopo due giorni fu portato in Paese Alto [sempre in Bordighera] nelle carceri alla Maddalena, innocentemente. E di lì fu sempre perseguitato, perché aveva suo fratello nei partigiani, finché stanco di non poter camminare libero prese anche lui la via dei monti insieme a suo fratello e tanti suoi compagni.
Il giorno 24 dicembre 1944, vigilia di Natale, dietro una lettera anonima, veniva preso come ostaggio mio marito e tenuto al Borghetto sotto sorveglianza dei tedeschi, e messo in libertà solo con la promessa che mi fece fare a me il Capitano tedesco Austin di ritrovare i miei figli. Io mi misi alla loro ricerca per informarli di quanto succedeva in casa nostra, girai nei boschi e nella neve dal 4 all’11 gennaio, sempre del 1945, e infine dopo inaudite sofferenze li trovai a Monte Ceppo e insieme a me fecero ritorno a casa.
Subito si presentarono e non gli fu fatto alcun male, furono messi a lavorare nella Paladina (la Todt che si occupava di bunker e delle difese costiere), una ditta tedesca [n.d.r.: invero, la ditta era la Palladino ed era italiana] e anche lì adoperarono tutte le loro forze e il loro coraggio per aiutare i loro fratelli della montagna, erano allegri e felici. Ma il giorno 19 marzo, giorno del fatale rastrellamento di Bordighera, vennero da spie italiane indicati ai tedeschi come capi partigiani mentre passavano in bicicletta alla galleria della Migliarese per sorvegliare e segnalare al comando chi veniva preso. Furono presi e portati a Villa Cava insieme a una SO. Mentre gli altri venivano consegnati alle Brigate Nere loro due e il loro compagno di sventura Paolo Biancheri venivano portati al Forte San Paolo di Ventimiglia e dopo quattro giorni, cioè il 22 marzo, venivano trucidati dai nazifascisti. Questa è la triste vita dei miei adorati figli Nino di anni 23 e Ettore di anni 21, la loro vita fu una lotta continua senza conoscere nessuna gioia, per loro non c’era che il lavoro e la casa, in quanti li conobbero lasciarono un caro ricordo. Questo mia figlia Diana lo scrivo io tua madre Ida Sasso solo perché quando io non ci sarò più non devi dimenticare quanto hanno fatto i tuoi cari fratelli, tu devi sempre ricordarli con grande affetto, e difenderli da chiunque osasse parlare male di loro, perché loro vissero eroi e morirono martiri, tutti e due ti amavano e avrebbero fatto la tua vita dolce e serena, ma il destino gli fu crudele. Dopo tante sofferenze sui monti, perché sappi che tuo fratello Ettore fece sedici mesi di montagna, privo tante volte anche della più piccola sostanza sia fisica sia morale; anche Nino dopo ventotto mesi di soldato come motorista sul Cacciatorpediniere Maestrale, dopo sei mesi di montagna per essere stati riconosciuti vennero barbaramente trucidati. Il dolore mi uccide, soffro in silenzio racchiudendo tutto in me, ma tu cara Diana diletta sii sempre orgogliosa dei tuoi cari e adorati fratelli, e se un giorno ti sposerai, ai tuoi figli non dimenticare di insegnare ad amare e venerare la memoria dei loro zii.
Ti raccomando Bernardo fa che Diana sia felice e guidala sempre su una buona strada.
Bordighera, 24 agosto 1945 Ida Sasso in Biancheri Documento riprodotto con il titolo Tristi vicende della guerra vissute dai miei figli Nino e Ettore in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 7, nr. 4, Aprile 2014
[…] Lavorai a Mentone, poi un giorno, un manifesto affisso sui muri della città non lasciava dubbi: Todt o non Todt, tutti gli uomini della classe 1921, la mia, e di altre venivano richiamati alle armi nell’esercito della Repubblica di Salò. I renitenti, “Kaputt!” Con i fratelli Biancheri fuggimmo a Seborga. […] Ci spostammo a Perinaldo, perché là era troppo pericoloso… Eravamo al comando di Cekoff [o Cecoff, Mario Alborno di Bordighera (IM)], comandante partigiano che da borghese abitava a Bordighera. […] AngeloAthosMariani in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia < ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007
… La sorveglianza del tratto di costa di Vallecrosia (IM) era affidata a un distaccamento di circa 25 bersaglieri accasermato [n.d.r.: ed a fianco della sede del loro presidio c’era il vecchio mattatoio, punto di riferimento, citato in altre fonti, per gli arrivi notturni via mare di tante spedizioni] sul lungomare alla foce del torrente Verbone. Tra i bersaglieri c’era il sergente Bertelli, di Genova, che sembrava nutrire qualche simpatia per la Resistenza. Il Bertelli frequentava la barberia di Aldo Lotti [commissario del distaccamentoS.A.P. di Vallecrosia] e nei discorsi da… barbiere fece qualche allusione antifascista. Fu avvisato il C.L.N. [quello di Bordighera (IM)], che incaricò i fratelli Biancheri [Bartolomeo ed Ettore] di Bordighera, soprannominati Lilò, di prendere i necessari contatti. I bersaglieri volevano disertare e unirsi ai partigiani in montagna. I Lilò li convinsero a rimanere nel presidio sul lungomare ed a collaborare con la Resistenza nel nascente Gruppo Sbarchi. Renzo [Stienca] Rossi di Bordighera [n.d.r.: subentrato nel comando della missione presso gli alleati a Stefano Leo Carabalona, rimasto gravemente ferito in un agguato a febbraio 1945 proprio in Vallecrosia] organizzò un idoneo servizio per effettuare sbarchi di materiale e uomini da piccoli natanti provenienti dalla vicina Francia liberata. Venne il momento della prima operazione e bisognava concordarne i particolari con i bersaglieri… L’Operazione Sbarchi ebbe inizio… RenatoPlanciaDorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
Il Gruppo Sbarchi Vallecrosia aveva frattanto predisposto una barca. Renzo Rossi con Lotti avevano preavvisato i bersaglieri della necessità di effettuare l’imbarco quanto prima possibile.
La collaborazione dei bersaglieri fu determinante per tutte le operazioni del Gruppo Sbarchi. Il sergente Bertelli comandava un gruppo di bersaglieri a Collasgarba – sopra Nervia di Ventimiglia – e aveva manifestato la volontà di aderire alla Resistenza. Fu avvicinato dai fratelli Biancheri, detti Lilò, per stabilire le modalità della diserzione, quando il plotone fu distaccato alla difesa costiera giusto sulla costa di Vallecrosia in prossimità del bunker alla foce del Verbone. I Lilò convinsero allora i bersaglieri a non disertare, ma ad operare dall’interno per consentire ed agevolare le nostre operazioni.
RenzoGianni/Rensu u LonguBiancheri, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
Il distaccamento di Bertelli venne in seguito inviato a presidiare il caposaldo in Collasgarba, collina in zona Nervia di Ventimiglia (IM). Per la costruzione colà di una trincea a difesa della postazione dotata di cannone anticarro vennero impiegati operai della Todt, tra i quali i fratelli Biancheri di Bordighera. Con i fratelli Biancheri il sergente Bertelli esternò cautamente i sentimenti di disapprovazione della condotta della guerra.
I fratelli Biancheri favorirono l’incontro di Bertelli con il dottore Salvatore Turi Salibra/Salvamar Marchesi, membro di rilievo della Resistenza, ispettore circondariale del CLN di Sanremo per la zona Bordighera-Ventimiglia, fratello del prof. Concetto Marchesi, quest’ultimo, come noto, un insigne latinista, a sua volta impegnato nella Resistenza a livello nazionale.
Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
Dopo quella avventura, Girò [Gireu, Giraud, Pietro Gerolamo Marcenaro] mi disse che occorreva mandare partigiani dagli alleati nella Francia liberata per stabilire rapporti e trasportare armi per i garibaldini. Come? Di notte, con un gozzo, remando da Vallecrosia a Monaco. I Lilò avevano “agganciato” i bersaglieri che erano passati dalla nostra parte. Fregammo una barca dal deposito sottostrada vicino alla Casa Valdese di Vallecrosia e la portammo al mare. Con molta circospezione e furtivamente mettemmo in acqua la barca che… affondò. In attesa di poter fare qualcosa, la ancorammo sul fondo riempiendola di pietre per non farla portar via dalla corrente.
AmpelioElioBregliano, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.
[…] indicò [Elda Casaroli] successivamente al Cap. Borro i due fratelli Biancheri che percorrevano la strada in bicicletta, i quali poi furono fucilati per patriottismo, poco importando che essa fosse in rapporti di amicizia con costoro, come afferma, avendo i buoni rapporti determinato le confidenze e l’arresto e la denunzia […] Sentenza della Corte d’Assise Straordinaria (CAS) di Imperia contro Elda Casaroli del 7 settembre 1945, documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo
Il 18 marzo 1945 in un rastrellamento nazifascista vennero catturati a Dolceacqua (IM) 5 partigiani. Detto rastrellamento era stato provocato dal maresciallo repubblichino Luigi Salvagni per vendicare il fratello Federico Agostino, maresciallo della G.N.R. ucciso dai patrioti in quanto guida dei tedeschi nelle pregresse barbare aggressioni a Rocchetta Nervina, Soldano e Seborga.
L’operazione riguardò anche il comune di Bordighera. Veniva cercato in modo particolare Ettore Biancheri. Otto giovani vennero riconosciuti come partigiani: arrestati, furono torturati e fucilati il 21 marzo 1945 presso Forte San Paolo di Ventimiglia. Tra questi martiri, Paolo Biancheri (Paolo), nato a Bordighera, e i due fratelli BiancheriLilò, Bartolomeo ed Ettore, patrioti del Gruppo Sbarchi di Vallecrosia. Un documento d’epoca indirizzato al CLN di Bordighera, oggi conservato a Sanremo, ricorda che essi vennero fucilati insieme a Paolo Balbo (Pietro), Adolfo Piuri (Stella), Giuseppe Rosso (Pierino), Emilio Sasso (Puma) e Giuseppe Verrando (Mil).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 – 1999
Circa i fratelli BIANCHERI di Bordighera, catturati e poi fucilati, conosco i seguenti particolari. Per opera della 34^ divisione [tedesca] fu effettuato un rastrellamento nell’abitato di Bordighera ed anche dintorni. Terminato il rastrellamento, che aveva portato alla cattura di circa 200 persone, anche la SS, e naturalmente anch’io, si recò in quel luogo per controllare i documenti e per vedere se fra le persone arrestate ve ne erano di quelle a noi segnalate come partigiani o sospetti di attività contraria alla Germania. Oltre a noi delle SS era presente il capitano BORRO, capo dell’UPI [Ufficio politico e investigativo della Guardia nazionale repubblicana (fascista)] di Imperia ed un ufficiale delle B.N. [Brigate Nere repubblichine] del quale non ricordo il nome. Vi era poi il confidente DE MICHELI. I fermati erano stati messi nella galleria ferroviaria di S. Ampeglio [a Bordighera]. Delle 200 persone circa, fermate, tre che risultavano sospette furono accompagnate al carcere di villa OBER … Mentre si stava effettuando il controllo dei fermati, giunse sul posto un ufficiale della 34^ divisione, il quale disse di avere catturato in una casa poco distante due fratelli a nome BIANCHERI. Al sentire quel nome, il comandante dell’Orstkommandatur, che aveva in precedenza tenuto come ostaggio il padre dei BIANCHERI, affinché i figli scendessero dalla montagna, intervenne e disse che li voleva vedere. Il DE MICHELI [confidente e spia dei tedeschi], che era lì vicino, si offrì per andare col comandante della piazza. Dopo poco i due tornarono e dissero che realmente i due erano i fratelli BIANCHERI ambedue partigiani. Noi ritornammo a S.Remo e qualche giorno dopo da un ufficiale della 34^ div. seppi che i due Biancheri erano stati fucilati la sera della cattura. A parte il fatto già stabilito e cioé che egli accompagnò il comandante della piazza per il riconoscimento dei BIANCHERI non posso precisare se il DE MICHELI abbia in precedenza fornito indicazioni atte a portare alla cattura dei medesimi BIANCHERI e quale parte ne abbia avuto nella loro esecuzione.
Ernest Schifferegger, già SS ed interprete, in un verbale di reinterrogatorio confluito in un documento * del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense, antenata della CIA
* [Ernest Schifferegger era un italiano altoatesino che in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. Il rapporto dell'OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d'Assise Straordinaria di Sanremo]
[ Con gli Alleati, ormai insediati a ridosso del confine italo-francese dai primi di settembre, le relazioni dei partigiani della I^ Zona Operativa Liguria si intensificarono a partire dal dicembre 1944. In effetti, i servizi di informazione alleati (OSS americano, N°1 Special Forces e Intelligence Service inglesi e DGSS francesi) avevano cominciato ad operare con l’invio di agenti oltre le linee, specialmente nel cuneese, ma anche in provincia di Imperia. Per il mancato coordinamento, queste operazioni crearono qualche problema alla Resistenza italiana. Nel dicembre 1944 il comando partigiano ed il CLN decisero di inviare clandestinamente una missione presso gli alleati, preceduta il 10 dicembre dallo sbarco in Costa Azzurra di Stefano Leo Carabalona, comandante della Missione Militare Partigiana presso gli Alleati, che a tale scopo si avvaleva della Missione Corsaro e del Gruppo Sbarchi Vallecrosia. Il 14 dicembre 1944, dopo alcuni giorni di attesa, sia per le cattive condizioni atmosferiche, sia per l’intensificata sorveglianza lungo la costa, nottetempo, da Vallecrosia (IM) salpò con una barca a remi la missione Kahnemann. ]
Rosina (Luciano Mannini) racconta: Il servizio di informazioni militari, esplicato dalla missione «Leo» in Italia con i comandi alleati, ebbe inizio alla fine del settembre 1944, con l’arrivo nella zona della V^ Brigata [d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni“] di ufficiali americani ed inglesi giunti attraverso i passi montani dal Piemonte, ove erano stati paracadutati. Il capitano Leo [Stefano Carabalona], attestato allora a Pigna, comandante del distaccamento che li ospitava e che provvide in seguito a farli condurre – parte attraverso i valichi alpini e parte via mare – in Francia, stabilì col capo della missione alleata [Missione Flap] i primi accordi che dovevano condurre alla formazione di un gruppo specializzato che collegasse, per mezzo di una rete segreta, la nostra zona a quella occupata dagli alleati e fungesse da centro di raccoglimento e di smistamento di notizie militari e politiche interessanti la lotta. La missione Leo alla quale appartenevano Rosina, Lolli [Giuseppe Longo], Giulio Pedretti, ed alcuni altri giovani che si erano temprati nelle lotte di montagna, si portò a Nizza nel [il 10] dicembre 1944, dopo due mesi di utile lavoro preparatorio, per mezzo della leggendaria imbarcazione guidata dall’infaticabile «Caronte» [anche Corsaro] Giulio Pedretti e da Pascalin [Pasquale Pirata Corradi, di Ventimiglia (IM), come Pedretti]. A Nizza, Leo si incontra con i responsabili dei servizi speciali alleati e prepara il piano definitivo di lavoro, che comportava, fra l’altro, l’uso di apparecchi radio trasmittenti, per i quali la missione aveva già predisposto gli operatori. Nel gennaio 1945 la missione rientra in Italia, dove il terreno era già stato preparato in anticipo. Si organizza e comincia a funzionare in pieno… in Mario Mascia, L’Epopea dell’Esercito Scalzo, Ed. A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975.
[ A taluni di questi aspetti, in particolare alle attività del Gruppo di Vallecrosia, fa riferimento la testimonianza che segue ]
[…] Erano i primi di luglio del 1944 e un giorno, per volontà del partigiano “Piè veloce” [Francesco Boeri] che ci comandava, scendemmo a Soldano, non ricordo per quale motivo. Certamente niente di importante. […]
Francesco Cè Garini fu catturato nell’autunno, ma, grazie all’appoggio del segretario comunale Scrascia ottenuto dalla sua famiglia, riuscì ad evitare guai peggiori.
La guerra partigiana intanto manifestava alcuni pesanti difetti organizzativi; c’erano contatti con gli alleati che erano sbarcati a St. Raphael in Provenza e, a settembre 1944, erano arrivati a Mentone, ma erano scarsamente coordinati. […] Lanci di paracadute con armi finiti in dirupi inaccessibili o addirittura in mano ai tedeschi. Inoltre l’inverno giunse in anticipo sulle montagne e i collegamenti con gli alleati, che avvenivano attraverso i sentieri alpini, erano resi impossibili. Si ipotizzò anche di tentare con i sommergibili, ma non ci fu nessun serio risultato. Si poteva tentare soltanto via mare. Il 20 dicembre 1944 doveva sbarcare il capitano Robert Bentley [inglese, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria], ma fu tutto rinviato per il mare in tempesta. Dapprima arrivarono due collaboratori del capitano e finalmente la notte fra il 6 e il 7 gennaio 1945 sbarcò Bentley con il radiotelegrafista John Mac Dougall.
La costa era presidiata in forze dalle truppe nazifasciste e sorvegliata metro per metro.
Lo stato attuale dell’edificio situato alla foce del torrente Verbone in Vallecrosia (IM), dove erano dislocati di guardia i bersaglieri citati in questa testimonianza.Una vecchia fotografia, tratta dall’opuscolo qui in calce richiamato, attinente, a sinistra il presidio dei bersaglieri, al centro il vecchio mattatoio: a Vallecrosia (IM)
La sorveglianza del tratto di costa di Vallecrosia (IM) era affidata a un distaccamento di circa 25 bersaglieri accasermato [ed a fianco della sede del loro presidio c’era il vecchio mattatoio, punto di riferimento, citato in altre fonti, per gli arrivi notturni via mare di tante spedizioni] sul lungomare alla foce del torrente Verbone. Tra i bersaglieri c’era il sergente Bertelli, di Genova, che sembrava nutrire qualche simpatia per la Resistenza. Il Bertelli frequentava la barberia di Aldo Lotti [commissario del distaccamento S.A.P. di Vallecrosia] e nei discorsi da … barbiere fece qualche allusione antifascista. Fu avvisato il C.L.N. [quello di Bordighera (IM)], che incaricò i fratelli Biancheri di Bordighera, soprannominati Lilò, di prendere i necessari contatti. I bersaglieri volevano disertare e unirsi ai partigiani in montagna. I Lilò li convinsero a rimanere nel presidio sul lungomare ed a collaborare con la Resistenza nel nascente “Gruppo Sbarchi“. Renzo [Stienca] Rossi di Bordighera [subentrato nel comando della missione presso gli alleati a Stefano Leo Carabalona, rimasto gravemente ferito in un agguato l’8 febbraio 1945 proprio in Vallecrosia] organizzò un idoneo servizio per effettuare sbarchi di materiale e uomini da piccoli natanti provenienti dalla vicina Francia liberata. Venne il momento della prima operazione e bisognava concordarne i particolari con i bersaglieri. Tra di noi serpeggiava ancora qualche timore sulla fede dei bersaglieri. E se fosse stata una trappola? Commovente fu la posizione di Aldo Lotti. Era cardiopatico, e in maniera seria. Disse “Vado io. Se è una trappola pazienza, tanto ne ho più per poco!”. Comunque, non era una trappola. L’Operazione Sbarchi ebbe inizio. Girò [o Gireu, più alla francese, Pietro Gerolamo Marcenaro, già commissario di Distaccamento della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione”] mi cambiò anche il nome di battaglia da “Riccardo” a “Plancia“.[…]
Con lo sbarco del capitano Bentley si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di “Leo”Carabalona, del quale faceva parte GiulioPedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate. Gli sbarchi si susseguirono con invio di armi e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio. […]
L’operazione più importante alla quale partecipai fu la fuga di 5 ex prigionieri alleati che trasportammo in Francia. […]
L’organizzazione dell’Operazione Sbarchi non fu cosa semplice. Bisognò innanzitutto trovare natanti idonei a raggiungere la costa francese per le necessità di trasporto dall’Italia alla Francia; in senso inverso provvedevano gli alleati con potenti motoscafi pilotati da Pedretti [Corsaro, o Caronte, Giulio Pedretti di Ventimiglia (IM)] e Oscar. Con l’inizio delle ostilità di guerra le autorità italiane avevano disposto la rimozione di tutti i natanti dal lungomare. In parte vennero ricoverati sotto le volte dell’edificio che era sede dell’ufficio postale lungo la via Aurelia, nel lato sud dell’area sotto strada posta tra il torrente Verbone e la Casa Valdese, ancora oggi adibita al parcheggio degli autobus.
Il Seminario di Bordighera (IM), posto proprio sul confine con Vallecrosia, visto dal mare
Nottetempo, due compagni venivano messi di sentinella, uno all’altezza del Seminario [di Bordighera (IM)] e l’altro in piazza d’Armi [nel comune di Camporosso (IM)], e gli altri prelevavano una barca e la portavano nel parco della villa dell’avvocato Biancheri. Per i lavori di preparazione dei natanti usavamo la casa a fianco della villa detta dei “Bagnai”, soprannome della famiglia allora sfollata che l’abitava. Quelle barche erano fuori dall’acqua da anni: dovemmo calafatarle e renderle idonee a tenere il mare. Una alla volta “sequestrammo” 7 o 8 barche. Credo che i proprietari ne fossero poi indennizzati con 22.000 lire. Quando lo scafo era pronto, sempre di notte, lo portavamo al mare lungo la via che dall’albergo Impero porta al mare (allora Via IX Maggio, adesso: Via I Maggio), in 6, 3 per lato, camminando il più velocemente possibile! Quei 300/400 metri li percorrevamo quasi in apnea. Ancora oggi, quando ci penso, trattengo il respiro. Solo verso la fine riuscimmo a trovare un carretto e rendere così l’apnea un po’ più breve … Le barche furono tutte usate e rimasero in Francia. Gli imbarchi, come pure gli sbarchi, avvenivano nei punti concordati con i bersaglieri. Per gli sbarchi, chi conduceva [spesso era Pedretti] il motoscafo alleato arrivava fino a 500/600 metri dalla riva ed attendeva il nostro segnale convenuto di lampi brevi e lunghi, fatto con una torcia a pile. Dal motoscafo si rispondeva in codice. Quindi si provvedeva a trasbordare il carico su un canotto, qualche volta su piccole bettoline portate a traino. Poi si raggiungeva la riva… I canotti a volte rimanevano a noi ed allora furono usati per consentirci di raggiungere la costa francese quando non erano disponibili altre barche.
Da sinistra, in una foto d’epoca, i garibaldini del Gruppo Sbarchi Vallecrosia Francesco Cé Garini ed Ampelio Elio Bregliano a Negi
Le merci sbarcate venivano nascoste e successivamente trasportate a Negi [Frazione di Perinaldo (IM)] e consegnate ai garibaldini di “Curto“ [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Liguria]. Sovente ero incaricato del trasporto a Negi. Tra gli altri carichi ricordo una macchina da scrivere. Era pesante, pesava quanto un mortaio; ricordo che, nella fatica, dovetti sforzarmi non poco per convincermi che per vincere la guerra fosse necessaria anche una macchina da scrivere e superare la tentazione di buttarla in una scarpata. Chi dirigeva tutte le operazioni era Renzo Rossi detto “Rensu u Curtu” per distinguerlo da Renzo Biancheri “U Longu” […]
Una vista di Saint-Jean-Cap-Ferrat – Fonte: WikipediaDa sinistra Villa Iberia e Villa Le Petit Rocher
La base alleata [per la partenza per l’Italia, ed il ritorno, dei motoscafi alleati] in Francia era a Saint-Jean-Cap-Ferrat, baia di Villafranca, nella Villa Le Petit Rocher.
Ampelio Elio Bregliano, terzo da sinistra, nella baia di Villafranca
Da Vallecrosia si partiva, naturalmente di notte, e si raggiungeva il porto di Montecarlo [Principato di Monaco], facilmente individuabile perché era l’unico illuminato. All’ingresso del porto una vedetta intimava l’alt e accompagnava il natante all’approdo sotto stretta sorveglianza. Qui il nostro equipaggio forniva alle sentinelle alleate dello scalo del Principato di Monaco solo un numero di telefono o di codice e il nome dell’ufficiale di collegamento dell’Intelligence Service. In meno di un’ora i partigiani erano presi in consegna dai servizi segreti alleati. Anch’io fui condotto a Montecarlo, con Renzo Stienca Rossi, Girò e Renzo [Gianni] Rensu u Longu Biancheri, quest’ultimo già allora sordo come una campana. Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata. […]
Renato Plancia Dorgia, in Gruppo Sbarchi Vallecrosia di Giuseppe Mac Fiorucci < ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007
2 aprile 1945 – Dalla V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“, Sez. S.I.M. (Servizio Informazioni Militari), prot. n° 370, al Comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione – Venivano comunicate notizie riferite da un non meglio specificato interprete di Bordighera. Truppe tedesche e fasciste in allarme di 2° grado... Dalla punta di Sant’Ampelio di Bordighera a Ventimiglia vi era un bunker ogni 800 metri, ognuno dei quali presidiato da 11 fascisti, di cui un sergente, ed un tedesco…
9 aprile 1945 – Dal comando della V^ Brigata al Comando della I^ Zona Operativa Liguria – Nella relazione si riferivano diverse notizie tra le quali anche che “eranogiunti dalla Francia 2 garibaldini che hanno colà eseguito un periodo d’istruzione e che hanno preannunciato un prossimo arrivo di materiale bellico”.
13 aprile 1945 – Dal C.L.N. di Sanremo, prot. n° 581, al S.I.M. della V^ Brigata – Si rendeva informazione anche sul fatto che le armi sono ancora a Bordighera da dove si provvederà alla distribuzione.
18 aprile 1945 – Dal comando della II^ Divisione al comando della V^ Brigata – Informava che due garibaldini che avevano frequentato la scuola alleata dei sabotatori in Francia stavano per rientrare presso il comando di quella Brigata per istruire altri partigiani.
23 aprile 1945 – Dal comando della VI^ Divisione “Silvio Bonfante“, prot. n° 330, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria – Segnalava che in pari data era giunto presso lo scrivente comando il capitano Bartali [Giovanni Bortoluzzi, già a capo a settembre 1943 di una prima banda di partigiani in Località Vadino di Albenga (IM), poi dirigente sapista in quella zona, capo missione della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” presso gli Alleati, vicecapo della Missione Alleata nella I^ Zona nei giorni della Liberazione] della Missione Alleata.
24 aprile 1945 – Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione “Felice Cascione” – Scriveva che “il capitano Bartali” [Giovanni Bortoluzzi] raggiungerà il comando divisionale in indirizzo e sarà l’incaricato della missione alleata presso il comando divisionale, funzionando da collegamento tra lo scrivente comando ed il comando divisionale. Bartali dipenderà dal capo missione “capitano Roberta” [capitanoBentley]. Si prega di fornire “Bartali” di tutto ciò di cui ha bisogno, nonché di alcune staffette e della puntuale segnalazione di tutte le azioni svolte dalla II^ Divisione“.
da documentiIsrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo II – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999
Il teatro di mare su cui operavano di notte i partigiani del mare
Nell’estate 1944 i servizi segreti americani avevano inviato sulla costa una rete di informatori, capeggiati da Gino Punzi .
Dovendo tornare in Francia, per attraversare le linee [non era certo la prima volta] Gino Punzi si avvalse della collaborazione di un passeur, dal quale, poiché era passato al soldo dei tedeschi, durante il viaggio venne ucciso [n.d.r.: ferito nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 1945 in una casa in zona Marina San Giuseppe a Ventimiglia, agonizzante, ricevette il colpo di grazia per ordine di un agente dei servizi segreti della Marina da Guerra tedesca]. Il comandante tedesco si infuriò perché avrebbe voluto catturare vivo il Gino. Sul suo cadavere furono rinvenuti dei documenti, dai quali i tedeschi vennero a conoscenza del fatto che sarebbero stati inviati altri agenti e telegrafisti alleati.
I tedeschi predisposero una trappola e quando arrivò il telegrafista “Eros” lo catturarono ferendolo. Si avvalsero di lui per trasmettere falsi messaggi al comando alleato di Nizza.
Con questi falsi messaggi fu richiesto l’invio di un’altra missione: la missione “Leo”. Renzo Biancheri, in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia <Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >, 2007
Al centro della fotografia Stefano Leo Carabalona nella baia di Villefranche-sur-Mer
Luciano “Rosina” Mannini in Mario Mascia, L’Epopea dell’esercito scalzo (ed. ALIS, 1945), definisce, invece, “Missione Leo” la vera e propria presa di contatto di Carabalona, comandante della Missione Militare (dei partigiani della I^ Zona Operativa Liguria) presso il Comando Alleato, con gli Alleati, Missione perfezionata il 15 dicembre 1944 con l’arrivo tra gli Alleati della Missione partigiana Kanheman; nella missione Leo erano – sempre secondo Mannini – coinvolti, tra gli altri, Giulio “Caronte” o “Corsaro” Pedretti e Pasquale Pirata Corradi di Ventimiglia (IM), della Missione o Gruppo Corsaro di Ventimiglia, nonché Lolli, Giuseppe Longo, vice comandante di Carabalona, e lui stesso, Mannini (di Vallecrosia); rientrarono, dopo adeguata preparazione fornita dagli Alleati, a metà gennaio 1945, come si può leggere anche in Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II, Paperback, 2013, che definisce tale rientro come una missione dell’OSS statunitense. Adriano Maini
La missione andò a rotoli con il ferimento[era l’8, forse il 9, febbraio 1945] di “Leo” [Stefano Carabalona], che venne nascosto nella cantina di casa mia.
I tedeschi rastrellarono tutta la zona cercando “Leo”; “visitarono” anche la mia casa: sulla porta rimasero le impronte dei chiodi degli scarponi di quando sfondarono l’ingresso a calci.
Ma non cercarono in cantina. Si limitarono ad arraffare del cibo dalla cucina. Con Renzo Rossi nascondemmo tutti i documenti del SIM e del CNL nel mio giardino, preparandoci al trasferimento di “Leo” in Francia.
Il Gruppo Sbarchi Vallecrosia aveva frattanto predisposto una barca. Renzo Rossi con Lotti [Aldo Levis Lotti, commissario della squadra S.A.P. di Vallecrosia] avevano preavvisato i bersaglieri della necessità di effettuare l’imbarco quanto prima possibile.
La collaborazione dei bersaglieri fu determinante per tutte le operazioni del Gruppo Sbarchi. Il sergente Bertelli comandava un gruppo di bersaglieri a Collasgarba – sopra Nervia di Ventimiglia – e aveva manifestato la volontà di aderire alla Resistenza. Fu avvicinato dai fratelli Biancheri [martiri della Resistenza], detti Lilò, per stabilire le modalità della diserzione, quando il plotone fu distaccato alla difesa costiera giusto sulla costa di Vallecrosia in prossimità del bunker alla foce del Verbone.
Una vecchia fotografia, tratta da Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Op. cit. infra, attinente il presidio dei bersaglieri a Vallecrosia (IM)
I Lilò convinsero allora i bersaglieri a non disertare, ma ad operare dall’interno per consentire ed agevolare le nostre operazioni. Alla data convenuta, in pieno giorno trasferimmo “Leo” a Vallecrosia, facendolo sedere sulla canna della bicicletta di Renzo. In pieno giorno, perché approfittammo di un furioso bombardamento. Le strade erano deserte, solo granate che esplodevano da tutte le parti. Ricoverammo “Leo” in casa di Achille [Achille Lamberti di Vallecrosia, “Andrea“], aspettando la notte. Al momento opportuno ci trasferimmo sul lungomare; il soldato tedesco di guardia, come al solito, era stato addormentato da Achille con del sonnifero fornito dal dr. [Salvatore] Marchesi [nomi di battaglia “Turi“, “Salibra“, “Salvamar“, ispettore circondariale del CLN di Sanremo, fratello del prof. Concetto Marchesi, quest’ultimo, come noto, un insigne latinista e figura di spicco della Resistenza a livello nazionale], laureato in chimica. Renzo Biancheri, Op. cit.
7 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo a Turi Salibra ed al CLN di Bordighera - L'ufficiale addetto al Comando, Piero [Pietro De Andreis], sarebbe stato con il CLN di Bordighera al momento dello sbarco per la ripartizione delle armi provenienti dalla Francia. In base agli accordi le armi sarebbero state assegnate per il 25% alle SAP di Ventimiglia, Vallecrosia e Bordighera e per il restante alle SAP di Ospedaletti, Sanremo, Taggia e Riva-Santo Stefano [allora comune unico]... da un documentoIsrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
I bersaglieri ci aiutarono a mettere in acqua la barca e a caricare “Leo” ferito. Cominciammo a remare, ma, dopo poche centinaia di metri, la barca cominciò ad imbarcare acqua. Non potevamo tornare indietro. Mentre io e “Rosina” (Luciano Mannini) remavamo, “Leo” e Renzo [Renzo Rossi] si misero di buona lena a gottare, con una sassola che, per puro caso, avevamo portato con noi.
Riuscimmo a tenere il mare e ad arrivare al porto di Monaco. Con la pila facemmo i soliti segnali, ma non ricevemmo alcuna risposta; entrammo nel porto e accostammo alla banchina. Chiamammo una ronda di passaggio, che ci portò al comando di polizia, dove chiedemmo di informare Milou, l’agente di collegamento.
Arrivarono gli inglesi e “Leo” fu finalmente ricoverato al Pasteur di Nizza. Anche io e “Rosina” ci facemmo medicare il palmo delle mani piagate dal remare.
Renzo Biancheri, Op. cit.
... Anche io fui condotto a Montecarlo, con Renzo Rossi, Girò [Pietro Gerolamo Marcenaro] e Renzo Biancheri, già allora sordo come una campana. Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata. Fummo accolti dal capitano Lamb, che ci condusse a Le Petit Rocher... Renzo Biancheri chiese di poter usare il telefono, compose il numero e ottenuta la comunicazione tra lo stupore generale iniziò a cantare Polvere di Stelle. Renzo era sordo e come tutti i duri d’orecchio cantava bene. Sussurrava la melodia d’amore di “Polvere di Stelle”, alle orecchie di una interlocutrice, evidentemente conosciuta in qualche precedente missione e con la quale di certo non scambiava lunghe conversazioni:
Sometimes I wonder why I spend
The lonely night dreaming of a song
Renato Plancia Dorgia inGiuseppe Mac Fiorucci, Op.cit.Renzo Rossi (Renzo, Stienca, Zero)… dopo aver riorganizzato il CLN di Bordighera e dopo un periodo di permanenza in montagna lavorerà per il CLN circondariale adoperandosi tra l’altro in viaggi via mare… per stabilire rapporti tra le forze resistenziali italiane e ufficiali americani, inglesi, francesi… Renzo Biancheri (Gianni), di Bordighera, che aiutò Renzo Rossi nella sua attività… Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I: La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976